N. 821; (782) – A MGR. JOSEPH DE GIRARDIN
AOSIP, Afrique Centrale
1 febbraio 1879
Statistiche e note amministrative.
N. 822; (783) – REGOLAMENTO PEI MISSIONARI DI KHARTUM
ACR, A, c. 25/6
Khartum, 2 febbraio 1879
Siccome il Missionario deve insegnare non solo colla parola, ma ancor più e meglio coll'esempio, così dovrà ognuno di essi procurare di osservare, in ciò che lo riguarda, esattamente l'orario comune della casa, intervenendo sollecito e composto a tutti gli esercizi di pietà, e procurando di supplirvi nel momento più opportuno, ogni volta che non avrà potuto assistervi in comune. Si mostrerà ognora obbediente e rispettoso verso i propri Superiori, tratterà con carità coi propri confratelli, e dove gli occorra di dover correggere o castigare coloro, che verranno alle sue cure affidati, lo farà con zelo caritatevole, né mai a sfogo di rancore od ira inconsiderata.
Terrà continuamente un contegno modesto e grave, né si permetterà di fare schiamazzi od altro che possa turbare la tranquillità e la pace scambievole; non si permetterà di giudicare e molto meno criticare la condotta degli altri, né di fare il sindacato ai propri Superiori, ma attenderà a se stesso ed a compiere i propri doveri, e dove avvenga motivo di controversia o litigio con chicchessia, si riferirà ognora ai soli legittimi Superiori, al cui giudizio dovrà acquietarsi.
Quindi è assolutamente proibito riferire e propalare, sia nell'interno della casa, sia cogli esterni o coi membri di altre Stazioni, pettegolezzi, dicerie, od altri inconvenienti, il che sempre turba l'ordine della Missione, la pace e la tranquillità de' suoi membri. In tali circostanze si dovrà tenersi strettamente ai precetti dell'Evangelio circa la correzione fraterna e la carità cristiana.
Ciascun Sacerdote celebrerà ogni giorno la S. Messa secondo le disposizioni del Superiore, quando non sia da giusto motivo impedito. L'applicazione della Messa sarà fatta secondo l'intenzione del Superiore, eccetto un quarto del numero totale, che resterà libera ad arbitrio del celebrante. Ogni mese ciascun Sacerdote consegnerà al Superiore la nota esatta del numero delle Messe celebrate per la Missione.
Ove occorra di entrare in casa femminile si dovrà prima ottenerne il permesso dal Superiore, esponendogli la causa, e si procurerà di sbrigarvi l'affare al più presto, non rimanendovi oltre il bisogno.
Ciascuno si contenterà del cibo comune, né pretenderà di aver speciale cibo senza permesso del Superiore; ed in ogni caso non andrà mai alla ruota od alla cucina per chiedere alcuna cosa fuori dell'ora stabilita.
Non si potrà impiegare a proprio servizio particolare alcun ragazzo, se non dopo averne chiesto licenza al Superiore, o al loro Prefetto, e compiuto il servigio sarà rimandato al più presto al suo posto.
Gli attrezzi ed utensili della Missione, che taluno voglia adoperare, dovrà domandarli al Superiore, né mai usarne senza il suo permesso, e li riconsegnerà al medesimo, o al guardarobiere appena cessato il bisogno, od il lavoro, pel quale furono concessi; degli attrezzi che ognuno possiede ne darà nota al Superiore.
O R A R I O
Ore 5´ ant. Levata
" 6 Messa, Meditazione, ed orazioni della Comunità
" 7 Colazione e tempo libero.
" 8 Lavoro, scuola pei ragazzi, studio ed altre occupazioni
" 11.30 Lettura spirituale in chiesa e visita al SS. Sacramento
" 12 merid. Pranzo, Visita al SS. Sacramento - Riposo
" 2 pom. Lavoro e scuola pei ragazzi e tempo libero
All'Ave Maria Rosario in Chiesa ed Orazioni, indi cena e tempo libero o ricreazione.
" 8´ Esame di coscienza, preghiere in chiesa e dormizione.
Nota: Questo Regolamento ed Orario è obbligatorio per tutti che, o stabilmente o di passaggio, dimoreranno in questa casa.
N. 823; (784) – AL CARD. GIOVANNI SIMEONI
AP SV Afr. C., v. 8, ff. 901-903
Nº. 4.
Khartum, 6 febbraio 1879
Eminentissimo e R.mo Principe
Coll'ultima mia Nº. 3. le annunciava come essendosi abboccati gli ambasciatori del re Giovanni d'Abissinia con Gordon Pascià Governatore Generale del Sudan ed ambasciatore di S. A. il Khedive d'Egitto, questi avea loro promesso e li aveva assicurati di persuadere il suo signore a far nominare l'Abuna di Abissinia o Vescovo copto scismatico, e che egli stesso avrebbe pagato il suo viaggio e l'avrebbe fatto accompagnare da un distaccamento di soldati fino ad Adua.
Ieri venne da me il suddetto Gordon Pascià, e si lamentò altamente perché S. A. il Khedive non vuole assolutamente concedere l'Abuna ai cristiani d'Abissinia, e che dopo uno scambio reiterato di dispacci telegrafici il Khedive rimase irremovibile nel suo proposito, e che non concederà mai il Vescovo copto a quei popoli che sono suoi nemici. Anche il Vescovo scismatico di Khartum venne da me a lamentarsi di questo procedere del Sovrano d'Egitto.
Ed il Khedive, che per tanti anni negò di eleggere il Patriarca attuale di Cairo, solo perché sua madre gli predisse che poscia egli morrebbe, è uomo capace di far restare vedova la Chiesa scismatico-eretica di Abissinia chissà per quanti anni, molto più che l'umiliazione toccata dal Khedive nella guerra contro l'Abissinia, aumentò il suo odio e il suo furore contro quella Nazione, che non potrà mai sottomettere, come gli sforzi accaniti e molteplici di ben 12 secoli dispiegati dalla Mecca non poteron mai assoggettare quella fortissma nazione.
Forse Dio prepara la via ed agevola i mezzi a Monsig.r Touvier ed ai suoi missionari Lazzaristi per istendere il Regno di Dio su quella benemerita nazione che fece miracoli di eroismo per ben 12 secoli, per conservarsi cristiana, benché sgraziatamente vulnerata dagli errori micidialissimi del pessimo eresiarca Dioscoro Alessandrino mescolati con mille altre superstizioni contratte dal contatto secolare di nazioni infedeli.
Ho creduto bene di darle tale notizia per sua norma, benché non abbia relazione cogli affari del mio Vicariato, perché forse non potrà l'E. V. aver pronte notizie di questo fatto importante dalla missione di Abissinia.
Fino dal 14 gennaio sono partite da Khartum 5 Suore dell'Istituto delle Pie Madri della Nigrizia da me fondato in Verona, e non ancora sono arrivate in Cordofan. Sono viaggi laboriosissimi. Ho saputo oggi che son partite da Duèn sul Fiume Bianco ai 29 del p.p. gennaio con 17 cammelli e sono dirette per Teiàra. Perciò ho telegrafato al Pascià del Cordofan perché mandi cammelli a quella città per trasportarle in El-Obeid, essendocché solo fino a Teiara da Duèn si poteron trovare cammelli smunti dalla fame, e che non ha fiato.
Delle Suore di S. Giuseppe in Vicariato ne rimangono solo quattro qui a Khartum, ed anche queste sempre l'una o l'altra ammalate. Fino dall'agosto 1877 il mio seg.rio D. Paolo Rossi ora reggente il mio Istituto di Verona rimase in Roma 42 giorni per combinarsi a mio nome colla def.ta Madre Generale: si combinarono; ma mai si venne dalla Madre R.ma ad una definitiva conclusione coll'E.mo Card. Prefetto di s.m. Io scrissi e riscrissi più volte all'attual Madre Generale, che ora sta in Roma, e le feci le più ample proposizioni; ma non potei mai ottenere di conoscere le sue intenzioni, né che mi mandasse Suore. Intanto le 4 che rimangono sono oppresse dalla fatica, perché hanno molto lavorato, e realmente han fatto mirabilia di carità.
Gordon Pascià vuole assolutamente affidarmi tutti gli ospedali del Sudan, e subito vorrebbe che accettassi quello di Khartum di 40 letti pelle Suore di S. Giuseppe, e quello di Farshoda nella tribù degli Scelluk sul Fiume Bianco per le Suore veronesi. Ma con sì pochi soggetti mi è impossibile di accettare. Ora il gran Pascià cominciò a fabbricare sul Fiume Azzurro presso Khartum un nuovo ospedale.
A dire il vero io terrei molto a che le Suore di S. Giuseppe si conservassero nel Vicariato per l'elemento delle Suore arabe che è sì utile, a condizione però che mi mandassero un sufficiente contingente, che mi assegnasse una Superiora Provinciale, o Prima Superiora che avesse piena giurisdizione su tutte le case della sua Congregazione nel Vicariato, e che desse a ciascuna casa una buona e brava Superiora. Ma con 4 Suore cosa possiamo fare? Si affaticano, e ne perdono le scuole e le tante opere sì utili che dirigono.
Spero che il mio timore non sia vero, cioè, che l'ottima Madre Generale ed il suo Consiglio sieno scoraggiate per la morte generosa di ben 9 Suore che hanno perduto. No, non si deve scoraggiare, e l'E. V. io supplico di tener su le carte, e incoraggiarla a non suonare la ritirata dall'Africa. Quest'anno è stato un anno eccezionale. Morirono molte Suore e missionari e molti fratelli coadiutori. Ma fu l'epidemia e i mali contagiosi che li han fatti morire. E dal 1871 fino ad oggi, nessun missionario Sacerdote è morto, che prima fosse stato acclimatizzato al Cairo. Tutti quelli che morirono non si erano acclimatizzati in quegli Istituti, perché pei bisogni della missione li ho fatti venire in Africa, senza passare almeno la stagione estiva negli stabilimenti di Cairo. Egli è perciò che d'ora innanzi a costo di morir noi tutti qui senza aiuto, ho stabilito che ogni missionario e Suora europei si acclimatizzi al Cairo prima di cimentarsi ad affrontare il clima dell'Africa Centrale.
La mia salute è scassinata: la febbre non mi vuol lasciare: sono oppresso dalla fatica e dal crepacuore di tante croci. Tuttavia lo spirito si sostiene nella speranza in quel Gesù che palpitò e morì pella Nigrizia.
Spero fra poco di poter battezzare una trentina di adulti che si stan preparando, e si è molto lavorato a Gebel Nuba, per quelle lingue difficili. Le bacio la Sacra Porpora e sono di V. E.
u.mo d.mo obb.o figlio
+ Daniele Comboni Vescovo
e Vic. Ap. dell'Africa C.le
N. 824; (785) – A MR. JEAN FRANÇOIS DES GARETS
APFL (1879), Afrique Centrale, 5
Khartum, 10 febbraio 1879
Breve biglietto.
N. 825; (786) – A MANFREDO CAMPERIO
"Il Cittadino", Brescia II (20-21 marzo 1879)
Khartum, 10 febbraio 1879
"Al Direttore dell'Esploratore,
Le invio l'acclusa, giuntami ieri con altre di Gessi, per l'Esploratore. Ieri poi, mi giunsero altri dispacci in data 30 Novembre, del medesimo Gessi. Capitò pure proveniente da Sciacca un dispaccio, secondo il quale Gessi avrebbe vinto il ribelle Ziber, che è fuggito a Dar-Fertit e a Bahar Saldanà con pochi fidi, mentre Gessi avrebbe conquistato quattro Scribe e fugato il nemico, facendo cadere fra i morti e feriti duemila uomini, e fatti settecento prigionieri.
Così desidero avere la riconferma di queste notizie da Gordon Pascià, appena la febbre mi avrà lasciato, e avrò ripreso fiato. La tremenda mortalità di quest'anno, che distrusse tanta popolazione, più di tremila membri della missione fra indigeni ed europei, fra cui il braccio destro della mia Opera, mi ha impedito di rispondere a centinaia di lettere.
Ricevetti importanti cose da Emin Effendi, da Lado e dal Darfur etc.; ma sono ammalato e non mi posso occupare.... Pensi che non ho ancora letto tutto.... Affranto così dalle fatiche, lo spirito mio sente la forza del leone e sono più che mai fermo ed incrollabile, ad onta di tutti gli ostacoli dell'universo, nel mio grido nativo di guerra: "o Nigrizia o morte."
Telegrafai ieri a Matteucci e domani spedirò telegrammi a Massaua per Gessi
+ Daniele Comboni
Vescovo e Vic. ap. dell'Africa Centrale
N. 826; (787) – A MR. JEAN FRANÇOIS DES GARETS
APFL (1879), Afrique Centrale
Khartum, 13 febbraio 1879
Breve biglietto.
N. 827; (788) - RELAZIONE ALLA SOCIETA' DI COLONIA
"Jahresbericht..." 27 (1879), pp. 1-28
Khartum, 15 febbraio 1879
Egregi Signori,
Già più volte ho spiegato nelle mie relazioni per gli Annali della benemerita Società di Colonia che le opere di Dio nascono sempre ai piedi del Calvario e che hanno impresso il contrassegno della Croce.
La buona Provvidenza ci mostra in ciò una disposizione di sapienza, che in generale noi troviamo confermata nella storia della Chiesa, che ci prova nella prospettiva della più luminosa verità che tutte le opere di Dio, che servono alla sua glorificazione, possono essere intraprese soltanto attraverso grandi prove e continui ostacoli e sulle vie del dolore, cose che richiedono sacrifici straordinari e il martirio. Le missioni apostoliche sono tali opere di Dio, che per questo sono per lo più contrassegnate dal sigillo della Croce, perché esse si dedicano all'alto compito di annientare le potenze delle tenebre e intendono espandervi invece il regno di Cristo.
Per cui è cosa naturale che esse urtino contro continue ostilità e persecuzioni di ogni genere; poiché le potenze delle tenebre non vogliono abbandonare così facilmente il loro dominio e il loro trono, e ci preparano ardui combattimenti e vogliono farci sentire tutta la forza della loro potenza, apportatrice di rovine.
Per questo nessuna missione apostolica fu mai fondata e potè conseguire risultati senza croci e sofferenze, senza sacrificio, sangue e martirio. La vicenda delle missioni cattoliche rassomiglia alla gloriosa storia della Chiesa cattolica e del Papato: la prima fu fondata e crebbe col sangue dei suoi martiri e continua piena di coraggio, nonostante le furibonde tempeste, la sua sublime marcia attraverso le impetuose onde dei secoli per raggiungere sicura e trionfante il porto dell'eternità, per cui è stabilita.
Se dunque questa via regale e gloriosa di tutte le Missioni cattoliche della Chiesa si è prospettata così, perché dunque la missione di gran lunga più difficile e faticosa di tutta la terra, che ha per scopo la promozione dell'uomo e che comprende un territorio così esteso e intensamente popolato, dovrebbe battere una strada diversa da quella delle altre missioni e delle altre sante imprese ad onore di Dio? No, i suoi sentieri non possono essere cosparsi che di spine e di tribolazioni d'ogni specie; essa deve passare per il crogiolo dei dolori, delle sofferenze, e del martirio; la Croce è ciò che essa deve aspettarsi.
Il demonio dell'empietà e della inimicizia di Dio deve essere combattuto senza paura della morte e sarà scacciato dall'Africa. Speriamo che con l'aiuto di Dio sia concesso al nostro tempo di compiere la conversione di questo popolo il più abbandonato e il più infelice della terra. Sì, sembra proprio che Dio così abbia deciso!
Ed ora, miei cari signori, Loro che hanno dato il primo impulso, il primo appoggio a questa sublime opera di salvezza delle anime, Loro che sono stati i primi che hanno sostenuto l'opera della rigenerazione dell'Africa Centrale attraverso uno zelo degno di ammirazione ed una costanza senza pari, affinché questi cento e più milioni di poveri infelici venissero condotti alla fede e alla civiltà; Loro che attraverso la loro Società e la loro carità hanno infiammato la Germania cattolica, considerino ora i frutti della loro così benemerita attività; Loro vedono come gli occhi di tutto il mondo attuale si rivolgono verso l'Africa. Gli uni vogliono portare colà la civiltà, gli altri la religione. Altri ancora hanno per scopo l'abolizione della tratta degli schiavi, e si interessano della possibilità produttiva del terreno e delle ricchezze del paese; taluni prendono precise notazioni sotto l'aspetto geografico, ecc.
Sembra così che la scienza, l'industria e la filantropia si debbano unire per fare ivi delle scoperte, e risolvere il problema in qualche modo al fine che l'Africa Centrale possa essere civilizzata e convertita al Cristianesimo.
Loro non si sono meno meravigliati, miei signori, degli sforzi grandiosi che America, Inghilterra, Germania, e Italia compiono in riguardo all'Africa Centrale. Davanti ai loro occhi si presenta l'impresa di Sua Maestà il vivente Re dei Belgi, che dà una splendida testimonianza delle giuste cognizioni e dei nobili ideali di questo monarca, per cui vari stati d'Europa e l'America furono stimolati ad occuparsi dell'Africa ed a puntare là la loro mira, per fare il tentativo di introdurvi i benefici di una civilizzazione cristiana.
Siano convinti che il lavoro compiuto dalla loro Società in unione agli sforzi dell'intera Germania Cattolica per la liberazione e educazione cristiana dei negri, con cui il mio "Piano per la rigenerazione dell'Africa" potè essere portato ad esecuzione, ha avuto non piccola parte nel movimento degli spiriti, nei provvedimenti, che si manifestano da tutta la terra a favore dell'Africa, non solo nel mondo della scienza, ma soprattutto nelle molte diverse associazioni della Chiesa Cattolica.
Prendano da ciò grande conforto, miei signori, poiché è stato Dio che ha destato nel loro cuore quest'amore cristiano, questo zelo per i popoli neri; e senza dubbio anche i loro Annali vi hanno contribuito potentemente: rivelando le grandi necessità di questi popoli e la loro sconfinata miseria, hanno suscitato vivissimo interesse nell'umanità per loro.
Anche la Sede Apostolica si vede spinta per questo a fare tutto ciò che è a sua disposizione per espandere il Regno di Gesù Cristo nell'Africa Centrale, e fondare le missioni su solide basi. Prendano pertanto in considerazione la grande verità che le aspirazioni scientifiche e civilizzatrici delle potenze europee, e le loro intenzioni umanistiche riusciranno alla fine tutte a vantaggio della Chiesa cattolica e dell'apostolato cattolico con l'esercizio della sua opera di salvezza, per la quale la loro Società per l'Africa Centrale svolge la sua attività da ben 25 anni.
Ora si aggiunga che una Società di magnanimi missionari di Algeri, fondata dall'energico ed eminente Arcivescovo Mons. Carlo Marziale Allemand Lavigerie per l'apostolato della Prefettura apostolica del Sahara, volge ora la propria assidua cura verso l'Africa Equatoriale; questa si estende verso la parte meridionale del Vicariato apostolico dell'Africa Centrale, la quale al presente, dato che costituisce una parte dell'Africa Centrale, in forza del Breve del 3 aprile di santa memoria, appartiene alla mia giurisdizione.
Poiché il Signore mi ha posto nel mio ufficio per la salvezza delle anime, per questo mi stimo felice di cedere alla nuova Congregazione di Algeri, che dispone di molto personale, i territori che si estendono intorno al lago Tanganica e nel regno Muati-Yanvo, come pure tutta la regione che si estende dal Vittoria Nyanza lungo la linea dell'Equatore, poiché a causa della mancanza di missionari, non potrei evangelizzare subito tali zone.
Inoltre devono prender nota della zelante opera dei pii Padri della eccellente Congregazione dello Spirito Santo e del Cuore di Maria, fondati dal R.mo P. Libermann per l'apostolato d'Africa. Questi estendono le loro conquiste all'interno della Prefettura Apostolica del Congo. E poi abbiamo da registrare, prima di tutto, i felicissimi risultati del P. Antonio Horner, al quale riuscì, dopo grandi fatiche, di annunziare il Vangelo da Bagamoyo fin nell'interno di Nguron e di Mihonda e nell'Onssigna.
Considerino infine la recente fondazione missionaria allo Zambesi Superiore, affidata da Leone XIII ai Reverendi Padri Gesuiti d'Inghilterra. Vi è a capo un eccellente e valoroso veterano delle missioni apostoliche indiane, il R.mo Padre Depelchin, che dal Capo si porta, con altri sei missionari, verso lo Zambesi per fondarvi la prima stazione missionaria tra i Matabèle e il Betchuara; da qui ha intenzione di procedere verso le rive del lago Banguelo dove Livingstone spirò.
Dopo aver premesso questo, come introduzione alla mia relazione, voglio metter a loro conoscenza gli avvenimenti della nostra Missione nel corso degli ultimi mesi e dell'inizio, pieno di spine, del mio apostolato come primo Vescovo e Vicario apostolico dell'Africa Centrale. Un così breve spazio di tempo racchiude una serie di terribili e paurose pene, che costituiscono per l'esistenza della Missione, del resto già oltremodo faticosa, una dura prova.
Ma proprio per il fatto che il Signore ha voluto imprimere il sigillo della sua Croce all'apostolato dell'Africa Centrale, è assicurata la promessa della sua durata, santità e riuscita. Tutte le disgrazie e gli avvenimenti dolorosi non poterono tuttavia né scoraggiare né abbattere, nemmeno per un istante, lo spirito degli operai evangelici, che hanno ricevuto da Dio la vocazione a questo apostolato difficile e pieno di sacrifici; ma in forza di ciò il nostro zelo è aumentato, e le nostre speranze si sono di nuovo ravvivate, e noi rimaniamo, senza tentennamenti, ben saldi sulla via intrapresa, fedeli al nostro grido di guerra: "O Nigrizia o Morte!"
La carestia nell'Africa Centrale nell'anno 1877-78.
[Dal § 5599 al § 5631 ripetizione sulla carestia]
Ma più di tutto mi riempì di indicibile dolore e mi straziò il cuore l'alta mortalità tra i principali membri della missione. Tutti i membri della missione di Khartum furono colpiti, in settembre, da febbri violente ed assaliti da altre gravi malattie; oltre a me, tutti i missionari, tutti i fratelli laici provenienti dall'Europa, tutti gli allievi indigeni ad eccezione di due neri, tutte le Suore di S. Giuseppe, oltre a Suor Germana Assuad di Aleppo, la quale tanto a Khartum, come pure nel Cordofan ed a Gebel Nuba si era ammalata spesso fino al punto di morte, ed alla quale io stesso amministrai il Santo Viatico. Inoltre anche tutte le maestre nere, le cucitrici, le alunne e le schiave dell'Istituto femminile ad eccezione di due.
Fino a tre mesi durarono presso tutti le febbri e le altre terribili malattie, delle quali prima non se ne aveva avuto alcun sentore. Molti per questo furono portati fino sull'orlo del sepolcro. Nel mese di ottobre io ero l'unico Sacerdote, che coll'aiuto di Suor Germana, di giorno e di notte, dentro e fuori la missione, prestava soccorso ai malati e ai morenti. Tutte e due le maestose case della missione in Khartum si erano trasformate in due ospedali; e non solo io dovevo attendere ai doveri del mio ministero di Vescovo, ma anche dovevo essere superiore, parroco, cappellano, amministratore, medico, chirurgo ed infermiere, fuori e dentro la missione talvolta anche becchino.
Mi trovavo sempre in movimento, così camminavo di giorno e di notte, e per quattro mesi non potei dormire che soltanto un'ora su ventiquattro. L'inappetenza e la nausea avevano raggiunto in me un tale grado, che ne soffrivo indicibilmente, e quando dovevo prendere cibo, era come se andassi alla morte. In certi giorni mi mancava il brodo di carne per gli ammalati e i morenti, che, come i missionari e le Suore, appartenevano alla missione; provvidi allora vari servitori di molto denaro perché procurassero una gallina od un piccione, per poter così preparare un po' di minestra. Prima i volatili costavano pochissimo a Khartum. Ma né a Khartum né nei villaggi dei dintorni era possibile avere qualcosa. Mandai pure in località lontane un giorno di viaggio, verso Ondurman, Karari e a Tamariet, ma tutto fu vano. I servitori tornarono senza aver combinato nulla. Era un caso veramente disperato, di cui non potrei dar loro una pallida idea.
Il sacerdote Don Policarpo Genoud morì in venti minuti, colpito improvvisamente dal tifo; perdetti pure il mio bravo e pio Ferdinando Bassanetti dell'Istituto Africano di Verona; egli aveva, nella missione, l'ufficio di giardiniere, e con le sue considerevoli conoscenze economico-agrarie e con le sue selezioni riuscì a portare il grande giardino della nostra missione in Khartum ad una meravigliosa produttività. Tuttavia negli ultimi anni vi era solo erba per i buoi che trasportavano acqua dal fiume per irrigare il terreno, e giardino, che per l'assidua cura del generoso missionario tirolese, l'impareggiabile Augusto Wiesnewky, della diocesi di Ermeland, ora defunto, era stato portato prima nella migliore situazione di grande utilità della missione, non dovesse andare in rovina per la siccità.
Inoltre morì l'abile agricoltore Lazzaro di Verona, poi morì il fabbro ferraio Augusto Serrarcangeli di Roma e il veramente santo, moderato macchinista e bravo meccanico Antonio Iseppi che avevo condotto con me da Verona, per poter installare una macchina a vapore per l'irrigazione del giardino, perché potesse far a meno degli animali.
Avevo anche l'intenzione di far costruire un mulino per macinare il grano per le missioni di Khartum, Berber e del Cordofan, dato che in questi paesi il grano viene sempre macinato ancora tra due pietre piatte, chiamate "marhhacca", viene ricavata una farina non pulita né buona, e questo metodo richiede molto personale femminile. Questa brava persona terminò la macchina e la installò in un luogo adatto. Dato poi che anche nel resto era molto istruito, egli era molto utile anche come catechista e faceva molto bene con il suo esempio. In seguito però soffrì di calcoli biliari e di altre malattie per 4 mesi; poi ebbe il tifo e infine se ne andò all'eterno riposo a ricevere la palma per le sue virtù.
La reverenda Superiora del Cordofan, in seguito a straordinarie privazioni, fu parimenti colpita dal tifo e morì. Suor Enrichetta in età di 26 anni, fino allora forte e sana, la quale si distingueva per le eccellenti qualità e per la sua innocenza angelica e che era la direttrice dell'istituto delle orfanelle in Khartum, ebbe la febbre tifoidea dopo aver curato molti malati che soffrivano di malattie contagiose. Del tutto serena e contenta riconsegnò al Signore la sua anima e in tutti i momenti della sua penosa malattia la si sentiva esclamare: "Tout pour Vous, mon Jésus" (tutto per voi, mio Gesù). Era francese e si trovava a Khartum da soli 18 mesi.
Passo sotto silenzio i molti tristissimi casi di morte tra gli allievi d'ambo i sessi nei nostri Istituti pei negri in Khartum, che Loro, mediante la loro Società, avevano riscattato. Essi andarono in cielo con il viso sorridente, per impetrare dal Signore delle misericordie grazie per tutti i membri della Società, per il cui aiuto essi erano stati liberati dalle tenebre del paganesimo e dai tormenti della schiavitù e, quali figli di Dio, accolti nel seno della Chiesa Cattolica.
Io voglio ancora menzionare la grave e irreparabile perdita che mi ha colpito nella persona di colui che era il braccio destro della mia opera, che mi stava al fianco come un angelo e un saggio consigliere, un uomo di fedeltà e di sincerità senza pari, che per otto anni ha diretto il mio Istituto Veronese, che sotto la sua direzione ha prosperato in modo straordinario.
Nell'anno 1877 lo presi nel mio Vicariato come Amministratore generale del settore finanziario della missione dell'Africa Centrale, coll'intenzione, qualora avesse resistito al clima africano, di eleggerlo Vicario Generale e, più tardi, di farlo nominare dalla S. Sede a Vescovo e a mio coadiutore e successore. Questi è il pio, erudito e bravo Don Antonio Squaranti. Sebbene egli non fosse stato ancora colpito da febbri, di quando in quando, in luglio e agosto, in quei giorni di estrema calura tropicale, era preso da una estrema debolezza. Questo però non rappresentava nulla di straordinario, dato che tutti gli europei, soprattutto nei primi tempi della loro residenza in Khartum, sono esposti a parecchie indisposizioni fisiche. Anche noi tutti ogni anno ne soffriamo, specie nel periodo delle piogge (Kharif). Quando la pioggia cadde in così grande quantità, pensai subito che ciò avrebbe prodotto febbri e malattie. A Khartum le febbri del Kharif sono più micidiali che non in qualsiasi altro luogo dell'Africa Centrale.
Poiché Don Squaranti era esposto a queste pericolose febbri di Khartum per la prima volta, pensai che sarebbe stato meglio un cambiamento d'aria e lo inviai a Berber per visitare quella stazione, dove lavoravano cinque Suore Pie Madri della Nigrizia, che vi si trovavano da alcuni mesi e in questa missione così lontana avevano, per una volta, giustamente bisogno di consolazione e di aiuto, dato che anch'esse erano colpite da febbri. Gli dissi che doveva rimanere là finché non l'avessi richiamato indietro. Egli non si accorse della mia intenzione con la quale combinai di allontanarlo per quella volta da Khartum, e da figlio obbediente si mise in viaggio su una barca araba verso Berber, dove giunse dopo 13 giorni.
Qui egli si riprese perfettamente e ricuperò la sua primitiva gagliardia, tanto che mi scrisse di sentirsi più forte e sano di quando si trovava in Europa. Durante la sua assenza giunsero le terribili febbri e le altre malattie che ho loro già descritte. Ma appena egli venne a sapere che nella missione di Khartum i casi di morte erano così frequenti che vi si moriva come le mosche, e che io ero del tutto solo e non avevo nessuno, oltre a me, che amministrasse i Sacramenti, non esitò nemmeno un istante ad accorrere in aiuto di me e di una missione così duramente provata. In compagnia di un membro di quella missione, egli salì su una barca araba stracarica di uomini, tra i quali v'erano molti poveri musulmani.
Questa barca impiegò 14 giorni per arrivare a Khartum. Ma già nei primi giorni di viaggio incominciò a sentire i primi sintomi delle febbri, e si aggiunga che si era esaurita la sua provvista di chinino, avendola donata per via ai malati. Al dodicesimo giorno, la febbre aveva già raggiunto un'alta temperatura e al quattordicesimo si trovò ormai sull'orlo della tomba. Poi la febbre diminuì alquanto; ma quando giunse a Khartum, riconobbi subito, per lunga esperienza, che la sua febbre si sarebbe mutata in tifo, che qui fa strage. Lo accogliemmo nel modo più caritatevole possibile e gli prestammo per dodici giorni tutte le cure fisiche e spirituali meglio che potevamo. Ma tutto fu vano! La sera del 16 novembre, alle ore 18,30, spirò felice nel Signore, in pace e pieno di fiducia nell'eterna ricompensa, mentre noi trattenevamo a stento le nostre lacrime. La sua grande bontà e carità fraterna lo condussero alla morte, che addolorò indicibilmente noi, ma soprattutto colpì molto duramente me.
La sua carità fraterna, la sua rettitudine e lo spirito apostolico che l'animavano, erano superiori a ogni elogio. La sua perdita è per me irreparabile. Ma il Sacratissimo Cuore di Gesù mi manderà nuovo aiuto, così io spero, per la salvezza della infelice Nigrizia. L'oltremodo enorme fatica, che io da più di dieci mesi ho da sopportare, le molte emozioni, le afflizioni, le preoccupazioni che il Signore, nei Suoi decreti imperscrutabili, ma sempre ricchi di benedizione, volle mandare su di me, hanno intaccato alla fine anche la mia salute pur così vigorosa. In Boure, a due miglia da Khartum, dove ero andato per visitare i nostri malati, mi prese una febbre violentissima, le cui conseguenze mi fanno ancora sempre soffrire; e le mie forze si sono straordinariamente indebolite. Chi sa se e quando riuscirò a ricuperare del tutto la mia salute.
Di fronte a tante afflizioni, fra montagne di croci e di dolore, che io ho loro già descritto e che mi restano ancora da descrivere, per queste enormi complicazioni, il cuore del missionario cattolico è rimasto scosso; tuttavia egli non deve per questo perdersi d'animo; la forza, il coraggio e la speranza non possono mai abbandonarlo. E' mai possibile che il cuore di un vero apostolo possa abbattersi e intimorirsi per tutti questi ostacoli e straordinarie difficoltà? No, questo non è possibile, giammai! Solo nella Croce sta il trionfo.
Il Sacro Cuore di Gesù ha palpitato anche per i popoli neri dell'Africa Centrale e Gesù Cristo è morto anche per gli Africani. Anche l'Africa Centrale verrà accolta da Gesù Cristo, il Buon Pastore, nell'ovile, e il missionario apostolico non può percorrere che la via della Croce del divin Maestro, cosparsa di spine e di fatiche di ogni genere. "Non pervenitur ad magna praemia nisi per magnos labores". Il vero apostolo quindi non può aver paura di nessuna difficoltà e nemmeno della morte. La croce e il martirio sono il suo trionfo.
Anche i missionari dell'Africa Centrale, i quali vengono sottoposti a un lento martirio per le privazioni d'ogni genere, per il lavoro sovrumano, e per il clima infuocato, seguiranno l'esempio di S. Bonifacio, Apostolo della Germania, e dei nostri cari confratelli della Cina e dell'India, che non temono i più terribili martirii. Davanti allo stendardo della Croce, l'Africa Centrale deve piegare il capo e sarà conquistata a Gesù Cristo.
Dopo che ho informato loro, miei signori, delle perdite e delle sventure di questa importante e difficile missione, mi resta da aggiungere che i risultati ottenuti e i buoni successi, dei quali, attraverso le nostre straordinarie fatiche, ci possiamo gloriare, sono stati in questo anno molto abbondanti, nonostante le grandi necessità, e che hanno anche superato quelli che abbiamo ottenuto negli anni scorsi.
[Dal § 5650 al § 5655, Comboni richiama ancora la carestia]
+ Daniele Comboni
Traduzione dal tedesco
N. 828; (789) – A MR. JEAN FRANÇOIS DES GARETS
APFL (1879), Afrique Centrale, 5 ter.
Khartum, 17 febbraio 1879
Breve biglietto.
N. 829; (790) – A BERARD DES GLAJEUX
APFP, Boîte G 84
Khartum, 20 febbraio 1879
Signor Presidente,
Mi permetta, Signor Presidente, che venga a gettarmi ai suoi piedi per perorare la causa santissima del mio Vicariato e la prego, con le lacrime agli occhi, di degnarsi di soddisfare la preghiera che ho indirizzato alla Propagazione della Fede quest'anno. I due quadri statistici per Lione e Parigi, con il duplice rapporto assai dettagliato sulla situazione del mio Vicariato in 12 fogli, così grandi come il foglio di questa lettera, li ho già mandati da una settimana a Lione, in modo che, in questo momento, spero che i quadri statistici con il rapporto saranno già arrivati all'ufficio di Parigi.
Ecco tuttavia, un piccolo riassunto. La carestia con la sete e la moria dell'Africa centrale sono state ben più spaventose e terribili della carestia e la mortalità della Cina, delle Indie Orientali e di tutte le altre Missioni del mondo intero. Qui molti viveri di prima necessità o mancavano completamente, o costavano otto, dieci, quindici, ventiquattro volte più cari che ordinariamente. Lei può ben comprendere, Signor Presidente, le mie grandi preoccupazioni e difficoltà.
In più la mortalità è stata ancora più terribile. In una parte del mio Vicariato più vasta e grande che due o tre volte la Francia, è morta la metà della popolazione e più che la metà degli animali e del bestiame. In una buona parte dello stesso Vicariato sono morti i tre quarti della popolazione con gli animali e in numerose località, a poca distanza da Khartum non solamente è morta tutta la popolazione, ma anche tutti gli animali e il bestiame fino ai cani che sono l'unica guardia provvidenziale di sicurezza pubblica in questi paesi.
La Missione stessa, per questa terribile epidemia, ha fatto delle perdite immense di soggetti europei, delle Suore e del mio Amministratore e Vicario Generale, Don Antonio Squaranti, che era il braccio destro mio e della mia Opera.
Ben lontano dallo scoraggiarmi (per quanto io stesso sia stato in punto di morte e questa volta è stata la 14ª in 21 anni) mi sento un coraggio da leoni e mi sento più sicuro che mai di riuscire nella mia Opera la più vasta, la più difficile e la più laboriosa dell'universo intero, perché le Opere divine e soprattutto le Opere apostoliche che hanno per scopo di rovesciare l'impero di satana, per sostituirvi il Regno di Gesù Cristo, devono passare per la via regale della Croce e del martirio e Gesù Cristo è arrivato al trionfo della sua gloriosa Resurrezione dalla sua Passione e Morte.
Per conseguenza, per ripristinare il Vicariato e pagare una parte dei debiti che abbiamo forzatamente fatto, per non morire, oltre alle offerte particolari raccolte dal Bollettino delle Missions Catholiques di Lione, ho pregato i Consigli Centrali di aumentare quest'anno il sussidio che la Propagazione della Fede mi ha concesso negli anni precedenti ed ho supplicato di accordarmi, per l'esercizio che lei ora definirà, la somma di 90.000 franchi. Ho calcolato che anche se questa somma con le altre piccole risorse che spero di avere, non fosse sufficiente ai grandi bisogni del Vicariato, tuttavia questa somma mi farà un po' respirare e d'altronde l'Opera divina della Propagazione della Fede è per soccorrere tutte le Missioni del mondo.
Ecco, Signor Presidente, la mia umile preghiera. La prego per l'amor di Dio di impegnare il Consiglio a esaudirla; Dio riversi le sue misericordie sull'Africa; Gesù Cristo è morto anche per questi poveri infedeli dell'Africa centrale e la Propagazione della Fede è il canale delle sue grazie e delle sue misericordie.
Nei Sacri Cuori di Gesù e di Maria ho l'onore di firmarmi, Signor Presidente
Suo um.mo e devoto servitore
+ Daniele Comboni
Vescovo di Claudiopoli i.p.i.
Vicario Ap.lico dell'Africa Centrale
Traduzione dal francese
N. 830; (791) – ALL'OPERA DELLA S. INFANZIA
AOSIP, Afrique Centrale
Khartum, 27 febbraio 1879
Signori,
Per evitare tutto il ritardo in avvenire, li prego, dopo aver avuto l'estrema bontà di accordarmi un contributo, d'invitare il Signor Brown e Fils, banchieri pontifici a Roma in via Condotti, di cui si serve anche, oltre il Vaticano, la Propaganda, di incaricare il suo corrispondente a Parigi, la Società generale in via di Provenza di ritirare dalla cassa della S. Infanzia le somme che loro avranno la bontà di destinarmi. Se loro credono meglio di scrivere al loro rappresentante a Roma, il rev. Padre Martino y Beues, Vicario Generale dei Trinitari in via Condotti, che è il confessore della pia famiglia Brown, è la stessa cosa. Non si è mai sicuri qui a Khartum di trovare alcuni francesi per riscuotere su Parigi.
Ho ritardato a scrivere perché, dopo la mia ultima lettera, la carestia ha dato luogo a una mortalità senza esempio. Lo stesso mio grande Vicario e Amministratore Generale, Don Antonio Squaranti, il braccio destro della mia Opera, è morto per l'epidemia con altri Missionari, Suore, Fratelli coadiutori e membri della Missione.
C'è stato un'epoca in cui ero solo per amministrare i sacramenti, perché tutti gli altri erano molto ammalati o morti e mi è occorso esercitare le funzioni non soltanto di vescovo, ma di curato, vicario, superiore, amministratore, medico, chirurgo, infermiere, sorvegliante dei malati notte e giorno.
Ci sono stati dei momenti nei quali, avendo un Missionario italiano e una Suora francese, con il resto delle due case trasformate in due grandi ospedali, mandavo a cercare un piccione o una gallina o un po' di carne per far loro un po' di brodo e non ne ho trovato anche con l'oro in mano. Al Cordofan Sr. Arsenia Le Floch della Bretagna, Superiora delle Suore di S. Giuseppe, mentre era morente (era un angelo) ha domandato in grazia un po' di pane di frumento intinto nell'acqua. E' stato impossibile trovarlo. Infine se ne è trovato un po' presso un negoziante israelita, ma la Superiora era già salita al cielo.
Se avessi fatto attenzione ai più urgenti bisogni, avrei chiesto non 15.000, ma 100.000 franchi, ma con i 15.000 franchi e quelli della Propagazione della Fede noi dovremo ancora soffrire molta fame e delle privazioni durante un tempo ancora lungo. Ma tutto per Gesù e per la redenzione dell'Africa centrale.
Infine, accasciato di tristezza, di fatiche e di angosce mortali, caddi io stesso, malgrado la mia robusta salute, nella febbre più bruciante e, dopo due mesi, mi opprime e m'ha ridotto molto male.
Al presente da 26 ore mi ha lasciato, ma non posso né dormire, né mangiare, né camminare. Durante quattro mesi non ho dormito un'ora su 24 del giorno e della notte e soltanto per tre settimane avrò dormito due ore su 24.
Ma siccome le opere di Dio e soprattutto quelle dell'apostolato, devono nascere e crescere ai piedi del Calvario e passare per la via regale della Croce e del martirio (e loro nesono i giudici competenti dell'eroismo dei nostri cari confratelli della Cina), io mi sento più che mai pieno di coraggio e di speranza, per quanto la mia salute sia rovinata e sono sicuro più che mai che dopo la passione e la morte arriveremo alla resurrezione dell'Africa centrale, che piegherà la testa davanti alla Croce di Gesù Cristo ed entrerà nel suo ovile.
Nell'attesa invio loro il quadro riempito perché serva alla ripartizione delle elemosine. Ho fatto anche il compendio del rapporto, ma mi sento così debole che non so se potrò trascriverlo in una settimana.
Al presente non ne ho pronto che un solo foglio. Ho l'onore di essere con tutta la mia riconoscenza e il mio rispetto
Loro dev.mo servo
+ Daniele Comboni
Vescovo di Claudiopoli i.p.i.
Vicario Ap.lico dell'Africa Centrale
Traduzione dal francese.