N. 1001; (959) – A DON NAZZARENO MAZZOLINI
ASC
1880
Autografo su immagine.
N. 1002; (960) – AD ERMINIA COMBONI
AFC
1880
Breve biglietto.
N. 1003 (961) – NOTA
ACR, A, c. 20/21 n. 3
1880
N. 1004; (962) – QUADRO STORICO DELLE SCOPERTE AFRICANE
ACR, A, c. 18/13
Verona, 1880
RELAZIONE DI S. E. MONS. DANIELE COMBONI AL RETTORE DEGLI ISTITUTI AFRICANI IN VERONA
Fede cattolica, e Civiltà cristiana nell'Africa centrale, ecco il sublime apostolato della grand'Opera della Redenzione della Nigrizia. Sotto questo sacro e glorioso vessillo noi militiamo, benedetti dal Vicario di Cristo, e dalla Santa Sede Apostolica. Fede e civiltà non furono mai nemiche fra di loro: e checché ne dica la terrena filosofia, checché ne pensino i cultori del senso e della materia, checché si vada insinuando dalla superba incredulità, sta però sempre in fatto, che Fede e Civiltà si baciano in fronte; né l'una può mai andare scompagnata dall'altra. Conciossiaché la Fede cattolica, colla predicazione de' suoi dogmi, delle sue massime, dei suoi insegnamenti e della sua morale divina, porta sempre con sé, genera, e partorisce la vera civiltà cristiana: e questa a sua volta abbracciata e seguita dai popoli infedeli, per un poderoso irresistibile impulso è portata e spinta necessariamente a stringersi, come al suo centro, alla vera fede, nella quale riconosce la sua indivisibile amica, la sua maestra, la sua madre.
Il perché nei nostri Annali noi ci studieremo di far conoscere ai nostri diletti benefattori, colle fatiche, colle opere, coi successi, e coll'apostolato dei missionari e delle Suore dei nostri Istituti Africani di Verona, anche i progressi materiali da loro promossi, le scoperte, i lavori scientifici, ed i risultati della vera civiltà cristiana nell'Africa centrale, intendendo con ciò di dar gloria a Gesù Cristo, che è l'unico principio di redenzione e di vita, la vera sorgente della civilizzazione e della salvezza dei popoli infedeli, l'incrollabile fondamento della vera grandezza e prosperità delle nazioni civili del mondo.
Non pochi dei nostri lettori, anche sufficientemente addottrinati e colti, ignorano ciò che riguarda l'Africa, la sua geografia, la sua storia, i suoi costumi, i suoi popoli; e quindi non avendo un'idea esatta e precisa del campo delle nostre fatiche apostoliche, non ponno formarsi un giusto criterio e giudizio dell'altezza, delle difficoltà, e dei particolari delle nostre sante Missioni.
E' d'uopo che noi diamo una giusta relazione del campo, irto di tante spine, nel quale noi sudiamo e lavoriamo; è necessario che noi facciamo ben conoscere l'Africa, e specialmente la parte Centrale. Quindi è che d'ora innanzi toccheremo alcun che dell'Africa, considerata dal punto di vista storico, fisico, e sociale; e nel presente fascicolo, cominceremo a porgere ai nostri cari associati un brevissimo cenno della storia delle scoperte africane. Dalla loro grande importanza apparirà luminoso lo spettacolo sublime a cui assistiamo, del movimento religioso e scientifico, che spinge tutti gli sguardi dell'Europa cristiana verso l'Africa Centrale.
Le invenzioni scientifiche e le scoperte geografiche hanno determinato il passaggio dal Medio Evo all'Età Moderna, ed ebbero nel corso di quattro secoli tale continuato incremento, che la mente considera meravigliata i cambiamenti che già operarono, e quelli che sono per compiere nell'umana famiglia. Il genio greco non poteva aspirare a più luminoso trionfo. Questo progresso, che, direi quasi violento, frutto, come quello dell'industria, della divisione e della associazione del lavoro, non a meraviglia ci muoverebbe, ma a spavento, se fosse rivolto soltanto ad aumentare i comodi della vita, per condurre l'umanità ad un gretto materialismo. Ma se giova credere che le invenzioni scientifiche e l'immenso dominio occupato dalle scienze positive, nonché opprimere, aiutino anzi e promuovano il progresso morale dei popoli, nessuno dubita che questo bene si ottenga principalmente coll'estendersi delle nostre cognizioni sulla terra, e sugli abitanti di essa.
La Geografia sorta e cresciuta per le emigrazioni e per lo stabilimento delle colonie, per lo spirito religioso e per la sete di conquista, pei viaggi scientifici di terra e di mare, domanda e fornisce un gran numero di fatti alle scienze positive ed alle morali, ed ha un carattere vario come gli elementi che la costituiscono; e le scoperte fatte nel suo campo hanno una importanza non solo scientifica, ma eziandio politica e religiosa.
Per questo vedemmo sorgere nelle capitali dei precipui Stati d'Europa e d'America, Società Geografiche protette dai Governi; inaugurarsi Accademie, Periodici ed Opere in ogni formato, che tengono dietro ai progressi scientifici, nelle quali l'erudito scioglie talvolta questioni, che più tardi conferma l'occhio del viaggiatore: vedemmo le Società delle sante Missioni Apostoliche, e quell'esercito di banditori di Cristo, che penetrano colla Croce e col Vangelo dove né la spada, né l'avidità del denaro, né il nobile amore della scienza hanno potuto farsi strada.
Tra le parti della terra, l'Africa è quella che diede origine in antico alle più ardite e lunghe esplorazioni marittime, ed ai nostri giorni alle più grandi ed interessanti scoperte. Non ricca di isole e di seni, e vasta più che tre volte l'Europa, non offre al navigante né opportune stazioni, né abbastanza sicuri porti. A chi ardisce penetrare nel suo interno uniforme come lo sviluppo delle sue coste, si attraversano difficoltà e pericoli, quali non oppongono né l'immenso Oceano od i suoi scogli, né le savane e le foreste del Nuovo Mondo, né i ghiacci dei mari polari, né le eccelse cime delle Ande e dell'Himalaya, né i deserti dell'Asia centrale e le loro tribù. Abbastanza completa è la Carta dell'Asia e dell'America; gli esploratori dei mari polari durarono a freddi del 48º, e, dicesi, fino a 55º e a 60º gr. Réaumur, e passarono i poli glaciali, e videro alle più alte latitudini lo spettacolo di un mare senza ghiaccio; e tutto questo dopo pochi secoli di investigazioni, con poche vittime della scienza.
In Africa invece gli stessi fiumi non costituiscono, come quelli degli altri continenti, le grandi vie del commercio e della civiltà; ma la loro navigazione è resa assai difficile e talvolta impossibile, ora dalle cateratte, dai banchi di sabbia, e dalle numerose isole; ora dalle rive basse e dalla qualità del letto, da cui traboccano come laghi, e ritirandosi formano stagni e paludi, o van lenti con poca e sottil vena, che spesso, ancora lungi dal mare, si perde sotto le sabbie e le dune salate. Ma superi l'europeo ogni ostacolo, varchi gl'immensi ed infuocati deserti d'arena che separano l'Africa dal resto del mondo, e una dall'altra le sue fertili e ben popolate regioni, vinca la natura delle belve feroci che errano dal monte al piano, e che occupano le rive non meno che il fondo dei fiumi e dei laghi; passi incolume fra le tribù degli africani*, cui nessuna legge civile o religiosa modera e raffrena gli istinti; avrà sempre l'europeo nemico il clima micidiale, con una temperatura che all'ombra ed al nord sale da 35º al 45º Réaumur, ed al sole nelle sabbie infuocate del deserto, che dee pur tragittare, oltrepassa talvolta il 50º, il 55º, ed il 60º gr. Réaumur sopra zero.
La storia delle scoperte del continente africano è una dolorosa enumerazione di eroi morti per la religione e per la scienza. Gumprecht, solo dalla fine del secolo scorso fino al 1848 conta cinquantatre illustri esploratori europei che morirono in Africa: Monatsberichten della Società Geografica di Berlino 1848. Dopo tante vittime generose, dopo tante esplorazioni che incominciarono molti secoli prima di Cristo, non conosciamo ancora perfettamente il sistema dei maggiori fiumi d'Africa; e le Carte più recenti e più diligentemente costruite non rappresentano con soddisfazione per le esigenze della scienza che poco più di due terzi della sua grande superficie.
Questa lotta dello zelo apostolico e del genio investigatore contro tutti gli ostacoli che impediscono di penetrare nelle interne regioni africane, lungi dal cessare per la gravezza dei sacrifizi, e per la tenuità dei progressi, non fu mai con tanto ardore e con tanta perseveranza intrapresa come ai giorni nostri, e dalla Chiesa cattolica, e dalla civiltà, e dalla scienza.
Il movimento delle scoperte geografiche, il quale dal 1840 fino ad oggi s'è dispiegato sull'Africa con ammirabile energia e perseveranza, è uno degli spettacoli più degni di ammirazione e d'interesse del secolo XIX. Si direbbe che, dandogli una estensione ed un'attività sì straordinarie, le nazioni d'Europa abbiano obbedito per un tacito accordo ad un medesimo pensiero: quello di aprire agli sforzi, d'iniziare alle conquiste della civiltà un continente, divenuto già, senza una plausibile spiegazione, l'obietto di un sistematico abbandono. Parea da molti secoli che l'Africa fosse condannata ad indietreggiare, piuttosto che ad avanzarsi e progredire in questa via. La storia ricorda bensì la presa della capitale dell'Etiopia avvenuta circa cento anni prima della partenza degli israeliti dall'Egitto, la quale Giuseppe chiama Saba, e la dice molto forte e situata presso al Fiume Astosabos; ed afferma che Cambise re di Persia le cambiò il nome di Saba in quello di Meroe, in onore di sua sorella Meroe.
La Storia ricorda ancora l'emigrazione di 240,000 guerrieri egiziani, i quali, sotto Psammetico, il primo re egiziano che dominò dopo l'espulsione finale dei re etiopi dall'Egitto, si stabilirono in un'Isola al Sud di Meroe, cioè al sud della moderna Khartum, fra i Fiumi Astosabos (il Fiume Azzurro) e l'Astapus (il fiume Bianco fino al Sobat), e ad otto giorni di viaggio all'Est dalle Nubae, o Nubatae (forse le tribù dei Nuba al Sud del Cordofan, allora più estese all'Est.) Erodoto, (II, 30 e seg.). Essa ci rammenta altresì il viaggio intorno alla Libia fatto dai Fenici, per ordine di Neco nel 609 avanti Cristo, come accenna lo stesso Erodoto (IV, 42); come pure il periplo di Annone cartaginese tentato verso il 500 avanti l'era volgare, come ci riferisce la raccolta dei geografi greci minori stampata dal Froben nel 1533, secondo un manoscritto del secolo X conservato nella Biblioteca di Heidelbeg.
Posteriormente le armi romane si estesero da quelle parti. Petronio, generale romano sotto Augusto, 30 anni prima dell'era volgare, prese e distrusse Napata, l'antica capitale di Tirhaka, situata sulla grande curva nord del Nilo, al monte Barkhall ove si trovano ancora vaste ruine. Meroe certamente, la capitale della Regina Candace, di cui si parla nel Nuovo Testamento (Atti degli Apostoli, VIII. 27) cadde pure in potere dei Romani. Nerone, sui primordi del suo regno, inviò una spedizione esploratrice abbastanza rimarchevole sotto due centurioni, con forza militare, per esplorare la sorgente del Nilo, e i paesi all'Ovest dell'Astapo, o Fiume Bianco, che in quei tempi remoti si credeva essere il vero Nilo. Assistiti da un sovrano etiope, forse Candace, essi attraversarono il distretto conosciuto sotto il nome di Nubia Superiore, fino alla distanza di 890 miglia romane da Meroe. Nell'ultima parte del loro viaggio giunsero ad immense paludi, di cui nessuno sembrò conoscerne la fine, fra le quali i canali erano così stretti, che il piccolo battello era appena sufficiente per condurvi attraverso un uomo. Nonostante essi continuarono il loro viaggio verso il sud finché videro il fiume cascare giù o uscire di fra le rupi (forse al di là del Gondokoro fra Regiàf e Dufli, vicino all'Alberto Nyanza); ed allora se ne tornarono indietro, portando con sé, per uso e norma di Nerone, la pianta delle regioni, attraverso cui erano passati. Dopo, Plinio, Strabone, ed altri autori romani presero cognizione di questa parte dell'Africa Interna, ma senza arrecarci null'altro d'importante, o di nuovo.
Benché la storia ci abbia tramandato queste importanti spedizioni di remotissimi tempi, tuttavia gli antichi non avevano alcuna chiara cognizione della configurazione dell'Africa, né dei paesi, che il gran Deserto di Sahara separa dalla Barberia. L'Egitto, che fin dalla più remota antichità occupò un rango sì eminente nel mondo, e che spinse verso il mezzogiorno, e propagò le sue istituzioni e i suoi costumi a distanze appena raggiunte oggidì, sembrava che avesse esaurita la sua missione. Le ricche ed industriose popolazioni, che l'antichità vide stabilirsi sul litorale del Mediterraneo, a Cartagine, nella Cirenaica, nella Numidia, e nella Mauritania, erano scomparse, lasciando appena qualche traccia del loro passaggio. La barbarie avea ripreso possesso di queste belle province, che la romana dominazione vi avea portato a sì alto grado di coltura e d'incivilimento. Nel medio Evo l'Islamismo traversò come un torrente l'Africa settentrionale da un capo all'altro, e spinse le sue scorrerie fino nell'interno; e se riuscì a modificare profondamente lo stato degli spiriti, se creò delle idee e dei costumi che hanno resistito ai secoli, non fondò in veruna parte alcuno stabilimento politico importante e duraturo.
E' duopo discendere fino al secolo decimoquinto per intravedere l'aurora di un'era novella. Fino a quell'epoca non si avea avuto che un'idea imperfettissima della configurazione dell'Africa; e le nozioni scientifiche s'erano dopo Tolomeo piuttosto allontanate che ravvicinate alla verità. Non si aveva un'idea un po' precisa che della regione settentrionale; e tuttavia le antiche carte di Sanudo, di Bianco, e di Fra Mauro ne sfigurarono oltraggiosamente i contorni. Le spedizioni marittime dei portoghesi, la cui iniziativa e persistenza straordinaria hanno immortalato il nome di uno dei loro più grandi Principi, Enrico il Navigatore, scoprirono e rivelarono un nuovo mondo. Nel 1434, si riconobbe il Capo Baiador; nel 1482 si esplorò il Golfo della Guinea; nel 1487 Bartolomeo Diaz toccava, e passava oltre al Capo Tempestoso, detto poi, di Buona Speranza; e prima del tramontar del secolo, dal 1497 al 1499, Vasco di Gama passava questo promontorio, e rasentava la Costa Orientale dell'Africa sino all'altezza dell'Arabia.
La Carta di Diego Ribera, pubblicata nel 1529 a Siviglia in Spagna, e quella di Dapper, che si pubblicò nel 1676 ad Amsterdam, diedero per la prima volta il profilo esatto del continente africano. Quest'ultima sembra anzi che abbia superato, sotto parecchi rapporti, i progressi della Geografia moderna.
In seguito si fondarono moltissimi stabilimenti commerciali sulle coste dell'Africa, e si fecero molteplici prove di stabilirvi colonie. Tuttavia questi non oltrepassarono giammai il litorale, né si spinsero mai gran fatto nell'interno. Invero, i portoghesi esplorarono di buon'ora una gran parte dell'Africa centrale, e riuscirono in qualche guisa a preludere sulle rive del Zambese, come nel bacino del Congo, a taluna delle scoperte di Livingstone. Dopo di questi, i francesi nella Senegambia, e gli olandesi al Capo di Buona Speranza toccarono parte del continente africano, ma senza accrescere considerabilmente i risultati acquistati alla scienza dagli sforzi dei portoghesi. L'interno di questo immenso altipiano, i cui primi gradi si disegnano a poche miglia dal mare, restava ancora coperto d'impenetrabile mistero, sia per la gelosa politica del governo di Lisbona, che seguendo l'uso dei Fenici teneva nascosto agli altri popoli lo stato delle sue colonie, ed i risultamenti delle sue imprese commerciali, sia per le notizie troppo vaghe che davano i viaggiatori ed i missionari.
La Carta d'Africa di D'Anville del 1749 offre lo specchio preciso delle cognizioni geografiche africane alla metà del secolo XVIII.
Qualunque siasi l'interesse che possano presentare i dati e le informazioni, di cui andiam debitori ad uomini di merito, quali furono Battel, Lancaster, Keeling, Fernandez, Alvarez, Bonnaventura, Schouten, Le Maire, Brue, Barbot, il Padre Krump, Kolbe, Atkins, Schaw, Smith, Moore, Norris, Sparman, Patterson, Le Vaillant, e cento altri, che dal 1589 al 1790 si sono consacrati alle esplorazioni del continente africano, i risultati dei loro viaggi non sono al livello della scienza geografica moderna; e ad eccezione di rarissimi casi, non ponno essere oggimai presi in seria considerazione.
L'istituzione che diede un carattere scientifico ai viaggi in generale, e promosse particolarmente quelli in Africa, è l'associazione inglese fondata in Londra nel 1788 per l'avanzamento delle scoperte africane, detta British African Association o Associazione Britannica Africana. Da essa comincia questo grande movimento di esplorazione, che solo ai nostri giorni ha preso tutta la sua estensione. I viaggi si moltiplicano, e si organizzano sopra un piano comune. L'Africa è attaccata da tutte le parti; ed i misteri del suo continente interiore cominciano ad uscir dalle tenebre.
Il primo viaggiatore del nuovo periodo fu l'inglese Browne, che dal 1793 al 1796 andò dall'Egitto al Darfur, attraversando il deserto di Libia dalla sua parte orientale. Nel 1794 i due inglesi Watt e Winterbotton, penetrarono nel paese dei Fulbé. Un anno più tardi lo Scozzese Mungo Park arriva a Gióli-Ba. Nel 1798 e 1799 Federico Hornemann parte dal Cairo, attraversa le Oasi di Siwa e di Augila, e giunse a Morzuk, ove non era mai stato nessun europeo. Dal 1798 al 1800 Jacotin e Nouët, durante la campagna del Generale Bonaparte, compongono la Carta del Basso, del Medio, dell'Alto Egitto.
In questo secolo XIX i viaggi si moltiplicano per l'esplorazione di differenti punti dell'Africa, dal Nord Est, dal Nord Ovest, dal Nord e dall'Ovest.
Nel 1802 Denon percorre l'Alto Egitto, e raccoglie preziosi ragguagli sui limiti occidentali del Deserto di Libia. Nel 1803 Mohhammed Ebn-Omar el-Tunsi, seguendo la stessa via di Browne, traversa il deserto di Libia, e pel Darfur s'avanza fino all'Wadaï, ove raccoglie importanti notizie etnografiche; e nel 1811, ritornando pel Deserto di Libia, s'avanza nel paese dei Tibbu e giunge a Murzuk. Badia Aly Bey el Abbási, percorre l'interno di Teli nel Marocco, fissando con osservazioni astronomiche la posizione delle città principali. Nel 1810 Seetzen esplora alcune parti del Deserto di Libia, che più tardi nel 1820-25 percorrono per l'Alto Egitto Minutoli, Ehrenberg, Hemprich, Scholtz, Gruoc, Soeltner, dopo aver visitato l'Oasi di Kiwa.
Nel 1817-20 Caillaud esplora le Oasi di Khargié e di Dâhhel, fissandone le posizioni astronomiche. Pacho nel 1826 esplora quelle di Marâdé, di Lech Erré colla Cirenaica; ed Hoskyns nel 1832-33 traccia completamente quella grande di Tebe. Ritchie partendo da Tripoli nel 1818, arriva a Murzuk, ove muore. La stessa via percorre nel 1819 Lyon, e Beechey, nel 1821 traccia la carta delle coste della grande Syrte, e visita la Cirenaica; e nello stesso anno il sultano Teima attraversa il Deserto di Libia, per entrare nel Darfur. Nel 1823 il padovano Belzoni, il grande scopritore dei monumenti d'Egitto e della Nubia, in viaggio pel Tombuctu è colto dalla morte sulle infuocate arene del deserto.
Nel Golfo della Guinea sbocca un fiume, che pel suo vasto sviluppo, per la complicazione del suo corso, e pel mistero della sua origine offre una splendida analogia col re dei fiumi, il Nilo; egli è il Niger. Ben presto gli sforzi dei viaggiatori mirarono alla soluzione di questo problema idrografico. Mungo-Park nei primi anni di questo secolo penetra dalla Gambia nel bacino del Niger. Di fronte agli attacchi incessanti degli indigeni, al prezzo di enormi sacrifizi e di inauditi patimenti, egli discende pur tuttavia pel corso del fiume sino a Bûssa, ove egli perì, dopo aver veduto prima soccombere la maggior parte de' suoi compagni di viaggio. Nel 1810 Adams, dopo un naufragio sulla costa occidentale dell'Africa, è fatto prigioniero da una tribù di Mauri, e condotto addentro nell'interno. Nel 1816-20 Kutton arriva a Kumassi, capitale dell'Ascianti.
I signori Peddie, Gray e Dochard nel 1816-21 esplorano il Rio Nuñez, e vanno a Bâkel. Nel 1818 un viaggiatore francese, Mollieu, rinnova l'intrapresa di Mungo-Park, ed esplora il bacino del Senegal e de' suoi affluenti, la Falémé, ed il Bà Fing; egli non arriva fino al Niger, ma riesce a determinare le sorgenti del Senegal, della Gambia, del Rio-Grande. Bowdich nello stesso anno percorre una parte dell'Ascianti, e della Costa d'Oro. Laing esplora i paesi del Tim-mami, di Kuranko, e di Sulimana al sud della Gambia. Giovanni Adams nel 1823 penetra nel Dahômé.
Nel 1824-25 Grout de Beaufort, eseguisce importanti osservazioni geografiche sul Senegal, la Falémé, la Gambia; ed esplora il Bambuk ed il Kaarta. Nel 1825-28 Riccardo Lander e Clapperton, dal forte William sulla Costa degli schiavi traversano il Dahômé ed il Yorûba, ed arrivano per la via di Bussa e Zaria negli stati dei Fulbé. Vidal nel 1826 riconosce le imboccature del Niger, e ne compone la carta. Nel medesimo anno Caillié partito da Kahandi sulla costa occidentale passa per Timbo, traversa i bacini del Senegal e della Gambia, poi tagliando i territori dei Mandinghi, per la via di Ginni arriva primo fra gli europei nella misteriosa città del Tombuctu sul Niger, ai confini meridionali del Sahara. Di là per Arauan, Taodenni, Bel' Abbas e Tafilét, compie primo fra gli europei l'esplorazione di tutta la parte occidentale del Deserto di Sahara.
Nel 1829 Roussin esplora e riconosce tutta la costa della Senegambia. Nel 1830 i fratelli Lander (Riccardo e Giovanni) rimontano il Niger, e giungono fino a Sokoto; e Riccardo Lander nel 1832 ricerca per la terza volta nel Niger il confluente del Benué; e con Laird, Allen, e Oldfield naviga il corso inferiore del Niger, detto anche Quorra, la cui foce era stata argomento a tante discussioni e ricerche; ne esplora l'imboccatura, che primo percorse dopo Bussa nel 1833. Beecroft dal 1836-1845 rimonta tre volte il gran fiume, esplora nel suo delta il braccio di Wari, e traccia il Fiume Efik, o Vecchio Calabar. Nel 1839 Freemann percorre una parte dell'Ascianti ed altre parti, ne visita Duncan nel 1846, in cui s'interna nel regno del Dahômé. Nel 1841 Trotter, Allen, Thomson esplorano più minutamente il corso inferiore del Niger; e nel 1843-44 Raffenel, Peyre-Ferry, Huard-Bessiniéres esplorano il Bambuk e la Falémé, e tracciano un itinerario dal Senegal alla Gambia. Nel 1846 Denham esplora una parte del Dahomé e della Costa d'Oro, mentre che Raffenel intraprende un secondo viaggio di esplorazione nel Kaarta.
Sono interessanti i lavori di Irwing, e le esplorazioni di Forbes che nel 1850 viaggia nel Dahômé, di Hornberger e Brutschin che nel 1853 visitano la Costa degli Schiavi ed il territorio di Ew'é, di Hutchinson, May, Crowther, e Glover, che nel 1854 penetrano pel ramo del Non nel Niger, e ne esplorano il corso, non che il basso Bénué. Sono altresì celebri i lavori di Ecquard, e di Baikie su varii punti della Guinea e sul corso inferiore del Niger; e la celebre esplorazione di quest'ultimo, che ebbe luogo nel 1854, si alza, partendo dalla costa della Guinea, fino al confluente del Benuë, riviera imponente, che egli rimonta fino a Jola, punto estremo toccato da Enrico Barth discendendo dal Nord. Egli traccia un itinerario da Lukogia a Nupé e a Kanò.
Alcuni anni appresso, sotto l'impulso del Generale Faidherbe, allora governatore della Senegambia, parecchi ufficiali della marina francese, (Lambert, che nel 1860 va da Kakandi a Senù-Debù traversando il Futa Giallon, e Mage e Quintin che dal 1863 al 1866 va, pel Kaarta a Segù) riconoscono il corso superiore del Niger. Nel 1869 Winwood Reade s'avvicina alle sue sorgenti nelle montagne vicine al mare, che regolano i confini verso l'est collo stabilimento di Sierra Leone. Nel 1855 Townsend va a Yorûba: nel 1857 Scala da Lagos arriva ad Albeokuta, e visita la zona dal littorale fino al Vecchio Calabar; nel 1858 Anderson per Sierra Leone tocca nell'interno la città di Musardù; e Glover e May riconoscono il corso inferiore del Niger, e percorrono il Yorûba.
Nel 1859 Vallon da Waïda va per ben due volte ad Abômé capitale del Dahômé, Pascal esplora nel 1860 il Bambuk e le cateratte di Guïna sul Senegal, e Jariez descrive le riviere di Siné e di Salum. Nel 1861 Azan esplora Walo, e Braouézec rileva il lago Panié Ful e una parte del paese degli Uolòf. Vallon esplora nel 1862 la Casamance, e Martin e Bagay tracciano la carta degli stati Sérères. Il celebre missionario apostolico D. Borghero di Genova studia ed illustra, dopo il soggiorno di molt'anni, il regno di Dahômé, penetrando molto addentro nell'interno; Robins visita Lukogia sul Benuë, e Gerard e Bonnat le imboccature del Niger e il Nuovo Calabar. Nel 1873 Buchholz, Lühder e Reichenow percorrono tutta la costa Occidentale; e Bonnat nel 1875 esplora il Fiume Volta fino a Salaga, città tributaria degli Ascianti.
Nel 1876 Dumaresq scopre nel Wémi una via fluviale che riunisce Lagos coll'interno di Dahômé; Crowther viaggia da Lukogia fino a Lagos, e Grenfell e Ross nel 1877 esplorano i paesi bagnati dal corso inferiore del Fiume Kamarun, e ne formano la carta Geografica. Malgrado le lacune che rimangono ancora a ricolmarsi, sono queste una conquista importante sull'Africa Interiore; infatti il bacino del Niger racchiude una serie di tribù popolatissime e di stati, che cominciano almeno ad avere un principio di organizzazione. La recente spedizione degli inglesi contro gli Ascianti ha sparso dal canto suo nuovi lumi sulle vicine contrade d'una fertilità ammirabile; e fino ad ora non si oppongono agli sforzi della civilizzazione delle medesime, che gli ardori d'un clima infuocato, ed i miasmi micidialissimi delle sue paludi.
Al Nord ed all'Ovest, l'Algeria ed il Senegal son divenuti in mano dei francesi altrettanti punti di assalto verso il gran Deserto di Sahara, che s'avanza sino ai confini dei loro possedimenti. In questa direzione, essi ne incontrano dapprima la parte più inospitale, il Sahel, vasta pianura arenosa ed aridissima seminata da qualche rara oasi, ed abitata in diversi punti da popolazioni formidabili per la loro fierezza. Leopoldo Panet viaggiatore francese partito dal Senegal, ne percorre nel 1852 il lembo occidentale da S. Luigi a Mogador per Adrâr e Uâd Nun. Passo sotto silenzio le esplorazioni sul Sahara Algerino di Renou, del Dottor Cosson, di Letourneux de la Perraudière, del D. Marês, e del De Colomb, eseguite dal 1853 al 1861. Nel 1858 uno dei più sapienti geografi di questo tempo, H. Duveyrier, esplora con pieno successo il Sahara, questo mare di sabbia, ove perirono tanti intrepidi viaggiatori.
Egli percorre l'altipiano centrale del Sahara, fra Laghouât, Biskra, Gâbès, Ghadâmès, Rhât, Murzùk e Tripoli, coi paesi montagnosi degli Azgier. Sono pure interessantissimi i viaggi ed i lavori scientifici degli esploratori, che dal 1860 fino al 1879 percorrono la parte settentrionale del continente africano, tra i quali è ben qui notare signori Vincent, Bourrel, Colonieu, Burin, Abu-el-Moghdàd, Mircher, Vatonne, De-Polignac, De Colomb, Beaumier, Tissot, Muchez, Dournaux-Dupéré, e Joubert (assassinati nel deserto), Tirant e Rebatel, Roudaire, Parisot, Martin, Baudot, il D. Jaquemet, Le Châtelier, Largeau, Say, Masqueray, Des Portes, e François.
Anche dal Marocco e da Tripoli si intraprendono viaggi scientifici sulla parte settentrionale del continente africano. Nel 1829 Washington penetra nell'interno del Marocco fino a Merrakesc, di cui determina la posizione; G. Davidson da Tangeri pel Marocco occidentale va a l'Uàd-Nun, raggiunge l'Uâdi Dhra'a, e muore assassinato a Suekeya nel Sahara Marocheno nel 1836. Barth nel 1844-45 esplora il littorale del Marocco, dell'Algeria, di Tunisi, Tripoli, Barca e d'Egitto. Nel 1845 Richardson penetra da Tripoli per Ghedamis a Rhat. Fresnel nel 1846-49 coglie, interessanti ragguagli sul Wadaï e sul Dar-Fur. Prax nel 1848 fa il primo, un viaggio scientifico da Tunisi a Gerid, a Soûf, a Tugurt, e ritorna per Biskra. Berbrugger, Dickson, e Hamilton percorrono il Sahara Algerino, le terre di Tunisi, di Tripoli, e di Barca, ed una parte del Deserto Libico. De Bonnemain nel 1857 viaggia da Biskra a Ghadames.
Nel 1858 Abû-Derba traversa la zona degli Areg fra Laghuat e Rhat, e Mardokhaï Abi Surrur viaggia più volte dal 1858 al 1863 attraverso il Deserto d'Akka, nel Marocco, fino a Tombuctù, per Taodenni e 'Arauàn. Nel 1862-64 Rolhfs percorre in più direzioni il Marocco fino a Uâdi Draà, raggiunge l'Atlante, visita ed esplora le Oasi di Tafilêlt, tocca In-Scialah, Tuat e Tidikelt, e ritorna per Gha-dâmes a Tripoli. Anche i viaggi intrapresi dal 1867 al 1878 dai viaggiatori Balansa, De Wimpffen, Hooker (Giuseppe Dalton), Maw e Ball, Fritsch e Rein, Soleillet (fu il primo a tracciare tutto l'altipiano da Tademait e Warglà ad In-Scialah) e Von Bary sono rimarchevoli; come pure è interessante il viaggio del 1869 del Nachtigal a Tu, intrapreso per la via di Tripoli, Murzuk, e il Deserto di Sahara.
Su questo cammino ebbe a soccombere nel 1869, assassinata dalla sua scorta una donna infelice, da noi conosciuta, Alessia Tinne olandese della Haya, che si è resa celebre pei suoi grandi e molteplici viaggi nell'Africa Centrale. Più lontano verso l'est, il Sahara cambia d'aspetto; il suolo diventa sassoso; le oasi si moltiplicano; la popolazione si fa men rara fino alle vicinanze immediate dell'Egitto, ove il deserto riprende il suo impero. Nell'inverno del 1873-74 Gerardo Rohlfs, illustre già a quest'epoca per diverse rilevantissime imprese sopra i punti più opposti dell'Africa settentrionale, accompagnato da Jordan intraprese nel Deserto della Libia, una spedizione scientifica, di cui ha già fatto conoscere gli importanti risultati. Dopo esplorate le oasi di Khazgiè, Dûkhel, Farâfra, Siwa, e Baharìye, constatò che il Bahar Bêla Mâ (fiume senz'acqua) indicato nelle Carte anteriori non esiste.
Al sud di questa regione è situato il Sudan, che si confonde in molti punti con essa, e che è stato già in questi ultimi tempi l'obietto di notevoli intraprese. Egli è qui il cuore ed il centro dell'Africa: quivi comincia la patria della razza negra od etiope, che si è distesa al mezzodì su tutta la vasta superficie del grande altipiano dell'Africa.
L'Inghilterra e la Germania hanno, più che le altre nazioni, contribuito in questi ultimi tempi ad accrescere le cognizioni scientifiche su queste contrade quasi totalmente sconosciute fino a quest'epoca. Nel 1823 Oudney, Denhan, e Clapperton traversano il Sahara tra Tripoli e Kuka, e penetrano fino alla frontiera d'Adamawa: essi si avanzano pel delta dello Sciàri lungo la riva sud-est del Lago Tsad, e visitano Wandala, e le provincie orientali dell'impero di Sokoto. In questo memorabile viaggio Clapperton e Dehnam scoprono e riconoscono il Lago di Tsad, grande bacino interiore che riceve le acque della vasta depressione, di cui l'altipiano centrale e quello del Sahara formano gli orli.
Sopra le spiagge di questo gran lago si aggruppano gli stati più avanzati e popolosi del Sudan, soprattutto quelli di Bornù, di Kanem, di Baghermi, e dell'Wadaï. Questo ultimo confina col Darfur, che cadde nel 1874 sotto la sovranità dell'Egitto. Nel 1822-26 Laing da Tripoli e Ghadâmés va a In-Scialah, traversa Mabruk, e arriva a Tumbuctù. Nel ritorno è massacrato nei dintorni di Arauàn.
Nel 1849 ha luogo la grande spedizione di Richardson, d'Over-weg e di Barth, della quale ritornò solo quest'ultimo, e ne pubblicò nel 1855 la commovente relazione. Partita da Tripoli per Marzuk, la spedizione avea traversato il gran Deserto di Sahara per una via tutta nuova, toccando Rhât, ed esplorando prima il paese d'Aïr, o Azben, e il territorio degli Azger e dei Tuâreg Kel-Owi, e penetrata nel Sudan, raggiunse il Lago Tsâd. Overweg visita, primo fra gli europei, il Gober, ed esplora le Isole di Yedina sul Lago di Tsâd fino allora sconosciute. In seguito alla morte infelice dei suoi compagni, Barth piega verso l'ovest fino al Niger, e visita Tombuctù, che nessun europeo, dopo di lui, potè mai raggiungere e rivedere. Questo grande viaggiatore esplora una gran parte del Baghermi fino a Massegna, guadagna il Benuë al confluente del Faro, visita Yola, traversa gli Stati Haussa, ove si ferma a Sokoto, Kanò e Katsena, e per Tombuctù, segue nel suo ritorno, il Niger fino a Saï; e traversando di nuovo il Sahara, giunge per la via di Tripoli in Europa.
Le sue ricerche personali, e le preziose notizie che egli attinse, abbracciano quasi la metà di tutta l'estensione degli stati musulmani nella Nigrizia. Vogel marciando sulle loro tracce, pel Deserto di Sahara e Kuka, esplora una parte del Ba-Logomé e le paludi di Tuburi, e arriva nel 1856 a Wara nell'impero dell'Wadaï, ove egli fu assassinato per ordine del sultano di questo stato. Sette spedizioni partirono successivamente alla sua ricerca; una di esse guidata da Beurmann raggiunse lo scopo; ma costò la vita al suo capo nel 1863, dopo che da Bengazi ebbe percorso Augéla, Morzuk, la Montagna di Harug, Vao, e Kuka. Gli altri viaggiatori partiti alla ricerca di Vogel, fra i quali citerò D.r von Heuglìng, Steudner, Kinzelbach e Munzinger, pigliando la via della Nubia esplorarono una parte del territorio paludoso all'ovest dell'Alto Nilo.
Dal 1865 al 1867 Gerardo Rohlfs, che aveva anteriormente segnalata all'attenzione pubblica la sua perigliosa campagna dal Marocco a Tripoli, per Tafilet, Tuat, e Ghadames, intraprende e conduce a termine felice il suo gran viaggio a Bornù, toccando Gebes Es-Sôda e la Hamâda el-Homra; e traversa con pieno successo il continente africano da Tripoli sul Mediterraneo a Lagos nel fondo del golfo di Guinea, nell'Oceano Atlantico. Questa memorabile spedizione, una delle più ardite e più fruttuose di questo secolo, è seguita da quella del D.r Nachtigal, che nel 1870 portò al sultano di Bornù i doni del re di Prussia, in riconoscenza dei servigi prestati da questo sovrano a Barth, a Vogel, a Rohlfs.
Negli anni seguenti, Nachtigal continua le sue esplorazioni nei diversi Stati che toccano le rive del Lago di Tsad: egli riconosce le depressioni del suolo nel Batélé e ad Egaï; visita Borkù, Gundi sul Sciari, ed esplora il Ba-Logoné, il Balli, e il Ba-Batscikam: per sua opera la geografia di queste contrade ha fatto dei sensibili progressi. Egli è altresì il primo europeo, che, per la via da Murzuk a Kuka, sia penetrato a prezzo dei più grandi pericoli e delle più dure privazioni, nei paesi dei Tibbù Reschadé, e visitato il Tibesti. Egli traversò l'impero dell'Wadaï, questa terra inospitale, ove soccombettero Vogel e Beurmann; e per la via di Darfur giunse in Cordofan ed a Khartum, ove fu da noi festosamente ricevuto, ed entrò in Egitto verso la fine del 1874; collegando in tal guisa le importanti sue scoperte con quelle degli esploratori della vallata del Nilo.
Questa spedizione, che durò ben cinque anni, è una delle più rimarchevoli che sieno state compiute in questi ultimi tempi. Essa ha collocato il D.r Nachtigal al primo rango dei viaggiatori dell'Africa, ed ha aperto delle nuove prospettive a coloro, che, d'ora innanzi piglieranno i possedimenti egiziani del Sudan per base delle loro operazioni, e per punto d'appoggio delle loro intraprese.
L'Egitto, dopo il regno del grande Mahhammed-Aly, acquistò fra gli stati africani una eccezional posizione. In presenza dell'incurabile decrepitezza dell'impero degli Osmanti in Europa, esso progredisce sempre più nelle vie della civiltà moderna.
La spada del general Bonaparte sembra esser stata quella magica potenza, che risvegliò nella sua tomba trenta volte secolare il genio dell'antico Egitto. Mercé lo slancio e l'iniziativa dei suoi vicerè, e specialmente del primo Khedive, Ismail Pascià, coadiuvati dal concorso di una falange di amministratori di primo rango, trascelti da tutte le nazioni d'Europa, la vallata del Nilo ha preso un aspetto moderno. Una navigazione a vapore è organizzata su tutti i punti dal Cairo alla prima cateratta; e piroscafi egiziani percorrono il gran Fiume da Berber a Khartum, e al Fiume Azzurro, e su tutti i punti navigabili del Fiume Bianco e dei suoi giganteschi affluenti. Le locomotive fischiano appiè delle Piramidi, e non tarderanno a penetrare nel deserto, mercé il piano di Fozler, che intraprese la costruzione di una ferrovia dalla seconda cateratta di Wady-Halfa a Don-gola, e da Dabba, attraverso le steppe di Bayuda, fino a Mothhamma (quasi in faccia di Scendi) e Khartum, per una estensione di oltre mille Kilometri.
Questo rinascimento dell'Egitto, con le ambizioni territoriali che non potea fare a meno di non suscitare e stimolare, è venuto potentemente in aiuto alle doviziose conquiste della geografia africana. Il governo del primo Khedive ha prestato con sovrana munificenza agli intrepidi cultori della scienza, che fissarono i suoi stati come punto di partenza delle loro esplorazioni, un concorso generoso ed efficace.
La determinazione del bacino del Nilo, ed in peculiar modo la ricerca delle sue sorgenti, è stato sempre il termine dominante di tutte le intraprese. Queste presero due direzioni corrispondenti alle due braccia del Nilo, che confondono le loro acque presso il villaggio di Ondurman, vicino a Khartum capitale dei possedimenti egiziani nel Sudan, metropoli del commercio della Nigrizia orientale, e nodo, o punto di comunicazione fra l'Egitto e l'Africa Centrale; vale a dire, il braccio orientale, che è l'Astosabos degli antichi, o l'Abbay degli abissini, o il Bahar-el-Azrek degli arabi, cioè, il Fiume Azzurro; e il braccio occidentale, che è l'Astapus degli antichi, o il Bahar-el-Abiad degli arabi, cioè, il Fiume Bianco.
Prima di accennare al sistema Orientale del Nilo, è d'uopo toccare di volo i viaggi e le esplorazioni che si intrapresero in questo secolo, per ben conoscere i paesi dell'Etiopia che a questo sistema si riferiscono.
Enrico Salt penetra due volte dal 1805 al 1809 nell'Etiopia Orientale, e ne rapporta dati preziosi ed interessanti. Burckhardt dal 1814 al 1817 percorre la Nubia, ed il Nord dell'antica Etiopia. Caillaud nel 1819 scoperse le rovine dell'antica città di Meroe situata all'oriente del Nilo fra l'Atbara (che viene dal Tecazze, l'Astaboras degli antichi) ed il Bahar-el-Azrek, e che io ho visitato, ammirandone le antiche Piramidi. Rüppel visitò nel 1827 la Nubia orientale presso all'Abbay, rilevandone le posizioni astronomiche e le scoperte zoologiche. Nello stesso anno il Barone di Prokesch Osten visita il corso medio del Nilo.
Combes e Tamisier, dopo aver percorse nel 1834 le steppe di Bayuda, ed il territorio degli Abbàbda e dei Bisciarin visita una parte dell'Etiopia. Von Katte nel 1836 percorre il Nord dell'Etiopia. Lefevre nel 1838-39 studia le miniere del Fazoglo, mentre vi assisteva personalmente, secondo quanto mi fu assicurato da alcuni Sceikh, lo stesso Mahhammed-Aly vicerè di Egitto. Nel 1840-41 D'Arnaud, Sabatier e Werne compiono la seconda spedizione ordinata dal vicerè d'Egitto, e visitano i paesi dell'Abbay. Krapf ed Isemberg nel 1841 viaggiano nell'Etiopia e presso gli Afar, Th. Lefevre, Petit, e Quartin-Dillon esplorano il Sciré, il Goggiam e lo Sciôa dal 1839 al 1843. Rochet d'Hericourt dal 1839 al 1844 viaggia a due riprese nel regno di Sciôa, e penetra fino al paese degli Herèr.
Nel 1842 Ferret, Galinier e Rouget percorrono il Tigré ed il Simen, e ne rapportano ragguagli interessanti sulla storia naturale, sullo stato fisico, morale, politico di quei paesi, e relative posizioni astronomiche. Pallme nel 1844 visita Meroe e suoi dintorni. De-Jacobis, Sapeto, ed i fratelli d'Abbadie fanno studi importanti sulla moderna Abissinia eretta in Prefettura Apostolica, ritraendone la lingua e dialetti; e Montuori Lazzarista napoletano, con altro suo compagno, per Galabat e Gadaref, si spinge pel Fiume Azzurro a Khartum, ove esercita il suo ministero. Penay, come ispettore sanitario dei possedimenti egiziani del Sudan, percorre in epoche diverse le province di Dongola, di Berber, del Sennar, di Taka, e del Fazoglo, con residenza principale a Khartum. P. Ryllo, Knoblecher, Vinco, Pedemonte e Casolani, per Dongola e il Deserto di Bayuda vanno nel 1848 a Khartum. Brehm nel 1852 rimonta il Bahar-el-Azrek fino a Rosères.
Munzinger nel 1854 va da Massaua al paese di Bilen. Hamilton e C. Didier viaggiano nel 1864 da Suakin a Kassala e Gadaref. Burton, Speke, Herne e Stroyan esplorano il paese dei somali nel 1854-55. Beltrame nel 1855 percorre il paese da Khartum a Benisciangol. Nel 1857-66 P. Leon des Avancher percorre il paese degli Ilorma al sud di Sciôa; e Walkefield nel 1870-1873 continua la stessa esplorazione dalla costa orientale.
Von Harnier nel 1859 va da Massaua a Rosères; e il Barone di Barmin e Hartmann esplorano il Sennar e il Fazoglo nel 1860; e Von Heulin, Steudner e Kinzelbach visitano i paesi dei Bilen e Beni-Amer. Nel 1864 De Pruyssenaere traversa per diverse vie il paese fra il Nilo e l'Abbay. Schweinfurth esplora il territorio bagnato dall'Atbara e de' suoi affluenti. Ottone Reil percorre nel 1868 i territori degli Hadendoa, dei Beni-Amer e degli Habab. Rohlfs addetto alla spedizione inglese, traversa il paese dal Mar Rosso a Magdala, e ne raccoglie materiali topografici. Munzinger esplora tutte le sponde occidentali del Mar Rosso, ed il territorio degli Afar. Carlo Piaggia percorre più volte il corso dell'Abbay, il Tomat, le tribù dei Barta e dei Berta, e l'Abissinia, e specialmente il Nord, e si familiarizza in modo particolare con quelle genti, soprattutto con quelle che abitano intorno al Lago di Dembea, o Tsana, presso alle sorgenti del Fiume Azzurro. Miles nel 1871 visita il paese dei somali già esplorato da Burton; ed Haggenmacher nel 1874-75 vi penetra da Barbera a Libahèli.
Mokhtàr e Fauzi tracciano nel 1876 diligentemente la Carta da Zeila ad Herrer. Marno di Vienna esplora nel 1871-72 tutti i paesi e tribù da Khartum fino a Fadassi, secondo fra gli europei dopo Monsignor Massaia, che abbia toccato quel punto, e ne descrive amplamente in un bel volume tutti i ragguagli interessanti. Antinori, Chiarini e Martini da Zeila, sulla Baia di Tugiurra viaggiano nel 1876-77 fino ad Ankober nel regno di Sciôa; esplorano diligentemente quei paesi; e Chiarini muore in quest'anno a Gera prigioniero di quel principe. Nel 1878 Gessi e Matteucci raggiunsero per la via di Benisciangol Fadassi, con intendimento di proseguire avanti, ed incontrarsi nel regno di Kaffa coll'esplorazione italiana guidata dal marchese Antinori. Ma tornò loro impossibile di oltrepassare Fadassi; e furono costretti a retrocedere a Khartum.
Premesse queste nozioni storiche, entriamo a parlare dei due sistemi sovraccennati del Nilo. Nulla diremo delle varie opinioni dei geografi da Erodoto fino a Klöden sulle sue sorgenti. Nostro scopo in queste poche linee, è di tracciare in due parole come fu sciolto in questi ultimi tempi il gran problema di venticinque secoli, sulla positiva scoperta di tutto l'immenso bacino del Nilo, e delle sue famose sorgenti.
L'origine del sistema orientale di questo grande serbatoio d'acque, cioè, del Fiume Azzurro, è stabilito al Monte Giesch nel distretto di Sakala sotto il 10º 50' Latitudine settentrionale a sud del Lago Tzana, che poi attraversa: essa fu riconosciuta dai portoghesi nel secolo XVII, e ci venne descritta da Bruce verso la fine dello scorso secolo, il quale credeva che fosse la vera sorgente del Nilo. Questa opinione ebbe credito fino al principio del nostro secolo, in cui si riconobbe, che il Fiume Azzurro è pel volume delle sue acque di gran lunga inferiore al Fiume Bianco, il quale prima della spedizione egiziana del 1820, non era conosciuto che di nome.
Il sistema delle acque del Fiume Azzurro, e la configurazione dell'altipiano abissinico sono state più tardi riconosciute in una maniera completa da due francesi, Lefebvre, il cui viaggio ebbe luogo dal 1839 al 1843, e Leiean, che percorse l'Abissinia dal 1862 al 1864. La spedizione inglese capitanata da Sir Napier nel 1867-68, e che finì colla disfatta dell'esercito abissinese, e colla morte dell'imperatore Teodoro, ha volgarizzate le nozioni su questa specie di Svizzera africana, dove, mercé l'eroismo e la persistenza degli abissini contro dodici secoli di assalti reiterati dei fanatici settatori dell'Islam sbucati dalla Mecca, s'è conservato fino ai nostri giorni il Cristianesimo, benché guasto e corrotto dall'eresia di Dioscoro Alessandrino, che invase le Chiese di Egitto, e dell'Etiopia di S. Frumenzio.
Il signor Antonio d'Abbadie, membro dell'Istituto di Francia, fu il primo europeo che scoperse, ed illustrò il vasto territorio delle tribù dei Gallas, che dal regno di Sciôa si distende fino all'Equatore, e costituisce coll'Abissinia il grande altipiano Etiopico. Nel 1838 in compagnia di suo fratello Arnaud e del Sapeto, penetrò nell'Abissinia fino a Gondar; e di là passando il Fiume Azzurro, per Gudrù e Nonno giunse ad Enerea. Godendo l'amicizia di quel principe, che dovea sposare la figlia del re di Kaffa (paese originario del caffè più squisito del mondo, che da Kaffa ne derivò il nome), colse la propizia occasione di visitare quel regno, accompagnando come padrino di matrimonio la commissione spedita dal principe di Enerea, che doveva andare a Kaffa per prendere la sposa futura.
In Bongo, capitale del regno, rimase quindici giorni; e circondato da tutti i riguardi di quella corte reale, potè compiervi i suoi studi scientifici, ed assumere esatte informazioni della potente razza degli Uaràta, che abita il paese di Kullo, Gobbo, Ualàmo, ecc.; e tornò colla comitiva reale, per la via di Gera e Gomma, ad Enerea, donde esplorò e studiò gran parte delle tribù dei Gallas, e ne stese un magnifica Carta geografica. Egli è il più dotto conoscitore di quelle regioni e di quei popoli, dei quali estrasse le lingue e i dialetti; eseguì dei grandi lavori di geodesia sopra una lunghezza di mille chilometri, da Massaua sul Mar Rosso fino a Bongo capitale di Kaffa; rilevò i primi corsi d'acqua tributari del Giuba, e compì importanti ricerche fruttuosissime sulla fisica del globo, sulla meteorologia, sulle razze umane, e sulla loro storia.
Nel 1844-45 venuto a Quaràta sul Lago di Tsana, scrisse alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, per proporle la fondazione di una Missione ai Gallas. Fu allora che Gregorio XVI nel 1846 eresse il Vicariato Apostolico dei Gallas, affidandolo ai Cappuccini, e mettendovi alla testa Monsignor Guglielmo Massaia Vescovo di Cassia i.p.i., il quale dopo aver visitato l'Abissinia per ordinarvi dei Sacerdoti indigeni, e consacrarvi a Vescovo e Vicario Apostolico il santo e dotto Lazzarista De Jacobis, girò parecchi anni attorno alla sua missione senza potervi penetrare; visitò primo fra gli eropei i Sciangalla fino a Fadassi, finché nel 1851 per la via del Goggiam raggiunse il principato di Enerea, ed il regno di Kaffa.
Questo valoroso apostolo dell'Africa Orientale lavorò e sudò indefesso per oltre trentatrè anni in pro delle nazioni dalla Santa Sede affidategli; e dopo aver sofferto con eroico coraggio ben otto volte l'esilio, compiva testè l'ardua e laboriosa sua missione, dopo aver piantato il vessillo della fede cattolica e della civiltà cristiana fra i popoli Gallas.
Il sistema occidentale del Nilo, cioè, del Fiume Bianco, è di gran lunga più importante del precedente. L'esplorazione di questo grande bacino comincia in questo secolo col viaggiatore svizzero Burckhardt, che dal 1812 al 1814 percorse la Nubia a spese dalla Società africana di Londra, e morì, mentre tentava di guadagnare il Deserto di Libia, allo scopo di raggiungere il Fezzan. Il suo successore immediato fu il francese Francesco Caillaud, che penetrò nella Nubia Superiore fin presso al 10º Lat. Nord. Questo viaggio, che ebbe luogo dal 1819 al 1822, diede un forte impulso agli studi dell'archeologia egiziana. Le esplorazioni del Fiume Bianco prendono le mosse dal 1821, quando Ismail Pascià figlio del gran Fondatore della regnante dinastia dell'Egitto soggiogò i piccoli Melek, o re indipendenti della Nubia, del Sennar, e del Cordofan, e che nel 1822 perì bruciato vivo da' suoi nemici nella città di Scendi.
Nel giugno del 1825 l'illustre geologo Bassanese G. B. Brocchi giunse in Khartum, ove morì ai 25 settembre del 1826, lasciando un giornale copioso di notizie scientifiche. Nel 1827 il fiume venne riconosciuto da Linant de Bellefont francese, che per molti lustri poi fu ministro di Mahhammed-Aly, e dei suoi successori, e nostro generoso benefattore, il quale si spinse fino ad El-Aïs, a due gradi da Khartum. Non passò quel punto la spedizione montanistica diretta dall'illustre Gius. Russegger consigliere ministeriale austriaco, il quale però accompagnato dal Kotschy, si spinse nel 1837 nel regno del Cordofan, e visitò, il primo fra gli europei, le regioni di Takalé, e quelle di Dar-Nuba, ove noi abbiamo da qualche anno piantato una Missione cattolica. I suoi viaggi compiuti dal 1835-41, e descritti nelle sue Opere pubblicate a Stuttgard, sono un ricco tesoro per la scienza, e porgono importanti schiarimenti sulle questioni relative alla geologia, ed alla mineralogia delle contrade percorse.
Russegger e Kotschy in questi viaggi al Fiume Bianco ed al Cordofan, erano stati preceduti da Rüppel, che dal 1824 al 1833 ne avea rilevato le posizioni astronomiche, e le scoperte geologiche. Furono poi questi geografi seguiti da Carlo Lambert, che nel 1839 rilevò la strada da Khartum ad El-Obeid, ed eseguì la triangolazione di tutto il Cordofan centrale, nel tempo stesso che ne studiò le ricchezze minerali. Sui dati di questi geografi, e sulla descrizione della traversata del Deserto di Bayuda fra Dongola e Cordofan, eseguita dapprima dall'armata egiziana guidata dal Defterdar nel 1821-22, e da Holroyd nel 1837, il Pallme potè compiere nel 1844 la sua interessante esplorazione del Cordofan, e pubblicarne ragguagli importantissimi e dettagliati; i quali poi servirono ai viaggi posteriori del De-Müller e di Brehm nel 1848, del De-Schliefen, che nel 1853 raccolse i dati circostanziati sulle nuove strade seguite dalle carovane, fra Dongola e il Cordofan, attraverso le steppe di Bayuda, e del Conte D'Escayrac de Lauture, che percorse il Cordofan fino alle frontiere del Darfur, e passò nel Takalè.
La ricognizione del Bahar-el-Abiad nelle terre delle tribù indipendenti dei negri, doveva essere fatta sotto gli auspici del gran Mahhammed-Ali, che ordinò nel 1839 un viaggio d'esplorazione. Ufficiali turchi, sotto il comando del capitano Selim, fecero vela da Khartum il 17 novembre 1839, e si avanzarono fino al 6º 30' di lat. sett.; ed il 26 marzo del 1840 erano di ritorno. La spedizione constava di otto dahhabìe, o barche del Nilo con cabine, 10 cannoni, e 27 canotti; e portava 400 uomini armati, fra i quali due francesi, M. d'Arnaud, e M. Thibaut. Il giornale di questa spedizione fu tenuto separatamente dai due viaggiatori, che fu poi pubblicato. Poco dopo Mahhammed-Ali ne allestì una seconda, che partì il 3 novembre 1840, e tornò a Khartum il 18 aprile 1841. Capo scientifico di questa spedizione, che si spinse fino a Gondocoro al 4º. 42', di lat. sett. fu nominato il sullodato Sig. d'Arnaud, che ebbe a compagni Sabatier ed il prussiano Werne. Fecero essi un gran numero di osservazioni scientifiche. D'Arnaud ne pubblicò la Carta, e Werne diede una relazione del viaggio.
In seguito furono fatte diverse spedizioni sul Fiume Bianco, ed all'ovest, fino al Darfur ed ai Fertit. Non è qui il caso di accennare ai viaggi di Combes e di Tamisier, di Tremaux, del Conte Ferdinando de Lesseps, di Penay, di Johnson, di Taylor, di Gobat, di Lafargue, di Vauday, del D.r Kuny, del Duca d'Aumont, e del colonnello russo Kovalevski, che imprese nel 1848 una spedizione nel Sudan, dopo aver più volte percorse le immense steppe della sua patria. Sibbene dirò che, in seguito alle succennate esplorazioni scientifiche militari, Brun-Rollet Console sardo eseguì una serie di peregrinazioni sul vasto territorio, situato fra Khartum e il 4º grado L. N., ed esplorò e studiò minutamente le varie tribù che abitano all'ovest del Fiume Bianco, gli Hassanieh, gli Abu-Rof, i Scelluk, i Denka, i Gianghè, i Nuer, i Kich, gli Eliab, i Ghogh, gli Arol, i Scir, e tanti altri popoli.
Percorse più volte il Bahar el Ghazal, che egli appella il Misselad, ed il territorio occidentale dell'Alto Nilo, e penetra nel Banda; e dei paesi da lui visitati egli diede importanti notizie, e contribuì ad introdurre e ad agevolare il commercio europeo fra le varie tribù del Fiume Bianco. Il Viceconsole inglese Petherick intraprende cinque viaggi da Khartum pel Fiume Bianco; percorre il Niam-Aïth, o Bahar-el-Ghazal e il Bahar-el-Arab, s'interna nel paese dei Giur, e tocca il 4º F. L. N. Il Cav. Martino Hansal, membro fino dal 1853 della missione Cattolica, e da quindici anni I. R. Console austro-ungarico in Khartum, diede molte importanti relazioni scientifiche sui paesi situati fra il Tropico e l'Equatore, specialmente dopo aver passato qualche anno nella nostra Missione di Gondokoro, ove studiò pure la lingua Barica. Nel 1857 i Fratelli Poncet (Ambrogio e Giulio) esplorano l'Alto Nilo fino a Regaf, s'internano nel paese dei Nuer, dei Giur sino a Dar-Fertit, e raccolgono informazioni sui paesi più al Sud fino a Bambura (Uelle). Alessandrina Tinne, Von Heuglin, e Steudner esplorano il Niam-Aïth, e gran parte del territorio all'occidente dell'Alto Nilo, che rimontano fino al Gondokoro.
Latif Effendi (il maltese De-Bono) nel 1855-57 fece una lunga e faticosa esplorazione nel Fiume Sobat, uno dei più grandi affluenti del Bahar-el-Abiad. Questo negoziante, come narrommi egli stesso, e lo constatai da chi l'accompagnava, passò oltre a tre anni in questo fiume; è certo che nessun europeo si spinse avanti più di lui nel Sobat. Ma siccome il suo unico scopo era di fare il commercio dei denti di elefante, e di arricchirsi col suo traffico, non lasciò scritto nessun ragguaglio importante. Percui, il vero corso del Sobat rimane ancora avvolto nel mistero. Nel 1859 il R. D. Beltrame, D. Melotto, ed io, dopo essere penetrati l'anno innanzi con D. Gius. Lanz nel paese di Ghogh, all'ovest del Fiume Bianco, fra il 6º ed il 7º gr. L. N., ci addentrammo per otto giornate nel Sobat, fin dove potè giungere la nostra barca, e ne tracciammo diligentemente quella parte, sulla quale abbiam pubblicato una relazione. Dopo di noi vi fu taluno che si addentrò in questo grande e misterioso fiume, ma solo per qualche giorno di cammino; finché nel 1876 Junker esplorò il suo corso inferiore fino ad un certo punto, e ne tracciò una carta.
Finalmente la Missione cattolica dell'Africa Centrale, eretta con Breve Pontificio 3 aprile 1846 dalla s.m. di Gregorio XVI, ed installata la prima volta in Khartum al febbraio del 1848, contribuì poderosamente ad illustrare colle sue opere, coi suoi studi, e colle sue esplorazioni la scienza geografica del sistema occidentale del Nilo. Nel 1849 e 1850 il D.r Ignazio Knoblecher di S. Canziano presso Lubiana, Capo della Missione cattolica, e D. Angelo Vinco dell'Istituto Mazza di Verona, ed altri missionari, raggiunsero il punto estremo toccato dalla spedizione egiziana nel 1841. Il Vinco fu il primo degli europei, che abbia fatto la più lunga dimora sul Nilo Bianco a quella latitudine; e nel suo soggiorno in quelle parti egli osservò il clima, la natura del paese, viaggiò alcune giornate lontano dalla riva, visitò i Beri, vide nuove tribù, ne studiò la lingua, i costumi e l'indole.
Per opera sua si piantò la stazione di Gondokoro, nella quale il Pro-Vicario Knoblecher, con grande stupore di quei popoli, fece costruire secondo il sistema europeo la casa della missione, con bellissimo giardino, ed un tempio consacrato alla Madonna. Egli diede importantissime notizie sul corso inesplorato del Nilo, su quello de' suoi affluenti, e sulle popolazioni che vivono nelle regioni equatoriali delle ricercate sue sorgenti. Tra quei popoli, ed a quelle sorgenti era egli per imprendere un viaggio nel 1852, con una compagnia di negri, dai quali era mirabilmente stimato: ma travagliato incessantemente dalle febbri, non potè condurre a compimento l'ardita esplorazione. Le sue forze furono minori del suo cuore; ed il 22 gennaio 1853 la religione e la scienza lo perdettero irreparabilmente; ed egli fu il primo martire della fede e della civiltà del Fiume Bianco.
Più di lui ancora fu benemerito della scienza e della Geografia del sistema occidentale del Nilo Monsig. Knoblecher, Pro-Vicario Apostolico dell'Africa centrale.
Egli delineò più volte il gran fiume da Khartum sino a Gondo-koro, ne tracciò il corso, ne misurò l'ampiezza e la profondità, ne calcolò la celerità, ne descrisse i popoli e le tribù che abitano le sue sponde. Egli poi si avanzò considerevolmente verso il Sud, per iscoprirne i misteri. Ai 16 gennaio del 1850 toccò la latitudine Nord del 4º 9'; ed ai primi di giugno del 1854 s'inoltrò fino al 3º grado di Lat. sett., dove cominciano le cateratte; al di là delle quali il gran fiume esce dal vasto bacino dell'Alberto Nyanza. Nessun europeo, prima di lui, avea raggiunto fino allora un punto sì lontano nell'Alto Nilo verso l'Equatore. Mons. Knoblecher è il primo iniziatore della vera civiltà cristiana nell'Africa Centrale.
Da Alessandria a Gondokoro egli è conosciuto col nome di Abuna Soliman (Padre Solimano). Il nome di Abuna Soliman è pronunciato con grande rispetto dai popoli della Nubia e del Fiume Bianco. Le sue opere di apostolato, ed i lavori dei suoi missionari, fra i quali è d'uopo citare Gostner, Kirchner, Überbacher, Lanz ed altri, non che i missionari dell'Istituto Mazza di Verona, come pure i fasti e i sudori della Missione dell'Africa Centrale, e gli studi sulle lingue del Fiume Bianco, e specialmente la Dinkaica e la Barica, sono registrati negli Annali della Propagazione della Fede di Lione e Parigi, di Vienna e Colonia, nei bollettini della Società Geografica di Vienna, e nelle opere del dottissimo Professor Mitterrutzner di Bressanone.
Queste scoperte ebbero un impulso straordinario da un altro punto dell'Africa. Il quadro meraviglioso che io son per accennare, e che si è compiuto in soli cinque lustri, ha rivelato i più importanti misteri della geografia africana.
Nel 1848 e 1849 i due viaggiatori tedeschi Rebmann e Krapf scoprono al Nord del Zanzibar, e quasi sotto la linea, due alte montagne coperte di nevi perpetue nelle quali, essi credono di conoscere i Monti della Luna di Tolomeo, e la sede principale delle sorgenti del Nilo. Questa scoperta stimolò tutto ad un tratto d'una maniera straordinaria lo zelo degli esploratori. S'intravvide sin da quel punto la possibilità di penetrare dalla parte del sud nella vallata del Nilo, e di arrivare per questa via alla soluzione del grande problema.
Due ufficiali Inglesi dell'armata dell'India, i capitani Burton e Speke, ricevono dalla Società Geografica di Londra la missione di tentare questa grande intrapresa. Nel 1857, essi partono da Zanzibar, volgono in retta linea verso l'interno, e arrivano al 13 febbraio 1858 sulle sponde del lago Tanganika. E' questa una data memorabile negli Annali delle esplorazioni africane. Dopo aver traversato il lago in tutta la sua larghezza, i due viaggiatori si separano. Burton è colto e malmenato dalle febbri. Speke muove solo verso il nord, e tocca in questa direzione la spiaggia meridionale d'un secondo e vasto serbatoio, chiamato dagli indigeni Ukerewe, ma a cui Speke dà il nome della Regina d'Inghilterra, Vittoria Nyanza.
Convinto di aver trovato questa volta la vera sorgente del Nilo, Speke si rimette ben tosto in viaggio accompagnato dal capitano Grant. Nel 1861 la spedizione si ritrova presso il lago Vittoria, che essa gira attorno dalla parte dell'Ovest, senza punto accorgersi della vicinanza d'un altro gran Lago; e penetra nel paese di Uganda, il cui re M'tesa l'accoglie festosamente con ogni favore. Sulla sponda settentrionale del lago, Speke e Grant ne scoprono l'uscita, che essi segnalano da questo momento come il ramo originario del Nilo. Quantunque non abbiano potuto costantemente percorrerne il corso, le asserzioni dei due viaggiatori inglesi hanno ricevuto dalle susseguenti intraprese, e specialmente da quelle del Colonnello americano Long, nel 1874, e di Stanley nel 1875 la più sfolgorante giustificazione. Al loro ritorno, Speke e Grant incontrano a Gondokoro Samuel Baker, che aveva già intrapreso colla sua eroica compagna in senso inverso la medesima esplorazione. La congiunzione delle due spedizioni annunzia evidentemente, che la soluzione del grande problema è vicina.
Proseguendo la sua marcia verso il sud, a prezzo d'incredibili privazioni e sacrifizi, Baker riprende il Nilo alle cascate di Karuma, punto dal quale i due capitani suoi antecessori s'erano allontanati, e riconosce che il fiume si scarica in un secondo e vasto bacino, il Mwutan, a cui dà il nome dell'augusto consorte della Regina d'Inghilterra Alberto Nyanza. Era il marzo del 1864. Quantunque Baker non abbia veduto che una piccola parte del littorale di questo lago, e non ne abbia punto scoperta l'uscita, pure il sistema principale del Nilo è fin d'allora quasi determinato.
Queste grandi scoperte, spronando e stimolando l'ardore dei viaggiatori e degli scienziati, danno origine contemporaneamente a vasti piani politici. Il concentramento di tutti i territori che compongono l'immenso bacino del Nilo sotto lo scettro del Vicerè d'Egitto, diventa al gran Cairo un pensiero decretato e stabilito, la cui attuazione passa rapidamente nel dominio dei fatti compiuti. Nel 1870 Sir Samuel Baker innalzato al grado di Ferik Pascià, muove dal Cairo alla testa d'un piccolo corpo d'armata, colla missione di stendere fino ai Laghi Nyanza l'autorità del Khedive, e col pretesto di reprimere la tratta degli schiavi. Questa spedizione, che costò al tesoro egiziano l'enorme somma di più di ventisei milioni di franchi, non riuscì per nulla al suo compito.
Nel 1874 il Colonnello Gordon nato in Inghilterra, e nominato pure Ferik Pascià, fu incaricato di riassumerla sopra basi differenti. Gordon Pascià, che era già celebre pel suo straordinario valore in ben più di venti strepitose battaglie nella Cina, ove, a servigio dell'imperatore celeste, avea domato i ribelli, era uomo capace di corrispondere all'altezza della sua missione. Dotato di eroico coraggio, di fermezza incrollabile come uomo di guerra, e di cuor generoso, egli con fisso proposito di evitare qualsiasi spargimento di sangue, intraprese la sua grand'opera, che diede già dei luminosi risultati, e piantò l'egiziano vessillo a poca distanza dalla residenza del gran re M'tesa presso l'Equatore, e non lungi dal Vittoria Nyanza.
Gordon Pascià col suo coraggio perseverante diede un gran colpo all'orribile piaga della tratta degli schiavi. Ma Gordon avea bisogno di un braccio potente, di un uomo che entrasse bene addentro nelle sue viste, e che ne eseguisse i suoi piani e concetti. L'uomo più adatto a coadiuvarlo poderosamente nell'arduo compito, era il capitano Romolo Gessi, nativo di Ravenna, versatissimo nell'arte militare, dotato d'un invitto coraggio e di sangue freddo, d'una mingherlina ma ferrea costituzione, e d'una costanza a tutta prova, il quale nella guerra di Crimea avea seguito l'armata inglese come interprete, conoscendo bene l'inglese, il tedesco, il francese, il turco, il greco, l'armeno, ed altri idiomi.
Gessi avea bisogno di Gordon; Gordon non avrebbe potuto riuscire a sì ardua intrapresa senza il braccio, la fedeltà, e la persistenza di Gessi, che fu egli pure innalzato al grado di Pascià. Parlerò in altro luogo delle vittorie di Gessi, il domatore del fiero Soleiman Ziber, e di molt'altri crudeli negrieri, mercanti di carne umana, che egli fece passare per l'armi sul Bahar-el-Ghazal, dando così un buon colpo all'orribil traffico degli schiavi, nel territorio meridionale del già soggiogato impero del Darfur. Solo accennerò che, per opera di Gordon coadiuvato da Gessi, la dominazione del Khedive acquistò nelle contrade vastissime, situate fra il Sobat ed il Nyanza, una base pressoché stabile e sicura; ed il tentativo di trasportare pel Nilo un battello a vapore sul Nyanza Alberto, fu per opera di Gessi coronato d'un felice successo. Egli riuscì, dopo incredibili difficoltà, a penetrare per terra, col battello ridotto in pezzi, da Regiaf a Dufli, ove il fiume è navigabile fino al Mwutan. Egli, primo fra gli esploratori, percorse il giro delle spiagge dell'Alberto Nyanza, che al sud trovò intersecato da un ammasso di Ambag (Aedemonia mirabilis); e le sue comunicazioni su tutta la estensione di quel grande bacino, vennero splendidamente confermate da quelli, che in appresso lo visitarono, dietro il mandato del governo egiziano.
Il corso del Nilo Bianco, ossia, di tutto il sistema occidentale del re dei fiumi, venne in tal guisa determinato in una maniera definitiva.
Un altro viaggiatore, celebratissimo per l'ardimento, e per la fortuna delle sue grandi intraprese, è l'americano Enrico Stanley, il quale, eseguita la circumnavigazione del Vittoria-Nyanza, che riceve in sé dieci fiumi, e misura più di 1.600 chilometri di circuito, completò sopra un altro punto queste importanti e luminose scoperte.
Da questo lato si presenta infatti un altro vastissimo campo d'investigazione. Si tratta di tracciare a l'occidente la linea delle altezze, che costituiscono la demarcazione del grande bacino del Nilo Bianco, e di riconoscere il sistema dei suoi numerosi affluenti. Su questa via, d'altra parte, si sarebbe potuto incontrarsi coi viaggiatori, che esploravano la parte centrale del Sudan, e collegare in tal guisa le osservazioni fatte, partendo da punti opposti.
Qui noi incontriamo successivamente: i fratelli Poncet, che nel 1857-60 esplorano il paese dei Giur ed il Dar-Fertit, e raccolgono importanti notizie sui paesi più al sud fino all'Uelle; De Malzac e Vayssière, che parimenti nel 1857-60 percorrono il Mareb, il Nam-Aïth, i Ghogh, gli Arol, i Giur, e gran parte dell'ovest dell'Alto Nilo, fino a Runga (io ho visitati nel 1859 questi due viaggiatori nelle loro Stazioni commerciali ai Kich; e De Malzac mi asserì che presso i Runga ed altre tribù dell'interno, vide centinaia e migliaia di teste umane dei vinti nemici, appese agli alberi della via per cui era passato, e che tale era l'uso e sistema dei vittoriosi); Antinori, Miani, e Carlo Piaggia, che nel 1860 percorrono le rive del Bahar-el-Ghazal, e il territorio dei Giur, e quest'ultimo si spinse sino al Fertit; Penay, De Bono, che visitano taluno degli stessi paesi dalla parte del Fiume Bianco nel 1861 (Penay vi muore nello stesso anno); il console inglese Petherick, che nelle sue corse ed esplorazioni commerciali reiterate, dal 1848 al 1863, penetra, verso il Sud, fino al paese dei Niam-Niam, ove il nostro Carlo Piaggia soggiorna per due anni, dal 1863-65.
Due tedeschi: Teodoro de Heuglin, ed il botanico Steudner (il quale morì nel corso di questa campagna) spingono al di là del Bahar-el-Ghazal, e del Giùr le loro esplorazioni, fino alle negre tribù del Dar-Fertit; e Leiean, che dal Cordofan si spinge al Bahar-el-Arab, ed è il primo fra gli europei a rilevare il corso del Nam-Aïth affluente del Fiume Bianco. Tutte queste spedizioni preparano il grande e rimarchevole viaggio del D.r Schweinfurth, che, partito nel 1869 da Khartum, arriva fino al 3º 35' di latitudine Nord, attraversando il paese dei Niam-Niam e del Mombùttu. Egli descrive minutamente questi popoli prima di lui sconosciuti, tocca di fatto la linea, del resto poco marcata, che separa il bacino del Nilo da quello del Lago Tsad, e scopre sul versante occidentale un fiume ancora misterioso, che egli chiama Uelle. Arrivato a questo punto, il coraggio dell'ardito viaggiatore non era ancor venuto meno; ma la mancanza delle sue pecuniarie risorse lo hanno sforzato a retrocedere. Se avesse potuto disporre di maggiori mezzi, egli certamente avrebbe impegnata la sua gente di scorta a penetrare fin nel cuore del Sudan, ove egli mirava ad incontrarsi col D.r Nachtigal al Bornu, od in altri regni centrali.
Il coraggioso veneziano Miani, che nei viaggi precedenti s'era molto avvicinato all'Equatore, nel 1869, accettando dall'eccellentissimo Giafar Pascià governatore del Sudan egiziano uno stipendio mensile di mille piastre egiziane (260 franchi) quale viaggiatore scientifico, riunitosi ad una spedizione commerciale del signor Gattasc negoziante cofto, partì da Khartum, e navigando sul Fiume Bianco fino ad Abukuka, smontò ai Kich, e pei Gogh, Arol, ed i Giur, si spinse fino a Bakangoï sull'Uelle; ed affranto dalle privazioni, dalle fatiche, e più, dalle crudeli vessazioni della sua scorta, morì nel paese dei Mombuttu nel novembre del 1872, lasciando in eredità una piccola raccolta di oggetti etnografici, e due giovanetti Akka, perché fossero trasmessi al defunto Re Vittorio Emanuele II. Questi due giovani, sono stati accolti generosamente dalla nob. famiglia Miniscalchi, e con paterna cura istituiti nella religione cattolica e nelle scuole elementari dal valente maestro Scarabello di Verona. Il sig. Marno poi nel 1875 operò una ricognizione della riva sinistra del Nilo Bianco, nella direzione delle contrade, che Schweinfurth avea visitate per un'altra via; ed esplorò in compagnia del colonnello americano E. Long il territorio dei Makraka, che un anno dopo percorse il Junker.
I Sig. Kemp, Chippendall, Watson, Linant de Bellefond e Long, cogli altri membri della spedizione comandata da Gordon Pascià, hanno tracciato la Carta del vero Nilo fino al Nyanza Vittoria, da Khartum a Regiaf, Makedo, Dufli, Magungo, Sciôa-Moru, Foweira, e M'ruli. Long esplorato il Makraka, s'avanza fino a Rubaga, residenza del Re M'tesa. Di là egli parte, e scopre il Lago di Kabeki (Lago Ibrahim), che fu poi in seguito esplorato da Carlo Piaggia; e Linant de Bellefond delineò la Carta della via da lui tenuta fino alla capitale del re M'tesa. Il dotto e valente Emin Bey (Dottor Schnitzler) esplorò diligentemente nel 1876-77 il Regno di Unyoro, e quello di Uganda, e porse ragguagli interessantissimi sulla flora dell'Africa Centrale, dal Sobat all'Equatore.
Qui dovrei toccare le vie che gli esploratori han tracciate dalle coste orientali dell'Africa all'interno di questo immenso continente. Smee nel 1811 visita il corso inferiore del Giuba; Krapf, Rebmann e Erhard esplorano dal 1843 al 1855 il paese, che si stende appiè del Kenia e del Kilima-Ngiàro dalla parte del Sud-Est. Nel 1845 Maizan da Bagamoyo penetra, il primo, nell'Uzaramo, ove fu ucciso. Rebmann nel 1846 esplora il littorale fra Mombasa e Malindi. Guillain nel 1846-48 naviga lungo le coste del Zanguebar, e del paese dei Tuaheli, e vi compie interessanti lavori idrografici. Nel 1861 Rigby visita il Giuba fino a Berdèra, ove egli è massacrato con molti de' suoi compagni di viaggio. Nel 1865-75 Wakefield e New fanno delle escursioni sopra la costa orientale, e raccolgono dati certi sulle vie per giungere ai grandi Laghi. Il P. Horner nel 1870 da Bagamoyo s'inoltra fino a Kinolé capitale dell'Ukami.
Nel 1871 Brenner esplora il paese degli Ilmorna fra il corso inferiore del Dana e del Giuba. Walkefield continua detta esplorazione dalla costa orientale. New intraprende due viaggi a Kilima-Ngiaro Hildebrandt nel 1806 va da Mombasa a Kitui; e nello stesso anno Cotterit e Price riconoscono la riviera del Quilimane, e la via da Sa'Adani a M'pwapwa. Nel 1876-78 ha luogo la grande spedizione anglicana della Società dei missionari di Londra, detta: Church Missionary Society, che provveduta di grandi mezzi materiali, e di gran somma di denaro, e munita di una lettera autografa della Regina Vittoria diretta a M'tesa re di Uganda, secondo che lessi in un giornale francese, dalla Costa del Zanguebar si reca ai grandi Laghi Equatoriali, per piantarvi delle missioni anglicane. Sono circa venti missionari inglesi, fra i quali primeggiano i Signori Shergold Smith, D.r Wilson, Smith, Mackay, Hartnell, Clark, O'Neil e Robertson, i quali esplorato il Wami ed il Kingami, marciano da Bagamoyo al Nyanza, e traversano questo grande bacino dal Sud al Nord.
Oltre a questi, altri tre della stessa Società, cioè, i Signori: D.r Felkin, Pearson, e Lichtfield per la via di Berber (ove furono alloggiati nella nostra casa di Missione) e Khartum, nel 1878 si dirigono pel Fiume Bianco ai Nyanza. Sennonché, alcuni di essi morirono di febbre; Smith ed O'Neil con 100 uomini di scorta furono massacrati in un'Isola del Lago Vittoria; ed il D.r Wilson con alcuni compagni rimase per qualche tempo a Rubaga capitale del re M'tesa. Ma poi nel 1879 furono costretti ad abbandonare il campo della loro azione, e se ne tornarono per la via del Nilo in Inghilterra.
Ma lo zelo apostolico, che attinge la sua forza dall'alto dei cieli ed appiè della croce, non si sgomenta dei turbini e delle procelle. Questo campo sublime, benché irto di tante spine, doveva essere occupato da una falange di veri apostoli, che ricevettero da Dio la missione legittima di coltivarlo. L'inclita Congregazione dei Missionari d'Algeri fondata dall'eminente Arcivescovo, Monsig. Carlo Marziale Allemand Lavigerie, allo scopo di evangelizzare le regioni ancora infedeli dell'Algeria e il Deserto di Sahara, accorse, benedetta dal Vicario di Cristo, per predicare la fede ai popoli dell'Africa equatoriale. Ben due spedizioni di pressoché trenta banditori del Vangelo si raccolsero a Zanzibar nel 1878-79; e per vie diverse penetrarono e si stabilirono, parte sul Lago Tanganika, e parte sul Vittoria-Nyanza, ove furono cortesemente accolti dal re M'tesa, il quale sinora li circonda dei suoi aiuti e della alta sua protezione.
Frattanto, ecco aprirsi alle ricerche della scienza e della geografia africana un campo vastissimo, ed affatto nuovo. E' il centro medesimo dell'Africa equatoriale, che già sprona e sollecita non meno la curiosità ed il coraggio dei viaggiatori, che lo zelo apostolico dei missionari.
Queste vaste regioni incognite dell'altipiano centrale, di cui le spedizioni nel Sudan e nella vallata del Nilo fecero ondeggiare testé il confine settentrionale fra il 2º ed il 10º grado di latitudine Nord, sono state non di rado esplorate all'intorno sulle loro alte frontiere. Le spedizioni portoghesi hanno avuto, ad una epoca abbastanza remota, su questo teatro un'importanza, che in generale non si riconosce abbastanza. I grandi stati del Kazembe, e del Muata-Yamvo, che cominciano soltanto oggi ad uscire dell'oscurità, sono stati percorsi ed esplorati durante la prima metà di questo secolo da tutta una serie di viaggiatori portoghesi e d'altre nazioni, che dalla costa occidentale sono giunti sino al confine orientale dell'immenso altipiano.
Nel 1793-1801 il medico portoghese De Lacerda e Almeida partendo da Senna, guadagna il Zambesi, e arriva a Lusenda, residenza di Kazembe, ad oriente del Lago Moreo. La scienza va debitrice al De Lacerda delle prime determinazioni astronomiche di quella parte dell'Africa. Nel 1806-15 i fratelli Pombeiros traversano la parte meridionale del continente africano, da Loanda sulla costa occidentale a Sofale sulla costa orientale, passando per la capitale del Kazembe. Owen compie dei lavori idrografici sul Basso Zambesi nel 1826. Monteiro e Gamitto nel 1831-35 rimontano il Zambese, penetrano fino nell'impero di Ulunda. Nel 1843-46 Graça, da Baguela s'avanza fino alle vicinanze del Lago Moero. Nel 1841 Livingstone, Oswell e Murray esplorano i territori all'ovest della Repubblica del Transvaal, guadagnano Seckek sul Zambese, e scoprono nel 1848 il Lago di Ngami.
Galton nel 1850-51 s'avanza sino ai confini del deserto di Cala-hari, giunge al paese del Damara, e ne rileva le posizioni astronomiche. Anderson nel 1851-53 traversa il paese del Nama-Kwa, e giunge fino al corso inferiore del Kùméné.
Ladislao Anerigo Magyar, al quale il matrimonio con una principessa indigena di Bihé presta ed imprime fra i suoi emuli una fisionomia particolare, esplorò una gran parte dell'Ovest dell'Urùa, e tocca Yah Quilem nei dintorni di Kasal. Questo grande viaggiatore ungherese percorse dal 1847 al 1857 il centro dell'Africa Australe, dell'Oceano Atlantico all'Indiano, fra il 4º grado ed 22º Lat. Meridionale, e visitò ventisei fiumi, e molti paesi che non si conoscevano neppur di nome; e dopo avere studiato nel 1860 l'Angola, muore nel 1864 a Kuya nel Benguela.
Nel 1853-58 Silva Porto traversa l'Africa da Benguela al Capo Del Grado. Green e Wahiberg esplorano nel 1856 il Lago Ngami ed il Tiogué suo affluente, ed i paesi più all'ovest
Nel 1860 Roscher esplora le vie del Kondutsci a Kilwa; da Kilwa e Mesulé, e a Nusewa sul Lago Nyassa; e finalmente da Nusewa a Kisunguni. Nel 1860-64 Von der Decken, Thornton, e Kersten esplorano la costa orientale fra il Malindi e la riviera Ruvuma, la strada da Kilwa a Mésulé, il Zambese fino al confluente del Kafué, ed il masso del Kilima-Ngiaro, la cui triangolazione è eseguita dal Thornton. Nel 1873-75 Güssfeldt, Bastian , e Pechnel Lösche riconoscono, nella regione equatoriale, il littorale dell'Oceano Atlantico fra il Zairo e il Kuilu. Nel 1876 Yung naviga sul Lago Nyassa, e constata che questo bacino si stende fin verso il 9º grado Latitudine Sud. Finalmente a queste grandi esplorazioni pigliano attivissima parte i signori Von Homeyer, Pogge, e Lux, membri della spedizione germanica per l'esplorazione dell'Africa occidentale. Von Hemey-er tocca Kassangi. Pogge e Lux si spingono più avanti sino a Kim-bundu. Infine Lux s'avanza solo fino a Lussumba, capitale del Muata Yanvo.
Sulla costa occidentale d'Africa, il capitano inglese Tuckey rimonta nel 1816 il Congo, senza poter riuscire ad oltrepassare le cateratte di Yellala, e soccombe all'influenza perniciosa del clima. Insieme a lui, Smith esplora e riconosce il corso inferiore di questo gran fiume fino alle suddette cateratte. Nel fondo della Baia di Biafra, Burton e Mann effettuano nel 1860 l'ascensione del picco gigantesco di Mongo-Ma-Loba Camerum, visitano i paesi dei Fan, e rimontano il Congo fino alle suaccennate cateratte di Yellala. Du Chaillu nel 1856 e nel 1864 esplora successivamente le imboccature del Gabon, dei Muni, e dell'Ogué, e penetra al Sud di quest'ultimo fiume, a più di 200 chilometri all'interno del continente.
Nel 1859 Braouézec traccia le riviere che si gettano nell'estuario del Gabon. Serval, Griffon du Bellay, Reade, Abigot e Genoyer, ed Aymes esplorano il corso inferiore dell'Ogowai (Ogué); e i primi due ne riconoscono i territori circonvicini e la riviera Rhemboé. Dopo di questi l'inglese Walker, ed i grandi viaggiatori francesi Marche e il Marchese di Compiegne continuano l'esplorazione dell'Ogué fino al confluente della riviera Ivindo. Walker in un secondo viaggio esplora l'Ogawaï ed il territorio vicino fino a Lopé, di cui determina la posizione astronomica. Questi ultimi determinano nel 1874, al di là delle cascate di Bué, il punto estremo raggiunto fino a quell'anno dagli europei. Nel 1875 Lenz membro della spedizione germanica suddetta rimonta il Muni e l'Ogué, fino al confluente del Scebe.
Il conte Pietro Sarvognan di Brazzà patrizio romano al servizio della marina francese, il D.r Ballay e Marche nel 1875-77, esplorano l'Ogué, compongono una carta del suo corso, fra Lupé e il confluente del Bambi. Ma il conte Brazzà accompagnato da Ballay e da Marche, nel 1877-78 si spinge avanti più di tutti nell'interno; e compie un difficilissimo e rimarcabile viaggio, a prezzo d'inaudite privazioni e sacrifizi, che diede molti lumi ed importanti notizie alla scienza geograica africana, e meritò la medaglia d'oro dalla Società Geografica Italiana.
Dall'Africa Australe partono altre spedizioni interessantissime. Nel 1803-06 il D.r Lichtenstein percorre la colonia del Capo di Buona Speranza sino ai confini settentrionali. Nel 1814 Barrow esplora l'interno del Capo. Il D.r Kowan partendo dal Capo nel 1808, tocca il Fiume Limpopo. Burchell e Thomson traversano il Capo in tutte le direzioni, e ne esplorano il nord. Philipp riconosce alcune parti del Capo, e nel 1820 si spinge fino a Natal. Hallbeck esplora nel 1827 le rive ed il corso del Nu-Garlép, o Fiume Orange. Nel 1828 Cowie e Green viaggiano al Nord del Capo traversando lo stato libero di Orange, e guadagnando la Baia di Lagoa. Alezander nel 1837 dalla città del Capo, toccando l'occidente, percorre il paese dei grandi Nama-Kwa, e tocca la Baia della Balena; ed Harris nello stesso anno visita lo stato libero di Orange e la Repubblica del Transvaal. Nel 1841-44 Wahlberg esplora il Nord del Capo fra Natal ed il Limpopo, ed entra nella Baia della Balena e nel Lago Ngami. Owselle Murray esplorano i territori all'occidente della Repubblica del Transvaal nel 1841-48, e arrivano fino a Schek sul Zambese. Gordon Camming percorre in tutti i sensi il territori del Transvaal; e Macabe e Mahar esplorano nel 1852 i paesi del Ba-Rolong, e visitano le rive settentrionali del Ngami.
Nel 1854 Moffat ed Edwards esplorano le parti settentrionali della Colonia del Capo. Chapman nello stesso anno percorre in tutti i sensi la vallata della riviera Zuga nel bacino del gran lago salato al nord-ovest del Transvaal. Hahn e Rath esplorano nel 1857 il paese dei grandi Nama-Kwa. Nel 1861-63 Baines e Chapman partiti dalla Baia della Balena, al nord della Colonia del Capo, toccano il lembo orientale del deserto di Kalahari, e si spingono fino al lago Ngami ed alle cateratte del Zambese. Sono importanti i lavori di Moffat sui paesi del Capo. Il zoologo tedesco Fritsch passa tre anni, dal 1864 al 1866, nella Repubblica di Orange e presso i Betsciuana; e riunisce, nelle sue corse scientifiche, gli elementi del suo sapiente lavoro sui popoli dell'Africa meridionale. Nel 1869 Ed. Mohr intraprende il suo viaggio alla grande cateratta del Zambese. Ch. Mauch nello stesso tempo percorre il Transvaal, ed il regno di Mosilikatsé; egli trova la situazione aurifera di Tati, esamina e solca nel 1872 tutta la regione del sud est, e scopre, dal 20º grado di latitudine merid., le rovine rimarchevoli di Zimbabé.
Raines negli anni 1864-75 pone ogni studio, in diversi viaggi, per bel conoscere il Transvaal, i regni di Matien e di Sekelletu, ed i territori situati al nord del Deserto Kalahari. Hahn percorre il paese di Damara, e Krönlein una parte di quello dei Nama-Kwa. Nel 1868 Erskine viaggia nel paese degli Amazulu, nella Repubblica di Trans-vaal, e nel regno di Ünzila, e segue il corso del Limpopo fino alla sua imboccatura, e ne determina le posizioni astronomiche. Il D.r Griesbach nel 1870 percorre le Colonie del Capo e di Natal, il paese degli Amazulu, ne determina le posizioni astronomiche, e ne rileva importanti cognizioni geologiche. Bullo, Hübner ed Elton esplorano nello stesso anno, in diverse direzioni, lo stato libero di Orange e la Repubblica del Transvaal, Erskine nel 1872 intraprende il secondo viaggio al Transvaal, nel paese dei Zulu, e sul corso inferiore del Fiume Limpopo. Nel 1874-78 il D.r Holub percorsa la parte occidentale della Repubblica del Transvaal, esplora il regno di Matabelé, il gran lago salato sui confini settentrionali del deserto di Kalahari, e s'avanza fino a Sechek sul Zambese. Infine la recente spedizione inglese contro i Zulu, o Amazulu, contribuì potentemente a dare le più esatte doviziose notizie sovra una parte dei paesi, che costituiscono l'Africa Australe.
Ma un nome illustre fra tutti domina dall'alto gli esploratori che lo hanno preceduto, i suoi contemporanei, e quelli che gli succedettero fino ad oggi, su questo grande teatro d'investigazioni e peregrinazioni africane. Davide Livingstone occupa luminosamente un posto specialissimo nella storia delle scoperte dell'Africa. Durante più di trent'anni quest'uomo ammirabile, con un ardore infaticabile, e con una energia straordinaria vi esercitò il più splendido e sublime apostolato della scienza. Egli percorse, lui solo, dal sud al nord, e dall'ovest all'est, la metà del continente africano, divenuto in qualche modo sua seconda patria.
Le corse d'investigazione di Livingstone cominciano nel 1840 nella missione anglicana di Kuruman, presso i popoli Betsciuana. Esse lo conducono, e lo guidano nel 1845 sulle spiagge del Lago Ngami, il primo dei mari interni scoperti in Africa. Le sue esplorazioni si stendono a quest'epoca, sui territori situati al Nord del Capo di Buona Speranza, ove s'è fondata dipoi la repubblica del Transvaal, e sul Zambese a Sechek. Dal 1853 al 1856 Livingstone effettua il primo dei suoi grandi viaggi. Egli si alza dalla parte del Nord verso il corso superiore del Zambese, del quale egli discopre la magnifica cascata, più imponente ancora di questo fiume, ed internandosi verso l'Occidente, si spinge fino a Loanda, sulla costa dell'Oceano Atlantico. Da questo punto egli ritorna addietro, traversa l'Africa in tutta la sua profondità, e va a sboccare a Quilimane sull'Oceano Indiano scoprendo il Lago Didolo, e le sorgenti del Liba.
Dal 1858 al 1861, egli effettua una serie di viaggi, che gli permettono di compiere la demarcazione del bacino del Zambese, ne esplora il corso inferiore, rimonta attraverso una successione di cateratte l'affluente del Sciré, e si assicura che questa riviera non è che il canale di scarico di un immenso serbatoio, che è il lago Nyassa. Egli, col suo compagno di viaggio, il Sig. Kirk scopre ancora il Lago di Scirwa, che esplora in tutta la sua estensione.
Dopo una breve interruzione, durante la quale egli rivede l'Inghilterra, Livingstone intraprende nel 1866 la sua terza ed ultima spedizione. Egli parte dalla Baia di Mikindami per l'imboccatura della Rovuma, gira il Nyassa pel sud, esplora i paesi del Mazitù, guadagna il Loangwa, il monte Urungù; e per Itawa penetra nelle contrade affatto sconosciute, che si stendono a l'ovest del Nyassa. Indi egli esplora l'Ulunda, e la capitale del Kazembé, e visita le Isole Mpabala del Lago Bangueolo. Là egli incontra una nuova serie di laghi, il Bangueolo, il Moero, il Komolondo che riunisce e lega un potente corso d'acqua, il Luabala o Luapula, che Livingstone crede erroneamente sia un braccio originario del Nilo, ma che le ultime scoperte hanno definito che appartiene al sistema del Congo. Nel 1869 egli tocca il Lago Tanganyka, che in parte attraversa; poi riprende il viaggio ad Ovest, ed arriva a Nyangwé limite settentrionale delle sue esplorazioni.
Egli ritorna sfinito di forze ed ammalato ad Ugigi, ove egli incontra nell'autunno del 1871 Enrico Stanley, inviato a ricercarlo, stanteché più volte era corsa voce nell'Europa che egli era morto. Mentre Stanley ritorna a Zanzibar, Livingstone riavutosi dalla sua malattia, e provveduto di nuove risorse, costeggia la riva orientale del Tanganika, e s'interna di nuovo nel centro, e per Ufipa arriva al Lago Moero, e completa su differenti punti le sue investigazioni. Ma ben tosto la febbre contratta in queste terre paludose, sotto piogge dirotte, lo riprese da capo per non più lasciarlo. Al principio del 1873 egli fece il giro del Lago di Bangueolo e giunse alla parte meridionale di Tscitambo, ove dovette fermarsi. Là egli spirò la notte del 1º maggio, sotto un asilo di strame improvvisato dai suoi servi. Lo si trovò al mattino inginocchiato ai piedi del suo letto. La storia delle scienze geografiche non contiene molte pagine più commoventi, e d'un carattere più sublime, come il semplice racconto di questa morte solitaria e silenziosa di un grande uomo, martire d'una grande causa.
In questo stesso anno due spedizioni partirono dall'Inghilterra sulle sua tracce. L'una, sotto il comando di Grandy luogotenente della marina inglese, pigliò la costa del Congo per base di operazione; ma dessa non ebbe alcun risultato. La seconda, posta del pari sotto la direzione d'un ufficiale di marina, il luogotenente Cameron, allora dell'età di ventotto anni, ottenne risultati di una grande importanza. Guidato dai consigli di un personaggio eminente, Sir Bartley Frère, che fu per molt'anni nell'India, inviato straordinario della Regina di Inghilterra a Zanzibar, Presidente della Società Geografica di Londra, e Preside del Comitato inglese per l'abolizione del Capo di Buona Speranza, guidato, dicea, dai consigli di quest'uomo superiore, Cameron partì da Zanzibar verso la fine del 1873. A mezza strada del Tanganika, a Kaseh, egli incontrò il convoglio dei servi di Livingstone, che trasportavano le spoglie mortali del loro padrone, le quali poi furono recate nel magnifico tempio dei Westminster a Londra. Dopo aver preso tutte le misure per assicurare la traslazione di queste relique, e la conservazione delle carte e dei preziosi manoscritti dell'illustre viaggiatore, Cameron prosegue risolutamente la sua esplorazione.
Ai 2 febbraio egli arriva al Lago Tanganika, che solcò in tutta la sua estensione, e del quale egli levò esattamente la carta. Nel corso delle sue operazioni egli trovò l'uscita del lago, il Lukuga, che volge verso l'ovest, e raggiunge il Lualaba. Questa scoperta fa risolvere Cameron a discendere per questa riviera, e a continuare in tal modo l'opera di Livingstone. Egli arriva fino a Nyangwe; ma in quel punto l'ostilità di un capo indigeno l'obbliga di volgere il suo cammino al sud-ovest. In questa direzione egli esplora la parte orientale dell'Urua (il Lago Nassali e quello di Mohryal), traversa i bacini del Kassaï, del Kuangoy, del Zambese, e gli stati popolatissimi del Balunda; determina e segna il sistema degli affluenti della riva sinistra del Congo, e sbocca nel novembre del 1875 sull'Oceano Atlantico, nelle vicinanze di Benguela. Questa memorabile spedizione, che ha arricchito la scienza di 85 demarcazioni, o determinazioni astronomiche di posizione, e di 3.718 misure di altitudine, era degna di Livingstone, il cui pensiero l'avea spinto ad intraprenderla. Sì brillante successo è stato accolto in Inghilterra ed in tutta l'Europa, con un sentimento legittimo di ammirazione.
Qui un altro nome ancora giganteggia maestoso sul teatro delle scoperte africane. Enrico Stanley, uno dei viaggiatori corrispondenti del New-York Herald, che nel 1871 avea saputo ritrovare Livingstone, cui tutto il mondo credeva perduto, dal 1874 al 1877 compì un vero miracolo, attraversando l'Africa Equatoriale dall'Est all'Ovest, seguendo un itinerario nuovo, visitando paesi assolutamente sconosciuti agli europei, ed in parte anco dagli arabi; e pel primo tracciò de visu tutto il corso del Lualaba, o Congo, che egli battezzò col nome di Livingstone, che è una delle più grandi arterie fluviali del mondo, dal Lago Tanganika fino all'Oceano Atlantico; e ciò in mezzo a tali difficoltà, che solo coll'aiuto della potenza divina potea superare. Ciascun giorno la fatica, la fame, le malattie, le frecce avvelenate, o le palle degli africani facevano dei vuoti nelle file della truppa che lo accompagnava. I cannibali davano caccia accanita alla carovana, invitandosi mutualmente al banchetto, di cui doveva essere il piatto più appetitoso e squisito.
Tre giovani inglesi, i fratelli Eduardo e Francesco Pocock, e Federico Barker ch'egli avea condotto seco, periscono l'uno dopo l'altro. Solo Stanley resiste a tutte le prove, e basta lui solo al compito gigantesco, sublime, opprimente, che si è imposto. Mentre tutti gli altri esploratori che l'aveano preceduto, tra i quali l'eroico Livingstone, videro andare a vuoto i loro tentativi, a lui bastò l'animo di condurre a buon fine una simile impresa. La via ch'egli ha percorso è seminata di cadaveri; che importa? Egli la segue imperturbabilmente con una tenacità indomabile; e dopo aver corso il rischio di morire d'inanizione, lui ed i suoi, proprio nel momento che stavano per giungervi. L'uomo che ha portato a compimento questa erculea intrapresa, è uomo che appartiene alla storia.
Questa memorabile spedizione è detta anglo-americana, perché organizzata e sostenuta dal giornale inglese, il Daily Telegraph, e dall'americano, il New-York Herald. Le istruzioni date al grande esploratore americano, erano di completare le scoperte di Speke e di Grant, di circumnavigare il Vittoria Nyanza e il Tanganika, ed infine di completare le scoperte di Livingstone.
Partito da Londra coi tre giovani inglesi suaccennati, raccolse a Zanzibar la sua gente di scorta, composta di 315 uomini, tra i quali alcuni coraggiosi, che l'avevano accompagnato ad Ugigi nel suo primo viaggio alla ricerca di Livingstone; e lasciata Bagamoyo ai 17 novembre del 1874 s'accampò a Sciamba Gonera; e per Mpuapa regione di Usagaru, scostandosi dalla via di Unyamyembé percorsa dalle carovane, mosse verso il Nord attraverso le solitudini di Mgunda Mkali e l'Ugogo, ove giunse ai 31 dicembre.
A Mukalala nell'Ikimbu le guide disertarono; ed egli per la via di Uveriveri giunse a Suna, ove trovò un paese ben coltivato, con una popolazione di sorprendente bellezza; e proseguendo fino a Tsciuiù, 400 miglia da Bagamoyo secondo le indicazioni del pedometro, arrivò a Mangara; e fermatosi presso Vinyata sulla riva del Licumbu, e combattuta e vinta una fiera battaglia coi Uatuuru, raccolse la sua carovana a Mgongo Tombo nell'Iramba, e trovò che in meno di tre mesi avea perduto 120 uomini, e Eduardo Pocock. Di là toccando il lembo occidentale de Massai, giunse al 27 febbraio 1875 a Kagheyi, distretto di Ucclamby nell'Usukuma sul Vittoria Nyanza.
Riuniti ed avvitati insieme i pezzi del suo battello, Lady Alice, costruito a Londra, lo mise in acqua; e con undici marinai ed una guida, muovendo all'est, per uno stretto che separa le isole di Uruma da quelle di Bugayeya, giunse all'Isola di Kriva; e dopo una breve sosta nell'Isola di Kibiki, per Ukafu pervenne a Beyal nella Baa di Murchison, ove sbarcando il 4 aprile in mezzo ad una folla di duemila persone, e ricevuto solennemente a Usavara da M'tesa re di Uganda, Karagvé, Usugo, ed Usuni; personaggio intelligente, valoroso, e temuto, il cui vasto territorio si estende dal 31º al 34º Long. Orient., e dal 1º gr. Lat. Nord a 3 gradi e 30 minuti di Lat. Sud, con circa due milioni di abitanti. Egli era dapprima idolatra; ma un ricco e potente musulmano, Khamis Ben Abdullah, nel 1871 lo convertì con tutta la sua corte all'Islamismo.
A Uragara, o Ulagalla allor capitale e residenza di M'tesa (oggi invece è Rubaga) Stanley salutò il colonnello francese Linant de Bellefonds, figlio del celebre ministro di Mahhammed-Aly fondatore dell'attuale dinastia egiziana, il quale era stato inviato da Gordon Pascià al monarca africano, col pretesto di conchiudere fra lui e il governo egiziano un trattato di commercio. Pochi mesi dopo Linant de Bellefonds fu ucciso.
Qui passo sotto silenzio l'esplorazione eseguita da Stanley di tutto l'Alberto Nyanza, e le sue perigliose avventure su questo mare interno che constatò essere un unico gran lago, come opinava Speke, e non già un gruppo di laghi, come lo credeva Livingstone. Taccio gli ostacoli, le peripezie sostenute, e la punizione da lui inflitta agli indigeni di Bambireh, ed i suoi risultati. Non descrivo le catene di montagne dell'Africa equatoriale da lui vedute, la razza dalle gambe lunghe, che abita le terre all'ovest di Uganda di Karagvè e di Ui, che avversa mortalmente gli stranieri, la razza bianca di Gambaragara, la regina delle montagne, che ha un'altezza dai tredici ai quindici mila piedi sul livello del mare, le sorgenti calde di Mtagata, e tante altre sue importanti scoperte geografiche. Toccherò di volo la sua marcia infruttuosa verso l'Alberto Nyanza, e la sua portentosa peregrinazione attraverso il continente nero, fino all'Oceano Atlantico.
Compiuta l'esplorazione del Vittoria Nyanza, Stanley partì con 2280 uomini guidati dal generale Sambuzi, che il re M'tesa avea messi a sua disposizione, per penetrare nel paese ostile dell'Unyoro governato dal re Kabba Rega, contro il quale avea lottato invano Baker Pascià, e Gordon Pascià combatteva ancora. Il piano di Stanley mirava a toccare le spiagge dell'Alberto Nyanza; e messo in acqua il suo battello Lady Alice, ed i canotti sui quali si doveva imbarcare, eseguire l'esplorazione di tutto il gran lago, e penetrare nella regione che si estende all'ovest, coll'intenzione di raggiungere Nyangvé, e poi risolvere sul suo ulteriore itinerario.
Infatti egli raggiunse l'Alberto Nyanza nel gennaio del 1876, ne rilevò la latitudine, la longitudine, e l'altezza, e facendo ogni altro apparecchio per traversarlo. Ma restò deluso; perché si raccolse contro di lui una forza sì poderosa, spedita da Kabba Rega, re di Unyoro capitale nemico di M'tesa re di Uganda, che lo costrinse a precipitosa ritirata. Ritornato in Uganda, rifiutò un'armata di novantamila uomini, cioè cinquantamila comandati dal generale Sekibobo, e quaranta mila condotti da Mquenda, che il re M'tesa gli aveva offerti per iscortarlo di nuovo al Lago Alberto; e si avviò colla gente della sua spedizione verso il sud, per una via parallela a quella di Speke, ma più all'ovest, ed arrivò a Karagvè. Consumò un mese nell'esplorazione di quel grande bacino, ch'ei battezzò col nome di Alessandra Nyanza, in onore della Sposa del Principe di Galles futuro re d'Inghilterra; e marciò al sud-ovest per rimontare il fiume fino alla sua sorgente. Ma la fame lo forzò ad abbandonare il progetto di penetrare nel territorio meridionale del Muta n'Zige, o Alberto Nyanza, al nord del Tanganika, e andò ad Ugigi.
Qui seppe che Cameron aveva abbandonato il Lualaba. Egli fece nondimeno sulla Lady Alice il giro del Tanganika, e sbarcando a Ukangara, per la via di Uguhta giunse a Kambarrè, ove seguendo il Luama fino al suo confluente col Lualaba, arrivò per questo fiume fino a Nyangvé, dopo 40 giorni dacché aveva lasciato il Tanganika. Era sua intenzione di penetrare nelle regioni del Nord fino al Mom-buttu; poi di traversare l'Africa lungo la catena di montagne che separa il bacino del Niger da quello del Congo. Ma nel Mayema vide gli arabi che aveano scortato il suo predecessore a Utotera, paese del re Kasongo, da cui ebbe certissime prove che Cameron si era diretto verso il sud in compagnia di mercanti portoghesi. Fu allora che si decise risolutamente di tentare la grande impresa di traversare il continente nero, seguendo il corso del Lualaba fino alle coste dell'Oceano Atlantico.
Con una scorta di circa 500 combattenti Stanley partì da Nyangvé il 5 novembre 1876, viaggiando per terra attraverso l'Uzimba e Uregga. Non potendo continuare la sua marcia per la densità dei boschi, e delle foreste infestate da gente crudelissima e da belve feroci, varcò il Lualaba, continuando la strada lungo la sua riva sinistra attraverso l'Ukusù nord-ovest. Gli indigeni si opponevano al suo passaggio, incalzandolo notte e giorno; e colle loro frecce avvelenate, che sono sempre mortali, ferirono ed uccisero molti de' suoi. Fu una lotta disperata in questa regione di cannibali. Egli tentava di ammansirli colla dolcezza e coi doni; ma essi li rifiutavano, e pigliavano il suo paziente contegno per una prova di codardia. A rendere ancor peggiore la sua posizione, una scorta di 140 uomini, arruolata a Nyanvè nel Mayema, ricusò di accompagnarlo più oltre.
In tali frangenti, gl'indigeni fecero un grande sforzo per schiacciarlo completamente. Egli si è difeso eroicamente; ma non vi rimaneva altro mezzo per sfuggire alla sua sorte, fuorché quello di affidarsi ai suoi canotti, se pur non preferiva di tornare addietro, e abbandonare l'impresa. Benché avesse in acqua un incontrastabile vantaggio sopra quei barbari, pure ogni giornata di cammino non fu che la ripetizione del giorno precedente. Fu una lotta disperata per tutta la lunghezza del fiume, fin che, facendo forza di armi e di remi nello stesso tempo arrivò ad una serie di cinque grandi cateratte, molto vicine le une alle altre, situate al Nord ed al Sud dell'Equatore. Per oltrepassarle, fu necessario aprirsi un cammino attraverso un tredici miglia di foreste foltissime, trascinando dietro per terra i diciotto canotti, ed il suo battello di esplorazione, Lady Alice, cambiando sovente l'ascia col fucile, allorché era assalito.
Passate queste cateratte, egli ed i suoi si riposarono alcuni giorni per ristorarsi dalle fatiche sostenute. Al 2º di Lat. Nord, il gran Lualaba lascia la sua direzione fino a quel punto settentrionale, per iscorrere a nord-ovest, poi a ovest, poi a sud-ovest. E' un vasto corso d'acqua dalle due alle dieci miglia di larghezza, pieno e tempestato di isole. Per scansare quelle continue lotte, che gli esaurivano le forze con tante tribù di feroci cannibali, dovette remare tra isola ed isola, finché messo alla disperazione dalla fame, rimanendo talvolta fino a tre giorni senza gustar nutrimento di sorta, risolse di prender terra sulla riva sinistra del fiume. Fortunatamente vi trovò una tribù che aveva qualche idea di commercio. Quegli indigeni possedevano quattro fucili provenienti dalla costa occidentale dell'Africa, e chiamavano il gran fiume sul quale egli navigava: Ikitu Ya Congo (o Fiume del Congo). L'animo del grande esploratore ne esultò, perché travide non essere lontana la sua meta. Fece con quegli africani* la fratellanza del sangue (facendo scorrere insieme il sangue di uno di quei negri e di Francesco Pocock, segno di conchiusa pace ed amicizia fra quei popoli), comprò una quantità di provvigioni, e poi continuò il viaggio lungo la riva sinistra del fiume.
Tre giorni dopo arrivò sul territorio di una possente tribù, i cui abitanti sono armati di fucili; e presagì non trovarsi molto lontano dalla costa occidentale dell'Atlantico. Non appena quegli individui ebbero veduto l'uomo bianco, misero in acqua cinquanta quattro grandi canotti e lo assaltarono. Sol dopo aver veduto uccisi tre de' suoi uomini, Stanley cessò dal gridare a quei negri ch'egli era amico. Allora s'impegnò il più accanito combattimento che giammai avesse sostenuto su quel terribile fiume, il quale si estese per lo spazio di dodici miglia. Fu questa la penultima delle trentadue battaglie ingaggiate sul Lualaba.
Questo fiume, dopo aver cambiato sovente di nome, avvicinandosi all'Atlantico prende quello di Zairo, o Kuango. Mentre che traversa il gran bacino tra il 26º e il 17º di Long., ha un corso interrotto di oltre 1400 miglia con magnifici affluenti al Nord, e specialmente dalla parte del Sud, fra i quali primeggiano al nord sulla riva destra il Riuki, il Liru, l'Urindi, il Lovva, il Lulu, il Kankora, il Mbura e l'Aruvimi che scorrono nella regione dei cannibali, il Mongala, il Kunga e il Mpaha, la Riviera Bianca ed il Ginemba; e al sud della riva sinistra, il Rumani, e Yumba, il Sankuru, l'Ikilemba o Uriki, e il Nkutu. Di là, costeggiando l'alta catena di montagne fra il gran bacino e l'Oceano, discende per più di trenta cateratte e furiose rapide, e si getta nel gran Fiume fra le cascate di Yellala e l'Atlantico.
Le perdite della spedizione anglo-americana furono gravissime, oltre ai tre giovani inglesi, fra cui Francesco Pocock perito nelle cateratte di Massassa; e lo stesso Stanley ai 3 di giugno fu quasi trascinato nel vortice delle cascate di Mua, e sei settimane dopo egli e l'intero equipaggio della Lady Alice furono precipitati dall'alto delle furiose cascate di Mbelo, da cui scamparono soltanto per un miracolo della provvidenza divina. Finalmente dopo mille terrori e peripezie sostenute nel seno di quella tetra oscurità, e dei misteri dell'ignoto per rientrare nel regno della luce, dopo superate cinquantasette cateratte, e combattute trentadue battaglie, traversando mille e ottocento miglia da Nyangvè alla costa occidentale, Stanley coi superstiti della sua intrepida scorta, ai primi di settembre del 1877, giunse per Emboma e Kabinda a S. Paolo di Loanda sull'Oceano Atlantico.
Di là, pel Capo di Buona Speranza condusse i suoi fidi campioni a Zanzibar, rimunerandoli d'una generosa e ben meritata mercede; e pel Mar Rosso giunse nel gennaio del 1878 al Gran Cairo, ove io fui lieto di stringere col grande eroe africano la più sincera e calda amicizia, e di assistere col mio compianto Vicario, D. Antonio Squaranti, al festoso banchetto, che in suo onore imbandì l'illustre generale Stone Pascià Presidente della celebre Società Geografica Khediviale Egiziana. Al momento in cui scrivo queste linee, si stanno effettuando sul continente africano diverse intraprese, allo scopo di agevolare le scoperte africane, fra le quali mi limito, a citare soltanto quella che, sotto la guida di Stanley, va organizzando il Re dei Belgi lungo il corso del fiume Livingstone. Mi piace altresì di accennare all'interessante viaggio del giovane principe Don Giovanni Borghese, patrizio romano, accompagnato dal Dottor Matteucci e dal Sig.r Massari, i quali si sono già avvicinati nel Darfur alle frontiere dell'impero dell'Waday. Il movimento straordinario delle esplorazioni su tutti i punti di questo grande continente, continua sempre col massimo ardore ed energia, e vi prendono parte pressoché tutte le nazioni civili d'Europa.
Questa piccola memoria sul QUADRO STORICO DELLE SCOPERTE AFRICANE, non è che lo schizzo ed il sunto di un'Opera più voluminosa e completa, che, a Dio piacendo, io stenderò più tardi, la quale sarà seguita dal QUADRO STORICO DELLE MISSIONI CATTOLICHE fondate dalla Santa Sede Apostolica nelle Isole, e nel gran continente africano.
I risultati essenziali delle spedizioni e scoperte accennate in questa Memoria, si ponno contemplare d'un solo colpo d'occhio nell'interessante Carta dell'Africa pubblicata nel 1874 dal dottissimo geografo tedesco H. Kiepert nel volume VIII del bollettino della Società Geografica di Berlino.
E' ancor più completa la Carta dell'Africa costrutta nel 1879 da Keith Johnston che ha per titolo: General Map of Africa, constructed from the most recent coast surveys, and embodying the results of all explorations to the present time, by Keith Johnston, F. R. G. S. 1879. Per fermo è un mondo nuovo, che si è aperto all'attività umana. Senza dubbio restano ancora molte lacune a ricolmarsi, poiché rimane ancora a discoprirsi più di un quarto dell'Africa, che sta tuttavia nascosta nel più profondo mistero. Ma l'impulso dato a tali ricerche è sì poderoso, che non tarderà molto a condurre a termine questo compito immenso. L'opera immortale ideata ed organizzata da Sua Maestà Leopoldo II Re dei Belgi, ed il grande movimento che egli impresse alle scoperte africane, al nobile scopo di abolire di fatto l'infame tratta dei negri (pel quel s'adoperano tanto efficacemente l'Inghilterra e la Germania), e di promuovere la civiltà nell'Africa centrale, non mancherà di produrre i suoi frutti.
Sennonché, quella potenza prodigiosa, che dispiegherà in tutto il suo splendore la luce della vera civiltà cristiana su tutti i punti del grande continente africano, sarà la Chiesa cattolica colla predicazione del Vangelo, perché Gesù Cristo solo è via, verità e vita; e la fede di Gesù Cristo, le sue massime, i suoi insegnamenti, e la sua morale divina sono il principio della vera civiltà, la sorgente della vita, il fondamento della grandezza e prosperità di tutti i popoli, e di tutte le nazioni dell'universo.
+ Daniele Comboni
N. 1005; (963) - AL CARD. LUIGI DI CANOSSA
ACR, A, c. 18/38
1880
RELAZIONE SULLA CARESTIA E PESTILENZA dell'Africa Centrale nel 1878-79
Em.mo e Rev.mo Principe,
Son già trascorsi oltre dodici anni, dacché l'Eminenza Vostra reverendissima accettò dal miracoloso Pontefice Pio IX di s.m. il grave incarico di sostenere la mia debolezza, e di tutelare e dirigere l'Opera santissima della Redenzione della Nigrizia; ed al magnanimo, costante, e fervidissimo zelo di Vostra Eminenza, coadiuvata dalla mia pochezza e dalla cooperazione dei nostri buoni missionari, fra i quali si distinsero, per tacere dei viventi, i piisimi Sacerdoti D. Alessandro Dalbosco, D. Antonio Squaranti, e D. Salvatore Mauro di venerata memoria, sono dovuti gli importanti risultati, di cui va lieta la nascente Chiesa dell'Africa Centrale.
La Vostra fermezza, o Eminentissimo Principe, il Vostro coraggio non titubò, né si scosse al formidabile apparato di tanti ostacoli di difficoltà che doveva attraversare l'Opera sublime; né venne mai meno in Voi l'incrollabile fiducia nella immancabile sua felice riuscita, malgrado la debolezza degli strumenti, di cui si dovea servire la divina Provvidenza, e la mancanza e scarsezza dei mezzi pecuniari e materiali, di cui abbisognava la gigantesca impresa. Ma Voi confortato dallo spirito del Signore e dalla parola infallibile del suo glorioso Vicario, vi siete degnato costantemente di rinfrancare il nostro animo, confortare la nostra infermità, additarci le vie, e benedire ai nostri poveri sforzi. Né pago il Vostro cuor generoso di coprire della Vostra potentissima tutela e patrocinio la santa intrapresa, avete impegnata la poderosa e vasta influenza del gloriosissimo vostro nome, affinché scaturissero da molte parti d'Europa, e da munificentissimi Principi abbondanti soccorsi ed altissima protezione. La nostra infermità e picciolezza a ben poco sarebbe riuscita senza il valido e costante vostro appoggio. E siccome la vostra carità ci fu sempre larga di conforto, di aiuto, di consiglio, e d'incoraggiamento, permettete, o Eminentissimo Principe, che io Vi consacri questo brevissimo cenno storico delle spaventose calamità della Carestia e Pestilenza, che imperversarono e colpirono sopra una vasta e smisurata estensione il Vicariato Apostolico dell'Africa Centrale nel 1878-1879; al cui racconto scorgerete chiaramente, che l'Opera santissima da voi patrocinata, è veramente opera di Dio; e l'impavido vostro animo trarrà argomento per tutelare sempre più questa sublime intrapresa, alla maggior gloria di Dio, a merito della Chiesa veronese, ed a salvezza della nostra infelice, ma sempre cara Nigrizia.
Le opere di Dio devono sempre nascere appiè del Calvario. La Croce, le contraddizioni, gli ostacoli, il sacrificio sono il contrassegno ordinario della santità di un'opera; ed è per questa via seminata di triboli e spine, che le opere di Dio si sviluppano, prosperano, e raggiungono la loro perfezione e trionfo. Questa è l'amorosa e sapiente economia della Provvidenza divina, pienamente confermata dalla storia della Chiesa e di tutte le Missioni Apostoliche della terra, la quale dimostra a caratteri della più splendida verità, che mai fu piantata in verun regno ed in nessun luogo la vera religione di Gesù Cristo, senza i più duri sacrifizi, le più fiere contraddizioni, ed il martirio. E la ragione è evidentissima; perché tutte le Opere di Dio tendendo per loro natura a distruggere nel mondo il regno di satana, per sostituirvi il salutifero vessillo della Croce, il principe delle tenebre deve necessariamente commuoversi, dimenarsi, divincolarsi, e suscitare tutte le potenze d'abisso, e tutte le funeste passioni de' suoi ausiliari del mondo, per combattere a sua volta il suo formidabile ed eterno nemico, cioè, Gesù Cristo Redentore del genere umano, affine di resistergli, combatterlo e conquiderlo.
Ora fra le opere dell'apostolato cattolico, a cui diè vita la Chiesa di Cristo, una delle più ardue e laboriose, e delle più sublimi ed importanti dell'universo è senza dubbio la nostra missione dell'Africa Centrale, che abbraccia una estensione di territorio ben più grande di tutta l'Europa, e che è popolata, secondo la statistica di Washington, da oltre cento milioni d'infedeli, sui quali non ancora brillò l'astro luminoso e vivificante della fede, e che è affidato dalla santa Sede all'umile nostro Istituto delle Missioni per la Nigrizia in Verona. Tra le furibonde tempeste da cui fin dal suo nascere fu agitata e sconvolta questa nascente Chiesa, di cui io sono, benché indegno, il primo Vescovo, spicca in peculiar modo la spaventosa calamità della Carestia e della Pestilenza, che imperversò in questi ultimi tempi, e di cui si risente ancora, e ne porta le tracce ancora scolpite, e ne sopporta le dolorose conseguenze.
Ma essa è Opera di Dio, la quale cribata e purgata ora nel crogiuolo dei patimenti, delle croci, e del martirio, risorgerà più vigorosa e potente, per compiere animata di una vita novella, l'alta sua missione redentrice e civilizzatrice fra le tribù della Nigrizia.
La mancanza, o scarsezza delle piogge annuali del 1877 fu la precipua cagione della spaventosa carestia e siccità, che desolarono buona parte dell'immenso nostro Vicariato; e le regioni che restarono più gravemente colpite dal tremendo flagello, furono la Nubia Inferiore, la Nubia Superiore da Dongola al Mar Rosso, i paesi bagnati dal Fiume Azzurro e Fiume Bianco, e dal Nilo fra l'Egitto ed il Sobat, il Regno di Cordofan, le province del Darfur, le tribù di Gebel-Nuba. I Scelluk, e tutti i paesi che si stendono dal Bahar-el-Ghazal fino ai Gnàm-Gnàm, ed al Lago Alberto Nyamza.
Le seminagioni e piantagioni eseguite in quelle fecondissime terre, appena spuntate si disseccarono; e le erbe, i fiori ed i prati rimasero abbruciati dai raggi solari infuocati; sicché ben presto a quei miseri abitatori mancò l'ordinario alimento; e quasi tutti gli animali per mancanza di nutrimento periron di fame. Misurate, o Eminentissimo Principe, la grandezza e vastità di tanta sciagura che colpì quelle misere genti, non meno che la nostra missione. La fame sofferta dai popoli che abitavano lungo i fiumi fu spaventosa oltremodo, e tremenda ancora fu quella che soffersero gli arabi del deserto, ai quali essendo perita gran parte di cammelli per fame, le nostre carovane che furono costrette a valicare quei deserti, costarono alla missione grandi sacrifizi ed enormi spese; poiché il prezzo del nolo dei cammelli che sopravvissero all'universale eccidio, fu quadruplicato anche perché essendo deboli e sfiniti per inedia, non portavano che un terzo od un quarto soltanto del loro carico regolare. Quindi quadruplicate erano le spese delle nostre spedizioni, finché per molto tempo essendo periti, o affranti da inedia e cammelli e cammellieri, le spedizioni cotanto necessarie per recare soccorsi alle missioni colpite dalla carestia, ci tornarono o sommamente difficili, od affatto impossibili.
Di che avvenne, che quasi tutti gli alimenti di prima necessità o venner meno, o salirono a prezzi favolosi, cioè, a dieci, a dodici, ed anche a venti volte e più, maggiori dei prezzi ordinari. Il frumento, a cagion di esempio, fu pagato dallo stesso Console Austro-Ungarico, il Signor Cavaliere Hansal, in ragione di 72 talleri all'Ardeb (sacco di circa 100 chilogrammi), mentreché dapprima si pagava solo 5 talleri. Più tardi il frumento mancò anche in Khartum, e non vi si trovava a nessun prezzo; e nel regno di Cordofan lo si sarebbe pagato anche 500 franchi all'Ardeb; ma non ve n'era punto. Il durah (o maïs), che è il nutrimento principale delle popolazioni dei possedimenti egiziani nel Sudan, che formano un territorio cinque volte più vasto di tutta l'Italia, ed è pure l'ordinario nutrimento dei nostri orfani ed allievi d'ambo i sessi negli stabilimenti della Nubia, il durah, dicea, fu da noi pagato sui mercati di Khartum fino a 108 franchi l'Ardeb, mentre d'ordinario prima costava solo da quattro a cinque franchi; e l'I. R. Console Austro-Ungarico mi assicurò d'averlo pagato fino a tre talleri al Rub, cioè, in ragione di 336 franchi all'Ardeb.
Il Dokhon (penicillaria) specie di miglio, di cui si nutrono le popolazioni del Regno di Cordofan e dell'impero del Darfur, e che costituisce il nutrimento ordinario degli allievi, orfani, e schiavi rifugiati nei nostri tre stabilimenti del Cordofan, da circa tre talleri, suo prezzo ordinario, salì a trentasette talleri e più l'Ardeb, e nel Darfur fu pagato fino a 140 talleri l'Ardeb, cioè, a un prezzo quarantasei volte maggiore dell'ordinario. Lo stesso avvenne delle carni assai magre, flosce, e ributtanti di animali smunti dalla fame e divenuti come scheletri, il cui prezzo salì a dieci o dodici volte più caro dell'ordinario. Lo stesso e ancor peggio toccò a Gebel-Nuba, ove per di più venne meno il sale: e fu necessario di nutrirsi per molto tempo di sì meschini alimenti senz'essere conditi di sale.
Da tutto questo egli è facile tirare la conseguenza, come ad una gran parte delle popolazioni africane della classe povera mancò affatto di che vivere; ed io constatai coi miei propri occhi l'estrema miseria di moltissime località, in cui interi villaggi decimati dalla fame viveano di erbe, di semi di fieno, ed anche di escrementi di cammelli e d'altri animali.
Da questo breve quadro, l'Eminenza Vostra può bene immaginare le angosce del mio spirito, ed i gravi imbarazzi in cui io mi trovai per dover alimentare e sostenere, oltre agli Istituti di Verona e del Gran Cairo, tanti stabilimenti che abbiamo fondati nel Vicariato composti di personale non solo indigeno, ma di Suore, di Missionari e Fratelli coadiutori europei, che in quel pesantissimo clima africano avean pur bisogno in mezzo agli apostolici sudori di un solido nutrimento. La Superiora delle Suore di S. Giuseppe nel Cordofan, mentre gemeva oppressa dalla febbre, le pareva rifocillarsi gustando un po' di pane di frumento bagnato nell'acqua: si cercò dappertutto nella città di El-Obeid, e non si trovò. Finalmente un generoso negoziante israelita ne portò un poco, e la Suora ne mangiò; ma poi dovette soccombere oppressa dal suo male. Per provvedere di pane di frumento gli stabilimenti del Cordofan, il compianto D. Antonio Squaranti comprò a caro prezzo 20 Ardeb di frumento, e fattolo macinare a Khartum cercò cammelli per trasportarlo in Cordofan. Io corsi dappertutto, ed impegnai i primi negozianti e lo stesso Governatore Generale del Sudan per aver cammelli.
Ci fu impossibile riuscirvi: ora mancavano i cammelli, ed ora i cammellieri, perché quasi tutti erano morti, o malati, o smunti dalla fame, o arsi dalle febbri. Il frumento rimase fermo per quattro mesi a Khartum; ed i nostri tre stabilimenti del Cordofan coi missionari e colle suore non poterono per molti mesi mai gustare pane di frumento, e dovettero, come tutti gl'indigeni del paese, cibarsi di dokhon.
Sennonché tutto questo non è che un'ombra della miseria estrema, onde furono colpite queste infelici contrade. La sete, flagello assai più terribile della fame, venne a devastare quei paesi sterminati, che sono lontani dai grandi fiumi, il Nilo, il Fiume Bianco, ed il Bahar-el-Ghazal, i quali son bagnati solo dalle piogge annuali, che nel luglio, agosto e settembre ordinariamente innaffiano quei terreni. Il 1877 fu il più scarso, che la storia dell'Africa Centrale ci abbia mai ricordato. Di qui le campagne arse letteralmente dall'infuocata canicola, e le praterie bruciate dal sole: di qui tutte le cisterne disseccate, ed asciutti pressoché tutti i pozzi del Cordofan e del Darfur, che hanno generalmente una profondità di venti, trenta, ed anche quaranta metri e più; e tra questi rimasero asciutti i due grandi pozzi dei nostri stabilimenti della capitale del Cordofan. Io rabbrividisco nel pensare all'orrenda strage che la sete e la siccità han fatto degli animali, e delle popolazioni del Cordofan e dell'impero del Darfur. Toccherò di volo soltanto la sete di El-Obeid e di Malbes, ove noi abbiamo tre importantissimi stabilimenti di Missione.
Quantunque le nostre missioni sieno state non di rado aiutate dal nostro Procuratore Giorgi Papa, da qualche buon cattolico, fra cui l'ottimo Signor Ibrahim Debbane di Siria, e perfino da qualche musulmano che apprezzava la nostra opera, i quali portavano dell'acqua; pur tuttavia anche noi fummo costretti a comperarne a caro prezzo, con grande sconcerto delle smunte nostre finanze. Si dovette fare grande economia d'acqua per bere, e per far da mangiare. Talvolta il missionario era costretto di riserbarsi l'acqua che la mattina gli avea servito per lavarsi la faccia, affin di dissetarsi fra la giornata. Si dovea misurare severamente in piccole dosi l'acqua per lavarsi; e si venne al punto di non più lavarsi la faccia alla mattina, per riserbarla pella giornata nei momenti della gran sete. Per oltre quattro mesi non si potè fare un po' di bucato per mancanza d'acqua. Finalmente essendo ridotta ai minimi termini l'acqua nella capitale del Cordofan, si dovè trasferire la maggior parte del personale di quei due grandi stabilimenti a Malbes nella colonia agricola da noi fondata, ove rimaneva bensì ancora un po' d'acqua, ma vi scarseggiavano talmente i viveri, che quando alla mattina si riusciva a prendere un po' di ristoro per la colazione, non si pranzava al mezzogiorno; e quando al mezzodì si pranzava, mancava alla sera la cena.
E si noti che a procacciare sì scarso e meschino alimento, non bastarono le generose elemosine ricevute da tanti benefattori d'Europa. Non mi è possibile dipingere a parole le grandi privazioni sostenute dai missionari, dalle suore, e dal personale delle nostre missioni. I fanciulli, gli allievi e le ragazze accorrevano dai missionari e dalle suore a chiedere un po' d'acqua perché bruciavano di sete; e siccome non aveasi di che appagare ai loro desideri, i poverini e le poverine piangevano, e facevano compassione alle pietre: si disputavano fraternamente, per berne un po' ciascuno, la sucida acqua rimasta nel catino, ove talvolta il missionario e la suora s'eran potuti lavare. Vorrei dire di più... ma mi casca di mano la penna... Dio ha scritto nel libro della vita i sacrifizi e le privazioni sostenuti dai nostri missionari e dalle nostre suore in un clima sì debilitante ed infuocato.
E ciò che operavano le nostre Suore, è mirabile d'innanzi a Dio. Alle tre e mezza del mattino sovente Suor Arsenia Le Floch della Bretagna, Superiora dello stabilimento femminile con altra giovane e laboriosissima Suora, si partiva da casa con alcune borme (vaso di terra contenente dai tre ai quattro litri); e dopo fatte a piedi quattro o cinque ore di cammino, giungeva sotto un sole cocentissimo sull'orlo di un pozzo lontano; e dopo aver aspettato il suo turno, facendo aspra contesa con quei barbari custodi dei pozzi, e venendo talvolta alle minacce, riusciva ad avere con incredibil fatica dell'acqua nera, fangosa, sucida, salmastra e ributtante, che essa pagava tre, quattro ed anche cinque franchi alla borma, cioè a più caro prezzo che il vino in Italia; e poi rifacendo a grande stento il medesimo cammino le due Suore se ne ritornavano alla missione, ov'erano ansiosamente aspettate per distribuire a ciascuno piccola e misurata quantità di acqua per dissetarsi. Alle tre o tre e mezzo di sera si rifaceva sovente lo stesso cammino a piedi, e spesse volte caricando l'acqua sopra un asino smunto dalla fatica, che ad ogni istante cadeva; e si ritornava a notte avanzata, e talvolta a mezzanotte alla missione.
A qualche distanza dalla nostra colonia agricola, i Missionari e le Suore riuscirono dopo molti stenti a scavare un pozzo, che dava un po' d'acqua sucida e fangosa, e vi posero a guardia nella notte due robusti neri catecumeni. Sennonché, la notte veniano dei ladri; assetati e colla violenza portavano via l'acqua per venderla a loro profitto. In Malbes la missione avea tre vacche, alle quali si dava un po' a bere due volte la settimana. Ma che? Essendo esse bruciate dalla sete e macilenti oltremodo, finirono per non dare più latte: ma anche allorché davano latte, la distribuzione di esso per tutti si riduceva quasi a niente.
Dalla colonia agricola di Malbes, che mancava si può dire di tutto, fuorché di un po' d'acqua, si dovea spesso da alcuni della Missione andare nella capitale, sia per recar acqua a' nostri ad El-Obeid, sia per provvedere qualche cosa di prima necessità per quei di Malbes. Il viaggio è di sette ore, ed il tragitto è penosissimo; e si dovea fare sovente a piedi, o sotto un sole infuocato, o nella notte, in cui la via era infestata di ladri, di belve feroci e di iene, ed ove non di rado s'avvicinavano i leoni, che ruggivano tutto intorno, e facean tremare di spavento i passeggeri. Qui potrei citare molti spaventosissimi casi avvenuti l'anno scorso. Ne accennerò solamente uno.
Una sera, essendo in Malbes quasi tutti ammalati, o stremati di forze, e privi di ogni cosa per ristabilirsi, e di più sapendo che la missione di El-Obeid aveva estremo bisogno di acqua, una delle nostre laboriosissime Suore mossa a compassione di tanto infortunio, animata da un eroismo di carità, supplicò caldamente ed ottenne dalla Superiora il permesso di andare in cerca di acqua per trasportarla ad El-Obeid, ove avrebbe potuto soccorrere quegli assetati, e poi provvedere viveri e ritornare in Malbes in aiuto dei nostri, che mancavano di tutto. Essendosi recata ai pozzi, lottando animosamente con quegli africani, essa riuscì dopo molti stenti ad acquistare a caro prezzo due gherbe (grosse otri) di acqua; e caricato un cammello partì a piedi, con un moro recentemente riscattato, alla volta della capitale. Si trattava di un tragitto di sette ore difficilissimo, e ingombrato di belve feroci e di ladri ed assassini: ma la carità trionfò di tutti gli ostacoli. Essa continuò piena di coraggio, e non senza timore, il suo cammino in mezzo al fischiar delle belve e dei cani, ed al ruggir dei leoni che la facean tremare. Percorsi ben tre quarti e più di strada, il cammello smunto dalla fame e stremato di forze cadde stramazzone per terra.
La Suora ed il moro tentarono ogni mezzo con vigorose frustate e corbacciate, (1) perché il cammello si levasse e continuasse il suo cammino; ma ogni sforzo tornò inutile. Che fare in simile frangente?... Rimaner là tutta la notte, era esporsi ad esser divorati dalle fiere od assaliti dai ladri; lasciar là solo il moro, e la Suora andar sola ad El-Obeid, era esporre il moro ad essere rubato colle due otri di acqua, ed esporre se stessa a grave pericolo; ed essa avea grande paura.
Per un quarto d'ora rimase la suora perplessa e tremante; ma poi riflettendo agli estremi bisogni dei nostri di Malbes e di El-Obeid, confidando in quel Dio dell'amore che consola gli afflitti, ed in quella Vergine Immacolata che è il rifugio dei poveri, decise di lasciare il moro alla custodia dell'acqua, ed essa si mise sola in cammino per cercare soccorso. Era la notte tenebrosa, e rischiarata soltanto dal debole raggio di luna di tre o quattro giorni. Dopo qualche tempo ode il furibondo abbaiar dei cani, che le additano l'esistenza di un villaggio. Si ferma intimorita, perché l'avvicinarsi al villaggio è mettersi al pericolo di essere divorata dai cani, che sono pericolosi in quelle parti, benché provvidenziali. Ma d'altro lato scorge la necessità di chiamare soccorso. Laonde con quanta voce che avea, si mise a gridare verso quel villaggio circondato dai cani: Ja Nas taälu! Ja Nas taälu! O Genti venite! o Genti venite. Dopo pochi minuti ella vede comparire due robusti e pelosi Baggara (arabi custodi delle mandre) i quali accorsi a quelle grida strazianti esclamarono: "come mai signora, vi trovate qui di notte sola, con pericolo di essere divorata dalle belve, od essere rubata o assassinata?..." e con somma premura, alle preghiere della Suora, l'accompagnarono al luogo, ove avea lasciato l'acqua, e vi trovarono il cammello accosciato, ed il moro che lo custodiva; e dopo replicate e vigorose sferzate spingendolo colle nerborute lor braccia, riuscirono a rialzare il cammello. Né contenti di ciò, quei buoni africani accompagnarono e suora e moro e cammello fino ad El-Obeid, ove giunsero a mezzanotte più morti che vivi.
Non Le dirò nulla, o Eminenza Reverendissima, della pena dai missionari sofferta per non aver potuto aver vino, per celebrare ogni giorno la Santa Messa, ineffabile conforto delle anime tribolate. Del vino si scarseggiò per modo, che non ne restò che poco, sufficiente soltanto per celebrare il divin Sacrificio nelle domeniche e feste. Ma finito il vino pella Santa messa nella capitale del Cordofan, fui costretto a mandarne in piccole boccette per la posta da Khartum, per poter celebrare Messa alle Feste. Del resto, né i missionari, né le Suore ebbero vino per bere; ma bevettero quasi sempre acqua sudicia, salmastra, e ributtante.
In mezzo a tanta miseria, o Eminentissimo Principe, debbo dichiarare solennemente che, tanto i missionari che le Suore non vennero mai meno nel coraggio e nello zelo pell'arduo loro ministero: fermi ed incrollabili nella loro scabrosa e santa vocazione, e missionari e Suore stettero fermi al loro posto, e lieti e contenti in mezzo a tante privazioni e sacrifizi lavorarono indefessamente per guadagnar anime a Cristo; e ciò che più fa risaltare la grazia del loro santo e penosissimo apostolato, i nostri missionari e le nostre Suore mai titubarono, né si scossero, né si scoraggiarono davanti all'infuriar della procella, né in mezzo alle più fiere malattie, né in faccia alla morte di tanti loro confratelli e consorelle: ma sostennero impavidi a piè fermo l'urto della spaventosa tempesta, confidando sempre in quel Dio, che atterra e suscita, che affanna e che consola, ed in quel divin Salvatore, che dopo la sua penosa Passione e Morte gloriosamente risorse. E questa loro abnegazione risalta ancor più al riflesso, che essi medesimi erano afflitti sovente da febbri, e ciò in un clima infocato, ove erano tormentati altresì dai morsi delle zanzare e di altri insetti, che li martoriavano notte e giorno. Insomma erano tutti sotto il peso dolcissimo della croce, privi affatto d'ogni umano conforto; ma pieni di forza, di coraggio e di speranza nella stessa Croce di Gesù Cristo, che è il contrassegno infallibile dell'opera del Signore.
Ma a tutte queste privazioni e sacrifici comuni a tutti i nostri missionari ed alle nostre Suore, un'altra pesantissima croce s'aggiungeva al mio spirito, ed al cuore del pio nostro amministratore generale D. Antonio Squaranti, il debito, cioè, gravissimo che abbiam trovato di franchi 46.784, che unito a quello che abbiam dovuto far noi di oltre a 14.000 franchi per provvedere agli urgentissimi bisogni di una sempre crescente carestia per non lasciar perire la missione, e ad altri 10.000 franchi, per comprare una macchina a vapore per innaffiare il nostro giardino di Khartum, affinché non avesse a disseccarsi e così dileguarsi l'unico nostro stabile produttivo, frutto di tante fatiche e del lavoro di parecchi anni, con gran detrimento della missione; ci trovammo di fronte all'enorme peso di oltre 70.000 franchi di debito.
Ciò Vi basterà, o Eminentissimo Principe, per tacere di tante altre croci e calamità che inondarono il mio cuore di amarezza e cordoglio, per darvi una languida idea della mia critica e desolante posizione. Ma tutto questo è ancor poco. Ben altra più fiera calamità dovea sopraggiungere a straziar l'anima mia del più profondo dolore.
Verso al tramontar del mese di luglio del 1878 cominciò ad ingombrarsi il cielo di fitte nubi; e lampi e tuoni e fulmini minacciavano di distruggere quelle terre desolate. Ben presto dirotte piogge caddero a torrenti dal cielo; e furono sì copiose ed abbondanti per ben due mesi, che a memoria dei più canuti indigeni del paese mai si videro le eguali. Di qui crebbero a tanta altezza i due grandi bracci del Nilo, cioè, il Fiume Bianco ed il Fiume Azzurro, che salirono al di sopra del livello del terreno, e minacciavano d'inondare, colla stessa capitale dei possedimenti egiziani nel Sudan, il nostro grandioso stabilimento di Khartum; quindi mentreché la numerosa guarnigione di alcune migliaia di soldati, guidata dagli ingegneri militari innalzava attorno a tutta la città fortissimi argini, per arrestare il corso delle acque ed impedirne l'inondazione, noi con gravissimo dispendio a mezzo di grossi legni e centinaia di altissimi dattolieri tagliati nel nostro giardino, abbiam costruito solidissimi argini in faccia della missione sulle sponde del Fiume Azzurro; sicché dopo ben tre settimane di continuo lavoro, la città e la missione rimasero al sicuro, e la fragorosa corrente non riuscì a recar danni considerabili.
Crollarono bensì centinaia e migliaia di case; ma i nostri stabilimenti rimasero intatti; e le dighe o barriere, ed argini costrutti serviranno per molt'anni a preservar la missione dalle future inondazioni.
Allora i cultori dei campi ed i fellàh colle poche semenze che poterono conservare nel precedente anno calamitoso, si diedero a seminare grano, durah, sesame, erbaggi, e tutto ciò che avevano; i contadini, benché stremati di forze, impresero a coltivare tutti quei terreni disseccati, che la pienezza delle piogge avea rammolliti; la terra si fecondò, e in brevissimo tempo, innaffiata dalle acque torrenziali che cadevano dal cielo, produsse tal copia di messe d'ogni specie, che mai si vide negli anni addietro l'eguale. Tutti credevano che coi nuovi raccolti la spaventosa carestia dovesse cessare, e l'abbondanza delle derrate imminenti avesse a fare scomparire perfino le tracce della tremenda miseria fino a quei giorni sofferta.
Ma non fu così. Durante ancora il diluviar delle piogge, a centinaia ed a migliaia crollavano le case e le capanne dei poveri indigeni, perché fabbricate di terra cotta al sole, o di paglia o di canne fragilissime; ed i poveri abitanti si trovarono improvvisamente sul lastrico, esposti notte e giorno a cielo scoperto, sia che diluviasser le piogge a torrenti, sia che risplendesse il sole co' suoi dardi infuocati; sicché gl'infelici esposti a tutte queste intemperie furono colpiti da furioso nembo di violentissime febbri di sì maligna natura, che in breve tempo quei paesi per una sterminata estensione furono seminati di cadaveri d'ogni sesso ed età; ed i pochi superstiti divenuti cadaveri ambulanti, s'aggiravano per le vie e pei deserti pallidi e consunti chiedendo soccorso. Il terrore e lo spavento si diffusero per ogni dove; e la tremenda ed imperversante epidemia si sparse nelle città, nei grossi villaggi e nelle campagne con tale impeto ed intensità, che gran parte di quelle regioni si tramutò in breve tempo in un vasto cimitero.
Noi siamo testimoni oculari della strage, che menò quella tremenda epidemia nei paesi bagnati dal Fiume Bianco ed Azzurro, e dal Nilo. In un'ora, in mezz'ora, in dieci minuti vedemmo colpiti da morte individui, che pria godevano florida salute. Anche parecchi nostri cattolici cadevano quasi improvvisamente fulminati da codesto inesplicabile malore, che si manifestava con sintomi di febbre nervosa, talora tifoidea, talor petecchiale; ed appena ci restava il tempo di amministrare l'Estrema Unzione e l'Assoluzione in articulo mortis. In parecchie città, borgate e villaggi, gran numero di abitanti e famiglie intere, che aveano sofferto la fame nel precedente anno, dopo essersi nutriti delle primizie dell'abbondante raccolta, cadevano morti presso le novelle derrate ammonticchiate nelle capanne o nei cortili delle loro abitazioni: e persone degne di fede, che ritornavano a Khartum da lunghe peregrinazioni nei paesi del Fiume Azzurro e del Fiume Bianco, mi assicuravano d'aver trovato città e villaggi quasi spopolati, e le case, le vie pubbliche, e le campagne ingombre di cadaveri putrefatti, distesi accanto alle biade, al durah, al frumento, ed al sesame che avevano raccolto, e che per la loro micidiale esalazione, l'epidemia s'era sparsa sopra vasti territori mietendo vittime dappertutto.
Io stesso colle nostre cinque Suore dell'Istituto delle Pie Madri della Nigrizia che andai a prendere a Berber, per condurle in Khartum sopra un vapore messo a mia disposizione da Sua Eccellenza Gordon Pascià Governatore Generale dei possedimenti egiziani del Sudan, visitai città e villaggi situati fra Berber e Khartum, che altre volte avea veduti popolatissimi e provveduti abbondantemente di viveri e d'ogni cosa, e li trovai pressoché spopolati e deserti; ed i rarissimi abitatori sopravvissuti alla morte erano sì smunti e macilenti, da parer piuttosto cadaveri ambulanti, che si nutrivano di semenze, di fieno, di erba, di nabak, e di escrementi di cammello, senza aver più forza per seminare e lavorare le circostanti campagne, il cui terreno feracissimo non coltivato avea già prodotto fieni e piante ed erbe selvatiche di una rigogliosa, non più veduta, e stupenda vegetazione. Le capanne e le case erano pressoché distrutte; i bestiami d'ogni genere quasi totalmente scomparsi; la maestosa città di Scendi, antica capitale dei re della Nubia, ed il vastissimo paese di Temaniat, quasi spopolati e distrutti, ecc. ecc. Noi distribuimmo qua e là grano ed elemosine; e non è a dire quanto quegli infelici si mostrarono a noi grati e riconoscenti.
E' inutile, o Eminentissimo Principe, che Vi esponga più minuti ragguagli sul quadro desolante della spaventosa carestia e mortalità di questa parte importantissima del nostro Vicariato. Mi ci vorrebbero parecchi volumi. Basta che Vi accenni di volo come in compendio questi quattro punti, della cui verità ed esattezza io assumo tutta la responsabilità; e la mia esposizione moderatissima è ancora al di sotto della sua tremenda realtà.
1º Una gran parte delle abbondanti derrate di grani, frumenti, sesame,, ecc. ed una buona quantità di durah, che quei feracissimi terreni hanno prodotto in seguito alle piogge straordinarie che abbiamo accennate, non hanno potuto esser raccolte dalle campagne, per mancanza di braccia dei coloni e coltivatori, che, o morirono, o rimasero impotenti al lavoro; per cui colla nuova raccolta perdura ancora, benché in minori proporzioni, la carestia in quei paesi. Parecchi grandi proprietari del Fiume Azzurro si rivolsero al Governo, perché mandasse uomini e soldati a raccogliere sì abbondanti granaglie e produzioni, ed offerendogli in compenso la metà e più dei prodotti. Ma il Governo, benché immiserito per non aver potuto in quell'anno riscuotere nemmeno un quarto delle imposte fondiarie e personali, benché non avesse potuto pagare gl'impiegati, e le truppe militari di servizio (per cui moltissimi furono costretti a rubare e devastare, per procacciarsi da vivere), pure dovette rifiutare offerta sì generosa per mancanza di braccia, e per le luttuose conseguenze della fame e pestilenza, che decimarono sopra una vasta scala il personale dell'amministrazione e delle milizie.
2º In una parte del nostro Vicariato più vasta di tutta l'Italia, partendo da Khartum per tutte le direzioni, pella Carestia e Pestilenza morì la metà dell'intera popolazione d'ambo i sessi, e più della metà degli animali.
3º In parecchie altre località del Vicariato perirono tre quarti di popolazione e di animali.
4º In parecchi villaggi e vaste località al sud-est di Khartum, come più volte mi ripetè il farmacista del governo, Signor Fahmi, che fu per molto tempo medico condotto della Missione cattolica, ed abilissimo per curare il tifo e le febbri dominanti nel Sudan, e secondo l'asserzione a me fatta da molti testimoni oculari, morì non solo tutta intera la popolazione d'ambo i sessi, ma perirono tutti i bestiami, i cammelli, gli animali, e perfino i cani, che sono la guardia provvidenziale di pubblica sicurezza in quelle infelici contrade.
L'Eminenza Vostra R.ma può ben giudicare dal poco che le ho così di volo accennato, quale dissesto abbiano portato alle finanze di tutta l'Opera questa tremenda e sterminata carestia e pestilenza, che imperversò l'anno scorso nel nostro dilettissimo Vicariato, e quante privazioni ed angosce cagionarono ai nostri missionari, alle nostre Suore, ed al personale numerosissimo dei nostri stabilimenti di Missione.
Ma tutto questo è ancor poco. Ciò che viemaggiormente inondò il mio spirito di profonda afflizione e cordoglio, fino a morirne quasi di angoscia e dolore, si fu lo strazio e sterminio che le privazioni, le malattie, e la mortalità recarono al personale attivo della missione, e le conseguenze luttuosissime, che, così piacendo all'amorosa e sempre adorabile Provvidenza divina, ne derivarono; ciò che per altro non riuscì, per divina grazia, a scuotere il nostro coraggio, nè ad abbattere la forza del nostro spirito; ché anzi tutte queste fierissime prove, e queste tremende calamità, contribuirono poderosamente a rinfrancare il nostro animo, a mettere interamente la nostra fiducia in quel Dio delle misericordie, che ci ha preceduti nella via della Croce e del martirio, ed a mantenerci saldi e costanti nell'ardua, e santa nostra vocazione.
Verso la fine di settembre al declinar delle piogge, cocentissime febbri che degeneravano in tifoidee, morbi fierissimi d'indole micidiale, e malori d'ogni sorta colpirono quasi tutti i membri della missione; e maligno vaiuolo e tifo petecchiale estinse la vita di molti. Tutte le Suore di Khartum caddero gravemente inferme; e la stessa laboriosissima infaticabile Suor Saverina di Normandia, che da ben tre anni nel micidialissimo clima di Khartum non avea mai sofferto ombra di malattia, fu colpita da fierissima febbre che la condusse sull'orlo del sepolcro. Quasi tutte le allieve ed orfane dell'Istituto femminile caddero inferme, e molte di esse ebbero a soccombere sotto la falce della morte. Tutti i sacerdoti, meno un solo, con tutti i fratelli coadiutori europei, e quasi tutti i membri dello stabilimento maschile furono bersagliati da interminabili cocentissime febbri e fierissimi morbi, e molti giunsero agli estremi.
D. Policarpo Genoud colpito da fulmineo pestilenziale tifo, in meno di venti minuti esalò l'estremo sospiro; e Suor Enrichetta francese fiore di angelici costumi e vera eroina di carità, nell'aprile degli anni, fu consumata da fierissimo tifo petecchiale, ultima delle nove Suore della benemerita Congregazione di San Giuseppe dell'Apparizione, che vittime di carità fecondarono dei loro sudori, e sacrificarono la vita per la redenzione dell'infelice Nigrizia: e sei piissimi e bravi fratelli coadiutori europei, tra i quali l'ottimo Ferdinando Bassanetti della Diocesi di Piacenza, ed Antonio Iseppi di Verona, l'un dopo l'altro in pochi giorni soccombettero; e tredici dei nostri migliori allievi indigeni d'ambo i sessi, ben formati ed istruiti nella nostra santissima religione e nelle arti e mestieri, morirono; ed in breve tempo i grandiosi stabilimenti di Khartum si tramutarono in altrettante infermerie, che finirono ben presto per divenire un vasto ospedale.
Ristabiliti alcuni membri dell'Istituto maschile, ma rimasti indeboliti dalla veemenza e dallo strazio dei morbi, pensai di mandarli in una gran barca a mutare aria sul Nilo verso Temaniat, e Gebel Taieb, accompagnati dall'unico sacerdote rimasto immune dall'universal pestilenza. Allora io restai solo nella capitale del Sudan, per amministrare i Sacramenti ed assistere ai bisogni estremi tanto del numeroso personale interno della missione, quanto degli esterni della città di Khartum; sicché mi fu d'uopo compiere ad un tempo i molteplici uffici di Vescovo, di parroco, di vicario, di superiore, di amministratore, di medico ed infermiere. Ma Dio mi riserbava un potentissimo aiuto nelle due abilissime Suore Saverina e Germana, che erano affrante pur esse da fierissime febbri; la prima, che quasi sempre rimaneva a letto o in sua stanza inferma, era ad ogni momento consultata nelle malattie, come praticissima nel conoscere le febbri ed il tifo, ed abilissima a governare ammalati.
L'altra, Suor Germana Assuad, nativa di Aleppo, e versatissima nell'arabo sua lingua natia, appena io mi trovai solo in mezzo a tante calamità, mentre credeva di doverla assistere alla morte, quasi per prodigio, animata da uno spirito di sublime carità balzò dal letto de' suoi dolori, e sostenne per ben quattro mesi indicibili fatiche notte e giorno nell'assistere ammalati, nel curarli, e preparare a ben morire quanti ammalati parlavano l'arabo, l'italiano, ed il francese. Con questa coraggiosa ed instancabile figlia della carità io divisi enormi fatiche, atrocissime pene, e travagli indicibili; ed essa fatta tutta a tutti, affatto dimentica dei suoi propri malori, correva dappertutto ove l'altrui bisogno lo richiedeva.
Né solo era pronta a sanare le piaghe, a tergere le lagrime degli infelici, ad assistere moribondi come abilissima infermiera; ma ancora prestavasi con apostolico zelo a curare le infermità dell'anima, ad eccitare alla penitenza ed alla confessione quelli che si trovavano fino allora sul sentiero della perdizione, ed istruire i catecumeni, a condurre sulle vie dell'eterna salute ogni sorta di traviati, a catechizzare gli ignoranti, e ad accendere la fiamma della fede e dell'amore di Dio in chi stava per comparire dinanzi al supremo Giudice. Ed oh! quanto bene operò Suor Germana Assuad di Aleppo! quante lagrime terse, quanto balsamo di consolazione versò sul cuore degli infelici! E qual vigorosa assistenza mi prestò essa nell'imperversante desolazione che ci ha colpiti! E quali angosce non provammo insieme allorché a' nostri missionari e suore e fratelli coadiutori gravemente ammalati non ci era dato di recar loro sollievo e rifocillarli di un po' di brodo, perché ci tornava impossibile di trovare anche a caro prezzo il mezzo di farlo! Quali distrette! Quali affanni! Solo Iddio può misurare la grandezza e intensità del nostro dolore.
Ma l'angoscia più desolante, ed il più fiero colpo che mi oppresse e mi sprofondò in un oceano di amarezza e cordoglio, fu la perdita irreparabile che fece la missione dell'incomparabile D. Antonio Squaranti, braccio destro dell'Opera santa, e mio vero angelo di consiglio e conforto, e cui Dio nei suoi imperscrutabili ma sempre amorosi consigli mi togliea dal fianco, per cingerlo di quella corona che è riserbata alle anime giuste. Uomo di intemerata lealtà, di rettitudine e fedeltà senza paragone, pio, dotto, prudente, di carattere dolce, umilissimo, obbediente, zelantissimo della gloria di Dio e della salute dell'anime, e tutto fuoco pella redenzione della Nigrizia, questo degno sacerdote, che Verona e sopratutto la Parrocchia di S. Paolo non dimentica ancora pel gran frutto che vi colse mercé il suo zelo sacerdotale, m'era stato generosamente accordato dalle zelo ferventissimo di Vostra Eminenza per succedere al pio D. Alessandro Dalbosco nella direzione degli Istituti Africani di Verona, nel qual uffizio importante e delicatissimo per ben sei anni non interrotti avea mostrato quanto senno ed attività possedesse quell'anima grande, e quante bellissime virtù adornassero questo fiore di prete.
Nel 1877 dopo l'episcopale mia consacrazione, per molti e gravi motivi che torna qui inutile di accennare, pensai di condurlo meco nell'Africa Centrale in qualità di amministratore generale dei beni temporali del Vicariato, con animo di crearlo poi mio Vicario Generale, e più tardi, qualora si compissero tutte le condizioni volute, di farlo nominare dalla S. Sede Vescovo e mio Coadiutore con futura successione nel governo dell'ardua e laboriosa nostra diletta Missione. Benché durante il viaggio Don Antonio Squaranti avesse molto lavorato, e sostenute grandi fatiche, pure conservò sempre ferma la sua salute, e provò che egli potea reggere fermo ed incrollabile nell'arduo suo nuovo ministero.
Nei mesi infuocati di giugno e luglio fu soprappreso dalla debolezza e stanchezza onde sono affranti in quella stagione tutti gli europei, specialmente nel primo anno del loro soggiorno in Khartum; ma al comparir delle piogge tropicali cominciava a ristabilirsi nelle forze primitive.
Sennonché sopraggiunto il nuovo Kharif, e dirotte piogge precipitando sulla terra già arsa ed infocata dal sole e dalla tremenda siccità dell'anno precedente, m'accorsi ben chiaro che andavamo incontro ad una stagione micidialissima e feconda di terribili conseguenze e fiere calamità. Quindi è che, per salvare sì importante soggetto dai colpi di perniciose malattie a cui temeva che andasse incontro, essendo la prima volta che respirava quell'aere, ed essendo già alquanto indebolito dai faticosi viaggi compiuti, proclive come era ad affezioni gastroenteriche che lo obbligavano ad essere assai parco e sobrio, escogitai di fargli mutar aria, e di mandarlo fuor di pericolo a Berber, incaricandolo di visitare quella stazione, ove già si trovavano da ben sei mesi le prime cinque Suore dell'Istituto veronese che egli, coadiuvato da savia superiora, avea formato allo spirito ed alla vita apostolica dell'Africa Centrale.
Al mio cenno obbedì prontamente, e senza accorgersi punto che io lo allontanava dal teatro della imminente pestilenza per toglierlo ad ogni pericolo della stessa, partì sopra una barca in compagnia d'un negoziante siriano, ed in tredici giorni giunse alla missione di Berber nella Festa di S. Michele Arcangelo, ove in pochi giorni si è perfettamente ristabilito; anzi alla metà di ottobre mi annunciava in una lettera che si sentia talmente forte e vigoroso, che non avea giammai goduta in Europa sanità sì perfetta. Colà dovea restare fino a che l'avessi richiamato a Khartum.
Frattanto imperversava a Khartum il tremendo flagello della pestilenza che ho già accennato in queste pagine; e corsero pure a' suoi orecchi le luttuose notizie delle malattie e delle morti che aveano colpito la Missione stessa, come pure lo contristò l'annunzio che io mi trovava solo per un po' di tempo sul teatro della desolazione per amministrare i Sacramenti ed assistere ai moribondi, benché dopo il ritorno dei convalescenti in Khartum prestasse altresì l'opera sua D. Carmino Loreto giovane sacerdote di Napoli, che poi tornò in patria.
Quando il nostro caro Squaranti venne informato della critica tremenda mia posizione, e che nella capitale dei possedimenti egiziani del Sudan v'erano tanti infelici che abbisognavano del ministero sacerdotale, senza por tempo di mezzo, col sacerdote Vanni montò la prima barca araba che partiva per Khartum tutta stipata di povera gente, in guisa che i due Missionari appena potevano muoversi. Qui taccio i disagi di questo tragitto che durò quindici giorni. All'undecimo D. Squaranti venne assalito da cocentissima febbre. Essendosi ambedue nella commozione d'una partenza precipitosa dimenticati di pigliar seco, come si costumò sempre di fare, medicine e chinino, la febbre tornò ad assalirlo con sempre maggior violenza nel duodecimo e nel duodecimoterzo giorno; finché nell'ultimo dì l'assalto fu sì poderoso ed opprimente che lo condusse agli estremi: e già avea fatto al Signore l'oblazione piena e totale della sua vita, e preparavasi al gran passo, quando giunse a Khartum.
Al vederlo sì sparuto e consunto dal micidiale processo e lavorìo di soli quattro giorni di febbre, io ne rimasi sbigottito; e benché languida assai mi sorridesse nel cuore la speranza di salvarlo, pure dispiegammo ogni sollecitudine per circondarlo d'amorosa assistenza, consultando medici, applicando i più salutari medicamenti, e nulla risparmiando per arrecargli conforto e prolungargli l'esistenza: ma ogni cura ed attenzione tornò affatto inutile. Dopo dodici giorni dacché giunse in Khartum, confortato da tutti i carismi della nostra santa Religione, perfettamente calmo e rassegnato, ilare in volto e consumato dall'amore divino, alle 7 pom. del 16 novembre 1878 volò in seno al suo Creatore, per ricevere il guiderdone delle sublimi sue virtù. L'eroismo della sua carità nell'aver voluto correre in mio soccorso nel teatro delle più tremende calamità per tutto sacrificarsi alla salvezza delle anime per così periglioso frangente gli ha procurato la morte, che sprofondò noi tutti in un mare di desolazione ed affanno.
Questa gravissima lagrimevole perdita del braccio destro della missione, le enormi fatiche sostenute, ed il nembo fulmineo di tante afflizioni e calamità di tante angosce e crepacuori, che non basterebbero molte pagine a descrivere, hanno finito per attaccar fieramente ed abbattere la mia robusta complessione e sanità; e dopo aver passati molti mesi sotto il peso spaventoso di tante croci ed affanni senza mai dormire una sola ora nè di notte nè di giorno su ventiquattr'ore, alla sera del 16 gennaio 1879, dopo esser stato chiamato al capezzale di un infelice e dovizioso negoziante eterodosso, che alla mattina forte e robusto aveva atteso a' suoi affari commerciali, ed alla sera esalava l'estremo anelito, mi colpì fierissima febbre, che logorò le mie forze, e mi ridusse in una deplorevole condizione.
Sennonché, davanti a sì spaventose calamità il cuore del missionario apostolico, dovrà smarrirsi e soccombere sotto il peso di tante sciagure?....Mai no. La croce è la via regale che mena al trionfo. Il Cuore sacratissimo di Gesù palpitò altresì pei poveri negri.
Il vero Apostolo non retrocede giammai dinanzi ai più fieri ostacoli, alle più violenti contraddizioni, ed affronta a pie' fermo il nembo della tribolazione, e l'urto delle più furibonde tempeste: ei marcia al trionfo per la via del martirio. Pari ai nostri confratelli missionari della Cina, che non si scuotono in faccia alla morte ed ai più spietati supplizi, noi affronteremo impavidi enormi fatiche, perigliosi viaggi, spaventose privazioni, il lento martirio d'un clima infuocato e di cocentissime febbri, i più duri sacrifizi e la morte stessa, per guadagnare alla fede le genti dell'Africa Centrale, affine di raccoglierle tutte sotto l'ombra pacifica dell'unico ovile di Cristo.
Sennonché, mentre noi umili operai dell'infelice Nigrizia sosterremo ai pie' fermo l'urto impetuoso delle croci e delle calamità del nostro difficile e laborioso apostolato, imitar dobbiamo altresì i nostri ven. Confratelli e Vicari Apostolici della Cina, della Mongolia e dell'India, nell'alzare la nostra voce al cospetto de' generosi nostri benefattori, per implorare soccorso in pro' dei nostri infelici e sempre cari africani, che gemono ancora sotto il peso di tante sventure. Clamat penuria pauperum, clamant nudi, clamant famelici (S. Bern. Epist. XLII).
La carestia, la pestilenza! la fame, la sete!... tremende parole, terribili mali, penosissimi flagelli!... Da Davide che impallidisce e trema alla minaccia del Profeta Gad: veniet tibi fames in terra tua... erit pestilentia in terra tua (II Reg. XXIV.13), credo che ben rade volte alcuno, al solo sentir pronunciare tali parole temperet a lacrymis (Virg.); e sentendosi fremer le vene e i polsi, non abbia con l'anima naturalmente cristiana gridato: Libera nos Domine! Che cosa sarà mai, se la fame, la sete, e la pestilenza ferocemente collegate insieme infuriino, imperversino, seminando squallore, desolazione, e morte nella già squallida e desolata terra del maledetto Canaam?
Allora si avrà il pandetur malum super omnes habitatores (Ier. I.14). L'animo mio per poco sgomentato ancor fugge al ricordare, come feci in queste pagine, la tanta ruina e il tanto scempio, che la carestia e la pestilenza fecero nel mio vastissimo Vicariato, e di cui in parte fui testimonio oculare. Ma sebben tutto e dolor mi rinnovelli, e sol dalla memoria mi sgomenti, ho ricordato l'amara storia di pietà degna e di pianto, perché quod non audeo ego, audet et charitas, et cum fiducia charitas pulsat ad ostium amici, nequaquam putans pari se debere repulsam (S. Bern. Epist. XI). E' pei poveri negri che io favello; è pei nudi, pegli affamati figli dell'Africa interna; ed è propter nomen Domini Dei nostri quaesivi bona tibi. Pieno di fiducia in quella carità bona mater charitas... diversis diversa exhibens, sicut filios diligit universos (S. Bern. Epist. II), pei poveri negri, e pel santo e sublime apostolato dell'Africa Centrale parlerò lagrimando insieme.
Le nazioni civili d'Europa e d'America, ed in peculiar modo l'Episcopato ed i generosi e ferventi cattolici della Francia, dell'impero Austro-Ungarico, della Germania, dell'Italia, dell'Inghilterra, del Belgio ecc. si scossero poderosamente all'annunzio del terribile flagello della fame e della carestia che da alcuni anni aveano colpito parecchie vastissime province della Cina, delle Indie Orientali, della Mongolia, dell'Africa, e d'altre missioni della terra; e comprese dalla più squisita carità e dalla più tenera compassione verso tanti infelici, andarono a gara per soccorrere efficacemente i desolati fratelli. Noi tutti Vescovi e Vicarii Apostolici delle Missioni Estere nelle parti degli infedeli, serberemo eterna riconoscenza verso il venerando Episcopato cattolico ed i generosi benefattori d'Europa, che ci prodigarono tanti soccorsi; e dalle nostre missioni salirà per loro quotidianamente al cielo e squarcerà le nubi l'odoroso incenso delle fervorose preghiere dei nostri cari figliuoli rigenerati dal salutare lavacro del santo Battesimo. Sì, i nostri neofiti pregheran sempre pei nostri magnanimi benefattori.
Sennonché, senza nulla togliere a quel desolantissimo quadro della fame e delle calamità che imperversarono nelle suddette remote contrade, e che ci vennero esattamente descritte dai venerabili nostri confratelli Pastori di quelle importanti Missioni, ed anco dai Consoli, e rappresentanti delle nazioni civili d'Europa accreditati presso quei governi stranieri, io non esito punto ad emettere il mio subordinato parere, ed ardisco pronunciare, dopo maturo e ponderato esame, la seguente gravissima asserzione, che, cioè:
la carestia e la pestilenza dell'Africa Centrale sono state ben più terribili e spaventose di quelle della Cina, delle Indie, e di tutte le altre Missioni apostoliche dell'universo.
Eccone i principali motivi:
I. Nelle Indie e nella Cina accanto alla fame ed alla carestia v'ha generalmente un clima mite e sopportabile, che in parecchie di quelle province è più salubre che in Europa. Inoltre, colà si respira generalmente un'aria esilarante e pura, e vi si beve acqua limpida, saporita e fresca. La mitezza del clima, la purezza e freschezza dell'aria e dell'acqua sono un delizioso ristoro, ed una grande risorsa pei poveri affamati.
Al contrario nella maggior parte dei paesi dell'Africa Centrale accanto alla fame ed alla più desolante penuria vi è un clima pesante ed insopportabile, vi dominano calori eccessivi e soffocanti anche nell'interno delle abitazioni, e dei tuguri, ove si può riparare all'ombra. Negli interminabili deserti poi, ove il missionario non ha riparo alcuno, né vi ha striscia di ombra, mentre viaggia sotto i dardi cocenti della canicola dalle 11 antim. alle 4 pom., senza trovar che arida sabbia e cielo di fuoco sotto quaranta, cinquanta ed anche sessanta gradi di calore, è vano cercar sollievo, e torna affatto impossibile trovar alcuna delle suaccennate risorse, che ristorano il povero affamato dell'India e della Cina.
Di più, nelle immense regioni lontane dai grandi fiumi, come nel Cordofan, nel Darfur, a Gebel Nuba, o nelle tribù interne dei negri, al flagello della fame venne associato quello ancor più terribile della sete, ove l'acqua sudicia, fangosa, salmastra, e ributtante attinta da pozzi della profondità di trenta e quaranta metri, si pagò talvolta più cara che il vino in Italia: e vi furono dei giorni, in cui tornò impossibile ottenerne a nessun prezzo, perché totalmente mancò. Chi potrà misurare il mio cordoglio, e la grandezza di tante privazioni!
Né è da passar sotto silenzio il non meno grave caso della mancanza del sale per condire le vivande, che noi talvolta abbiamo sperimentato. Si ponderino tutte queste critiche circostanze, che nell'Africa interna aggravano la condizione degli affamati; e brillerà fulgidissima la verità di questo primo punto della suaccennata mia asserzione, che caratterizza e fa risaltare la gravità delle sciagure della fame e della carestia dell'Africa Centrale ben più tremende e spaventose di quelle delle altre missioni del mondo.
II. Non mi toccò mai di leggere o di sentire nella storia e nei ragguagli della carestia delle Indie, della Cina, e delle altre parti della terra, che gli articoli di prima necessità sieno mancati ai missionari, alle suore, ed ai fratelli coadiutori venuti d'Europa in quelle parti; o se pur ve n'aveano, abbian costato prezzi esorbitanti e favolosi, fino dieci volte, venti volte, e trenta volte più cari dell'ordinario, come accennai in questo racconto. Ora tutto questo avvenne nell'Africa Centrale. I nostri missionari, le nostre suore, i nostri fratelli coadiutori veronesi nel Cordofan e a Gebel-Nuba, come pure alcuni negozianti e impiegati nel Darfur, nel Fiume Bianco, nel Bahar-el-Ghazal, mancarono affatto di pane; e per lungo tempo furono costretti con non poca nausea e ripugnanza a cibarsi di dokhon, che è una specie di miglio chiamato in botanica col nome di penicillaria, e che fu pagato nel Darfur fino a 140 talleri Megidi all'Ardeb, cioè, 636 franchi in oro, mentre il suo prezzo ordinario era prima circa 3 talleri Megidi all'Ardeb, pari a poco men che 15 franchi in oro, cioè, a un prezzo, quarantasei volte più caro dell'ordinario. Oh! quale angoscia provò il mio cuore, veggendomi nell'assoluta impossibilità di riparare a sì dure calamità! Quanto mi afflisse il pensiero della estrema penuria del Cordofan, che privò la generosa Suor Arsenia Le Floch Superiora di El-Obeid del modesto conforto di un po' di pane di frumento bagnato nell'acqua, mentre gemeva sul letto di morte, e si affrettava di spiccare il suo volo al paradiso! Le privazioni poi, e la penuria della maggior parte dei poveri indigeni sorpassano ogni calcolo e misura; e certo nessun paese al mondo è sì misero come una gran parte della Nigrizia.
III. Non mi avvenne pur mai di sentire e di leggere nei periodici e negli annali delle missioni delle Indie, della Cina, e delle altre parti del mondo, che la fame, la sete, e la pestilenza abbiano come conseguenza prodotto quella terribile e spaventosa mortalità, che ho registrata in questa succinta relazione, giusta la quale in alcuni considerevoli tratti del Sudan è rimasta vittima della morte gran parte di quelle misere popolazioni; ed in alcune località non molto distanti dalla capitale dei possedimenti egiziani nella Nigrizia, morirono la metà, tre quarti, ed anco tutti gli abitanti, e perirono la metà, tre quarti, ed anco tutti gli animali, e perfino i cani, che sono dotati di una fibra sì forte, che possiedono tanta vitalità, e che costituiscono generalmente in que' paesi la guardia provvidenziale di pubblica sicurezza contro i masnadieri, gli assassini, e le belve feroci.
IV. Nelle Indie e nella Cina l'industria è molto avanzata, la cultura e la civiltà sono antichissime; e per tacere d'ogni altro argomento, le grandi Esposizioni Universali e mondiali, che da oltre cinque lustri abbiamo ammirato a Londra, a Parigi, a Filadelfia, ed a Vienna, ci porsero una sublime idea dei grandi progressi dell'industria e della coltura di codesti imperi dell'Estremo Oriente. In fatto poi di meccanica e di costruzioni indiane e cinesi, si può dire, sotto un certo aspetto, che in qualche cosa gareggino coll'Europa incivilita. Colà a fianco della fame e della carestia, oltre alla mitezza del clima, ed alla salubrità e freschezza dell'aria e dell'acqua, si edificano comode case ed ingegnose abitazioni, ove ripararsi dalle intemperie delle stagioni, dalle dirotte piogge, e dai dardi infuocati del sole.
Non è così delle lande inospitali e delle remote contrade della Nigrizia, ove è pressoché sconosciuta l'industria umana, e la coltura e civiltà sono ancora bambine; anzi può dirsi con tutta verità, che quei paesi sono ancor primitivi, e molti di essi stanno più addietro in fatto di coltura e civiltà che non lo sieno stati i tempi dei nostri primi Padri Adamo ed Eva dopo la loro caduta...
In tutto il Vicariato dell'Africa Centrale, ad eccezione della città di Khartum, la quale dopo la fondazione della Missione cattolica possiede alcune case costruite di pietre e di mattoni cotti, ad esempio dello stabilimento della missione e della nostra residenza che fu il primo ad erigersi all'europea, in tutta l'Africa Centrale, dicea, non vi è alcuna casa di pietra o di mattoni cotti alla foggia europea: ma le poche case dei grandi e doviziosi sono costruite di sabbia, o di fango, o terra cotta al sole, ma così fragili, che hanno brevissima durata, e cadono e si sciolgono da sé dopo pochissime stagioni di piogge dirotte nel Kharif. Queste, dissi, appartengono alle famiglie privilegiate ed opulenti delle principali città, ove ha sede un Pascià, od un Governatore di Provincia.
Ma la maggior parte delle abitazioni dell'Africa Centrale appartenenti alla classe media sono costruite di paglia, o di fango; ed una gran parte della popolazione povera, od ha appena alcune rozze capanne ove rifugiarsi la notte o nel tempo del kharif (piogge annuali), oppure si accovaccia nelle caverne o sotto gli alberi; e moltissimi poi mancano anche di queste, e son costretti a vivere sotto la volta del cielo, senza avere alcun rifugio per ripararsi dai calori di fuoco, o dalle piogge annuali; al che si dee pure aggiungere la gravissima circostanza, che quasi tutti gli africani* dell'Africa interna dormono sempre sulla nuda terra, ad eccezione dei capi o degli agiati, che si coricano sopra una pelle di vacca, o di tigre o d'altri animali; ed in gran parte sono totalmente ignudi senza vestimento di sorta, e tali sempre rimangono, sia sotto i dardi infuocati del sole, sia nella notte talvolta rigida e fredda, sia sotto il fischio de' venti impetuosi, sia nelle stagioni umide e piovose, che spesso cagionano micidialissime febbri, e funeste malattie.
Ma non solamente la classe povera è senza rifugio in quelle remote contrade; ma ancor quelle più agiate nel tempo del kharif: poiché al cadere delle dirotte piogge annuali molte case di sarmenti, di paglia, di sabbia, e di fango o terra cotta al sole, cadono a terra distrutte, e si squagliano come lo zucchero od il cioccolatto allorché sono imbevute dall'acqua; sì che la più gran parte della popolazione dell'Africa Centrale viene in tal guisa a rimaner priva di asilo ove ricoverarsi nell'epoca delle piogge, e rimane così esposta a tutte le intemperie, al freddo nella notte, al caldo nel giorno, di guisa che un gran numero di codesti infelici cadono ammalati, e contraggono fieri contagi, e mettono fine ad una misera vita con una morte ancor più misera e sventurata.
Misurate, o Eminentissimo Principe, la grandezza delle sciagure di tante infelicissime popolazioni africane colpite dalla fame, dalla sete, dal caldo, dal freddo, esposte a tutte le intemperie di sì svariate e perigliose stagioni, senza asilo, né riparo, e soggette a tante e sì perigliose malattie. Paragonate tutte queste misere condizioni e circostanze con quelle ben più miti e vantaggiose dei popoli dell'India e dell'Estremo Oriente; e vi brillerà luminosa la verità della mia suaccennata asserzione, che la carestia e pestilenza dell'Africa Centrale sono state ben più terribili e spaventose di quelle dell'India, della Cina, della Mongolia, e di tutte le altre missioni apostoliche dell'universo.
V. Finalmente l'errore funesto e perniciosissimo del fatalismo della setta dell'islamismo, l'ignoranza estrema e l'abitual condizione infelicissima dei poveri negri gementi sotto il ferreo giogo della più crudele ed orribile schiavitù, aggrava eccessivamente la misera condizione degli affamati dell'Africa Centrale su quelli delle Indie, della Cina, e delle altre missioni della terra. Il fatalismo islamitico, e l'estrema ignoranza dei poveri negri abbrutiti sotto il peso della schiavitù, è una delle precipue cagioni, per cui l'affamato stesso non bada punto alla sua sciagura, alle sue miserie, alla sua fame, alla sua sete, alle sue privazioni, alle sue malattie, ed ai pericoli della sua vita; e meno ancora vi fa attenzione la società dei suoi fratelli africani dominati dalla superstizione del fatalismo, in mezzo ai quali vive. Il maomettano affamato, che non possiede o non trova più di che satollarsi e campare la vita (e molto più il negro schiavo così istituito dal suo padrone), convinto come egli è dalla fiera legge del fatalismo, secondo la quale egli deve subire il suo destino voluto da Dio, cioè, che egli deve assolutamente morire, avendolo Iddio a ciò destinato, egli, senza punto scuotersi o sconcertarsi, né fare strepito alcuno, né muover lamento, rassegnato pienamente alla sua sorte si sta tranquillo e sereno, senza pigliarsi cura di nulla, e senza fare ogni sforzo e adoperarsi per apporvi rimedio, ed allontanare da sé quella tremenda sciagura; e sovente, sempre in preda al suo fatalismo, si colloca sulla porta, od a fianco della sua abitazione, o dietro ad una capanna, o sotto un'albero; ed ivi impassibile ed a sangue freddo aspetta imperturbato la morte, esclamando col suo profeta: Allah kerim, cioè: Dio è degno di onore!
Pel medesimo principio e pello stesso motivo, la sua famiglia, i suoi fratelli, la sua patria davanti ad una sciagura che reputano stabilita e destinata da Dio in forza dello stesso fatalismo, non si commuove, né fa strepito alcuno, né s'adopera gran fatto di rimuover lontano un tale infortunio; e perciò avviene non di rado che in una stessa città, in un medesimo villaggio succedono gravi infortuni senza che il pubblico se ne avvegga, o se ne dia per inteso, o si sforzi di allontanarli od apporvi rimedio. Ma nell'India, nella Cina, e nelle altre missioni del mondo, le popolazioni in generale sono più socievoli, colte, civili, industriose. L'affamato, e chi vien colto da qualche sventura si scuote, s'ingegna, s'adopera, e pone ogni studio per allontanarla da sé. A lui si associa la famiglia, i parenti, gli amici, i cittadini; il sentimento di umanità e filantropia si accende, prevale, e l'infelice ritrae sollievo dai propri conati, e dall'altrui concorso.
Perciò è di gran lunga migliore e più sopportabile la condizione degli affamati e degli sventurati in quei vasti regni ed imperi.
Di più, quei governi, che sotto un certo aspetto ponno dirsi regolari, perché mantengono relazioni diplomatiche con le grandi Potenze d'Europa e d'America, hanno fatto immensi sacrifizi per venire in soccorso dei loro affamati. Perfino i principi e principesse indiane, e i mandarini della Cina prodigarono generosi soccorsi pei medesimi, e soprattutto il governo della Regina d'Inghilterra ed Imperatrice delle Indie venne in loro aiuto con ingenti elemosine; e si scossero e s'adoperarono energicamente in loro pro anche i ministri plenipotenziari, i consoli ed i rappresentanti delle nazioni incivilite accreditati presso quei governi.
Ma nell'Africa Centrale i governi locali non si curarono punto delle sciagure e calamità dei popoli soggetti. Tutto il loro pensiero in generale è di smungere il sangue dei sudditi, e di cavar colle gabelle e colle imposte quanto più vien lor fatto, anche con ogni genere di violenza. E il solo personaggio dotato di nobili sensi, pieno di buona volontà, e capace di concorrere efficacemente a sollievo di tanta calamità, avrebbe potuto essere l'Eccellentissimo Gordon Pascià governatore generale dei possedimenti egiziani nel Sudan. Ma egli era assente nell'epoca, in cui maggiormente infieriva il flagello della fame e della carestia. E quando ritornò al suo posto in Khartum, egli si trovò nell'assoluta impossibilità di disporre all'uopo di potenti soccorsi, perché non avendo potuto in quell'anno riscuotere in varie di quelle province le molteplici imposte ond'erano aggravate, mancava financo del denaro e dei fondi necessari per mantenere l'esercito, e le diverse amministrazione di quei vasti e remoti possedimenti. Anzi in mezzo a tanta penuria fu costretto a licenziare gran parte de' suoi impiegati, e ad assottigliare di molto le file dell'armata egiziana indigena, per non poter pagarne gli stipendi. Dal che ne avvenne, che molti dei licenziati e non pagati si diedero al latrocinio ed alla violenza, sotto pretesto di poter campare la vita, e non perire di fame.
Finalmente nelle Indie, nella Cina, nella Mongolia, ed in altre missioni, non sì tosto apparve l'orribile flagello della carestia, i Vescovi e Vicari Apostolici ed i missionari hanno alzata la lor voce piena di autorità, che risuonò all'orecchio dei generosi benefattori dell'Europa; e mercé la divina bontà han potuto ricevere abbondanti soccorsi. Invece nell'Africa Centrale io fui il solo ed unico Vescovo e Vicario Apostolico; e quindi io solo ho potuto troppo tardi alzar la voce, al momento in cui tutti i pensieri e gli spiriti erano assorbiti dagli affamati dell'India, e tutti gli sguardi eran rivolti alla Cina, alla Mongolia, ed alle altre desolate missioni del globo.
Ma la mia voce era debole e sola; il mio grido di sventura risuonò troppo tardi. E quantunque molti ed opportuni soccorsi di generosi e piisimi benefattori sieno venuti a raddolcire le angustie del mio animo, ed a sollevare estreme e grandi miserie, tuttavia non riuscirono a far fronte ai più urgenti bisogni. Però la misericordia divina, mercé l'esimia carità dei benefattori, sostenne ancora in piedi le ardue ed importanti missioni del Vicariato, ed ha salvato molte anime riparando ad estreme necessità. I missionari, le suore, i fratelli coadiutori, ed il personale della missione hanno sostenuto a piè fermo, e sopportato con invitta costanza, coraggio, e rassegnazione le più grandi privazioni e sacrifizi. Abbiamo sofferto moltissimo; e ne siamo lieti e contenti, perché il Signore si è degnato di farci partecipi della sua passione, e ci aiutò poderosamente a portare la sua croce divina simbolo di risurrezione e di vita.
E benché il Vicariato dell'Africa Centrale senta ancora le conseguenze di quelle tremende calamità, nutriamo in cuore la più ferma speranza, che coadiuvati ancor più efficacemente dalle preghiere e dalle elemosine dei nostri pii, generosi, ed amatissimi benefattori d'Europa, l'ardua e santa nostra missione uscirà per fermo pura ed intatta dai suaccennati disastri e mortalità, di cui non v'ha esempio nella storia dell'Africa Centrale, e che oltrepassano senza paragone tutte le calamità che il Vicariato ha sostenute dall'epoca della sua prima erezione nel 3 aprile 1846.
Tale è l'umile mio subordinato parere sulla carestia e pestilenza dell'Africa Centrale 1878-1879, che furono più spaventose e tremende di quelle dell'Indie, della Cina, della Mongolia, e di tutte le altre Missioni apostoliche dell'universo.
Da questo semplice quadro del grande episodio della carestia e pestilenza del nostro Vicariato, apparisce luminosamente che la Missione dell'Africa Centrale è opera divina, perché contrassegnata dal sigillo adorabile della croce; pari alle più sante opere di Dio, che dai primi secoli della Chiesa sorsero a rallegrare ed abbellire la veneranda Sposa di Cristo.
Essa è degna perciò, Eminentissimo Principe, dell'alto e pietoso Vostro Patrocinio, e degna dei magnanimi benefattori, che fino ad oggi concorsero efficacemente alla sua fondazione, al suo sviluppo, ed al consolante suo incremento. In questa grande Opera s'è manifestato e veduto chiaramente il dito di Dio. L'ora è suonata pella redenzione dei popoli infelicissimi dell'Africa Centrale, che giacciono sino ad oggi ancora sepolti nelle tenebre e nelle ombre di morte. E' vero che questa missione è la più difficile e laboriosa dell'intero universo; e questa è la ragione per cui solo in oggi lo zelo apostolico suscitato e coadiuvato dalla grazia e volontà divina, è riuscito a rendere possibile questo scabroso e laboriosissimo apostolato, che richiede le più maschie virtù, i più duri sacrifizi, il martirio.
Ma è vero altresì, che nel seno della Chiesa ferve ancora lo zelo e la carità per condurre, mantenere, e far prosperare le Opere divine, che hanno per fine la maggior gloria di Dio, e la salvezza dell'anime le più derelitte e bisognose del mondo, malgrado tutti gli sforzi delle potenze infernali, che con diabolico intento s'adoperano ad abbattere e distruggere la Religione cattolica, ed il suo meraviglioso apostolato nel mondo. No, le potenze d'abisso non riusciranno a distruggere l'opera di Dio, ed a spegnere ne' petti cattolici la scintilla della carità generosa, che le dà vita, la sostiene, e le dà incremento e prosperità.
Si tratta di cavare dal seno della barbarie e dall'infedeltà cento milioni di infedeli, sui quali pesa ancora tremendo l'anatema di Ca-naam. Si tratta di guadagnare questo mondo di negri, che gemon sotto il peso della più orribile schiavitù. Per ottenere questa grande rigenerazione della Nigrizia, è mio debito sacro, come primo Pastore, Vescovo, e Vicario Apostolico dell'Africa Centrale, di fare appello alla fede ed alla carità di tutti i cattolici dell'universo, affinché fidenti nelle immancabili promesse di Colui ce ha detto: petite, et accipietis; quaerite, et invenietis; pulsate, et aperietur vobis, tutti innalzino a Dio una fervida quotidiana preghiera al duplice oggetto:
1º. Che Dio susciti dal seno della Chiesa dei fervidi e santi operai evangelici, e delle generose e pie suore di carità Madri della Nigrizia, che sotto alla bandiera del Vicario Apostolico dell'Africa Centrale, lo assistano e lo aiutino a conquistare quell'anime a Cristo e alla divina sua Chiesa.
2º. Che Dio susciti ancora dal seno della Chiesa e della civiltà cristiana dei generosi benefattori, che con sante ed abbondanti largizioni abbiano a coadiuvare questa grand'Opera dell'Apostolato dell'Africa Centrale, perché raggiunga l'alto suo compito, e si stabiliscano in quelle remote contrade tutte le opere cattoliche necessarie a mantenervi la fede e il divin culto, affinché quelle genti abbiano ad entrare a far parte del grande ovile di Cristo.
Quanti meriti presso Dio acquistarono ed acquisteranno quelli che prestarono e presteranno il valido loro concorso a quest'opera divina! Senza dubbio tutti costoro hanno assicurato l'importante negozio della loro eterna salvezza.
Noi imploriamo dal Sacratissimo Cuore di Gesù, da Nostra Signora del Sacro Cuore, e dall'inclito Patriarca S. Giuseppe Patrono della Chiesa, ai quali è consacrato il Vicariato Apostolico dell'Africa Centrale, tutte le grazie e benedizioni spirituali e temporali sopra i nostri cari benefattori, fermi e saldi nel nostro grido di guerra: O Nigrizia o Morte, per Gesù Cristo, e pell'Africa Centrale.
+ Daniele Comboni
(1) Il Corbac è uno staffile di pelle d'ippopotamo, con cui si battono gli schiavi e si aizzano gli animali.
N. 1006; (1225) – NOTA A UNA LETTERA
ACR, A, c. 47/5 n. 10
1880
N.1007; (1175) – AUTOGRAFO SU UN MESSALE
MPMV
1880
N. 1008; (964) – A Mgr. JOSEPH DE GIRARDIN
AOSIP, Afrique Centrale
Suakim (sul Mare Rosso), 7 gennaio 1881
Signor Presidente,
Mi affretto a inviarle il quadro della S. Infanzia dopo i consigli che ho ricevuto dal mio Superiore della Missione di Khartum. Farò tutto il possibile per ben organizzare questa Opera del mio faticoso Vicariato, ma la prego insistentemente, Signor Direttore, di venire in mio aiuto. Bisogna conquistare a Gesù Bambino l'Africa centrale che non ha mai goduto dei benefici della fede.
Negli anni scorsi l'ho pregata di mandarmi il sussidio della S. Infanzia per mezzo del banchiere cattolico Sig. Brown e Fils a Roma. Questo vecchio, ahimè, ha fatto bancarotta e molti ecclesiastici (anche monsignori e cardinali) hanno perso il denaro. Per conseguenza non mandi più niente al Sig. Brown che è sparito da Roma.
Siccome a Parigi non ho un mezzo, la prego di inviare il denaro destinato all'Africa centrale, al Superiore dei miei Istituti del Cairo in Egitto, cioè
Al Rev. P. Francesco Giulianelli
Superiore dell'Istituto dei neri
per l'Africa Centrale
Cairo (Egitto)
Ho ricevuto la magnifica Enciclica del Papa per la S. Infanzia. Sarà mio dovere scrivere a tutti i vescovi, cardinali etc. (e soprattutto in Italia) di mia particolare conoscenza, per spingerli a fare delle Lettere pastorali etc. e fare il possibile per sviluppare la S. Infanzia. Questa Enciclica è provvidenziale e lei, Signor Direttore, ne ha un grande merito: ha spinto direttamente il S. Padre Leone XIII a emanare questo Atto che salverà milioni di bambini. Bisogna approfittarne ora. Bisogna battere il ferro finché è caldo. I Vescovi agiranno con coraggio, malgrado i cattivi tempi. Con etc.
+ Daniele Comboni
Vesc. e Vic. Ap.lico dell'Africa Centrale
Domani entro nel deserto (15 giorni fino a Berber) con 16 tra Missionari e Suore.
Traduzione dal francese.
N. 1009; (965) – A MGR. JOSEPH DE GIRARDIN
AOSIP, Afrique Centrale
Suakim, 7 gennaio 1881
Statistiche e note amministrative.
N. 1010; (966) – A MR. JEAN FRANÇOIS DES GARETS
APFL, Afrique Centrale, 7
Suakim (sul Mar Rosso), 9 gennaio 1881
Signor Presidente!
Eccomi entrato nella prima città orientale del mio Vicariato. Le invio i due piccoli quadri per la prossima ripartizione. Vi manca il mio rapporto annuale che credo conveniente di non fare al presente, fino a che avrò fatto una parte della mia visita pastorale. Nell'attesa le scriverò più sovente che mi sarà possibile per far conoscere la natura e i dettagli del laborioso apostolato dell'Africa centrale che è così poco conosciuto dai nostri cari benefattori e associati.
E siccome è difficile formarsi un'idea esatta del nostro campo di lavoro senza conoscere bene ciò che la scienza e la geografia ha fatto per questa parte del mondo che si chiama Africa, che è la più vicina all'Europa e tuttavia la più sconosciuta (per questo anche la Chiesa e le sue Missioni cattoliche hanno la loro parte molto importante) mi sono proposto di indirizzarle un rapporto che ha per titolo: Quadro Storico sulle Scoperte Africane, che servirà come base solida per conoscere, non solamente la portata e l'importanza delle Missioni cattoliche dell'Africa Centrale ed Equatoriale, ma anche di tutte le nostre Missioni dell'Africa intera.
Ma svilupperò soprattutto i dettagli delle Missioni interne, i lavori principali che sono necessari per ben stabilire una Missione nelle tribù primitive*, dopo l'esperienza. I lavori apostolici dell'Africa interna sono ben difficili e più laboriosi che quelli delle altre Missioni del mondo; ed è quello che bisogna spiegare. Sono stato spinto a Roma dal degno e venerabile Mons. Masotti (che è un uomo eminente e superiore) a scrivere molto e spiegare sull'Africa centrale e lo farò nei momenti di riposo e nella misura in cui potrò.
Ma sono nell'imbarazzo per le risorse che mi mancano e che sono ben inferiori di ciò che occorre di stretto necessario per le opere che abbiamo nel Vicariato e per quelle che bisogna assolutamente fondare per dare sviluppo necessario a questa difficile Missione.
La prego, Signor Presidente, di aiutarmi. Le ultime Stazioni della Missione hanno soprattutto bisogno di essere aiutate. Ah, io farò tutto il possibile per far funzionare queste Missioni!
Ho appena ricevuto la magnifica lettera Enciclica di Leone XIII sulla Propagazione della Fede. E' un monumento di carità da parte di questo grande Pontefice che porta nel suo cuore le Missioni apostoliche, ma lei ha un grande merito per aver provocato questo atto del sovrano Pontefice. Ah, la sua carità, la sua dedizione, il suo zelo sono ammirabili. Noi siamo dei piccoli pigmei in confronto dei degni membri dei Consigli centrali della Propagazione della Fede.
Sarà mio dovere scrivere a tutti i vescovi e cardinali di mia conoscenza personale, soprattutto in Italia, nelle diocesi che hanno più risorse, al fine di spingerli a emanare delle Lettere pastorali, fare pregare e raccomandare nelle chiese la Propagazione della Fede, che è la condizione senza la quale non ci possono essere l'esistenza e lo sviluppo delle Missioni dell'universo intero e soprattutto dell'Africa centrale e delle Missioni interne.
Domani nel pomeriggio con 50 cammelli partirò da Suakin per Berber, attraversando in 15 giorni il deserto che separa il Nilo dal Mar Rosso e per la via di Khartum, conto di arrivare al Cordofan e a Gebel Nuba, per la metà di marzo. Conduco con me una carovana di 16 membri della Missione, dei quali scrivo i nomi in questo foglietto per le Missions Catholiques.
Non cessiamo mai di pregare e far pregare per lei e per l'Opera della Propagazione della Fede e sono sempre il
Suo riconoscentissimo
+ Daniele Comboni
Vescovo e Vicario Apostolico
Traduzione dal francese.