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Nr pisma
Odbiorca
Znak (*)
Miejsce napisania
Data
281
M.me A. H. De Villeneuve
0
Parigi
15. I l.1868
A MADAME A. H. DE VILLENEUVE

AFV, Versailles



Parigi, 15/11 = 68

22 Rue des Sts. Pères

Signora,
[1754]
appena ho ricevuto la sua lettera, quantunque molto occupato, sono andato da Erode a Pilato, da Anna a Caifa, poi sono ritornato da Pilato per avere delle informazioni su Conrad e adempiere ciò che la sua eminente carità m'aveva ordinato. Ma mentre facevo ciò, ecco che arriva "lupus in fabula", cioè il polacco. Mi sembra che abbia un aspetto molto buono, perché è ben nutrito e riposato.


[1755]
Mi ha detto che ha trovato una vera mamma in lei e che ha ricevuto tutto da lei, da Augusto e da Désiré. Ma io avrei voluto che egli avesse seguito in tutto i suoi consigli materni, tanto più che Augusto ha la bontà di amarlo parecchio. Ma la gioventù è sempre gioventù. La paura di perdere l'anno, egli dice, l'ha deciso di recarsi a Parigi, ciò che io non credo poiché, in fatto di scuola, ho tutte le conoscenze possibili. Siccome sono molto occupato non son potuto andare a trovarlo e vedere bene le cose, dal momento che ha una buonissima salute. Tuttavia, non avrò sufficienti parole per ringraziarla di tanta bontà che ha avuto per me. Io vorrei dimorare un anno con lei e curare con il mio amore il mio caro Augusto e comunicargli tutto ciò che io possiedo di talento e scienza, ma, ahimè, bisogna che io ritorni in Egitto. Non potrò trascorrere con lei che qualche giorno. Tuttavia pianterò il centro della mia opera a Parigi e spero che soggiornerò in avvenire molto sovente in sua compagnia.


[1756]
Fonderò un Comitato di dame patronesse a Parigi: tengo molto che lei e Maria ne facciate parte. La prego di dirmi fino a quale giorno lei resterà lontano da Parigi. Mi dia sue notizie e dei suoi cari figli. Io le invierò degli opuscoli.


[1757]
Sono ancora nella sua quarantena di preghiere. Nell'ottavario dei Morti ho celebrato una Messa per il suo caro marito. Se lei vedesse la signora di Poysson le porga i miei ossequi.

Mentre le esprimo tutta la mia riconoscenza e i sentimenti del mio grande affetto, ho la fortuna di dichiararmi



Suo d.mo D. Daniele Comboni



Mère Emilie sta molto bene. Mi ha appena scritto



Traduzione dal francese.






282
Agostino Cochin
0
Parigi
26.11.1868
AD AGOSTINO COCHIN

APFP, Boîte G-84



Parigi, 26 novembre 1868

Signore,
[1758]
le ho appena accusato ricevuta della lettera per mezzo della quale lei m'ha fatto l'onore di informarmi di quello che si è detto relativamente alla mia Opera nell'ultima riunione dei membri della Propagazione della Fede. Le sono infinitamente riconoscente. Voglia permettermi di presentarle qualche osservazione a questo riguardo.

In quanto al giornale del sig. Cloquet mi era stata data un'idea favorevole e non pensavo certo che questa pubblicazione contrariasse l'Opera della Propagazione della Fede. Se ho affidato all' "Apostolat" la pubblicazione del mio Piano per la rigenerazione dell'Africa, è unicamente per ragioni di economia e per non avere a mio carico le spese della stampa, ma non avevo punto l'intenzione di fare dell' "Apostolat" l'organo della mia Opera a Parigi. Mi sarebbe, al contrario, un piacere e un dovere di riconoscenza di dare sia agli Annali, sia al Giornale delle Missions Catholiques le informazioni sulla Missione dell'Africa centrale e sui miei Istituti d'Egitto.


[1759]
Per quanto concerne la formazione di un Comitato a Parigi, si è frainteso sicuramente sulle mansioni e lo scopo che doveva avere. Si è creduto che sarebbe destinato a creare delle risorse per le Missioni della Nigrizia interna e per i miei Istituti d'Africa; ma il fatto è che esso era destinato solamente di procurare alla mia Opera a Parigi uno stabile dove ci si possa riunire e formare i soggetti francesi che si destinano alla mia missione, conformemente a quello che ha luogo già a Verona, dove l'Opera del Buon Pastore, benedetta e lodata dal Papa Pio IX e diretta da Mons. Vescovo di Verona, sostiene con le elemosine che raccoglie un Seminario per i nostri Missionari italiani. Una casa simile mi è proprio indispensabile a Parigi, sia a causa dei miei rapporti con il Governo francese, la cui influenza è così grande in Oriente, sia perché si trovano più facilmente in Francia i soggetti che si dedicano alla Missione.


[1760]
Ho creduto di non poter contare, per questa fondazione, sulla Propagazione della Fede, perché mi avevano detto che le sue risorse erano unicamente destinate alle Missioni straniere. Se posso però avere la sicurezza di aver sbagliato, rinuncio da questo momento e per sempre a preoccuparmene io stesso, sia per il sostentamento del mio Seminario di Verona, sia per la fondazione di quello di Parigi. Del resto, ciò che provo veramente è che non volevo affatto, nella formazione del Comitato in questione, dispiacere alla Propagazione della Fede; io mi ero indirizzato precisamente a delle persone che fanno già parte del Consiglio di questa Opera capitale, che io mi farò sempre un obbligo di sostenere e di sviluppare io stesso come ho già fatto nel passato.


[1761]
Io non intraprenderò mai niente senza riferirmi sempre al Consiglio della Propagazione della Fede.

Le sarò molto riconoscente, signore, se a tutte le bontà cui io le devo, aggiungerà quella di volere essere l'interprete dei miei devoti e rispettosi sentimenti verso tutti i membri della Propagazione della Fede.

Gradisca, signore, l'assicurazione del mio profondo rispetto e mi creda con tutta la mia riconoscenza



il suo devoto servo

Don Daniele Comboni

Missionario Apostolico



Traduzione dal francese.






283
Opera S. Infanzia
0
Parigi
29.11.1868
ALL'OPERA DELLA S. INFANZIA

AOSI, Parigi



Parigi, 29 novembre 1868

Ai signori Membri del Comitato della Santa Infanzia

Signori,
[1762]
la benevola collaborazione che loro accordano ai Missionari che si dedicano all'educazione dei bambini nei paesi infedeli, mi incoraggia a esporre loro quali sono, sotto questo aspetto, la posizione e i bisogni della mia Missione.


[1763]
Consacrato da dodici anni all'Apostolato dell'Africa centrale, ho dovuto, per raggiungere questo scopo, fondare dapprima al Cairo, con l'autorizzazione della Propaganda, due Istituti ove i giovani neri, ragazzi e ragazze, che sono educati nei principi della fede cattolica per diventare, in seguito, utili ausiliari per la conversione dei popoli del centro della Nigrizia.

Questo sistema che ho presentato a Sua Santità Pio IX e a un grande numero di Vescovi e di Superiori di Missioni africane, è stato ritenuto come il solo capace di procurare la salvezza dei nativi dell'Africa centrale.


[1764]
L'Istituto dei ragazzi fondato al Cairo è diretto da quattro Missionari del mio Seminario di Verona e conta, per il momento, una decina di allievi.

L'Istituto delle ragazze è diretto dalle Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione di Marsiglia e da molte istitutrici nere già formate nell'Istituto Mazza di Verona e conta, per il momento, diciasette allieve. Queste hanno già fatto dei progressi rimarcabili nella pietà e nell'istruzione. Esse coltivano con successo tutte le arti che si addicono alle donne, in modo di diventare buone donne di famiglia.


[1765]
I bambini che noi educhiamo ci impongono dei pesanti oneri, sia per acquistarli, sia per crescerli e mantenerli. Noi li vediamo qualche volta che, deboli e malati, languiscono sulla strada o nei crocicchi; noi non esitiamo a incaricarcene, poiché abbiamo fondato, accanto a ciascuno dei suddetti Istituti, una infermeria e una farmacia, perché abbiamo imparato che la carità per gli ammalati è un potente mezzo per guadagnare le anime a Gesù Cristo. Loro signori comprendono facilmente quanto sia grande il carico che noi ci assumiamo per loro e quanto noi abbiamo bisogno che ci vengano in nostro soccorso.

Del resto, indirizzando questa domanda io non sono che l'interprete delle intenzioni di Mons. Ciurcia, Vicario e Delegato Apostolico dell'Egitto e incaricato "ad interim" della direzione del Vicariato dell'Africa centrale, che ha voluto consegnarmi a questo riguardo una lettera di raccomandazione.


[1766]
A misura che la mia Opera si svilupperà, come ho tutte le ragioni per sperare, chiamerò successivamente in mio aiuto degli altri religiosi francesi, poiché ho potuto constatare l'attitudine speciale dei bambini della loro nazione per le opere di apostolato. E per finire, faccio loro rimarcare, signori, che dalla buona riuscita dei due Istituti, per i quali ho avuto l'onore di intrattenerli, dipende senza dubbio la conversione di un buon numero di tribù dell'Africa centrale e io sono sicuro che questo motivo di procurare la gloria di Dio e la salvezza delle anime, farà loro esaudire i desideri di colui che, pieno di speranza nella loro carità, ha l'onore di dirsi



di loro, signori, u.mo servo

Don Daniele Comboni

Missionario Apostolico dell'Africa centrale

Superiore degli Istituti dei neri in Egitto



Traduzione dal francese.






284
Una signora spagnola
0
Parigi
3.12.1868
A UNA SIGNORA SPAGNOLA

ACR, A, c. 15/139



Parigi, 3 dicembre 1868

22 Rue des Saints Pères

Stimatissima Signora,
[1767]
Sebbene non abbia il piacere di conoscerla personalmente, so quanto siano buoni i suoi sentimenti religiosi e proverbiale la sua generosità, per cui mi prendo la libertà, che mi vorrà scusare, di scriverle questa lettera, per chiedere a favore di un'opera essenzialmente cattolica, la "Rigenerazione dell'Africa" e la propagazione della nostra santa religione, in quelle vaste regioni, un'elemosina che Dio ha promesso di "ricompensare generosamente" quando viene fatta per Suo amore.


[1768]
Si tratta di salvare migliaia di anime e S. Agostino assicura che "chi salva un'anima, salva la sua". Quale ricompensa più grande?

Il Santo Padre ha benedetto ripetutamente e aiutato con le sue limitate risorse quest'opera, concedendo poi ai suoi benefattori molte grazie e indulgenze.


[1769]
Povero per vocazione e per necessità, sacrifico tutta la mia esistenza per soccorrere i miei fratelli in Cristo come sacerdote missionario dell'Africa centrale, che conosce i bisogni di di quella nascente società cristiana, vengo oggi a supplicare il benevolo e caritatevole suo cuore, perché si interessi di tanti infelici che giacciono immersi nelle tenebre e nella più orrenda idolatria.


[1770]
Mai avrei voluto disturbarla, ma so quanto lei sia buona e comprensiva nei confronti delle disgrazie altrui e per questo sono sicuro che non rimarrà insensibile nemmeno di fronte ai mali degli infelici africani, mali tanto più gravi perchè possono essere eterni, se la carità cristiana non mette a disposizione missionari e mezzi per riscattarli, convertendoli in esseri felici che benediranno per sempre i generosi benefattori cattolici.

Scusi questa libertà che mi sono preso e mi creda suo riconoscente e devoto servitore e cappellano



S. M. B.

D. Daniele Comboni



Traduzione dallo spagnolo.






285
M.me A. H. De Villeneuve
0
Parigi
5.12.1868
A MADAME A. H. DE VILLENEUVE

AFV, Versailles



Parigi, 5 dicembre 1868

Mia carissima signora,
[1771]
l'altro ieri ho ricevuto la sua cara lettera. Quante cose avrei da dirle. La più deliziosa è quella di sapere che il 12 o il 13 lei sarà a Parigi ed è là che io sono deciso di attenderla. Il pensiero di venire a Quimper e Prat-en-Raz in mezzo a tanti affari che ho avuto, mi ha reso esitante per quanto immenso sarebbe stato il piacere; ora sono felice perché fra una settimana avrò la fortuna di vederla a Parigi.


[1772]
L'Egitto mi aspetta, ma io aspetto la signora di Villeneuve, il mio caro Augusto e i suoi cari figli che amo molto; se avessi fatto il viaggio a Prat-en-Raz, avrei avuto lo scrupolo per la spesa, poiché non mi è permesso, in coscienza, di spendere un soldo per il mio piacere. In ogni caso sarei venuto a Prat-en-Raz, se non venisse a Parigi.


[1773]
Sull'affare di Urbansky ne parleremo a viva voce. Egli ha fatto una grande sciocchezza a lasciare lei e Augusto. E' ben a ragione che ora egli si pente, poiché io gli ho parlato chiaro e paternamente. Quando lei mi ha scritto di consultare il suo medico e i suoi superiori della scuola, io sono andato dappertutto. Mi è occorso molto tempo e fatica per avere notizie della scuola, patronato, ecc., ma le persone che dovevo consultare non le ho mai trovate. In questo momento egli è arrivato a Parigi. Mi sembra che non abbia più il buon aspetto che aveva quando è venuto a Parigi. E' ancora un ragazzo che non riflette abbastanza, per quanto sia un buon ragazzo. Io gli ho preparato un buon confessore perché non frequenta quasi mai; sembra che si sottometta.


[1774]
Quando lei pensa al suo caro marito occorre che non abbia mai i pensieri che mi esprime. Pensi che la misericordia di Dio è infinita e che è impossibile che egli non abbia trovato grazia presso Dio dopo tante preghiere e dedizione da parte sua. Lei è stata una sposa ammirevole, poiché lei è una madre che non ho mai trovato di simile sulla terra. Dio è carità. La collera di Dio si cambia in dolcezza di fronte alla carità.


[1775]
Io credo e sono convinto che Dio abbia esaudito la sua carità e la sua ammirabile dedizione per lui, carità e dedizione che le ha avuto per lui prima e dopo la morte; pensi che suo marito era un uomo eccellente che faceva onore alla società; era un uomo onesto. Il solo peccato era di non essere stato praticante; ciò può darsi sia dipeso dalla sua educazione e di trovarsi immerso negli affari. So però che è stato un uomo caritatevole e che ha fatto del bene al suo prossimo. Ora questa virtù non può rimanere senza ricompensa. In più, mediante il matrimonio cristiano, l'uomo è tutt'uno con la donna e siccome lei ha fatto molto bene prima e dopo la sua morte, trovo una ragione in più per avere tanta confidenza nella misericordia di Dio. Confidenza, dunque, nel Buon Dio e sia sicura che Dio ha avuto misericordia di lui; continui a pregare per lui e sia tranquilla e consacri tutti i mesi di novembre della sua vita in suo suffragio, poiché è un mese di grazia e di misericordia.


[1776]
Quanto alle indulgenze della grande Croce di Gerusalemme se ha il Crocifisso, lei può lucrare l'indulgenza plenaria ogni volta che fa la Via Crucis. Alle reliquie non è unita nessuna indulgenza. Tutti gli oggetti che hanno toccato il Santo Sepolcro di Gerusalemme, i Padri della Terra Santa me l'hanno assicurato, hanno l'indulgenza plenaria ogni volta che si baciano se si è confessati e comunicati, ecc. E' certo che vi è l'indulgenza plenaria in punto di morte. Del resto, per assicurarla di tutto, glielo scriverò più tardi, quando avrò consultato la pagella delle Indulgenze di Gerusalemme.


[1777]
E' da molto che non ricevo lettere dalla Principessa Maria, cioè dell'8 novembre, quando ella mi diceva che era stata ammalata. Se non le ha scritto è segno che non ha ricevuto la sua lettera, poiché le vuole bene e la stima molto. Dunque, le scriva poiché ella ha molto piacere di ricevere le sue lettere e le parli di Augusto e della signora Maria. Oggi stesso le scriverò di lei. La prego di porgere i miei ossequi alla signora Poysson. Sarei ben contento di vederla ancora.


[1778]
Attendo con impazienza il suo arrivo a Parigi. Augusto sarà tanto buono se lui o lei me lo facciate sapere subito, perché verrò alla stazione o a casa sua immediatamente.

Preghi per mio padre che è ammalato. Egli le renderà le sue preghiere, perché da molti anni egli prega otto o nove ore al giorno; è un uomo giusto; è un po' scrupoloso; è tutto l'opposto di suo figlio.

Gradisca i sensi della mia più alta stima e affetto



D. Daniele Comboni



Traduzione dal francese.






286
Mons. Luigi di Canossa
0
Parigi
14.12.1868
A MONS. LUIGI DI CANOSSA

ACR, A, c. 14/62



W.J.M.J.

Parigi, 14 dicembre 1868

4 pom.

Eccellenza R.ma,
[1779]
Sicut placebit Domino ita fiat: sit semper nomen Domini benedictum. Ricevo in questo momento un dispaccio concepito in questi termini: "Dal Bosco temo non vivrà fino a sera, rispondete = Tommasi. Jeri una lettera mi giunse, che mi annunzia mio padre essere da trentasei giorni gravemente ammalato. A questo aggiunga le molte croci che alla bontà di Dio piacque di darmi. Il nostro caro Gesù è molto buono: è un invito veramente amoroso che ci muove ad amarlo davvero. Benché sia molto ma molto imbrogliato, tuttavia non ho lingua che valga a ringraziare Iddio convenevolmente.


[1780]
Se D. Dalbosco avesse ad andare in Paradiso (cosa che me la sento come certa) come faremo ad aggiustare le cose pel piccolo Seminario di Verona? Insomma, Monsignore e Padre mio veneratissimo, gettiamoci nelle braccia di Gesù, che ha molta carità, talento, e sa bene combinare le cose: sit nomen eius benedictum in saecula.


[1781]
Io sono sulle mosse per venire a Verona: ho ottenuto il passaggio gratuito per me da Susa a Verona, e per otto da Verona a Genova. Aspetto il passaggio da Parigi a St. Michel, e da Monaco Nizza e Marsiglia per la carovana. Di più sono certo che il Ministero Esteri mi accorda gratis da Marsiglia ad Alessandria; ma non ebbi ancora finito questo affare per non esservi il Ministro che sta a Compiègne. Il mio piano è di aspettar questo, venire a Lione per ricevere i 5000 franchi, passar da Torino per conferire con D. Bosco...... e volare a Verona. Se all'E. V. tornasse gradito che modificassi questo piano, non ha che a darmene un cenno, e sarò a suoi venerati comandi.


[1782]
Del resto confidiamo in Gesù: sono troppo felice di essere da lui onorato con tante croci, che sono preziosi tesori della sua divina grazia. Siccome noi lavoriamo per la conversione dell'anime le più abbandonate della terra, e intendiamo di lavorare unicamente per fare la sua divina volontà, così sia sempre benedetto Gesù in prosperis et adversis, nunc et in saecula.

Se il Signore ci lascia in vita il nostro D. Alessandro, lo benediremo; se chiama quest'anima eletta in paradiso, avremo un avvocato di più nel cielo.

Le bacio la sacra veste, e mi dichiaro nei SS. Cuori di G. e di M.



Suo um.o indeg. figlio

D. Daniele Comboni






287
Mons. Luigi di Canossa
0
Parigi
20.12.1868
A MONS. LUIGI DI CANOSSA

ACR, A, c. 14/63



Lod. G. e M. In eterno e così sia

Parigi, 20/12 = 68

Ill.mo e R.mo Monsignore,
[1783]
E' una gran perdita che abbiamo fatto: ma non abbiamo perduto Gesù; e quindi possediamo tutto. Anzi la stessa perdita è forse una conquista, perché D. Alessandro Dalbosco, che fu un santerello, dall'alto dei cieli pregherà il Dator d'ogni bene, e colla sua intercessione ci assisterà nella gran lotta. D.nus dedit, D.nus abstulit....... sit nomen D.ni benedictum.


[1784]
Io senz'altro in tre o quattro giorni parto da Parigi. Ho già salutato M.me Therèse che sta benissimo. Ho scoperto una Diocesi che dispensa 20,000 messe all'anno: è Nîmes. Il Vescovo è allievo del Seminario des Chartreux a Lione, il cui Superiore è mio amico, ed è membro da 30 anni della Propagazione della Fede di Lione, presso il quale io alloggio. Io cercherò di metterlo in croce in guisa, che le manderà molte messe.

Da Lione passerò a Torino e Verona.


[1785]
Qualunque sia l'imbroglio in cui ci troviamo, mettiamo tutta la confidenza in Dio e nella Regina dell'Africa. Uomini e denaro; denaro ed uomini. Sono due cose che sono di assoluta necessità. L'Ecc. V. per mezzo del Pastorale, io colle strade ferrate e co' piroscafi traversando e terra e oceani, troveremo denari e uomini. Pazienza, fiducia, coraggio, costanza, ma nei Cuori di Gesù e di Maria, ci farà piantar l'opera e salvare gran numero di anime. La Regina di Spagna mi ha raccomandato la sua figlia e il C.te di Girgenti che verranno in Egitto. Io ho loro tracciato il viaggio.


[1786]
Nel mio dolore per la morte di D. Alessandro ho un gran conforto: quello di vedere che Gesù mi manda delle croci. Se tutte le opere di Dio si sono fondate colla Croce, vorremmo noi fondare quella dell'Africa col vento in poppa?... No; baciamo la croce e confidiamo in Gesù.

Le bacio la Sacra Veste, e riceva tutto il cuore del



Suo indeg.mo figlio

D. Daniele Comboni






288
Il Piano (francese)
1
Parigi
1868
I L P I A N O

APFP



1868



Edizione francese.



289
Società di Colonia
0
1868
ALLA SOCIETA' DI COLONIA

"Jahresbericht..." 17 (1869), pp. 20-61



1868

NOTIZIE BIOGRAFICHE

dei Missionari, Suore e Maestre Nere

della spedizione di Don Daniele Comboni in Egitto per la fondazione di scuole per i negri in Cairo nell'anno 1867


[1787]
Giovanni Battista Zanoni

Zanoni è il figlio di una famiglia assai rispettabile e benestante di Verona, ove nacque nell'anno 1820. Nella sua giovinezza si dedicò agli studi e si acquistò nel ginnasio una buona conoscenza della letteratura italiana e latina; ma più tardi si rivolse alla meccanica e all'idraulica, un ramo nel quale si dedicò con molto impegno. Vi si esercitò per più anni nella sua città natale e si acquistò tanta abilità da rendere il suo nome subito conosciuto tanto da essere ritenuto, dopo il famoso professore Avesani suo maestro, come primo in quell'arte. E' stato lui che nel 1838 mostrò per primo all'Imperatore Ferdinando I d'Austria, un modello di una macchina a vapore per ferrovie, per la quale aveva inventato un nuovo condensatore, con cui si accumula una considerevole quantità di vapore, che senza di esso andrebbe perduto, al fine di dare maggiore energia al locomotore. L'invenzione fruttò al Zanoni una menzione onorevole da parte dell'Imperatore e una medaglia al merito dall'Esposizione di Venezia. Più tardi ebbe anche la soddisfazione di vedere introdotto il suo condensatore in diversi paesi d'Europa, specialmente in Inghilterra.

Nell'anno 1844 il Zanoni si rivolse allo stato religioso ed entrò nell'Ordine di S. Camillo de Lellis, detto Clericorum Regularium Ministrantium Infirmis. Aveva intenzione di dedicarsi alla cura degli infermi come semplice fratello laico, ma i Superiori riconobbero subito in lui un uomo di talento e pieno di vera pietà. Lo persuasero non solamente a continuare i suoi studi letterari, ma a intraprendere anche quegli filosofici e teologici per diventare sacerdote. Negli anni 1850-51 abbiamo studiato insieme teologia dogmatica nel Seminario di Verona. Zanoni era seduto nello stesso banco tra me e il pio Don Angelo Melotto, il quale ultimo più tardi come Missionario in Africa Centrale, visitò con me le tribù dei Kic ed Eliab sul Fiume Bianco e morì a Khartum fra le mie braccia. E' stato allora che il Zanoni fu preso dal pensiero di andare in Africa per dedicarsi alla conversione dei negri ed aprì la sua anima a quel venerando e saggio Missionario, ora defunto, che egli amava con speciale affetto.


[1788]
Anche durante il tempo, in cui esercitò il ministero sacerdotale nel convento, Zanoni non aveva trascurato la sua vecchia specializzazione, la meccanica e ciò che ad essa è affine, l'architettura e la pittura, a cui si era dedicato da laico con tanta diligenza, e siccome passava la maggior parte del suo tempo negli ospedali tenuti dai Confratelli del suo Ordine, si dedicò pure agli studi scientifici e pratici di medicina, chirurgia e farmacia. Attraverso un lungo esercizio vi ha fatto molto progresso. E' pratico anche di agricoltura e inoltre non è estraneo a molti rami dell'artigianato. E' un abile fonditore, fabbro, orologiaio, muratore, falegname ecc. ed è straordinariamente attivo. Come ecclesiastico è bravo predicatore, ottimo religioso e assai abile infermiere. E' familiare con la lingua italiana, latina e francese, e ora sta studiando l'arabo.

In più occasioni i suoi Superiori si servirono di lui in vari uffici importanti. Così fu Direttore spirituale in vari conventi, dal 1858 fu Prefetto del convento camilliano di Mantova, e nel 1862 fu mandato a Roma per prendere parte alla elezione del Superiore Generale del suo Ordine.


[1789]
Era ancora Prefetto del convento di Mantova, quando in forza della legge diabolica del 7 giugno 1866 il suo Ordine fu soppresso. Fu questo il motivo per cui, dopo che venne a conoscenza del nostro Piano per la conversione dell'Africa, rivolse insistente domanda alla S. Sede di dedicarsi a questa Opera, desiderata da lui fin dal principio della sua vita religiosa. Con grande gioia del suo animo ottenne questo permesso per mezzo del Rescritto del 7 luglio dello scorso anno.

In ogni ramo della sua scienza ha lasciato segni di ricordo, ovunque egli è stato. Così a Verona, a Padova, a Venezia, a Mantova e infine a Marsiglia. Tra essi sono da menzionare: la chiesa di Nostra Signora (Auxilium Christianorum), S. Giuliano a Verona, il coro e altri posti nei dintorni della chiesa di S. Anna presso il ricovero dei vecchi e dei poveri a Padova, due modelli di macchine a vapore con il condensatore nell'Accademia delle Scienze a Venezia, inoltre il convento e la cappella di S. Giuseppe a Mantova con vari quadri e sculture e un magnifico progetto per la costruzione di un ospedale preferito a tutti gli altri e premiato dal municipio; infine l'orfanotrofio dell'Ordine a Mantova, due grandi quadri dipinti a Marsiglia il novembre scorso per la Casa-Madre delle Suore di "S. Giuseppe dell'Apparizione".

I suoi precedenti Superiori provarono grande dolore nel vederlo partire per unirsi alla nostra spedizione per l'Egitto.

L'Opera della rigenerazione dell'Africa, ne sono persuaso, trarrà grandi vantaggi dal suo zelo apostolico, dalle sue cognizioni matematiche e dalla sua abilità nella meccanica e nelle belle arti, come pure dalla sua capacità come Superiore e amministratore.




[1790]

Stanislao Carcereri

Nato nell'anno 1840, figlio di una famiglia di contadini, povera ma timorata di Dio, a Cerro, un piccolo paese dalla diocesi di Verona, paese natale di Don Angelo Vinco, che trovò la morte sul Fiume Bianco, sotto il quarto grado di Latitudine Nord, a 11 anni, in forza di un privilegio apostolico a causa della giovane età, entrò nell'Ordine dei Chierici Regolari di S. Camillo de Lellis. Dotato di eminente talento, fece nella letteratura italiana e latina, come nelle scienze filosofiche e teologiche tali progressi, che i suoi Superiori lo incaricarono subito dell'insegnamento in varie materie.

Educato fin dalla giovinezza alla scuola della sapienza cristiana, coltivò in questo ambiente sacro così intensamente lo spirito di pietà, che si distinse tra gli allievi di S. Camillo per l'esercizio di tutte le virtù come modello di una vita gradita a Dio.
 


[1791]
Nell'anno 1859 affrontò con molto onore il severo esame statale per conseguire il titolo di Doctor Philosophiae nel Liceo di Verona; ma non potè completarlo, perché lo colpì una malattia pericolosa. Più tardi insegnò, in una scuola a S. Maria del Paradiso, storia universale, geografia, statistica, letteratura latina, filosofia, religione, diritto canonico e teologia dogmatica e morale. Nell'anno 1862 ebbe l'ufficio di segretario provinciale della Provincia Lombardo-Veneta e quello di archivista, e da ultimo fu Superiore del convento di Marzana presso Verona.

Fornito di intelligenza acuta, di alta spiritualità e di zelo per le anime, è assai adatto come consigliere spirituale. Come sacerdote è un buon predicatore, capacissimo nella spiegazione del catechismo e nell'assistenza spirituale ai religiosi, ai sacerdoti e al popolo. Possiede perfettamente la lingua latina e italiana; è abbastanza familiare col greco, tedesco e francese; e ora si è dedicato allo studio dell'arabo.


[1792]
L'idea di associarsi alle Missioni cattoliche gli era venuta già nel 1857. Dopo i primi indizi della soppressione degli Ordini religiosi in Italia, all'inizio dell'anno 1867, nel desiderio di diventare Missionario tra gli infedeli, si rivolse ai Seminari di Milano e di Lione e ricevette una risposta favorevole, nel caso che si verificasse veramente la soppressione del suo Ordine.

In quel tempo, si era all'inizio della Quaresima dello scorso anno, in circostanze provvidenziali mi si offrì un'occasione di conoscere le aspirazioni generose dalle quali erano animati egli e i suoi confratelli Zanoni, Tezza e Franceschini. Mi affrettai perciò a guadagnare questi quattro uomini; il Vescovo di Verona, Monsignor Canossa, fece di tutto per conseguire il fine e così essi volsero i loro sguardi verso quella parte del mondo la più infelice e la più bisognosa di aiuto. Dio ha benedetto l'opera della sua Provvidenza, nello scegliere Stanislao Carcereri per Apostolo dei negri.


[1793]
Nonostante il Breve di S. Santità Pio IX, i suoi Superiori non vollero dargli il permesso di partire; ripetutamente gli offrirono accoglienza nella Casa Generalizia di Roma. Egli resistette, e il permesso datogli dal Vicario di Gesù Cristo con grande rapidità, fu per lui un nuovo segno della volontà di Dio, che lo chiamava all'Africa, dove solamente - così lo sentiva - la sua anima avrebbe trovato soddisfazione. Per questo abbandonò tutto: le speranze promettenti, perfino il suo vecchio padre, che affidò alle cure del suo fratello maggiore, un eccellente e pio religioso di S. Camillo de Lellis. Ora ha il conforto di aver ricevuto gli auguri di benedizione da coloro che prima avevano tentato di distornarlo dalla sua determinazione, nella quale avrebbero dovuto vedere la volontà del Cielo. Si sente assai felice nella sua vocazione e ne ringrazia Dio ogni giorno.




[1794]
Giuseppe Franceschini

Franceschini è figlio di una famiglia assai timorata di Dio. E' nato nel 1846 a Treviso, venne più tardi a Venezia con suo padre, che venne impiegato come portiere nell'ufficio governativo austriaco di Venezia, dove frequentò con grande diligenza le aule dei venerandi Padri della Congregazione di S. Filippo. Qui fu riempito dello spirito di vera pietà; qui nasceva la vocazione allo stato religioso, e assieme a sei suoi compagni, che più tardi entrarono in vari Ordini religiosi, si dedicò alla vita monastica. Questo giovane levita possiede un talento straordinario, è di ottimo spirito, sveglio e intraprendente.

Nell'anno 1860 entrò nell'Ordine di S. Camillo de Lellis, ove si comportò in modo da essere amato da tutti. Fin dal principio della sua vita religiosa ebbe una forte inclinazione alla vita missionaria, e cercò di prepararvisi degnamente con grande cura. Per prepararvisi, non solamente si dedicò con fervore straordinario ai suoi studi, ma si rivolse anche a quelle arti e mestieri, che sono necessari per un tale stato. Tra l'altro sa molto bene cucinare e ha conseguito una discreta abilità come sarto, calzolaio, falegname e anche infermiere. E' assai attivo, e tutto gli riesce bene al momento, così che sa ingegnarsi a fare tante cose per cui affronta tanti bisogni e tanti imbarazzi. Conosce perfettamente la lingua italiana e latina, discretamente il greco e il francese, e un po' di tedesco. Ora si occupa nello studio dell'arabo. Per quanto sia solo suddiacono, ha fatto tutti gli studi teologici con grande successo.


[1795]
In forza del Breve di Pio IX del 5 luglio, ha ricevuto il permesso di seguirci in Africa, e qui è arrivato alla meta dei suoi più ferventi desideri. Ci promettiamo ottimi successi dalle sue grandi virtù, dal suo spirito di dedizione e di pietà, che lo anima in maniera straordinaria, come pure dal suo talento e dalle sue attività, tutto per il profitto e per il vantaggio dei negri.




[1796]

La Congregazione delle Suore
di "S. Giuseppe dell'Apparizione"

Per il fatto che la prima Congregazione religiosa, scelta dalla Provvidenza per la conversione dei neri, e cioè per la direzione degli Istituti femminili, destinata a formare elementi per le Missioni in Africa centrale secondo il Piano da noi per questo scopo elaborato, sia stata quella delle Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione, chiamate Suore della carità cristiana, conviene farla conoscere ai nostri pii collaboratori e generosi benefattori della Germania cattolica.

La Congregazione delle Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione è stata fondata nel 1829 dalla signora De Vialar, che fondò la prima Casa a Gaillac nel Dipartimento di Tarn in Linguadoca con mezzi propri. I suoi statuti furono approvati la prima volta nel 1835 dall'Arcivescovo di Alby. Siccome questa pia fondatrice, ardente di carità cristiana e di zelo per la salvezza delle anime, ebbe anche premura di preparare elementi per le Missioni estere, per mezzo di essi ebbe l'intenzione di consacrare la propria vita e il suo Istituto a quest'opera. L'educazione delle giovani ragazze, l'istruzione gratuita dei poveri, la direzione di asili, la cura dei malati, i servizi domestici ai prigionieri, le visite ai vecchi e poveri nelle loro abitazioni e la conversione degli infedeli, tali sono gli scopi di questa Congregazione, introdotta da molti Vescovi e Vicari Apostolici nelle loro Diocesi e Missioni, e che fu assai lodata dal saggio Papa Gregorio XVI nelle sue Lettere apostoliche dell'anno 1840, e pubblicate dalla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari.


[1797]
Il nuovo Istituto in pochi anni si diffuse in parecchie diocesi della Francia, e trovandosi la signora de Vialar circondata da una notevole schiera di vergini, formate da essa stessa alla vita apostolica, si recò nel 1836, accompagnata da Suor Emilie Julien in Algeria, credo che siano state le prime Suore ad andarvi dopo la conquista del paese da parte dell'esercito francese, e vi fondò due stabilimenti. E' difficile descrivere i miracoli di carità cristiana e la dedizione di queste Suore, nelle circostanze più pericolose, fra malattie contagiose, peste e colera, da cui queste infelici regioni sono tormentate, le loro sofferenze, fatiche e le persecuzioni che ebbero a soffrire nei primi anni per amore di Dio.


[1798]
Ma secondo l'esempio del Divin Salvatore e della sua diletta Sposa, la Chiesa, la cui storia è una successione di sofferenze e prove, anche a quest'opera era destinato da Dio di nascere e di crescere ai piedi della Croce in mezzo alle prove più dure. Come alla Passione e Morte di Gesù Cristo seguì la sua Risurrezione e come la Chiesa dopo la persecuzione e il martirio ha sempre vinto, così anche le persecuzioni e le prove della Congregazione di S. Giuseppe dell'Apparizione finirono con la sua espansione a Tunisi e Tripoli, nella Barberia e in altri paesi dell'Africa settentrionale, dove ha operato un grande bene.


[1799]
La signora De Vialar ritornò in Francia per rivedere le varie case della Congregazione e per fondare a Marsiglia una Casa Madre, come un centro ben opportuno per la direzione dell'Istituto e per le partenze delle Suore verso le varie Missioni estere, e con l'aiuto delle veterane più capaci e più piene di abnegazione ha avuto la fortuna di fondare in pochi anni numerosi stabilimenti. Così a Malta, in Grecia, nel Levante, in Asia Minore, in Armenia, nell'Oriente, in India e in Australia.

Io stesso venni a conoscere la prima volta un tale Istituto nell'anno 1857 a Gerusalemme, ove ho visitato la loro casa nelle vicinanze del S. Sepolcro, diretta dalla reverenda Suora Jenech, una Maltese, ed ho avuto l'occasione di vedere i molteplici frutti dell'abnegazione delle Figlie di S. Giuseppe.

Più tardi nei miei viaggi attraverso l'Europa e in paesi stranieri, nei quali la divina Provvidenza si serve di queste Suore generose come strumenti per la salvezza di molti milioni di anime che ora godono la visione di Dio in Cielo, ho trovato tante prove preziose della loro attività.


[1800]
La prima eroina sul campo dell'apostolato di questa Congregazione è Suor Emilie Julien, la presente Superiora Generale. La conosco fin dall'anno 1860; essa più volte mi ha aiutato molto a fare del bene alle anime. Dopo una gloriosa attività piena di croci e sacrifici in Africa Settentrionale, dove dall'età di 21 anni per la durata di sei anni fu Superiora di alcuni stabilimenti, si recò nell'anno 1846 in Siria con le sue Suore e assieme al Rev.mo P. Massimiliano Ryllo S. J., che per sedici anni era stato missionario apostolico in Siria, ed è morto a Khartum come Provicario dell'Africa Centrale. Essa dopo le celebri Crociate è stata la prima a fondare uno stabilimento di Suore nella Città Santa, in quella terra in cui sono avvenuti i grandi misteri della nostra redenzione.


[1801]
Con la fondazione del primo convento di Suore essa ha innalzato fra le mura di Sion il vessillo della carità cristiana, di cui erano animate le donne del Vangelo, e là ha seminato i gigli della santa verginità per il bene degli infedeli. Fu essa pure che fondò le case di Betlemme, Giaffa, Saida, Aleppo, in Cipro ed altre, che fioriscono in Oriente; le diresse tutte in qualità di Superiora Provinciale dell'Oriente con residenza a Gerusalemme.


[1802]
Dopo la morte della signora De Vialar a Marsiglia, Suor Emilie Julien fu eletta Superiora Generale di tutta la Congregazione. Ritornò in Europa, ma trasferì la sua residenza a Roma, dove ha aperto un Noviziato. Contemporaneamente fondò "l'Opera Apostolica", che presiede dal 1863, e che secondo il modello di quella di Parigi è un luogo di raduno di pie signore, perfino della più alta società, che lavorano per ornamenti di chiesa e forniscono oggetti necessari per il culto esterno nelle Missioni estere.

Negli undici anni della sua dimora a Roma Madre Emilie si è acquistata la stima e ammirazione del nostro Papa, il glorioso Pio IX, del Card. Barnabò, Prefetto Generale della S. Congregazione di Propaganda, di un gran numero di altri Principi della Chiesa, e non meno dei Principi e Principesse reali delle varie case europee e della nobiltà romana.


[1803]
Una carità sublime, una ammirevole prudenza, un talento sodo e distinto, che conosce uomini e affari e il modo di trattarli, un nobile coraggio, una fiducia eroica nella Provvidenza e pieno abbandono alla volontà di Dio, - queste le note fondamentali del carattere di questa donna secondo il Vangelo, che ha prestato alla Chiesa e alle Missioni tanti servizi. Ha dovuto subire tremende tempeste e prove di ogni genere, ma la sua pazienza, la sua rassegnazione e la sua virtù le hanno conservato una calma meravigliosa; si deve dire che col "Fiat", che ha sempre sulle labbra, sa affrontare tutti i mali.

Oltre alla Provincia di Toscana, formata di otto case, essa da Roma ha fondato in varie parti del mondo anche altri stabilimenti, fra i quali nel 1864 l'Ospedale di Cairo. Fu pure durante il generalato di Suor Emilie Julien che il Nostro Santo Padre Papa Pio IX, in data 31 gennaio 1863, dietro raccomandazione di vari Ordinari di questi paesi in cui la Congregazione aveva delle case, in considerazione dei copiosi frutti ottenuti, confermò l'Istituto come Congregazione di voti semplici e nello stesso tempo gli attuali statuti, sottoponendola alla giurisdizione degli Ordinari secondo le norme dei sacri canoni e delle Costituzioni apostoliche e attraverso la Segreteria di Stato nominò il Card. Barnabò suo protettore.


[1804]
Non dobbiamo forse in tutto ciò ammirare l'adorabile Provvidenza, che scelse precisamente le Figlie di S. Giuseppe come le prime direttrici del nostro primo Istituto per la conversione dell'Africa? Una serie di circostanze provvidenziali ha fatto nascere quest'opera nella famosa terra dei Faraoni, a pochi passi dalla S. Grotta, dove quel grande Patriarca è vissuto colla sacra Famiglia, e la sua presenza durante sette anni ha fatto crollare gli idoli di Egitto ed ha fondato al posto di essi la fede in Gesù Cristo e un seminario di vita religiosa, che produce tanti eroi per il Cielo, e diffondendosi ovunque, ha abbellito la Chiesa cattolica di tanti modelli di virtù. Per mezzo delle sue opere meravigliose e le sue gloriose conquiste in tutto l'universo, ha coronato con trionfi la Chiesa in tutti i tempi e la coronerà fino alla fine del mondo.



[1805]
Suor Maria Bertholon
Superiora dell'Istituto delle Suore in Cairo.


Suor Maria, figlia di onesti genitori, è nata il 9 febbraio 1837 a Lione. Nonostante che frequentasse fin dall'età di sette anni la scuola delle Suore del Santissimo Sacramento, la cui Casa Madre si trova ad Autun, con grande diligenza e non senza utilità, mostrò tuttavia nella sua giovinezza poca inclinazione alla vita religiosa. Solamente a diciasette anni in seguito alla lettura degli Annali della Propagazione della Fede e dopo aver sentito le prediche da un Gesuita, le venne il pensiero di entrare in qualche Congregazione che si dedica alle sante Missioni. Scelse il convento di Gesù e Maria, rifiutando con grande abnegazione un invito delle pie Suore del SS. Sacramento, dalle quali era stata educata. Tutto era pronto per la sua entrata nell'Ordine, quando i consigli di un degno Missionario di ritorno dalla Siria, ove era stato testimonio del gran bene che vi operavano le Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione, la decisero a dedicare le sue forze in questo Istituto.

Aveva 20 anni, quando nella Casa Madre a Marsiglia cominciò il suo noviziato sotto la direzione di Suor Clotilde Delas, allora Maestra delle novizie. Ci voleva proprio quella brava veterana Missionaria, che fu per 14 anni ad Algeri e Tunisi (essa è al presente Superiora della Toscana, dove io l'ho visitata più volte) per formare Maria nella sua determinazione e coltivare nel suo cuore lo spirito di rinnegamento di se stessa e la dedizione delle antiche donne del Vangelo. La Provvidenza che l'aveva chiamata a diventare una buona madre delle negre, l'aveva anche disposta all'esercizio di quelle occupazioni, che non sono le meno importanti nel servizio delle Missioni. Per quattro anni fu a Requista nel Dipartimento di Beyron, dove le era stata affidata la seconda classe di una scuola. Poi venne mandata in Africa nella diocesi di Rodez, dove esercitò tutte le incombenze della casa, visitò gli infermi e aiutò i poveri di ogni specie nelle loro abitazioni.


[1806]
Le note fondamentali del carattere di Suor Maria Bertholon sono una carità eminentemente cristiana e dedizione vera, sincera umiltà e grande attività. Parla solamente la sua lingua materna e un po' di italiano, ma è molto esperta in tutti i rami dei lavori domestici. Educata alla scuola di una pietà vera, ha acquistato in grado eminente la virtù dell'abnegazione e della rinuncia alla propria volontà, e fu questo che le rese più facile il sacrificio nel momento in cui fu richiamata dalle Missioni, che erano la meta della sua vocazione.

Quando arrivammo a Marsiglia, essa era stata destinata a Malta. E ci riuscì di farla assegnare alle suore, che dovevano accompagnare le negre al Cairo. Il suo animo fu ripieno di gioia, allorquando la Superiora le disse semplicemente: lei andrà in Egitto. Non sapeva che lei stessa era stata destinata per Superiora e con grande sorpresa e tristezza sentì da noi al suo arrivo al Cairo la novità della destinazione, alla quale Dio l'aveva chiamata. Non voleva credere di essere stata scelta per un ufficio così importante per il quale nella sua profonda umiltà si credeva indegna e incapace.


[1807]
Nonostante le nostre obiezioni essa voleva essere sottomessa ad un'altra oppure rinunciare al suo ufficio nella Missione, che pure aveva tanto bramato. Ci volle l'intervento della Superiora Generale, che le ricordò il voto di ubbidienza, per farla acconsentire. Solo per fare la volontà di Dio ora sta adempiendo con ammirevole perfezione i doveri di una Superiora, e ha intrapreso con molto fervore lo studio della lingua araba. In questi tre mesi che è con noi, ci diede prove sufficienti di essere all'altezza della sua missione, che sarà di grande utilità per l'apostolato nell'interno dell'Africa.




[1808]
Suor Elisabetta Cambefort

Suor Elisabetta ha 35 anni. E' nata da una famiglia benestante a Montauban. A sei anni fu affidata al pensionato delle Suore del S. Nome di Gesù e vi rimase solo 18 mesi, perché la morte della madre la costrinse a ritornare in famiglia. Le fu permesso di continuare a frequentare la scuola del convento.

Da quel tempo pensava già di consacrarsi alla vita religiosa. Ha dovuto superare molti ostacoli, che le furono opposti da parte della sua famiglia, per poter entrare infine della Congregazione di S. Giuseppe dell'Apparizione, che le era stata consigliata dal Rev.do P. Blancart, Missionario della Congregazione del Monte Calvario, desiderando essa di dedicarsi alle Missioni estere. Entrò nel Noviziato di Marsiglia, sotto la direzione di Suor Clotilde Delas, che più tardi seguì a Montelupo in Toscana. Qui rimase otto anni al servizio dei prigionieri e dell'asilo per le giovani ragazze perdute. Nel novembre u.s. fu richiamata a Marsiglia, e là ricevette la destinazione di seguire le Negre al Cairo.

Suor Elisabetta parla oltre la lingua materna anche l'italiana molto bene e ora studia pure lei l'arabo. E' molto esperta in tutti i lavori domestici ed è un modello di pietà.



[1809]
Suor Maddalena Caracassian


Una bella mattina del luglio di qualche anno fa, stavo seduto nel mio alloggio al quarto piano in Roma, quando entrò da me un venerando sacerdote anziano, senza respiro, accompagnato da una vecchia signora vestita di nero. Dal suo volto raggiante di gioia si poteva facilmente capire che un avvenimento straordinariamente felice lo commuoveva, e anche gli occhi vivamente splendenti della vecchia donna manifestavano una gioia intima. Quel sacerdote era il P. Nicolò Olivieri, comunemente venerato da tutti e che ora si trova in Paradiso, e la signora che l'accompagnava era la sua domestica, la vecchia Maddalena.

Lo scopo della sua venuta presso di me era di venire a prendermi per una visita alle giovani negre appena arrivate dalla Siria, ospitate presso le Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione, dopo che erano state da lui riscattate in Egitto dalla schiavitù. Si sa quanti aiuti prestano le Suore di S. Giuseppe all'Opera del riscatto degli schiavi. Le negre vengono dall'Egitto a due o a tre, condotte prima in Palestina nelle case di queste Suore e di lì poi in Europa.


[1810]
Scendemmo in strada, seguiti dalla vecchia Maddalena. Il pio vecchio aveva una tremenda tosse, e si capiva che non sarebbe vissuto più tanto a lungo. Giunti a Piazza Farnese, ci siamo girati a destra e siamo arrivati nella Piazza della S. Trinità dei Pellegrini. Qui, prima di entrare nella Piazza del Monte di Pietà, sotto un arco vi è una immagine miracolosa della Madonna, molto venerata. Il pio Olivieri era abituato a inginocchiarsi davanti a questa immagine e a pregare ogni mattina, quando si recava alla posta, dalla sua abitazione nel monastero dei Trinitari a S. Crisogono in Trastevere. Più volte l'ho accompagnato su questa strada distante un quarto d'ora e fui testimone di quanti sospiri per le povere negre uscivano dalla sua anima e con quanto fervore, con quante lacrime le affidava alla S. Vergine.

Questa volta, inginocchiato sulla nuda terra, dopo aver pregato, nel suo fervore gli sfuggì, forse senza accorgersene, improvvisamente l'esclamazione: "Grazie, mamma, grazie tanto, grazie!"


[1811]
Siamo andati oltre e, passando da S. Carlo in Piazza dei Catinari e a S. Caterina dei Funari, siamo poi arrivati in Piazza Margana alle Suore di S. Giuseppe. Appena seduti in parlatorio, alcune piccole negre entrarono accompagnate da due Suore. Tre giovani armene, vestite di nero e coperte da un bel copricapo del loro paese, le seguivano. Davano l'impressione di discendere da famiglie benestanti e di essere state bene educate. Erano arrivate da Costantinopoli assieme alle negre.

In un primo momento prestai poca attenzione a queste tre bianche, poiché era tutta rivolta alle piccole africane e più ancora al nostro caro Olivieri, che le guardava tutto beato, come pure alla ammirevole vecchia Maddalena, che era stata in Egitto 16 volte, e che di nuovo sentiva il desiderio, come se fosse ancor giovane, di ritornarvi ancora una volta. Dopo un quarto d'ora entrò l'Arcivescovo di Armenia, Mons. Hurmy, e questa circostanza indirizzò finalmente la nostra attenzione alle ragazze armene. Una di esse era la nostra Suor Maddalena, sulla cui fronte si leggeva innocenza e sincerità.


[1812]
Chi avrebbe pensato allora che questa giovane esistenza sarebbe stata una delle prime a fare da madre alle negre e che mi avrebbe seguito in Egitto, per dedicarsi per sempre alla nostra Opera per la rigenerazione dell'Africa?

Suor Maddalena ha 19 anni e discende da una famiglia benestante di mercanti in Erzerum. Suo padre, il Signor Giovanni Caracassian, morì pochi mesi dopo la sua nascita. Sua madre di nome Serpuis, (che in armeno significa santa), era assai pia. Diventava vedova a 21 anni, avendo ricevuto proposte vantaggiose per contrarre un nuovo matrimonio, le respinse coll'osservazione che, dovendo educare tre anime per il Cielo, aveva abbastanza da fare. Si dedicò completamente alla educazione dei suoi bambini, della figlia Caterina ora sposata e madre essa stessa di tre figli, di suo figlio Gregorio di 21 anni e ora commerciante, e della nostra piccola Maddalena.

Sotto la guida prudente della madre, sino dalla sua infanzia fu imbevuta di spirito di pietà, e poiché essa mostrava molta intelligenza e ingegno, suo zio materno, P. Serafino Pagia, un pio sacerdote del culto armeno-cattolico, si assunse il compito di educarla diligentemente nella religione e nelle scienze elementari, e ne fece molto profitto. All'età di otto anni fu affidata alla scuola delle Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione ad Erzerum. Vi imparò molto bene, oltre i lavori femminili, le lingue armena, turca e francese sotto la direzione della Suora Accabia Akccia, un'armena, e della Suor Maria, una francese. Quest'ultima è stata la sua maestra in tutti i lavori domestici.

Già fin dal settimo anno Maddalena pensò di dedicarsi alla vita religiosa, ma solo a tredici anni si decise, contro qualsiasi ostacolo che le si opponesse, per l'Istituto delle Suore di D. Giuseppe dell'Apparizione.


[1813]
La grazia sa sempre vincere la natura. Maddalena amava assai teneramente la sua buona mamma, e questa non aveva mai pensato di vedersi una volta e forse per sempre separata da questa sua figlia, che amava in un modo del tutto speciale. Non so chi di queste due, o madre o figlia, si mostrò più forte e più generosa in più di un anno di continue e dolorose lotte. E certo che la signora Serpuis Caracassian, seguendo il bell'esempio di madri animate da vero spirito cristiano, offrendo la sua figlia, ha fatto a S. Giuseppe un sacrificio completo. Maddalena, per potersi consacrare del tutto a Dio, si è separata per sempre da sua madre così teneramente amata.

Partì da Erzerum. Dopo un viaggio di otto giorni a cavallo, arrivò a Trebisonda in Anatolia, ove si imbarcò su una nave postale, che fa servizio sul Mar Nero, e andò a Costantinopoli. In questa capitale del regno turco dimorò presso le Suore della Carità di S. Vincenzo de Paoli. Poi passò attraverso i Dardanelli e via Grecia, Messina e Napoli arrivò a Roma. Qui entrò subito in Noviziato sotto gli occhi della Superiora Generale.

La veneranda Superiora riconobbe perfettamente il suo talento e lo spirito che l'animava,e la fece istruire in tutti i rami del sapere, necessari per fare di lei una donna apostolica.


[1814]
Si può dire che Suor Maddalena fosse nata per la vita religiosa. Per tutto il tempo che dimorò nella Città eterna fu ammirata come modello di tutte le virtù religiose. Essa non ha volontà propria; la sua volontà è la volontà di Dio manifestata a lei per mezzo dei Superiori; ed è quella di fare sempre il proprio dovere in qualunque cosa le sia comandata. L'innocenza, la purità della sua anima, la sua ubbidienza unita a una intelligenza pronta e penetrante, sono le doti preziose di cui la divina grazia l'ha arricchita abbondantemente.

Il suo confessore ordinario era Monsignor Arsenio Avek-Wartan Angiarakian dell'Ordine dei Conventuali armeni, Arcivescovo di Tarso. Più tardi, quando quel degno Prelato si recò nell'Oriente per occuparsi della elezione del Patriarca, lo furono i Padri Villefort e Franco della Compagnia di Gesù.

E' familiare con la lingua armena, turca, francese e italiana e si occupa ora con grande successo dello studio dell'arabo.


[1815]
In occasione della sua professione religiosa il Card. Barnabò ricevette i suoi voti, e il 24 novembre fu affidata a me. Io dovetti condurla assieme alle negre da Roma a Marsiglia. Qui la Superiora Generale la destinò ad accompagnare le negre e per il nostro stabilimento al Cairo. Le sue virtù e le tanto belle qualità e le speranze, che noi al riguardo fondavamo su di essa, ci indussero a pregare la Superiora Generale di farci una promessa formale di non sottrarla più alla nostra impresa. Madre Emilie Julien in seguito a ciò mi ha fatto una dichiarazione conforme ai nostri desideri, e noi facciamo istruire Suor Maddalena nelle lingue abissina, denka, bari, gallas, etc., come pure nella medicina, nella chirurgia, in breve in tutte le materie adatte a fare di essa una donna secondo il Vangelo e secondo i bisogni della nostra Opera per la rigenerazione dell'Africa.

Spero che Dio farà di questa giovane una vera figlia della carità cristiana, una apostola dei negri.



[1816]
Schizzi biografici sulle maestre negre
del primo Istituto di Cairo in Egitto.

Perché queste biografie?


Fra i tanti mali che tormentano i popoli infelici dell'Africa Centrale, uno dei più deplorevoli è quello di cui io spesso sono stato testimonio oculare presso la gente del Fiume Bianco - la rapina violenta o clandestina di poveri esseri umani, che hanno un'anima altrettanto preziosa e un cuore ugualmente nobile come abbiamo noi, e specialmente di bambini di ambo i sessi. Questa tremenda aberrazione morale, questa dimenticanza di ogni umanità è in parte un effetto delle frequenti guerre tra tribù e tribù, fra diverse regioni, e perfino fra villaggio e villaggio, e in parte un effetto dell'infame cupidigia del più forte e del più potente per migliorare la propria situazione per mezzo del commercio di schiavi.

Ora, nel momento in cui descrivo queste cose, vi sono centinaia di migliaia di vittime, che a causa della guerra e della cupidigia dei mercanti, sono strappati alla loro patria, sono esposti ad ogni genere di mali e condannati a non rivedere più il volto dei loro genitori e il paese nel quale sono nati, e a dover sospirare per tutta la loro vita sotto il peso crudele della più dura schiavitù.


[1817]
Le guerre sono molto frequenti, quasi continue in quei paesi; nascono generalmente dall'odio tradizionale tra famiglia e famiglia, tra villaggio e villaggio, fra tribù e tribù, o per rapina di bestiame oppure di bambini, e per occupazione illegittima di una regione amica. Il negro ritiene ciò una legge naturale e necessaria, per vendicarsi contro il suo nemico, diventa furioso come una tigre; alla vendetta sacrifica tutto, la sua vita e quella dei membri della sua famiglia.

Il rapimento di bambini si pratica presso i negri tra amici e nemici, e così la schiavitù e il commercio di esseri umani si è molto sviluppato. Un padre e una madre non venderebbero mai i loro figli; poiché l'amore paterno e materno è troppo grande e vero tra i negri; rischierebbero piuttosto la loro propria vita. Una eccezione in questa faccenda vi fa soltanto il matrimonio. E' un vero commercio, che il padre combina con lo sposo per un prezzo, che viene stabilito conforme alla situazione del padre e alle belle qualità della ragazza.


[1818]
Quando eravamo presso i negri del Bahr-el-Abiad nell'interno dell'Africa, vi eravamo molto stimati e amati; ci distinguevano completamente dagli altri bianchi, sia che fossero turchi o commercianti europei, che dai negri erano temuti, disprezzati e considerati come nemici. Per questo si permise ai bambini di visitarci e di ascoltare i nostri insegnamenti. Mai però si affidarono a noi i bambini, per educarli a Khartum o in Europa; mai i genitori permetterebbero che i loro figli vengano allontanati dal seno della loro famiglia e dalla regione.

Ma come è possibile che ancora adesso ogni anno vengano messi in vendita tante migliaia di negri in parte pubblicamente in parte clandestinamente sui mercati di Khartum, Cordofan, Dongola, Suakim, Gedda, Berber, Cairo e in altre città della costa africana? Ciò è dovuto alla rapina violenta e sequestro segreto da parte dei musulmani, che alimentano e praticano ancora il tremendo commercio degli schiavi; ciò è dovuto all'Islam che favorisce la schiavitù, questa vergogna dell'umanità, nonostante tutti i trattati fra i governi civili, nonostante le leggi severe ma inefficaci del governo turco, nonostante la buona volontà di Ismail Pascià, il Vicerè d'Egitto. Ancora l'altro ieri, 17 marzo, è arrivata qui al Cairo segretamente una numerosa carovana di poveri schiavi neri, strappati con la forza dalla loro patria, e come al solito quando queste carovane di infelici esseri umani scendono su barche dal Nilo, essi erano stipati come aringhe sul pavimento della nave e coperti di legna. Avviene naturalmente spesso che, dopo tali trasporti, parecchi vengono trovati morti.


[1819]
I Baggara e numerose altre razze musulmane, che immigrarono dall'Arabia nel sec. 7º e 14º dell'era cristiana, e dopo che ebbero percorso piano piano l'Africa orientale e settentrionale, si estesero all'interno e portarono la superstizione e il fanatismo dell'Islam tra i negri - questi musulmani, che abitano nelle regioni confinanti dei negri e che ne possiedono perfino alcune in proprio, sono essi in generale che rapiscono segretamente o con la forza i poveri bambini alle loro famiglie. Li vendono poi come si vendono pecore e buoi ad altri musulmani, e questi li trafficano poi ai Giallaba, i quali gestiscono come mestiere lo scambio di mercato con schiavi.

I poveri neri migrano così da mercato a mercato, da padrone a padrone, e dopo aver superato le più grandi fatiche di viaggi faticosi e pericolosi, spesso camminando a piedi scalzi sulla sabbia cocente del deserto, nel quale una gran parte muore di una morte crudele, vengono alle coste dell'Africa per essere trafficati a padroni terribili, che li trattano come cani, e, sotto la protezione crudele della legge dispotica di Maometto, preparano loro una vita misera, una vita che li porta prematuramente alla morte eterna.


[1820]
Solamente Colui, che col suo sacrificio glorioso sul Golgota volle che fosse estirpata per sempre dalla terra la schiavitù, Egli che annunciò agli uomini la vera libertà, chiamando tutte le nazioni e ogni singolo essere umano alla figliolanza di Dio, al quale l'uomo rigenerato con la vera fede può dire Abba Pater, solamente Lui potrà liberare l'Africa dalla macchia della schiavitù. Solamente il Cattolicesimo potrà ridonare la piena libertà a una gran parte della famiglia umana, che ancora sospira sotto il giogo vergognoso della più crudele schiavitù. Proprio in questo consiste l'alta importanza della nostra santa Opera per la rigenerazione dell'Africa, benedetta dal nostro venerabile Papa Pio IX, anche se si volesse considerare solamente come opera filantropica. Abbiamo il grande scopo di portare la luce della Fede in tutte le regioni dell'Africa Centrale ancora abitate da popoli primitivi*, di stabilirla ivi solidamente e per sempre, di alzare il vessillo luminoso della libertà del Figlio di Dio e così ridare la vita a molte migliaia di anime, che dormono ancora nell'ombra di morte.


[1821]
Questo è il fine per il quale si distingue la nobile Opera della Società per il soccorso dei poveri bambini negri in Colonia; perché questa Società è l'anima della grande impresa. E' essa che ha suggerito, votato e fondato quest'opera di redenzione, che con la benedizione di Dio potrà diventare l'opera più grandiosa di apostolato del sec. 19º per la salvezza del continente più abbandonato, per la salvezza delle popolazioni più infelici e disprezzate della società umana.


[1822]
Dopo questa sommaria esposizione si capiranno facilmente i motivi seri che mi hanno spinto a scrivere queste brevissime biografie delle nostre care negre, destinate a diventare le prime apostole dei negri viventi nell'interno del paese. Nove di loro sono state ricolmate di benefici dalla nostra pia Società di Colonia e altre quattro hanno ricevuto lo spirito della nostra S. Religione nel seno della Germania cattolica. I nostri venerati collaboratori e cari benefattori, per mezzo di queste piccole biografie, per mezzo di questi semplici ma veri racconti della rapina e del crudele sequestro di queste prime maestre indigene, acquisteranno:

1. un'idea vera delle condizioni infelici delle tribù della Nigrizia, la cui rigenerazione spirituale essi aiutano e promuovono attraverso le loro elemosine;

2. concepiranno un giusto ed alto concetto della grande Opera, di cui sono felicemente membri e si sentiranno incoraggiati a fare i sacrifici necessari per aiutare con tutte le loro forze, quest'opera anche in avvenire;

3. troveranno in queste piccole biografie una buona e pia lettura, adatta a nutrire la propria pietà, e a dare un nuovo impulso alla loro compassione;

4. vi troveranno uno degli argomenti più convincenti per dimostrare che la nostra Opera per la rigenerazione dell'Africa, secondo il nostro Piano, è quel mezzo radicale, che alla ragione umana pare il più adatto per convertire i negri al cattolicesimo;

5. impareranno ad apprezzare ancora di più il grande zelo, da cui era animato il Rev.do P. Nicolò Olivieri di santa memoria e la sua opera di sublime carità cristiana, sostenuta tanto efficacemente dalla nostra venerata Società di Colonia.

Io comincio con le biografie di quelle negre, che sono state educate nei monasteri della Germania cattolica.



[1823]
I – Petronilla Zenab

Petronilla ha 21 anni all'incirca. E' interessante sentire brevemente per quali vie la Provvidenza la condusse nel grembo del Cattolicesimo. Secondo quello che mi raccontò con poche parole nella sua lingua materna durante il suo viaggio verso l'Egitto, potei accertarmi che era nata nel regno di Kafa, e precisamente presso i Gallas. Uno schiavista abissinese la rapì con la forza, essendo rimasta sola nella campagna paterna. Ha poi fatto con lui stesso a piedi un viaggio di tre mesi attraverso i regni di Enarea e Scioa fino alla costa del Mar Rosso, e dallo Yemen fu trasportata con altre 15 ragazze su una barca araba attraverso il mare alla Mecca e di lì a Medina.

In queste città, sacre ai musulmani, ha dimorato per mezzo anno, finché un turco venuto come pellegrino alla Mecca, la comprò, e la condusse oltre Yeddo al Mar Rosso e, attraverso il deserto di Suez, al Cairo. Là, assieme a quattro altre negre, fu venduta ad un turco di nome Omar, dal quale il nobile Console generale di Sardegna, Sig. Cerrutti, la acquistò per il P. Olivieri. Questi la affidò alla pia signora Rossetti in Cairo, presso la quale rimase 14 giorni, e la condusse poi ad Alessandria, da dove sotto la protezione della vecchia Maddalena, con altre 13 negre, passando per Trieste e Verona, venne a Milano, poi fu mandata, via Tirolo e Monaco, a Salisburgo. A quest'ultimo posto arrivò alla fine di febbraio dell'anno 1856. Passò un giorno e una notte presso le Orsoline, venne poi al monastero delle Benedettine, la cui Superiora Ildegunde ebbe molta cura di lei e la ammise fra le giovani pensionanti.


[1824]
Dopo la morte di Ildegunde, la Superiora che le succedette fece anch'essa con spirito veramente cristiano da vera madre alla nostra piccola negra. L'affidò alla direttrice del pensionato, Suor Maria Wenefrida, che l'amò molto affettuosamente, e verso la quale Petronilla conservò vivi sentimenti di gratitudine per i tanti benefici, di cui era stata da lei ricolmata.

Per la sua preparazione al Battesimo è stato impiegato quasi mezzo anno. Le impartiva l'istruzione l'Arcivescovo di Salisburgo, il Rev.mo Mons. Massimiliano Giuseppe von Tarnoczy, e madrina fu la signora Francesca Schider, moglie del medico personale dell'imperatrice Carolina. Petronilla ha avuto più volte l'onore di comparire davanti all'imperatrice, che le mostrò molta benevolenza.


[1825]
Alle degne Benedettine di Salisburgo io devo esprimere i miei più sinceri ringraziamenti, per aver educato questa bambina nello spirito della nostra santa fede e ad una vera pietà, per aver fatto di essa una vera figlia della carità cristiana. L'educazione che le negre hanno avuto nella Germania è in generale molto soda. Le Suore istruiscono le alunne negre non solamente nella religione, ma anche in tutti i lavori della vita ordinaria. Si ha di loro perfino una cura maggiore del necessario, così che, ritornate in Africa, vi trovano difficoltà ad abituarsi alle condizioni povere della loro patria. Anzitutto però non si lascia mai mancare loro ciò che è essenziale: una fede ferma e un alto spirito di pietà, e per questo motivo i monasteri di Germania hanno una parte notevole nello sviluppo della nostra Opera.


[1826]
Essendo il clima di Salisburgo troppo freddo, le buone Suore si decisero per il tentativo di vedere se il clima di Francia fosse meglio adatto per Petronilla. Nel Settembre del 1863 incaricarono il Rev.do Sig. Leandro Capella di portare la moretta a proprie spese a Parigi. Là dimorò per un mese e mezzo presso le Figlie della S. Croce. Ma anche l'aria di Parigi era ancor troppo fredda per la piccola africana. Si decise perciò di portare Petronilla verso il Sud, e Madre Saveria, Superiora delle Suore di S. Giuseppe in Siria, la prese con sé a Marsiglia, ove rimase nella Casa Madre fino al novembre dello scorso anno.


[1827]
Petronilla ha visto il P. Olivieri quattro volte a Salisburgo, e lo ha assistito nella sua ultima malattia, che lo colpì a Marsiglia. Essa lo ha visto quando nella sua ultima ora in seguito alle sue suppliche fu levato dal letto e deposto sul nudo terreno, sul quale è morto come un santo. Non posso pensare a questi segni mirabili della santità di quest'uomo senza piangere. Olivieri è morto sulla nuda terra, sostenuto tra gli altri dalla nostra cara e buona Petronilla, che egli aveva guadagnato a Cristo. Del resto fra il nudo pavimento e il suo letto, che io ho visto a Marsiglia, non c'è grande differenza. E' lo stesso letto, sul quale ora ordinariamente dorme Don Biagio Verri, animato dallo stesso spirito di abnegazione, di penitenza e di carità cristiana.


[1828]
Petronilla appartiene ad una delle migliori tribù dell'Africa. Ha un carattere fermo e serio, è fidata, discretamente intelligente e pia; pare che abbia gran desiderio di dedicarsi alla conversione delle negre infedeli. Contiamo molto su di lei. Petronilla capisce abbastanza bene il tedesco e il francese e si occupa ora dell'arabo. E' molto esperta in tutti i lavori femminili. Tutto questo, unito a una capacità di giudicare molto solida e a una costanza virile, ci fa sperare che farà del gran bene all'Africa; corrisponderà molto bene, ne ho tutta la fiducia, al nostro programma di condurre l'Africa alla rigenerazione per mezzo dell'Africa stessa.



[1829]
Amalia ha ora circa 19 anni, ed è nata nel gran regno del Bornu nell'Africa Centrale. Essa un giorno giocava con altri bambini su di un prato, quando alcuni musulmani a cavallo, avvicinatisi a loro, li rapirono tutti. Si tappò loro la bocca con stracci di cotone e, caricati insieme su due cavalli, li frustavano appena davano segno di gridare. Poi si diressero verso l'interno del paese, e presto, con la protezione della notte, senza essere inseguiti, raggiunsero una capanna, che poteva essere distante all'incirca una mezza giornata di viaggio dal villaggio dei bambini.

Amalia più tardi fu venduta a un giallaba, il quale con oltre 100 giovani negre e quattro piccoli ragazzi, viaggiò ininterrottamente 4 mesi, la condusse attraverso il Sahara e il deserto, sempre sopra sabbie cocenti, fino al Cairo.


[1830]
Là esposta sul grande mercato degli schiavi, venne nuovamente venduta a un certo Abramo Hut, presso il quale rimase con altre quattro per circa mezzo anno, senza essere occupata. La comprò poi un turco, dal quale l'acquistò un cristiano per incarico del P. Olivieri. Fu consegnata alla vecchia Maddalena e subito dopo assieme al P. Olivieri fece il viaggio sul Mediterraneo per Trieste e, passando per Milano, il Tirolo e per Monaco, nel qual ultimo luogo si fermò tre giorni nel monastero delle Figlie delle Scuole Pie, giunse al villaggio di Beuerberg in Baviera. Qui giunse verso la fine del 1856 e fu affidata al monastero dell'Ordine della Visitazione di Maria.


[1831]
Secondo il modello di S. Francesco di Sales, quelle buone pie Suore, fecero di tutto per formare di Amalia una genuina figlia di Maria. Esse hanno avuto successo: la giovane negra è diventata brava, ubbidiente, ed esperta in tutti i lavori femminili, piena di buona volontà e di vera pietà. Fu battezzata il 19 giugno 1857 dall'Arcivescovo di Monaco, il Rev.do Mons. Gregorio Scherr. La sua madrina fu la principessa Amalia Adalbert di Baviera. Fu cresimata il 1º Luglio 1858 dallo stesso Arcivescovo, e testimone in questa occasione fu la contessa Arco-Valley.


[1832]
Amalia conserva una cara e riconoscente memoria per le buone Suore di Beuerberg e per la loro Superiora, Suor Maria Carolina von Pelkhoven; ha pure la massima gratitudine e affetto a Suor Luisa Regis, alla quale deve la sua abilità nei lavori femminili.

In settembre Mons. Matteo Kirchner, al quale la missione dell'Africa Centrale deve gratitudine per tanti servizi e sacrifici e nel quale ebbe anche un degno promotore apostolico, mi scrisse se potevo associare Amalia alla spedizione per l'Egitto, che si stava preparando. In seguito alla mia risposta affermativa, la Superiora del monastero di Beuerberg in ottobre la mandò a Monaco, ove s'incontrò con due negre al monastero delle Benedettine. Di là le tre partirono per Verona, accompagnate dal Rev.do Sig. Stefano Reger, ispettore e confessore di Seligenthal presso Landshut. Là si fermarono 14 giorni presso le Figlie della Carità cristiana, le cosiddette Canossiane, una Congregazione la cui fondatrice è stata la marchesa Maddalena di Canossa, la zia del Vescovo di Verona. Poi partirono sotto la protezione dei Missionari e di una pia signora, la mia compatriota Margherita Bettonini-Tommasi, e arrivarono il 27 ottobre a Marsiglia, da dove il 29 novembre insieme abbiamo iniziato la traversata per l'Egitto.

La vera pietà di Amalia, la sua ubbidienza, la sua straordinaria comprensione mi permettono di sperare di fare di essa un abile strumento per la conversione dell'Africa, tanto più che ora gode buona salute, sebbene, come mi scrisse la Superiora di Beuerberg, durante la sua dimora in Baviera fosse qualche volta sofferente. E' l'unica che è sopravvissuta alle altre negre. La Superiora di Beuerberg mi ha spedito in ottobre una discreta somma, per impiegarla a favore di Amalia.



[1833]
III - Amalia Katmala

Amalia Katmala, che nel nostro Istituto, per distinguerla da Amalia Amadu, viene chiamata Emilia, ha all'incirca vent'anni. E' nata in un villaggio, chiamato Bego, distante una giornata di viaggio dal confine sud-orientale del grande regno del Darfur, il cui passaggio agli europei è proibito sotto pena di morte.

Un mercante di gomma arabica, musulmano, ritornando dal Darfur, si era fermato a Bego per raccogliere gomma e trovò ospitalità presso la famiglia della nostra piccola negra, ospitalità di cui egli approfittò a lungo per più mesi. La famiglia gli diede confidenza e lo trattò come amico. Come tale egli si presentò esternamente; ma egli apparteneva a quegli amici che prendono, e non danno.


[1834]
Questo musulmano, che si comportava come un Nubiano, era però animato da un invincibile desiderio di migliorare la sua situazione economica con ogni mezzo e decise di rubare la figlia del suo ospite assieme al fratellino. Riuscì, forse attraverso doni segreti, di indurre una amica più grande di Emilia a condurre i due bambini nel bosco per raccogliervi la legna. Si trovò presto una occasione per ciò.

Quando i tre bambini, portando sulla testa la legna raccolta, ritornavano dal deserto, venne loro incontro il crudele mercante di gomma e ordinò di gettar via la legna e di seguirlo. Strappò via i fagotti dalla testa, li afferrò per le mani e li portò via con sé. Quando i bambini cominciarono a gridare, li buttò crudelmente a terra, tirò fuori dalla manica sinistra un lungo coltello e li minacciò di morte se avessero ancora fiatato un poco. Tremanti e angosciati al massimo, tacquero e seguirono pazientemente per tre ore il rapinatore finché giunsero a una capanna, in cui furono rinchiusi. In questa capanna si fermarono otto giorni. Durante questi giorni Emilia si rifiutò di mangiare, ma poi alla fine vi fu costretta.


[1835]
Trascorsa una settimana i prigionieri furono condotti da tre uomini nel Darfur, ove rimasero nuovamente 14 giorni. Durante questo tempo Emilia fu separata da suo fratello. Egli fu venduto, e da quel momento essa non più ha visto né il fratello né la compagna, che l'aveva portata nel deserto. Essa stessa viaggiò più tardi con un giallaba in compagnia di tre ragazzi e di un gran numero di negre verso il Kordofan. Questo viaggio, che essi dovettero fare a piedi sempre sotto i raggi infuocati del sole, camminando a piedi nudi sulla sabbia infuocata, durò tre mesi. Durante questo viaggio non ricevettero altro nutrimento che la così detta belilla (grano di durra cotto a metà o mais nero). Nel Kordofan fu venduta ad un Nubiano che la portò, su un cammello carico di pelli di mucca, fino a Dongola.

Da Dongola si proseguì attraverso il deserto lungo la riva sinistra del Nilo, passando per Wadi-Halfa e Hint, fino al Cairo. Per arrivarvi ci vollero ancora tre mesi.

Al Cairo Emilia fu venduta ad un eunuco negro, capo di un harem turco, e da questi fu consegnata a una donna, che si occupava della educazione di giovani negre per l'harem del Pascià. Qui si manifestarono le imperscrutabili intenzioni della divina Provvidenza. Emilia avrebbe dovuto essere educata per diventare lo strumento infelice del peccato, delle vergognose dissolutezze del musulmano; invece la bontà di Dio l'aveva destinata per se stesso. Si ammalò e perciò fu restituita come invalida all'eunuco.


[1836]
Egli per mezzo di un'araba la fece vendere assieme ad altre invalide, e venne così nelle mani di un signore europeo, che la contrattò per incarico del P. Olivieri e la portò ad una cattolica, che abitava nella casa appositamente affittata da quell'apostolo dei negri e fondatore dell'Opera del riscatto degli schiavi. Là rimase otto giorni con altre sette negre e fu poi trasferita ad Alessandria presso il convento delle Suore di S. Vincenzo de Paoli. Vi fece la conoscenza di Alessandra Antima. Nell'inverno del 1856 con questa si imbarcò, in compagnia del P. Olivieri, di un Trinitario, della vecchia Maddalena e di molte altre negre, per Trieste.


[1837]
Da Trieste Emilia ed Alessandra vennero a Verona presso le Suore Canossiane, poi a Milano presso le Suore della Misericordia di Lovere, e da queste alle Suore Visitandine di Salò, poi ad Arco presso le Suore dei sette Dolori e finalmente a Trento presso le misericordiose Canossiane. Dopo che trascorse in tal maniera un anno in Italia, furono condotte, passando per Monaco, ove durante una fermata di otto giorni poterono conoscere il Cappellano della corte reale Müller, a Seligenthal nella diocesi di Regensburg, presso le Bernardine.

Emilia ottenne un posto tra le giovani pensionanti del monastero. Suor Maria Angela Zetl divenne la sua maestra nel leggere e scrivere, e Suor Engelberta Häkl la istruì nei lavori domestici. Queste Suore hanno messo in lei un solido fondamento di pietà e di moralità, che io ho avuto occasione di ammirare sufficientemente in occasione del nostro primo breve incontro. Anche a Suor Ignazia Steckmüller essa deve moltissima riconoscenza, e per questo l'ama ancora adesso con affetto del tutto particolare.

Emilia rimase nel monastero più di un anno, prima di ricevere il santo Battesimo, che le fu amministrato dal Vescovo di Regensburg, il Rev.mo Mons. Senestrey, il 3 aprile del 1859 nella chiesa del monastero; le fece da madrina la signora Amalia, moglie del Consigliere governativo di Baviera Kalchgruber. Ricevette la Santa Cresima qualche giorno più tardi, il 7 aprile, dallo stesso Vescovo e vi fu testimone la signora Francesca Simson di Monaco.


[1838]
Sembra che Emilia preferisca i lavori domestici a quelli intellettuali, per quanto anche sotto questo rapporto è discretamente istruita. Si intende bene di lavori domestici e sa farsi utile specialmente in cucina; in essa è stata occupata per tre anni e mezzo nel monastero. Per la civilizzazione della Nigrizia tutto è di utilità, e perciò anche la nostra Emilia per la sua buona educazione morale e il suo amore per il lavoro, darà utili servizi all'apostolato dell'Africa.

Nel settembre scorso il Priore del monastero delle Bernardine, Mons. Alfonso Brandt, mi pregò di accogliere Emilia e Alessandra Antima, per impiegarle nella nostra Opera. Contemporaneamente mi spedì una bella somma per sostenere le spese di viaggio, frutto della beneficenza del venerando monastero di Seligenthal e della Società di S. Ludovico di Monaco.



[1839]
IV - Alessandra Antima

Questa giovane negra avrà forse 19 anni. Nata nel Darfur, fu rapita mentre giocava con altre bambine, portata nel Kordofan e a Khartum, e di lì, attraverso il deserto di Bayouda e quello situato all'occidente del Nilo, al Cairo. Questo viaggio durò oltre tre mesi. Al Cairo venne nelle mani di un turco, che la tenne presso di sé per mezzo anno, e poi la portò ad Alessandria e la vendette a una signora araba. Da questa l'acquistò il P. Olivieri.

Da allora in poi la storia di Emilia è anche la sua. Alessandra pervenne, come sappiamo, nel monastero delle Cirstercensi a Seligenthal. La sua maestra fu in principio la defunta Suor Gotfrida e poi Suor Maria Luisa. Tutte due si impegnarono con grande fervore a insegnarle a leggere e a scrivere in tedesco. Nei lavori domestici fu istruita con lo stesso grande fervore da Suor Ida.


[1840]
Anch'essa fu battezzata il 3 aprile 1859 dal Vescovo di Regensburg nel monastero di Seligenthal e poi fu cresimata. Come madrina di Battesimo ebbe la Principessa Alessandra di Baviera, che si fece rappresentare dalla signorina Anna Neuhuber di Landshut e per la Cresima fu testimone la signora Teresa Hunger di Monaco.

Alessandra passò otto anni a Seligenthal e tre anni a Wadsassen presso Eger. Una cura speciale ebbe per lei Suor Ildegarda Smith, la sorella della Superiora, per cui Alessandra è legata con grande predilezione e riconoscenza a quest'anima buona. Le Suore Bernardine hanno piantato nel cuore di Alessandra soprattutto un profondo senso morale, che costituisce la forza principale per resistere a tutti i pericoli, che minacciano la donna, che vuol dedicarsi al lavoro pieno di spine dell'apostolato nell'interno dell'Africa Centrale.



(D. Daniele Comboni)



Traduzione dal tedesco.






290
Episodio massonico
0
Parigi
1868
EPISODIO MASSONICO

Da "La Voce Cattolica" (Novembre 1974), nn. 130-131



Parigi, 1868



TRAGEDIA FRAMASSONICA NARRATA

DA UN MISSIONARIO DELL'AFRICA CENTRALE

[1841]
La sera del 22 Dicembre 1868 io mi trovavo a Parigi, dove stavo raccogliendo limosine per i piccoli negri e dove era stato mandato per istabilirmi in salute. Quel giorno io aveva raccolto una buona messe per i miei bambini, ed eramene tornato stanco e ringraziando Dio, alla mia abitazione. Quand'ecco che mentre io diceva il breviario, sulle ore dieci, qualcheduno picchia alla porta della mia camera. Sorpreso di essere ricercato a quell'ora così tarda, prendo una candela accesa e vado io stesso all'incontro di chi batteva, e chiedo che cosa cercasse da me. Il forestiero, un signore vestito distintamente e con maniere signorili, risponde inchinandosi:

"Perdonate, signore, se vi disturbo a quest'ora. Io son venuto per chiamarvi presso un moribondo, che desidera parlarvi prima di morire". "Ma, soggiungo io, perché domanda egli l'assistenza spirituale da me forestiero, anziché al suo parroco?" "Il moribondo ha domandato espressamente i vostri soccorsi e non quelli d'un altro; se volete adempiere l'ultimo desiderio di chi sta presso a morire, non c'è tempo da perdere."

Io allora, senza aggiungere nulla, seguitai lo sconosciuto giù per la scala. Nella via vidi una magnifica carrozza. Il signore mi fece cenno cortesemente d'entrarvi, e si sedette quindi sul sederino. A mia gran sorpresa, al chiaro dei lumi della via, osservai altri tre uomini nella carrozza con facce così sospette ch'io feci atto di voler saltar giù, ma in quell'istante uno di essi con una mano mi afferra, e coll'altra mi pone un pugnale sul petto; gli altri impugnano pistole a rivoltella contro di me, io non poteva più pensare alla fuga. Essi mi promisero che, se non resisteva, non mi avrebbero fatto alcun male; ma che poteva io non temere da quegli uomini misteriosi?

Senza resistenza mi lasciai bendare gli occhi, e credeva la mia fine ormai venuta. Io domandava all'Onnipotente di aver pietà di me.

Noi avevamo all'incirca fatto due ore di cammino; quando ci arrestammo, mi fecero discendere ed entrare in una vasta casa; scale di qua, scale di là, corridoi, andirivieni da tutte le parti. Finalmente mi levarono dagli occhi la benda e lo stesso sconosciuto mi chiuse la porta dietro. Io mi trovai in una magnifica sala arredata con ogni eleganza; mobili di palissandro, pendole dorate, sedie e divani mollemente imbottiti; ma cercai indarno un letto con un malato. Io non sapevo che dire o pensare.


[1842]
Ma ecco che in un'elegante poltrona vedo un rispettabile signore, sano e florido, in tutta la forza della virilità, che mi chiama graziosamente e m'invita presso di lui; io gli risposi che mi avevano chiamato presso un moribondo, ma che m'accorgevo d'esser stato ingannato, che egli era sanissimo, se gli occhi non m'ingannavano.

"Avete ragione, reverendo Padre, la sanità del mio corpo nulla lascia a desiderare, ma devo morire fra un'ora e vorrei che mi preparaste ad una morte cristiana. In breve vi dirò ch'io, membro d'una società segreta, fui promosso ad uno dei più alti gradi, perché la mia influenza nello stato e nella società, come la mia risolutezza nell'adempimento delle più difficili intraprese, era apprezzata. Volenteroso ed ardito, io ho adempito per ben ventotto anni ai fini della nostra società.

Quando, designato testè dalla sorte per togliere di vita un venerando Prelato stimato da tutti, io ricusai risolutamente questo incarico, tuttoché fossi certo che cotal rifiuto mi costerebbe la vita secondo i nostri rigorosi statuti. La sentenza è pronunziata: io devo morire fra un'ora. Quando entrai nella società non volli prestare il giuramento di ricusare i soccorsi spirituali in vita e in morte, e siccome io poteva essere per loro un membro utile, mi accettarono anche senza questo giuramento; ed è perciò che acconsentirono alla mia domanda di farmi venire un prete. Chiamarono poi voi forestiero per eludere ogni sospetto, come persona che ha poche relazioni in questa città.

Mi disse ancora che la sua sentenza si sarebbe eseguita tagliandogli le due vene della gola vicino alla clavicola, e così non vi sarebbe stata ferita aperta. Egli soggiunse di averne fatti morir molti in questo modo per aver mancato di parola o per altre ragioni.

"A questa sentenza non c'è appello, dicevami, i fili segreti della nostra società si tendono in tutto il mondo".


[1843]
Quindi egli mi pregò di ascoltare subito la sua confessione, ché il tempo era limitato. Mai in mia vita io non dissi con più fervore: "Il Signore sia nel tuo cuore e sulle tue labbra affinché tu mi dichiari bene i tuoi peccati".

Non era ancora passata un'ora, che aprono fortemente la porta, e si presentano tre uomini per prenderlo. Egli domanda ansiosamente ancora mezz'ora per finir la sua confessione. Quegli ricusano e l'afferrano: ma egli invocando la promessa fattagli dai suoi di lasciargli libertà per prepararsi a morire, ed io unendomi a lui, gli concedono per grazia venti minuti. Egli finisce la sua accusa col più gran pentimento, e ricevuta l'assoluzione, mi bacia riconoscente la mano, sulla quale cade una lacrima furtiva.

Io non poteva dargli la Comunione, sì perché non vi era delega dal parroco, sì perché quei manigoldi non me ne lasciavano il tempo; ma toltami dal collo una reliquia della Santa Croce in un reliquiario d'argento, gliela diedi, dicendogli d'invocar fino all'ultimo Colui che non aveva avuto rossore dell'ignominia della Croce per salvarci dai nostri peccati. Con effusione la prese, la baciò e se la mise al collo sotto i suoi abiti.


[1844]
Gli domandai se non aveva incarichi da darmi; allora mi disse di domandar perdono a sua moglie, la più virtuosa donna del mondo, degli eccessi che lo avevano condotto a sì deplorevole fine; soggiunse che aveva una figlia religiosa al Sacro Cuore, la quale amavalo così svisceratamente, che sarebbe felice di sentire che aveva fatto una morte cristiana. Io gli domandai un segno per render loro testimonianza che realmente io aveva avuto una conferenza con lui, e lo pregai di scrivere loro qualche cosa sul mio taccuino. Con una matita vi tracciò queste righe:

"Mia cara Clotilde, al momento di lasciar questo mondo, ti prego di perdonarmi il gran dispiacere che io ti preparo con la mia morte! Saluta la mia cara figlia, e consolatevi entrambe colla certezza che io muoio riconciliato con Dio e spero vedervi lassù. Pregate molto per la povera anima mia! Il tuo "Teodoro"

Conobbi allora il nome del condannato che mi supplicava di infondergli coraggio e forza. Appena ebbi detto poche parole, la porta si aprì e quattro uomini entrarono per afferrarlo. Io li supplicai con tutto quello che potevo dir loro di più commovente, di risparmiare la vita di un marito, e di un padre così amato.

Vedendo che tutte le mie parole erano inutili, mi gettai ai loro piedi, scongiurandoli di sacrificare la mia piuttosto che la sua vita. Tutta la loro risposta fu un calcio. Già avevano legato la vittima. Al momento di uscire si rivolse ancora verso di me e mi disse:

"Dio vi renda merito, Padre mio, di tutto quello che avete fatto per me, ricordatevi di me nel santo Sacrifizio!"

Dopo quello che abbiam detto, condussero via il condannato ed io rimasi come tramortito dallo spavento. Con labbra tremanti pregai Dio di aver misericordia di quell'infelice che non ne trovava più presso gli uomini. Ciò che soffrii io quell'ora, lo sa solo Quegli che conosce tutto.

Ma non è questo un rumore? Sì, sempre più s'avvicina: sono passi di persone che si avanzano. La porta s'apre, io vedo davanti a me i terribili uomini della vendetta. E che sono quelle macchie fosche sulle loro mani?


[1845]
Sangue fraterno! Adesso, dissi tra me, viene la mia volta! Senza esserne richiesto, presentai le mie mani, perché me le legassero; ma non ne fecero nulla, solo mi bendarono gli occhi. Di nuovo scale su e giù, corridoi, anditi, qua un odore squisito di delicate essenze, là un fetore di marcio che mi penetrava le midolla.

Finalmente mi è tolta la benda, io mi trovai in una sala riccamente illuminata e mobiliata con grande sfarzo. Sopra la tavola coperta di un ricco tappeto di damasco, erano piatti rigurgitanti di pasticci e frutti del Sud e di tutte le ghiottonerie; sopra la fiamma a spirito fumava, uscendo da canali d'argento, l'odore del vero thé della Cina; innumerevoli bottiglie di diversa forma, colore ed etichetta facevano presentire colà una suntuosità luculliana.

Molti signori e signore aggiravansi per quella sala, chi pizzicando un pasticcio, chi bevendo un bicchiere, gli uni chiaccherando in un canto, gli altri in un altro.

Qualche signora si approssimò a me, offrendomi dei rinfreschi che ricusai, dicendo che dovevo dir Messa al mattino, ed erano le due dopo mezzanotte. A dir il vero io non potevo distogliermi da un cotale sospetto. Il veleno e il pugnale sono fratelli.

Allora feci cenno che desiderava di partire; alcuni signori, non però quei di prima, mi accompagnarono, bendandomi gli occhi; giù per molte scale, e finalmente mi misero in carrozza.

Dopo un cammino di molte ore, la carrozza si ferma. Silenziosi, i miei accompagnatori mi fanno discendere giù, e poi, dopo qualche passo, sedere sopra un oggetto di ferro. Era desso una ghigliottina, o un istrumento di martirio? Ad ogni momento io credeva che, o un colpo separasse la mia testa dal corpo, o un pugnale mi ferisse il cuore. Un'ora io stetti in quell'angustia di morte. Non sentendo mai nessuno, mi attentai a rilevare un tantino la benda dei miei occhi, e mi trovai in un giardino ben coltivato, dove fiori e legumi dormivano ancora il sonno dell'inverno.

Mi alzai, per trovare un'uscita sulla strada, picchiai ad una porta, mi aperse una giovine donna, sorpresa di ricevere visite all'ora dell'alba. Io mi scusai dicendo di essere stato ad assistere un moribondo, non volendo raccontar niente dell'accadutomi per tema che questa famiglia non fosse d'accordo coi framassoni.

Mi dissero che ero distante tre ore di cammino da Parigi, ma che se volessi andarci, presto il marito, dovendo portare a Parigi fiori e legumi, mi avrebbe condotto nella sua carrettella. Accettai riconoscente quell'offerta e m'incamminai verso Parigi.


[1846]
Quella mattina non dissi Messa, perché era troppo agitato. L'indomani l'offrii per la vittima delle società segrete, e la celebrai nella chiesa del monastero del Sacro Cuore. Siccome ebbi quindi da parlare colla Superiora, ella si accorse ch'io era tutto turbato e me ne domandò con premura la ragione.

Raccomandandole il segreto, le raccontai tutto, ed ella mi disse che realmente la figlia di questo disgraziato era fra le sue religiose, e che pregava molto pel suo padre, ch'ella sapeva nelle società segrete; ch'ella sarebbe molto consolata dalla notizia della conversione di lui. Ma io le proibii espressamente per allora di fargliene parola.

Due giorni dopo, festa di Natale, io gettai gli occhi sopra un giornale di Parigi, e tra la lista dei morti, vidi che vi erano sconosciuti e posti alla "Morgue", ma tra i sei cadaveri che vi erano, non riconobbi l'infelice che cercava. Quando appesa a un muro, vidi la preziosa reliquia della vera Croce: commosso esaminai meglio il cadavere che più vi era vicino: Dio mio! egli era realmente, desso, sfigurato dalla morte, ma i segni caratteristici erano riconoscibili. Per convincermene di più, scoprii il collo e le spalle; al collo si vedevano due buchi; e le due vene del collo erano trafitte. Non c'era più dubbio: era desso.


[1847]
L'indomani andai di nuovo a celebrar Messa al Sacro Cuore, come l'aveva promesso. Finita questa, venne alla porta una monaca e mi disse sospirando e singhiozzando: "Vi supplico di pregare nella Messa e nelle vostre preghiere pel mio infelice padre". "Posso io domandarle che sorte è toccata a suo padre?" "Ah!, rispose ella, temo d'averlo perduto pel tempo e per l'eternità!... Se egli avesse subito la morte in stato di grazia, io potrei rassegnarmi a quella perdita; ma morir così presto dopo una vita lontana da Dio.... è terribile e doloroso! Ah! se io potessi salvar l'anima di mio padre, vorrei soffrire tutte le malattie e pene di questa terra, vorrei prendere su di me per salvar l'anima sua i tormenti stessi dell'inferno".

"Si consoli, o Madre! Il Salvatore ha avuto pietà anche del buon ladrone. Le sue preghiere pel padre avranno fruttato." "Io ne dubito, perché mio padre apparteneva ad una società segreta, i cui membri ricusano alla morte ogni consolazione spirituale". "E se suo padre avesse ricevuto i soccorsi della religione?"


[1848]
La religiosa mi guardò dubbiosa e senza speranza. Allora io presi il mio portafoglio e le presentai l'ultima pagina. I suoi occhi si trasfigurarono, ella premette sulle labbra quelle parole e, cadendo in ginocchio, alzò le mani al cielo, e guardandolo con occhi pieni di lacrime, gridò con voce commossa:

"Dio sia ringraziato in eterno! Mio padre è salvo!"



(D. Daniele Comboni)