Comboni, in questo giorno

Partecipa in Cairo (1869) al ricevimento offerto da Francesco Giuseppe ai missionari
Dal Quadro storico, 1880
La Società delle Sante Missioni apostoliche e i banditori di Cristo penetrano con la Croce e il Vangelo dove né la spada, né l’avidità del denaro, né il nobile amore della scienza hanno potuto farsi strada

Scritti

Ricerca
Ricerca avanzata - Clicca qui per affinare la ricerca
N° scritto
Destinatario
Segn. (*)
Provenienza
Data
731
Convenz. con D. Grego
1
Verona
10.12.1877
A D. FRANCESCO GREGO

ACR, A, c. 18/39



Verona, 10 dicembre 1877



Convenzione con D. Grego.



732
Autografo su Breviario
1
1877
AUTOGRAFO SU BREVIARIO

APMR



1877



733
Alla Società di Colonia
0
1877

ALLA SOCIETA' DI COLONIA

"Jahresbericht..." 24 (1877), pp. 3-116



1877

RELAZIONE STORICA

e

STATO DEL VICARIATO DELL'AFRICA CENTRALE

[4771]
Per mezzo dell'augusto segno della croce, per volontà della Sapienza eterna, noi vediamo il mondo cristiano uscire dalle fitte tenebre, in cui era stato tenuto dalla legge antica; solo la Croce ebbe la forza di operare questo miracolo, ed è per questo che tutte le opere che vengono da Dio devono nascere ai piedi del Calvario.


[4772]
Perciò parlano in favore della santità di una opera i segni di riconoscimento, che consistono nella Croce e nel dolore, e nelle contrarietà, che spesso oppongono alle opere di carità, i più gravi ostacoli. Sì, solo su questa Via Crucis, ricoperta di spine, maturano, si perfezionano e trovano la loro riuscita finale le opere di Dio. Questa via la percorse anche l'Uomo-Dio per compiere la sua opera di redenzione universale.


[4773]
La Vergine santa e immacolata prima fu Regina dei Martiri, poi divenne Regina del cielo e della terra. Così anche tutti gli Ordini religiosi, tutti gli stabilimenti e Istituti della Chiesa di Gesù Cristo furono fondati sulle spine, dalle quali vediamo scaturire le più eroiche virtù che diffondono la loro benedizione e i loro benefici su tutto l'universo.


[4774]
I martiri e tutti i santi camminarono per questa via e noi misuriamo la sublimità della loro santità dall'ampiezza delle sofferenze che dovettero sopportare nella loro vita terrena. Infine anche la Chiesa di Gesù Cristo e il Papato da S. Pietro a Pio IX, dietro l'esempio del Fondatore divino, porta i segni di questa lotta ininterrotta.


[4775]
La Chiesa, la più augusta creazione della onnipotenza e dell'amore divino, la cosa più perfetta che sia uscita dalla sua destra, questa sublime meraviglia del suo eterno consiglio, quest'arca della Nuova Alleanza, questa mistica nave, che per 19 secoli sostenne incolume l'urto dei marosi, sollevati di continuo contro di lei dalle forze furibonde dell'inferno, per altri secoli ancora sarà maestosamente guidata sulle onde, finché entrerà nel porto dell'eternità.


[4776]
La cosa non va diversamente per la sublime impresa della rigenerazione cristiana della Nigrizia, la quale si vanta di aver ricevuto da loro e da tutta la Germania cattolica la prima scintilla di vita, il primo impulso, i primi aiuti per il suo progresso e per il suo sicuro sviluppo.


[4777]
Anche questa impresa apostolica ha la stessa sorte di tutte le opere sante, che scaturiscono dal seno della Chiesa di Gesù Cristo, in quanto che gli ostacoli e le ostilità con cui ebbe a lottare fino dal suo primo nascere, possono essere considerati come garanzia infallibile della sua buona riuscita e di un futuro felice.


[4778]
Poi, grazie alle sagge disposizioni della S. Sede, questa santa opera è entrata in uno stadio, in cui avremo la gioia di poterle dare una maggiore espansione, e perciò non riuscirà sgradito agli egregi membri della Società della Germania cattolica, se io presento loro un quadro della storia del Vicariato dell'Africa Centrale e delle opere per l'evangelizzazione della Nigrizia, che potranno conseguire nel modo più pratico e migliore la conversione della Nigrizia. E nello stesso tempo faccio una descrizione concisa della situazione attuale di questo importantissimo apostolato.


[4779]
Il Vicariato Apostolico dell'Africa Centrale fu eretto con un decreto di Gregorio XVI di santa memoria, il 3 aprile 1846. I suoi confini sono:

A nord: Il Vicariato apostolico d'Egitto e la Prefettura di Tripoli.

A est: il Mar Rosso e i Vicariati apostolici d'Abissinia e dei Galla.

A sud: le montagne, che secondo i geografi moderni, giacciono tra il 10 e il 12 di Lat. Nord.

A Ovest: il Vicariato della Guinea e la Prefettura del deserto del Sahara.


[4780]
L'estensione del Vicariato supera in ampiezza tutta l'Europa. Abbraccia i possedimenti del Sudan, che sono soggetti alla corona dei Kedive d'Egitto e che formano un territorio cinque volte più grande della Francia. Sono comprese le tribù dedite al feticismo e i territori dei popoli primitivi, che non appartengono alla Nigrizia centrale, ed alcuni regni, in cui comandano re e sultani, che più o meno hanno abbracciato le leggi di Maometto.


[4781]
Secondo il calcolo approssimativo del mio insigne ed esperto predecessore Dr. Knoblecher, la sua popolazione ammonta a circa 90 milioni di abitanti; secondo i miei calcoli e i dati statistici di Washington il numero arriva a circa 100 milioni di anime infedeli. Ne segue che il Vicariato apostolico dell'Africa Centrale è di gran lunga il più grande e popolato della terra.


[4782]
Dal punto di vista storico la storia di questo immenso Vicariato abbraccia tre diversi periodi:

Il primo periodo è quello in cui fu sotto la direzione del P. Ryllo S.J., che soccombette agli strapazzi della vita missionaria nel 1848 a Khartum, del celebre Dr. Knoblecher che fece il sacrificio della sua vita nel 1858 a Napoli, e di Mons. Kirchner, che nel 1861 cedette il Vicariato al benemerito Ordine Serafico.


[4783]
Il secondo periodo è quello in cui il Vicariato dal 1861 al 1872, si trovò sotto l'amministrazione dei RR. Padri Francescani, sotto l'alta direzione del Rev. P. Reinthaller e del Rev. Delegato e Vicario apostolico d'Egitto.


[4784]
Il terzo periodo infine è quello in cui sta sotto la mia direzione, avendolo la S. Sede affidato esclusivamente all'Istituto per le Missioni della Nigrizia da me fondato a Verona, di cui è protettore l'Eccellentissimo Vescovo Marchese di Canossa.


[4785]
Dalle precedenti relazioni, stampate dalla pregiatissima Società di Colonia, ricaviamo che nel primo periodo del Vicariato dell'Africa Centrale furono erette quattro stazioni:

1) Khartum nell'alta Nubia, capitale del Sudan, appartenente ai possedimenti egiziani, situata sul fiume Azzurro, tra il 15º e il 16º di Lat. N.

2) Gondocoro nella regione dei neri Bari, sul Fiume Bianco tra il 4º e il 5º di Lat. Nord.

3) S. Croce tra i Neri Kic, situata tra il 6º e il 7º di Lat. Nord sul Fiume Bianco.

4) Scellal nella Nubia Inferiore, presso il Tropico del Cancro, di fronte all'isola File.


[4786]
Nel primo periodo lavorarono, in condizioni difficilissime, più di 40 missionari europei, e furono quasi tutti vittime della loro eroica carità e delle sovrumane fatiche e del clima micidiale.


[4787]
Nel secondo periodo, quando furono abbandonate le lontane stazioni di Gondocoro e di S. Croce, e più tardi anche quella più vicina di Scellal, tutta l'attività apostolica si concentrò sulla missione di Khartum, che dal Provicario apostolico Dr. Knoblecher era stata provveduta di un'ampia abitazione e di un vasto giardino piantato a datteri, e tutto ciò era stato possibile per i mezzi forniti con generosità dalla Presidenza della Marienverein in Vienna.


[4788]
Vi furono occupati 50 membri dell'Ordine Francescano, per massima parte laici, dei quali 22 soccombettero nel primo anno; i superstiti, gravemente spossati dalle malattie e dalle grandi fatiche, si ritirarono per la massima parte in Egitto o in Europa, mentre solo alcuni pochi sacerdoti e laici restarono a servizio della missione e procurarono grande conforto spirituale ai cattolici di Khartum, che appartenevano al Vicariato apostolico d'Egitto.


[4789]
Nel terzo periodo fu eretta una nuova missione nel Kordofan, nella capitale El-Obeid, con un edificio per i missionari e uno per le Suore di S. Giuseppe e a una mezza giornata di viaggio fu fondata la colonia agricola di Malbes, formata di alcune case adatte con un po' di terreno coltivabile per esclusiva utilità della missione, e con lo scopo di collocarvi famiglie di negri divenute cristiane, affinché potessero così costituire a poco a poco villaggi completamente cristiani.


[4790]
A Gebel Nuba, nella parte sud occidentale del Kordofan, tra il 9º e l'11º di Lat. Nord, fu pure eretta una nuova missione, e a Khartum fu aperto un bell'Istituto per le Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione con un orfanatrofio e con un ospedale. Anche a Berber fu fondata una nuova stazione, che per due anni fu diretta dai Padri di S. Camillo de Lellis, ma ora è affidata unicamente ai sacerdoti del mio Istituto di Verona.


[4791]
Tutti questi Istituti vengono forniti con nuove forze da due stabilimenti di preparazione e di acclimatizzazione in Egitto. In questo periodo vi si impiegarono sacerdoti del mio Istituto per le Missioni della Nigrizia di Verona, alcuni Ministri degli Infermi e le zelantissime suore di S. Giuseppe dell'Apparizione di Marsiglia.


[4792]
In questo periodo di tempo per l'inclemenza del clima non soccombette neppure un solo sacerdote europeo, ma ora sono ancor tutti vivi senza eccezione, e la loro salute è ottima nonostante le fatiche, i molti strapazzi e i sacrifici che devono sostenere. Però dovemmo piangere la morte di alcune suore non abituate al faticoso lavoro missionario, non essendo la loro salute la più florida, quando esse assunsero opere di carità cristiana così tanto difficili.


[4793]
Di qui appare chiaro che il Vicariato apostolico fin dall'inizio è entrato nella via inevitabile, che la divina Provvidenza gli ha tracciato. Sì, ogni opera santa, prima di raggiungere il suo compimento, deve passare per una scuola di prove, che consiste in una serie di dure battaglie e sacrifici.


[4794]
A questo punto mi sia permesso di dare un rapido quadro dell'origine dell'opera santa di evangelizzazione della Nigrizia da me fondata; come sorge sotto la protezione del veneratissimo Vescovo di Verona e come, con l'assistenza dei Sacri Cuori di Gesù, di Maria e di S. Giuseppe, in tempi quanto mai calamitosi, in lotta contro i più gravi ostacoli, riuscì nondimeno a mettere radici a Verona, in Egitto e nell'Africa Centrale, mediante la quale ora vengono recati vita e sostentamento al Vicariato.


[4795]
Tra i primi cinque missionari, che nel 1846 la S. Sede inviò nell'Africa Centrale sotto la guida del magnanimo P. Ryllo, c'era anche il sacerdote Don Angelo Vinco, nativo di Cerro nella diocesi di Verona, membro dell'Istituto Mazza, portento di carità cristiana, fondato dall'insigne Don Nicola Mazza, al quale devo anch'io la mia formazione sacerdotale ed apostolica, essendo io stato allievo di quell'Istituto dal 1843 al 1867.


[4796]
Dopo la morte del P. Ryllo il Vinco ritornò in Europa per raccogliere sia elemosine sia nuovi apostoli di Gesù Cristo, e si fermò due mesi nel detto Istituto. Nelle mani della Provvidenza egli fu lo strumento, dal quale il distintissimo sacerdote D. Mazza fu indotto a prendere nuove decisioni e inviò nell'Africa Centrale i membri più idonei del suo così fiorente Istituto, poiché la condizione infelice e la miseria in cui giacevano i popoli neri, dopo i racconti del missionario ritornato, lo avevano profondamente commosso.


[4797]
Fu nel gennaio 1849, che io, studente di 17 anni, ai piedi del mio veneratissimo Superiore Don Nicola Mazza, promisi di consacrare la mia vita all'apostolato dell'Africa Centrale; e con la grazia di Dio non mi è accaduto di divenire infedele alla mia promessa. Incominciai allora a prepararmi a questa santa impresa e poi nel 1857, mentre era già iniziato il terzo periodo della missione, sotto la guida del valoroso Don Giovanni Beltrame, da Don Nicola Mazza fui inviato con alcuni altri sacerdoti a Khartum e alle stazioni del Fiume Bianco, ove ebbi a passare un difficile tempo di prova e più volte fui colto dalle violente febbri equatoriali, che quasi mi portarono alla tomba. Ivi ebbi occasione di studiare e di conoscere a fondo la lingua denka e con essa i costumi e le usanze di molte tribù nere dell'interno.


[4798]
Di là fui richiamato indietro da un ordine del mio Superiore e, dopo il mio ritorno in Europa per la via di Dongola e Wadi-Halfa, dovetti andare nelle Indie orientali, in Arabia e sulle coste orientali dell'Africa per affari importanti. Intanto il Vicariato era passato nelle mani dei PP. Francescani.


[4799]
Nell'anno 1864 il 18 settembre, mentre mi trovavo a Roma e nella basilica di S. Pietro assistevo alla beatificazione di S. Margherita Maria Alacoque, come un lampo mi balenò il pensiero di proporre un nuovo Piano per la cristianizzazione dei poveri popoli neri, i cui singoli punti mi vennero dall'alto come un'ispirazione. In seguito esso ottenne il beneplacito di Sua Santità il Papa Pio IX, che lo fece rimettere alla S. Congregazione di Propaganda Fide. Fu tradotto in varie lingue e se ne fecero varie edizioni. Basandomi su questo Piano, la mia intenzione era di dare alla Missione tra i poveri neri dell'Africa Centrale una sistemazione di maggior vitalità e consistenza. Feci pertanto la proposta di fondare in Europa, in posto adatto, due Istituti per ambo i sessi, allo scopo di formare personale per la direzione di queste missioni dell'Africa Centrale, sia missionari come missionarie. Parimenti in un punto salubre della costa africana erano da erigersi due istituti quali stazioni di preparazione e di acclimatizzazione, prima che il personale missionario penetrasse nelle zone interne dell'Africa.


[4800]
Sennonché trovandomi io da solo, senza gli aiuti e i mezzi pecuniari necessari per attuare il mio Piano, col permesso dei miei Superiori, di S. Em. il Card. Barnabò, Prefetto di Propaganda, e del Rev. Don Nicola Mazza, fui costretto a percorrere per tre anni l'Italia, la Francia, la Spagna, l'Inghilterra e la Germania, soprattutto l'Austria, cercando di studiare continuamente le Missioni Estere e le loro istituzioni, che in Francia e in Irlanda sono organizzate mirabilmente. Dappertutto cercai di ampliare le mie cognizioni e, con l'esposizione chiara dell'importanza dell'opera da intraprendere, di procurarmi appoggio e denaro. In questo fui aiutato molto da S. Em. il Card. Barnabò e da altre personalità ragguardevoli ecclesiastiche e secolari e soprattutto dagli incoraggiamenti e dalle parole profetiche del nostro incomparabile Pio IX, che mi rivolse nel settembre dell'anno 1864, parole che mi colpirono profondamente: Labora sicut bonus miles Christi pro Africa.


[4801]
Benché mi vedessi dinanzi ostacoli quasi insormontabili e difficoltà enormi contro le quali avrei dovuto lottare sia in Europa come in Africa, nondimeno confidai sempre nel Cuore divino, che patì anche per l'infelice Nigrizia. Non mi lasciò un istante la speranza nell'esito finale del mio così grande e sublime compito.


[4802]
Quando nel 1865 alla stimatissima Società per il soccorso ai poveri neri di Colonia proposi il mio disegno sulla sicurezza della missione in Africa, ciò fu approvato, e, guidati dalla più grande umana benevolenza, si riconobbe l'importanza di portarlo all'attuazione, e da codesta Società per prima venne la promessa di un aiuto continuo in seguito alla dichiarazione generosa confermata del Rev.mo Dr. Baudri, Vescovo di Aretusa i.p.i. e Vicario Generale dell'Arcidiocesi di Colonia, con la quale la Presidenza centrale della detta Società si impegnava a versare 5000 franchi annui per la fondazione di una casa missionaria sulle coste dell'Africa. Questa fu la prima scintilla di entusiastica generosità, che dappertutto in Europa e specialmente nelle principali associazioni di Lione e Parigi, aprì le sorgenti della beneficenza.


[4803]
Solo nel 1867, con l'aiuto di Dio, trovai il vero punto d'appoggio sul quale poter erigere su solida base l'edificio del mio Piano. L'illustre Marchese di Canossa, poi Vescovo di Verona ed ora elevato alla dignità della porpora, degno rampollo della celebre contessa Matilde dei memorandi tempi di Gregorio VII, e degno nipote della contessa Maddalena di Canossa, fondatrice delle Figlie della Carità, che lo educò negli anni della sua giovinezza, gradì che dal pio P. Olivieri gli si presentasse un gruppo di morette e, mosso da profonda compassione, non solo gli diede una somma di denaro, ma insieme dispose il suo amico, il venerando Don Mazza, ad accoglierle nel suo Istituto di Cantarane, affinché fossero istruite nella fede cristiana e divenissero poi atte a diffonderla, sotto la guida dei missionari, nella loro patria. Caldeggiò insieme la raccolta di moretti in istituti situati sulla costa africana, che sembravano meglio rispondere allo scopo, perché i neri in Europa morivano. Il P. Olivieri, questo vero angelo di misericordia, se gli fosse stata concessa più lunga vita, sicuramente avrebbe attuato più tardi il suo proposito di trasportarle nell'interno quali messaggeri apostolici.


[4804]
Quando venni a sapere dell'immenso zelo, che animava questo venerabile prelato di adoperarsi per la salute del popolo più infelice della terra e conobbi quanto fosse caro al suo cuore questo pensiero, mi risolvetti di mettere lui, che mi conosceva fin dalla giovinezza, completamente a parte del mio grande Piano. Lo pregai di prestare all'opera mia la sua potente protezione e di volerla presiedere egli stesso, e gli promisi solennemente di voler consacrare fino alla morte con la grazia di Dio a quest'opera tutta la mia attività, e con l'aiuto del patriarca S. Giuseppe di procurare il denaro e tutti gli altri mezzi necessari. Questo magnanimo vescovo, animato da vero spirito apostolico, si mise a capo della mia opera e assunse la presidenza della stessa, benché avesse considerato le sfavorevoli condizioni dei tempi e le grandi difficoltà, contro le quali si doveva urtare, ed anche l'esiguità delle mie forze che potevo mettere a disposizione.


[4805]
Ma egli in ciò fu incoraggiato e confermato dalla parola di Pio IX e del Card. Prefetto di Propaganda e di un gran numero di principi ecclesiastici coi quali si trovò a Roma in occasione delle feste centenarie del glorioso martirio dei Principi degli Apostoli, così che sotto la sua provvidenziale protezione nel 1867 si aprì a Verona un Istituto per la formazione di missionari per la Nigrizia e un secondo per personale missionario femminile, diretto dalle Figlie della Carità, detto Pie Madri della Nigrizia.


[4806]
Per fornire aiuti a queste istituzioni fondai l'Associazione del Buon Pastore, che dal S. Padre fu arricchita di molte indulgenze e tra i suoi membri nella città conta molte persone, tanto ecclesiastiche come laiche, distinte per la loro pietà e carità. Tutto questo fu compiuto non appena, dietro consiglio di S. Em. il Card. Prefetto e del Vescovo di Verona, io mi fui diviso per sempre dall'Istituto Mazza, per poter d'allora in poi dedicarmi pienamente indisturbato alla mia opera, e con l'approvazione del Capo della Chiesa intraprendere la fondazione di Istituti, che io volevo mettere tutti sotto la protezione della S. Sede.


[4807]
A capo dell'Istituto per i Missionari della Nigrizia, che doveva diventare un Seminario per l'apostolato nell'Africa Centrale, proposi il sacerdote Don Alessandro Dalbosco, uomo di eccezionali attitudini a quest'ufficio, che era stato mio compagno nella missione d'Africa Centrale, dove il suo nome resta ancora in benedizione.


[4808]
All'altro Istituto, causa la mia assenza dall'Europa e a seguito dei tempi cattivi, si potè pensare solo nel 1872. Essendo della massima importanza l'esigere anche in Africa un tale istituto per allieve femminili, prima di tutto dovetti intraprendere vari viaggi per assumere informazioni circa gli Ordini religiosi femminili, che più rispondono a questo scopo. Dio volle che, conformemente ai desideri della S. Sede, la mia scelta cadesse sulla benemerita Congregazione della Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione. Quest'Ordine dopo le crociate fu il primo a inviare Suore europee in oriente, nella terra promessa, a Malta, sulle coste settentrionali dell'Africa, in Australia, nelle Indie, in Italia, ed è molto diffuso in Francia.


[4809]
Dopo che in questa maniera io avevo messo insieme in Europa aiuti per la mia opera, ormai, in base al mio Piano, potevo andare a cercare per essa una fondazione sulle coste dell'Africa. Dopo una lunga e matura riflessione, la mia scelta cadde sulla capitale d'Egitto, perché, situata tra l'Europa e le zone del caldo infocato, possiede un clima di media gradazione, ove gli europei destinati all'apostolato nell'Africa Centrale, trascorrono il loro tempo in preparazione, e perché il Cairo possiede sul Nilo una comunicazione perfettamente libera con le province egiziane del Sudan. L'estensione del Vicariato dell'Africa Centrale è da solo vasto cinque volte la Francia.


[4810]
Con il consenso di Propaganda e di Mons. Luigi Ciurcia dei Minori Osservanti di S. Francesco d'Assisi, Arcivescovo di Irenopoli e Vicario e Delegato Apostolico d'Egitto, nel novembre del 1867 con tre Missionari, tre Suore del suddetto Ordine, e con 16 morette, educate negli Istituti d'Europa (delle quali 9 erano allieve dell'Istituto Mazza), munito della benedizione del S. Padre e del Vescovo di Verona, salpammo da Marsiglia sopra un bastimento imperiale francese. Per la straordinaria bontà dei Governanti francesi ottenni viaggio gratuito per 24 persone da Roma a Marsiglia e di là ad Alessandria. Dopo il mio arrivo al Cairo, la vigilia dell'Immacolata Concezione di Maria, sotto la protezione del R.mo Delegato apostolico e Arcivescovo d'Egitto, apersi al Cairo Vecchio, due Istituti nelle vicinanze della S. Grotta, dove, secondo la tradizione, la S. Famiglia deve aver trascorso la maggior parte dei suoi sette anni d'esilio. La direzione dell'Istituto dei moretti l'assunsi io stesso e quella dell'Istituto delle morette Suor Maria Bertholon.


[4811]
Nella difficilissima fondazione di questi due Istituti io ed i miei colleghi di missione, ricevemmo efficacissimo aiuto, con il consiglio e con i fatti, da Mons. Luigi Ciurcia, che mi fu vero padre e protettore, e da P. Pietro da Taggia, Presidente e parroco al Cairo Vecchio, il quale ultimo mi stette amorosamente al fianco con le sue grandi esperienze e con zelo straordinario, e si adoprò per me con rara dedizione. Questo incomparabile figlio di S. Francesco, amante del sacrificio, era già da 35 anni che lavorava nella cura d'anime nelle missioni d'Egitto e di Siria, nelle quali spesso si trovò nelle più disperate situazioni e fu molestato da contrarietà d'ogni genere. Come era benefico per noi il suo incoraggiamento, come erano rassicuranti le sue parole di conforto!


[4812]
Parimenti ricorderò sempre con riconoscenza fino alla fine di mia vita il saggio consiglio e la protezione di Mons. Ciurcia, come pure l'amore pratico del R.mo Padre da Taggia e nostro amato Direttore, che mi venne incontro con sì distinta bontà e partecipazione; e dei benemeriti Fratelli delle Scuole Cristiane al Cairo, del P. Pietro e del suo successore P. Fabiano, e di molti altri Francescani del Cairo e di Alessandria che potrei qui menzionare! Dio dia loro nell'eternità la ricompensa di tutto quello che hanno fatto per me!


[4813]
Circa l'organizzazione e le Regole, come sono in vigore negli Istituti di Verona e del Cairo, ne ho già dato loro informazione negli Annali di Colonia e in futuro farò pervenir loro relazione anche sull'ulteriore loro sviluppo.


[4814]
Nella mia spedizione in Egitto, nell'anno 1867, avevo come compagni i Ministri degli Infermi dell'Ordine di S. Camillo de Lellis, Stanislao Carcereri e Giuseppe Franceschini, ai quali in seguito alla soppressione dell'Ordine in Italia, con rescritto della Congregazione dei vescovi in data 5 luglio 1867, era stato concesso dal vescovo di Verona, quale Visitatore Apostolico delle case camilliane della Provincia lombardo-veneta, di potersi aggregare per 5 anni all'opera africana. Io devo riconoscere e lodare l'attività e lo zelo da loro svolto negli Istituti d'Egitto, tanto che durante i miei due viaggi in Europa, ai quali mi vidi obbligato dagli interessi della nostra grande impresa, io mi risolvetti di affidare la direzione degli Istituti del Cairo al P. Carcereri fino all'ottobre 1871, in cui ebbe per successore il R.mo Canonico Pasquale Fiore, che ora è il mio Rappresentante Generale nel Vicariato.


[4815]
Nel 1870 ebbi la grande soddisfazione di poter presentare al Concilio Ecumenico Vaticano il mio Postulato per i Neri dell'Africa Centrale, stampato negli Annali della Società di Colonia, e che fu sottoscritto da un gran numero di vescovi delle 5 parti del mondo. Dopo che ricevetti l'approvazione dalla S. Congregazione, cui spetta esaminare gli argomenti proposti dagli Eminentissimi Padri conciliari, l'illustrissimo Mons. Franchi, arcivescovo di Tessalonica i.p.i. allora Segretario della detta Congregazione ed ora Prefetto di Propaganda, fu presentato al S. Padre Pio IX. Era il 18 luglio, giorno della definizione del dogma dell'infallibilità del supremo Pastore, alla quale solenne seduta ebbi la gioia e l'onore di presenziare. Poi passò in mano alla Congregazione per le Missioni Apostoliche e dei Riti (usi) Orientali.


[4816]
In seguito al buon andamento degli Istituti di preparazione e di acclimatizzazione d'Egitto e di Verona, che giustificavano le migliori speranze, io potevo passare a trapiantarne gli elementi più adatti nell'interno dell'Africa. Ponderai prima la cosa sotto ogni rispetto e feci fare i più coscienziosi studi in proposito anche dagli altri. Le esperienze del primo periodo del Vicariato infatti avevano dimostrato che i neri del Fiume Bianco, causa il continuo contatto coi mercanti musulmani od orientali o anche coi mercanti cristiani europei, ma soprattutto coi Giallaba, mercanti di carne umana, erano completamente guasti nei costumi. Questi ultimi avevano tra loro ogni vizio; essi sapevano altresì che il Governo egiziano agisce senza leggi e senza morale, perché invia spedizioni militari per monopolizzare tutto il commercio, specialmente dei denti d'elefanti, e mantiene la tratta degli schiavi in maniera così elevata, che la popolazione posta sulle due rive del Nilo fino all'Equatore, viene conseguentemente decimata nel modo più orrendo.


[4817]
Di qui appariva chiaro che era il momento più propizio per penetrare nell'interno e fondare una stazione fra quelle tribù, dimoranti tra il Fiume Bianco e il Niger, anche perché questa contrada, essendo più elevata, offriva maggiori vantaggi sanitari, che non le depressioni paludose del Fiume Bianco tra Khartum e il paese dei Bari. Nello scegliere per la nostra attività apostolica proprio questi territori, situati ad ovest del Fiume Bianco, io aveva anche un'altra ragione molto importante, ed era questa che non vi era mai penetrato il cristianesimo e non vi era mai stato predicato il Vangelo; inoltre, dato che il Vicariato era tutto in mano del benemerito Ordine Francescano, che aveva la sua sede e il suo punto di riferimento a Khartum e che poteva estendere il campo del suo lavoro nelle contrade del Fiume Bianco ed Azzurro, esso avrebbe certamente acconsentito che la nostra Missione si spingesse nell'interno, ad ovest del Fiume Bianco per collocarvi i sacerdoti del mio Istituto di Verona e le Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione.


[4818]
A questo scopo io raccolsi precise informazioni sul regno del Kordofan, di cui conoscevo a fondo la storia precedente sia prima dell'occupazione egiziana sotto il dominio di sultani indigeni provenienti dal Darfur, come dopo la presa di possesso del crudele Defterdar a nome del grande Mohammed-Alì, Vicerè d'Egitto, nel 1822. Nessun missionario cattolico era mai entrato nel Kordofan, ed io sapevo che nella capitale del Kordofan c'era un continuo afflusso dalle cento tribù dell'interno: dai grandi regni del Darfur, Waday, Baghermi e Bornù, situati tutti alla periferia del Vicariato apostolico dell'Africa Centrale. Pertanto mi risolvetti di fondare una succursale nella capitale del Kordofan, che secondo la mia idea doveva costituire il centro e il punto di partenza per l'attività apostolica tra le tribù della parte media del Vicariato, sicché Khartum sarebbe rimasto il naturale punto di riferimento e di partenza per il lavoro nelle regioni orientali e meridionali del Vicariato.


[4819]
Confermato in questo dall'accorto parere del P. Carcereri e dei missionari del mio Istituto d'Egitto, che al Cairo si erano nel frattempo assuefatti al caldo africano, inviai nel Kordofan per un'esplorazione il P. Carcereri, che mi si era offerto, assieme ad un missionario del mio Istituto di Verona. Si unirono inoltre in loro compagnia due fratelli laici: Domenico Polinari di Montorio e Pietro Bertoli di Venezia del medesimo Istituto. Ma, avendomi chiesto più volte il P. Carcereri che invece dl missionario veronese mettessi al suo fianco un membro religioso, il P. Franceschini, gliene diedi volentieri il mio consenso. Provvidi la piccola carovana del denaro necessario per il viaggio e dei viveri per due anni, e da Dresda aggiunsi per lettera minute istruzioni e direttive al P. Carcereri, di prendere la via del deserto di Corosco per Khartum e di inoltrarsi con i cammelli nel Kordofan, e, esplorati i punti principali, di aprire la sua residenza nella capitale El-Obeid.


[4820]
Il suo compito principale doveva essere quello di conoscere le condizioni del paese, la popolazione e le sue note caratteristiche, il governo del paese e l'influenza del clima; desideravo poi una relazione dettagliata e che aspettasse le mie ulteriori decisioni e l'approvazione di Propaganda. I tre viaggiatori erano partiti dal Cairo il 26 ottobre 1871, e già nel febbraio del successivo anno il P. Carcereri aveva condotto felicemente a termine la progettata spedizione e io ne ricevetti la sua relazione in Europa, relazione che fu stampata nei loro Annali, e il cui contenuto così fu risaputo dai membri della Società.


[4821]
Siccome il P. Carcereri mi comunicava che si poteva acquistare per un prezzo moderato una casa comoda, benché fatta solo di argilla e di sabbia, affrettai a mandargli dal Cairo la somma necessaria all'acquisto della medesima con l'invito a non muoversi fino a ulteriori decisioni e di occuparsi nell'apprendere la lingua e, se possibile, di guadagnare al cielo qualche anima in articulo mortis, specialmente tra i fanciulli. Intanto io era tutto occupato nella mia opera di Verona, e mi diedi da fare per raccogliere in Austria, Germania, Polonia e Russia le somme necessarie al mantenimento degli Istituti di Verona e d'Egitto.


[4822]
Poi con le indispensabili istruzioni e raccomandazioni procuratemi dal Vescovo di Verona, mi recai nella Città Eterna per ottenere all'opera mia la sanzione della suprema autorità della Chiesa, dopo avere sottoposto ad essa tutti i miei piani e desideri.


[4823]
Qui non posso passare sotto silenzio l'offerta di 20.000 fr. in oro, concessami dalla insigne munificenza delle loro Maestà apostoliche l'Imperatore Ferdinando I e l'Imperatrice Maria Anna d'Austria, per cui mi fu possibile acquistare un immobile per un Istituto missionario della Nigrizia, adiacente al seminario vescovile.


[4824]
A Roma, ove arrivai il 7 febbraio, ebbi l'onore di essere accolto con particolare bontà e favore dalla S. Congregazione di Propaganda e così pure dall'immortale Pio IX. Al Card. Barnabò diedi una relazione con tutti i particolari circa la mia condotta, vi apposi le credenziali del vescovo di Verona con decreto d'erezione canonica dell'Istituto missionario per la Nigrizia, con un elenco di tutte le usanze e regole per lo stesso ed anche delle case d'Egitto, nonché i documenti circa i mezzi di sussistenza per il mantenimento dell'Istituto di Verona. Infine consegnai anche una petizione, che vi aveva allegato il Vescovo di Verona, con tutte le formalità, e quelle inviate dalle Società di Colonia e di Vienna, nelle quali con ogni sommissione si esprimeva alla S. Sede la supplica di voler concedere all'Istituto di Verona per la Nigrizia una particolare missione nelle regioni dell'Africa Centrale, indipendente da ogni altra giurisdizione.


[4825]
Il prudente ed esperto Card. Prefetto ponderò maturatamente la cosa e assunse informazioni circa l'organizzazione dei miei Istituti e i mezzi finanziari, che erano a mia disposizione, assolutamente necessari per garantire l'avvenire di un Istituto, e circa la possibilità di conseguire realmente buoni risultati in sì difficile impresa. Mi incaricò poi di presentare all'adunanza delle Eminenze della Congregazione di Propaganda, un rapporto generale sullo stato del Vicariato apostolico dell'Africa Centrale, che fu ricevuto nel febbraio 1872, di dare io stesso presente, una esposizione sui mezzi che con tutta modestia ritenevo più indicati a portarvi dei miglioramenti. Le mie idee furono discusse in una Congregazione generale di Propaganda da eminenti Prelati, cui spettano gli affari ecclesiastici di sì gran parte del mondo. Dopo la distribuzione agli Em.i Signori Porporati dei miei "Memorandum", stampati nella tipografia poliglotta, essi il 21 maggio tennero una sessione in Vaticano e ne vennero le seguenti decisioni:


[4826]
1) Consegna di tutto il Vicariato Apostolico dell'Africa Centrale al novello Istituto delle Missioni della Nigrizia fondato a Verona, dopo la rinuncia del benemerito Ordine serafico all'attività nel medesimo.

2) La direzione generale delle Missioni dell'Africa Centrale viene messa nelle mie mani sotto il titolo di Provicario Apostolico, fornito di straordinarie facoltà per il ministero apostolico nella nuova vigna del Signore.


[4827]
Queste decisioni, sottoposte al Supremo Pastore dall'Eccellentissimo Mons. Simeoni, allora Segretario di Propaganda, il 26 maggio ebbero l'approvazione di Pio IX. Ora questo illustre Prelato è stato fatto Cardinale Segretario di Stato. Il giugno seguente mi fu trasmesso da Propaganda il relativo Breve pontificio con la mia nomina a Provicario apostolico.


[4828]
Ultimati a Roma i miei affari e ricevuto in udienza privata da Sua Santità Pio IX accompagnato dal P. Pio Hadrian, proveniente quest'ultimo dalla regione del Fiume Azzurro nella Nubia superiore e sacerdote dell'Ordine benedettino di primitiva osservanza di Subiaco, mi portai a Vienna a rendere omaggio a Sua Maestà apostolica l'Imperatore Francesco Giuseppe, augusto protettore delle nostre missioni dell'Africa Centrale, ed ebbi a godere gentili accoglienze e benevolenze e qualche favore.


[4829]
Con l'aiuto dell'attivissimo Rev. Don Antonio Squaranti, Rettore dell'Istituto africano di Verona e mio Procuratore generale, assestai tutti gli affari in corso, e con un gruppo notevole di operai evangelici intrapresi il mio viaggio per l'Egitto, nella cui capitale, il Cairo, arrivammo il 26 settembre 1872. Spedii tosto alcuni missionari nel Vicariato, nominai mio Vicario Generale a tempo indeterminato il P. Stanislao Carcereri e lo incaricai di prendere possesso a nome mio della casa di Khartum, che i PP. Francescani stavano per lasciare, avendo essi già ricevuto dal loro Superiore il richiamo. Inoltre gli ordinai di prendere in affitto una casa adatta ad accogliere le sorelle nere, che dal Gran Cairo volevo condur meco nel Sudan e che dovevano insegnare come maestre delle allieve.


[4830]
Difatti nel gennaio 1873 m'imbarcai alla testa di oltre una trentina di persone sopra due grandi barche sul Nilo e con esse intrapresi il viaggio verso il Sudan. La piccola carovana constava di Missionari, Suore, Fratelli laici, maestre nere, coadiutori e allievi neri. Collocai provvisoriamente le Suore in una casa presa in affitto, fino a che i mezzi ci avrebbero permesso di acquistare per loro una casa missionaria propria.


[4831]
Era la prima volta che religiose entravano sul suolo africano. Dal tempo in cui la Vergine Maria, là nel tempio di Gerusalemme, prima fra tutte le figlie di Eva, innalzò sulla terra il glorioso vessillo della santa verginità e che si diffuse quindi nella Chiesa il candore di questa sublime virtù, noi vedemmo unirsi insieme schiere di pie vergini, che, assoggettandosi in ogni secolo alla più perfetta ubbidienza, furono mandate in tutte le contrade a dispensare ovunque i benefici della carità cristiana. Oggi noi vediamo queste eroine, soprattutto le ammirabili Suore di S. Vincenzo de' Paoli, impiegate in quasi tutte le missioni cattoliche del mondo: noi le troviamo in Inghilterra, in America, in Germania, a Pietroburgo, a Costantinopoli; noi le troviamo in Siria, in Armenia, in Persia, nella Mongolia, nell'India, in Cina, nell'Australia, su tutte le coste dell'Africa.


[4832]
Perfino le popolazioni, seguaci fanatiche del Corano e presso le quali le donne sono in una condizione inferiore e diventano oggetto di vituperevole passione, non possono fare a meno di stimarle e di venire loro incontro con grande venerazione; sì, esse sono degne di ammirazione per queste alte virtù di generosità cristiana, sicché non è raro il caso in cui sultani musulmani manifestino tali sentimenti. Solo l'Africa Centrale non vide giammai sul suo suolo Religiose cattoliche e i meravigliosi successi della loro opera.


[4833]
Questa sublime missione per disposizione di Dio fu riservata alla benemerita Congregazione delle Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione di Marsiglia, e le prime intrepide suore, che si consacrarono a questa sublime opera, provenivano dall'Oriente, e non erano in possesso di grandi talenti né erano fornite di eccessive cognizioni né la loro salute era la più florida. Traspariva in loro però una grande purezza di costumi e una carità ardente; esse non bramavano altro che diventare apportatrici di salute a questo popolo il più miserabile della terra, perché divenisse, in loro, verità luminosa la sublime affermazione dell'Apostolo delle genti, S. Paolo, "che Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio".


[4834]
Di queste tre suore, due percorsero una splendidissima carriera terrena, ed il ricordo delle loro rare virtù entusiasmerà certamente coloro che succederanno in questo arduo apostolato e sarà loro stimolo a divenire simili a questi modelli. Esse sono le suore Giuseppina Tabraui e Maddalena Caracassian.


[4835]
Dopo 99 giorni di lungo e malagevole viaggio, entrammo nella capitale dei possedimenti egiziani del Sudan. Ivi ci fu fatta una solenne accoglienza da parte dell'illustrissimo Console austro-ungarico, del Pascià di Khartum, di tutta la popolazione cattolica e perfino degli acattolici e musulmani. I missionari li collocai nei grandi locali del magnifico edificio, fondato dal mio predecessore Dr. Knoblecher con le abbondanti offerte dei cattolici austriaci. Per le suore missionarie e per le maestre nere, presi in affitto per un anno una casa, che era appartenuta al defunto maltese Sig. Andrea de Bono.


[4836]
L'organizzazione di questi Stabilimenti a Khartum e l'impianto della nuova amministrazione per la missione mi occupò un mese intero; lasciai qui come superiore il P. Carcereri e nominai suo assistente il Canonico Pasquale Fiore dell'arcidiocesi di Trani e membro del mio Istituto Veronese. Poi lasciai Khartum su un vapore del governo, che era stato messo a mia intera disposizione per uso personale, dalla gentilezza di S. Eccellenza Ismail Ayoub Pascià, Governatore Generale. Dopo aver navigato per 127 miglia contro corrente sul maestoso Fiume Bianco, discendemmo a Tura-el-Kadra e con 28 cammelli, attraversammo fitte boscaglie dell'Assanieh e le riarse steppe del Kordofan. Il 19 giugno arrivammo ad El Obeid con grande gioia di tutti e specialmente del Governatore Generale del Kordofan, che il giorno prima, probabilmente per paura, aveva sospeso provvisoriamente la tratta degli schiavi, che fino allora si teneva regolarmente sulle pubbliche piazze di questa popolosa città.


[4837]
Non avendo io Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione a sufficienza per erigere nel Kordofan un istituto stabile per allieve, e poiché in tutte le missioni dell'Africa Centrale l'insegnamento e l'educazione della parte femminile della popolazione doveva essere diretto da donne, feci venire ad El Obeid l'abilissima mia cugina Faustina Stampais, nativa di Maderno sul Garda, in diocesi di Brescia, che fino allora aveva lavorato a Khartum. Prima si era dedicata con zelo straordinario nell'istituto delle morette del Gran Cairo. La collocai con due istitutrici nere in una casa adatta, affinché dirigessero l'istruzione delle morette, che si sarebbero riscattate o che vi si sarebbero rifugiate in qualità di schiave.


[4838]
Più tardi, dopo aver comperato e restaurato una grande casa, separata dall'Istituto dei moretti da una via pubblica, mia cugina ne ebbe l'amministrazione fino al febbraio 1874, quando ebbe luogo la consegna alle Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione. Così in breve tempo con l'aiuto dei zelanti missionari e Suore riuscii ad organizzare i due istituti del Kordofan, che faranno un gran bene per l'importantissimo apostolato nella Nigrizia dell'Africa Centrale.


[4839]
Per ora non voglio diffondermi in particolarità circa l'apostolato dei Missionari e delle Suore, sia nel Kordofan come a Khartum, che in generale ha già dato consolanti risultati. Passo sotto silenzio anche la mia specifica attività e la condizione del paese, quale io l'ho trovata, e l'orribile fatto del disordine della schiavitù. Tutto questo farà parte di una speciale relazione, che mi riservo per l'avvenire. Del resto ne ho già dato varie informazioni alla spicciolata, negli Annali delle associazioni di Francia, Germania, Austria e Italia. Perciò qui, come mi sono proposto all'inizio, continuerò a tracciare un quadro generale di tutta l'opera.


[4840]
Già dal 1849 a Verona avevo fatto conoscenza di un eccellente giovane nero, di nome Bachit Caenda, appartenente alla famiglia dei Conti Miniscalchi, nato a Carco, nella tribù di Gebel Nuba, notissimo in tutta Italia e apprezzato specialmente a Propaganda. A questo africano fervente cattolico, mi unirono per anni vincoli d'amicizia e identità di interessi per la sua patria. Con me anche la cattolicissima Verona ammirava stupita questo nubano, la cui fede era ferma e la cui pietà era distinta e che a sì eccellenti qualità univa una grande fermezza di carattere. Attraverso lui io mi formai un alto concetto dei Nubani e ben cento volte dissi all'ottimo Bachit: "Non mi darò pace, fino a che io pianterò la Croce di Cristo nella tua patria." Nei primi anni del mio ministero ciò fu irrealizzabile, perché allora l'attività apostolica dei missionari dell'Africa Centrale era ristretta al Fiume Bianco. Ma quando arrivai nel Kordofan come amministratore di questo territorio apostolico ed ebbi occasione di sentir parlare ogni giorno della terra di Nuba, della fedeltà e del coraggio degli schiavi nubani, che di continuo arrivavano a El Obeid,il mio cuore fu preso nuovamente da un'ardente brama di portare tra loro la luce della fede.


[4841]
Mi diedi da fare in tutte le maniere per conoscere questo popolo vicino. Assunsi informazioni da uno dei capi della polizia del Divano, un copto eretico, una delle moglie del quale era parente del gran capo nubano, col quale era in stretta amicizia. La Provvidenza mi offerse presto la propizia occasione di conoscere quest'uomo. Infatti era giunto ad El Obeid un capo nubano di Delen, di nome Said Aga, e Massimo, quell'ufficiale di polizia, la mattina del 16 luglio 1873 me lo portò alla missione, proprio mentre noi lasciavamo la chiesa alla fine dell'ora di adorazione al SS. Sacramento, che io ho introdotto in tutte le cappelle d'Egitto e del Vicariato e che si fa ogni mercoledì per impetrare dal Cuore adorabile di Gesù la conversione della Nigrizia. Io trattai il capo nubano con tutta deferenza, gli mostrai le varie officine, in cui si eseguivano arti e mestieri, la piccola scuola dei moretti e delle morette, suonai a lui un po' l'armonium, lo condussi dinanzi all'altar maggiore, dove gli mostrai la statua della Madonna ed altre cose.


[4842]
Quando vidi quanta viva soddisfazione Said-Aga mostrava nel conoscere tutte queste cose, gli esposi il mio desiderio di fare la conoscenza del primo capo nubano e non gli nascosi la mia intenzione di fondare una missione tra i Nubani. Il buon Said-Aga, il quale, meravigliato di tutto ciò che aveva visto alla missione, non potè fare a meno appena di ritorno al suo paese, e non tralasciò, di parlarne al Cogiur, suo superiore, così che il Cogiur Cakum decise di farmi visita nel Kordofan.


[4843]
Infatti due mesi dopo la partenza di Said Aga, il mercoledì mattina 24 settembre, mentre uscivamo dall'ora di adorazione al S. Cuore di Gesù, fu per me una graditissima sorpresa il veder entrare nella missione di El Obeid il primo capo dei Nubani con un seguito di oltre una ventina di persone, in parte capi minori e servi. Tutto il giorno m'intrattenni con lui e col suo seguito; gli parlai a lungo del mio progetto e gli mostrai ogni cosa. Le officine e il suono dell'armonium lo riempirono di stupore oltre ogni dire. Voleva avere tutti gli strumenti ed utensili che vedeva: badili, zappe, pialle, seghe, lima, chiodi ecc. Quando poi mi vide premere coi piedi il mantice dell'armonium, mentre simultaneamente le mie dita si muovevano sui tasti, dai quali traevo accordi armoniosi e melodie, egli ed il suo seguito non ne potè più per la meraviglia e per lo stupore esclamò: "Agiaeb" (ossia "meraviglia"!). "Tu sai tutto, tu fai cose meravigliose".


[4844]
Egli si avvicinò all'armonium e, tentato invano di trarne dei suoni, esclamò: "Tu sei il figlio di Dio, da un pezzo di legno tu sai trarre magnifici suoni, suoni più belli ancor del canto degli uccelli e degli uomini; i miei Nubani non mi crederanno quando parlerò loro di tutte queste meraviglie".


[4845]
Poi li condussi intorno nello stabilimento delle morette e presentai loro una moretta educata nell'Istituto di Verona, di nome Domitilla Bakhita, ed altre, alcune nubane, che sapevano fare sì bei lavori e scrivere sì bene, da riempirli di un stupore ancor maggiore, e il capo esclamò "Tu sei il più grande mortale della terra, nessuno è simile a te".


[4846]
Io gli dissi che in Europa c'erano migliaia di uomini che sapevano molto di più di me; che c'erano molti uomini, ai quali stanno molto a cuore i negri, e che ci danno denari per andare dai negri a insegnare tutto ciò che sanno i bianchi, che sono cristiani, i quali venerano un Capo glorioso e molto saggio, che chiamano Papa, supremo Pastore di tutti i cristiani. "Si, questo Capo supremo di tutta la cristianità del mondo, che è il Vicario (l'Ukail) di Dio sulla terra, vi ama molto e mi ha mandato nel vostro paese, per farvi del bene, affinché conosciate la verità e siate eternamente salvi". A questo punto tutti risposero: "Agiaeb! (meraviglioso)" E il capo disse: "Noi siamo ignoranti, noi non sappiamo niente, vieni da noi a insegnarci che cosa dobbiamo fare, come è giusto secondo te, e noi e le nostre donne, i figli e le figlie, i nostri schiavi, le nostre mucche, le nostre pecore, e perfino la terra e le foglie degli alberi saranno a tuo servizio".


[4847]
Nei quattro giorni seguenti ripetè la visita alla missione e si restò d'accordo che io con alcuni compagni, alla fine della stagione delle piogge, avrei fatto tosto una visita ai Nubani e probabilmente, dopo precisa esplorazione del paese, avrei eretto tra loro in un posto adatto una missione. Con questa speranza e pieni di gioia per il mio progetto, si misero sulla via del ritorno.


[4848]
Ancora in luglio, quand'era venuto da me il capo nubano Said Aga, avevo informato i miei missionari di Khartum dell'avvenimento e la mia intenzione di preparare una spedizione tra i Nubani. P. Carcereri fu addirittura elettrizzato da una simile notizia e mi porse ripetute ed insistenti domande di potermi accompagnare colà e si offerse perfino di fare quel viaggio di esplorazione anche senza di me, nel qual caso egli avrebbe differito volentieri anche il viaggio in Europa, per mettersi d'accordo col suo Superiore Generale. Io ponderai la cosa e lo invitai a venire a El Obeid. Era mia intenzione di far compiere proprio a lui il viaggio di esplorazione o, nel caso che vi andassi io, di lasciarlo a El Obeid come mio vicario.


[4849]
IL 1º ottobre egli arrivava a El Obeid e finalmente io mi decisi di far compiere a lui il viaggio di esplorazione assieme ad un compagno, il P. Franceschini, com'era suo desiderio; gli destinai però anche un secondo compagno nella persona del Sig. Augusto Wisnewsky, uomo molto coraggioso e di grande esperienza, della diocesi prussiana di Ermeland, già da 20 anni addetto alla missione, il quale senza interruzione, con zelo infaticabile e con grande prudenza e costanza aveva prestato già buoni servizi nelle antiche stazioni del Vicariato, ed era esperto nei viaggi all'interno della Nigrizia. I tre si accinsero dunque al viaggio di esplorazione tra i Nubani. Per maggior sicurezza mi rivolsi al Pascià del Kordofan, onde ottenere ai nostri viaggiatori una scorta militare, che fu diretta dal surriferito ufficiale di polizia Massimo. Provvisti di tutto il necessario essi lasciarono El Obeid la sera del 16 ottobre 1873.


[4850]
A mio avviso il viaggio avrebbe richiesto più mesi, ma in brevissimo spazio di tempo essi furono già di ritorno, avendo sottoposto ad una perlustrazione solo il territorio nubano più vicino, Delen, essa non durò più di due giorni. Certo essi avevano conferito col primo capo, il Cogiur Cakum, che da un'altura aveva loro mostrato i molti villaggi sparsi ai piedi delle colline situate all'intorno, e che il P. Carcereri aveva segnato sopra una carta geografica pubblicata a Verona. Il 28 dello stesso mese egli si trovava già nuovamente a El Obeid. Egli poteva confermarmi in tutto quello che mi avevano detto nelle loro visite Said Aga e il capo.


[4851]
Dopo aver organizzato nel miglior modo possibile la missione del Kordofan, io mi portai alla mia residenza principale di Khartum in compagnia del P. Carcereri e dei fratelli laici Wisnewsky e Domenico Polinari. In questo faticosissimo viaggio ebbi la sventura di rompermi il braccio sinistro, dopo aver lasciato alle nostre spalle una difficile traversata di otto giorni di deserto. Il giorno dedicato a S. Caterina d'Alessandria, il mio cammello s'adombrò per una iena lì accanto, e la bestia, certamente molto paurosa e timida, come inseguita da quella, si mise a correre a briglia sciolta, così da girare all'impazzata per il deserto scaraventandomi violentemente, in modo da farmi uscire sangue dalla bocca; perdetti la conoscenza e restai come morto.


[4852]
Quando 24 ore dopo mi riebbi sotto una tenda, eretta dai bravi Wisnewsky e Domenico, che anche mi fasciarono il braccio con fazzoletti bagnati assicurandolo con un laccio, dovetti rimontare il cammello e dentro di me ringraziai la Provvidenza, che, piena di misericordia, in questo infortunio mi fece trovare come unico rimedio almeno dell'acqua. I quattro giorni che dovetti trascorrere sul cammello, mi riuscirono assai difficoltosi, perché la bestia aveva un modo di camminare irregolare, pesante, e si voltava continuamente da tutte le parti, per difendersi dalle mosche, così che i dolori che soffrivo, divennero violentissimi e a stento raggiunsi Ondurman, che è situato dirimpetto allo sbocco del Fiume Bianco e dell'Azzurro. Sopra un vapore, tenutomi pronto dalla bontà del Governatore Generale, viaggiai fino alla missione. Due medici e chirurghi arabi presero a curare il mio braccio e dovetti portarlo al collo per tre mesi, durante tutto il qual tempo potei dormire assai poco, dato che non potevo coricarmi. Non mi fu possibile in questo tempo celebrare la S. Messa.


[4853]
L'11 dicembre, subito dopo la partenza del P. Carcereri per l'Europa, mi giunsero quattro nuove Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione, accompagnate dal sacerdote D. Giovanni Losi del mio Istituto di Verona e da vari fratelli laici bianchi e neri. Ora mi vidi costretto a fabbricare un edificio più ampio, perché la casa presa prima in affitto dal lascito del Sig. Andrea de Bono, detto Latif Effendi, fu reclamata dagli eredi per ospitarvi il viceconsole prussiano il Signor Rosset, e anche perché era troppo ristretta. Al nuovo grandioso edificio diedi una lunghezza di 112 metri e lo feci costruire su solide fondamenta con mattoni e con pietre, mediante le elemosine ricevute in parte dalle società benefattrici d'Europa, in parte dalla magnificenza di sua Maestà apostolica l'Imperatore Francesco I e di sua Altezza imperiale sua consorte Imperatrice Anna d'Austria, e di sua Altezza imperiale il defunto arciduca d'Austria-Este Francesco V, Duca di Modena. Questa casa la destinai a tutto il personale femminile delle opere missionarie a Khartum


[4854]
Mentre lavoravo coi miei colleghi sul campo della missione, il P. Carcereri concludeva a mio nome una convenzione di 5 anni col il R.mo P. Camillo Guardi, Vicario Generale dei Ministri degli Infermi. In questo accordo si stipulò che i religiosi camilliani, quanto a giurisdizione e cura d'anime, fossero soggetti al Provicario dell'Africa Centrale, come i parroci di una diocesi al loro rispettivo Vescovo; in più che si fondasse una casa a Berber con un Superiore che si assumesse i doveri parrocchiali dei cattolici, che si trovano sparsi nella Provincia di Suakim sul Mar Rosso e di Taka, non lontano dalla frontiera settentrionale dell'Abissinia, come pure degli abitanti cattolici dell'antico regno di Dongola, a occidente del Nilo nella Nubia superiore. Ambo le parti sottoscrissero a questo accordo, i cui contraenti si impegnavano ad eseguire i singoli diritti e doveri per lo spazio di cinque anni, trascorso il quale, si doveva fare un nuovo contratto sulla base di esperienze dell'apostolato a favore dei Neri.


[4855]
Intanto a Roma il 14 agosto 1874 la S. Congregazione di Propaganda nell'adunanza generale in Vaticano si occupò molto a fondo degli affari del Vicariato dell'Africa Centrale, per dare alla sua direzione un sistema che promettesse sicurezza e durata, col quale rendere possibile un maggior sviluppo. Attraverso un loro documento, il Card. Franchi, Prefetto di Propaganda, e gli Eminentissimi mi autorizzarono a fondare una nuova missione a Gebel Nuba con i mezzi che stavano a mia disposizione affinché quegli infelici si convertissero al cristianesimo. Si degnarono darmi istruzioni piene di saggezza pratica e di magnifiche direttive per il meglio di questo Vicariato così arduo e laborioso; mi diedero soprattutto norme di condotta riguardo all'orribile flagello della schiavitù e della spaventosa situazione dei neri che ne consegue.


[4856]
Infine si fissarono i principi da seguirsi nella formazione dei neri al sacerdozio, come pure il modo di combattere le cattive tendenze, che dominano tra queste popolazioni, e i costumi cattivi e viziosi radicati tra i cristiani del Vicariato. L'illustre principe della Chiesa concludeva queste direttive con alcune parole di onore per me, che riferisco qui non senza ripugnanza e che voglio ripetere solo perché i benefattori della nostra grande opera siano al corrente delle mie fatiche e di quelle dei miei compagni per la cristianizzazione dell'infelice Nigrizia e quanto, con la grazia di Dio, ci sia già riuscito; e affinché s'accresca la carità e lo zelo per l'opera nostra in tutti quelli che ci hanno sempre aiutato con la loro beneficenza, e che ci facciano pervenire mezzi sempre più abbondanti per queste importantissime missioni. Possano propagare per tutta la Germania cattolica ciò che si propone la benemerita Società di Colonia per il riscatto e l'educazione dei poveri neri. La finale della lettera suona così:


[4857]
"Del resto ho il piacere di significarle che gli E.mi miei Colleghi hanno tributato elogi alla operosità, con cui Ella ha iniziato l'ardua impresa di evangelizzazione di codeste genti, e l'animano a proseguirla senza sgomentarsi per gli ostacoli che sarà per incontrare, ma contando sui divini aiuti, che certamente non le mancheranno.



Alessandro Card. Franchi Prefetto"


[4858]
Quando a Khartum mi arrivò lo scritto ufficiale della Congregazione di Propaganda, in cui mi si concedeva facoltà di fondare una missione a Gebel Nuba, spedii nel Cordofan una piccola carovana, provvista di tutto l'occorrente, per incominciare subito l'opera. Ingiunsi al Superiore di El Obeid, Don Salvatore da Barletta di unirsi alla nuova spedizione tra i Nubani. Nello stesso tempo io adempivo le obbligazioni assunte, fissate nell'accordo con il P. Generale dei Ministri degli Infermi, andai a Berber e acquistai una delle più belle e comode case della città, pagata in contanti; collocai ivi il P. Franceschini con un fratello laico del mio Istituto e li incaricai di iniziare le necessarie riparazioni per alloggiarvi convenientemente un Ordine religioso.


[4859]
Ero da poco di ritorno a Khartum, quando vi giungeva una carovana di 16 persone del mio Istituto. Erano missionari, religiosi di S. Camillo de Lellis, e Suore, che sotto la guida del P. Carcereri avevano preso la via di Wadi Halfa e Dongola e fecero il viaggio dal Cairo a Khartum in 103 giorni.


[4860]
Mandai subito alcuni sacerdoti e fratelli laici nel Kordofan e ordinai la partenza per Gebel Nuba, nominando capo della missione l'esimio, infaticabile e laborioso Don Luigi Bonomi del mio istituto Veronese.


[4861]
Nell'aprile 1875, via Mar Rosso e per il deserto di Suakim, giungeva a Khartum la superiora Emilia Naubonnet accompagnata da una giovane e pia suora. Questa brava superiora, nativa di Pau in Francia, assunse la direzione del principale Istituto delle Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione a Khartum, sotto la cui giurisdizione stanno tutte le case e Suore che sono o che saranno fondate nell'Africa Centrale da questa società religiosa. La misericordiosa grazia di Dio ci ha inviato questa donna straordinaria, come un segnalatissimo favore, perché l'azione delle comunità femminili è indispensabile in un Vicariato sì grande ed arduo, e costituisce uno dei mezzi principali di riuscita, tanto riguardo all'insegnamento, come per ogni opera di carità, e forma come una salvaguardia per le suore che vengono destinate nelle missioni dei paesi interni.


[4862]
Inoltre i missionari hanno bisogno dell'aiuto del lavoro femminile in un paese ove regnano costumi primitivi. La Madre Naubonnet è una veterana delle missioni d'Oriente, fu una delle prime suore che vi si stabilirono dopo le crociate. Fu nove anni superiora a Cipro e più di 20 in Siria, dove fondò case a Saida, a Deil-el-Uamar e a Beyrut. In Siria nell'orrenda strage del 1860 essa fece miracoli di carità ed assistette migliaia di infelici. Raccolse con lo zelo più amoroso i poveri orfani, le cui famiglie avevano trovato la morte sotto il coltello dei crudeli Drusi e li ricoverò nell'edificio da lei fondato sulle antiche rovine di Sidone. Fui grandemente contento che una tal donna profondesse il tesoro copioso delle sue esperienze per il bene degli infelici popoli dell'Africa Centrale. Questa donna esimia, dopo aver lasciato dietro a sé 30 anni di ininterrotto lavoro in Oriente, si sottomette con umiltà ed obbedienza alla chiamata che le giunge, si porta sul Mar Rosso, risale il Nilo, lascia dietro a sé le lande deserte e compare nell'Africa Centrale, dove trova un nuovo campo per il suo spirito di sacrificio, per la sua costanza nell'arduo lavoro, per la sua perspicacia.


[4863]
Istallati a Berber i religiosi di S. Camillo, sotto la direzione del P. Carcereri, e affidata la missione di Khartum al canonico Pasquale Fiore, m'imbarcai sopra un vapore governativo con una considerevole carovana di missionari e due suore, per visitare il Kordofan e Gebel Nuba. La festa dell'Assunzione di Maria arrivavamo a El Obeid con trenta cammelli. Ivi amministrai il sacramento del Battesimo a 16 adulti, che erano stati preparati dai missionari e dalle suore, ed il santo sacramento della Cresima a vari cattolici: cerimonie confortanti che io e i miei missionari abbiamo compiuto più volte nelle stazioni principali del Vicariato, come fu già comunicato negli Annali francesi, tedeschi e italiani. Il 15 settembre con alcuni missionari e suore intrapresi il viaggio per Gebel Nuba, conducendo con noi 12 cammelli.


[4864]
Eravamo già in viaggio da 5 giorni e ci trovavamo in mezzo a un bosco di Singiokae, quando ci si fece incontro un furfante arabo Baggara a cavallo, della razza degli Omur; io gli regalai un turbante, cioè un lungo e largo pezzo di seta, che egli si girò attorno al capo per difenderlo dai brucianti raggi del sole, e lo incaricai di annunciare al capo principale ed ai missionari il nostro prossimo arrivo tra i Nubani. L'arabo, attendendosi un'ulteriore mancia, diede di sprone al suo cavallo e volò a Delen. Con nostra gradita sorpresa il capo ci venne incontro a cavallo a una mezza giornata di viaggio da Delen seguito da lancieri e da più di una cinquantina di Nubani, in parte armati di fucili, e pieni di gioia per il nostro arrivo. Appena il capo mi vide, come scese dal cavallo, si avvicinò al mio cammello, mi baciò la mano e s'inchinò più volte profondamente davanti a me, mentre in dialetto arabo del Kordofan mi disse: "Dio ti ha mandato da noi, tutto è a tua disposizione, le nostre famiglie, i nostri figli, le nostre vacche, pecore, capre, le nostre capanne e i nostri campi. Tu sei il nostro padre, noi i tuoi figli; noi faremo tutto quello che ci comandi di fare e noi saremo felici".


[4865]
Accolsi benignamente tanta gentilezza e risposi di essere venuto proprio per essere il loro padre, e che, se essi si fossero mostrati veri figli, e avessero seguito le istruzioni dei missionari e delle suore, e adempito volentieri i nostri comandi, sarebbero diventati felici, prima su questa terra e poi un giorno in cielo. Poi feci capir al capo religioso e secolare che egli doveva precedere con il buon esempio i suoi sudditi accettando docilmente tutto ciò che noi avremmo insegnato loro in nome di Dio; quindi aiutato dal Cogiur Cakum, scesi dal cammello.


[4866]
La notte era incantevole, splendeva argentea nel cielo la luna e vi scintillavano una miriade di stelle; noi stendemmo i nostri materassi su una pianura amena e sopra una coperta distesa sul terreno preparammo la cena, ci ristorammo allegramente e bevemmo l'acqua portataci dai Nubani. Questi buoni individui fecero la veglia accanto a noi durante tutta la notte ed accesero grandi fuochi per spaventare le bestie feroci e per riscaldare un pochino se stessi. Al gran capo infatti pareva di essere il più ricco re della terra perché possedeva un'ordinaria coperta militare, nella quale egli si ravvolse durante la notte; infatti avendogli io chiesto all'alba se aveva dormito bene, egli mi rispose con aria di grande soddisfazione: "Com'era possibile non dormire bene sotto la protezione di Dio e di una coperta sì bella"? (in Europa sarebbe costata cinque franchi). "Io porto con me il tuo dono sul mio cavallo e con essa mi coprirò sempre durante la notte nella mia abitazione".


[4867]
Poi montai sul cavallo del capo, ma un servo me lo dovette condurre, perché dal giorno in cui il cammello mi precipitò a terra e mi si ruppe il braccio sinistro, mi aveva preso in uggia il cavalcare. A mezzogiorno arrivammo davanti al recinto della missione tra gli applausi di compiacimento e di giubilo del popolo e dei sotto-Cogiur (sacerdoti) e fui ricevuto dal Superiore e dagli altri compagni di missione con la più viva gioia. L'accoglienza, da me trovata presso i Nubani e presso il loro capo, fu piena di squisita gentilezza. Ricevetti visite anche da parte di vari "Gnuma", un popolo primitivo, quanto mai valoroso, che va completamente nudo: essi sono grossi, ben tarchiati e molto feroci. Essi ammazzavano tutti senza pietà i giallaba musulmani che li volevano far schiavi nelle scorrerie ladresche. Vennero da me anche gli abitanti delle alture limitrofe, sicché io tengo fondate speranze di poter far molto bene in queste contrade, molto più di quanto sia possibile tra i popoli contaminati dagli errori dell'Islam. Tuttavia, poiché anche qui c'è da lavorare contro molte superstizioni, nelle quali tengono il primo posto le stranissime cerimonie e costumanze di uno spirito, chiamato "Okuru", e che esercita su di loro influsso di pieno dominio, è necessario che prima di incominciare il lavoro apostolico della predicazione del Vangelo, studiamo a fondo i dialetti dei Nubani, perché l'arabo qui non basta.


[4868]
Senza perdere tempo diedi di mano pertanto allo studio di questa lingua, mediante l'aiuto dell'esimio don Luigi Bonomi, che con Don Gennaro Martini, nei suoi sei mesi di dimora tra i Nubani, aveva già appreso da loro stessi molte parole. Il gran capo col quale mi feci intendere mediante l'arabo del Kordofan, che gli era molto familiare, e che mostrava pure straordinaria intelligenza, s'industriava di insegnarmi molte cose della sua lingua.


[4869]
I lettori che hanno sentito parlare di colpi di fucile, per festeggiare il mio arrivo, certamente penseranno che i Nubani siano già progrediti nella civiltà a tal punto da servirsi delle armi da fuoco, come le abbiamo noi in Europa. Ma la cosa non è così. I giallaba, questi mercanti di carne umana, armati di lance e frecce avvelenate, lasciavano spesso il Kordofan e facevano razzie nelle zone montuose di Gebel Nuba, nelle pianure dei Gianghè, degli Scilluk, dei Fertit e di altre tribù e aggredivano i poveri neri, per farli schiavi, e legati loro i piedi, con una corda al collo e sotto un giogo legato ad una grossa trave, condurli nudi sui mercati di schiavi di El Obeid, Dongola e Khartum, donde sarebbero poi stati condotti e venduti in Egitto, e nei paesi del Mar Rosso o in Siria.


[4870]
Ma quando col progredire della civiltà vennero in uso in Egitto le armi da fuoco a bacchetta, e da vari mercanti siriani, turchi ed europei si introdussero nel Sudan sia il fucile Remington come il Chassepot, fornito di buone munizioni, i giallaba abbandonarono l'arco, la freccia e le lance, e diedero la caccia ai neri con la polvere e con il piombo. I Nubani, popolo coraggioso e guerriero, nascosti tra i monti, potevano difendersi spesso assai bene contro gli assalitori e non di rado riuscirono anche ad impadronirsi delle loro armi e munizioni. Da quel tempo si sono fatti rispettare dai loro assalitori, ed ora sono ancor più in grado di tenerli lontani dal loro territorio. Fu per questo che non appena mi scorsero, volevano avere da me pallottole e polvere, perché le avevano finite ed avevano soltanto delle pietruzze che trovavano in gran quantità nelle montagne granitiche, con le quali si toglievano dall'imbarazzo.


[4871]
A questo punto devo richiamare l'attenzione sul compito oltremodo difficile a cui deve sobbarcarsi il missionario nell'Africa Centrale, dove vivono tanti popoli diversi per lingua. Se ne contano più di cento, che sono di origine semitica, constano per lo più di parole monosillabiche; mancando qualsiasi cultura e scrittura, esprimono soltanto le idee più necessarie e si limitano alle pochissime parole, di cui questi popoli primitivi abbisognano per il loro ragionamento di scarsa portata. Riesce perciò assai difficile il far loro capire la sublimità della nostra santa religione. Oltre all'arabo diviso in molti dialetti africani e parlato dalla popolazione musulmana nei possedimenti egiziani del Vicariato, vi sono le summenzionate oltre 100 lingue diverse che sono rimaste sconosciute alle ricerche europee, e non esiste un dizionario, né una grammatica, né un libro che ne tratti. Mancano perfino le parole più semplici come "leggere", "scrivere", "imparare", "sillabare".


[4872]
Mentre i missionari destinati alle Indie, alla Persia, alla Cina, alla Mongolia, all'America, all'Australia possono imparare le lingue di questi popoli fin dall'Europa, nelle case di formazione, con l'aiuto di dizionari, grammatiche e libri, il povero missionario dell'Africa Centrale, con sforzi incredibili, deve ricavar tutto dalla bocca degli indigeni, che nel migliore dei casi, se furono schiavi presso i musulmani, capiscono un po' l'arabo. Il missionario della Nigrizia non è solo esposto ad ogni privazione e a un clima bruciante, ma inoltre, come vediamo, deve lottare contro le inaudite fatiche dell'apprendimento e dell'investigazione linguistica ed è costretto a compilare dizionario e grammatica, i verbi con le loro coniugazioni e le declinazioni delle parole. E tutto questo non si compie già con l'aiuto di abili maestri e di libri, che ci diano direttive in proposito, ma lo deve fare con un selvaggio qualunque, che nulla sa e capisce e che non ha neppure l'idea di quello che è la grammatica, e che conosce solo alcune poche parole arabe.

Tutti quelli che si sono applicati ad apprendere lingue, possono quindi comprendere quanto siano grandi le difficoltà che ho ora esposte.


[4873]
Io stesso ho fatto queste esperienze dal 1858 al 1859, quando mi trovavo nella tribù dei Kich, nella stazione di S. Croce tra il 6º e 7º di Lat. Nord, con i miei compagni Giuseppe Lanz del Tirolo, Giovanni Beltrame e Angelo Melotto, poiché fummo noi i primi a comporre in Denka, con una pazienza costante, il primo dizionario, la prima grammatica e il primo catechismo cattolico dettagliato. Don Bartolomeo Mozgan, nativo di Laibach, fondatore di questa stazione, prima di noi aveva scritto solo un certo numero di parole e le lasciò al suo successore Lanz. Noi ci servimmo di questo manoscritto per il nostro studio, e così ci furono di aiuto anche due alunni che sapevano un po' l'arabo. I risultati delle nostre ricerche furono comunicati al dotto canonico Mitterrutzner, rettore del Ginnasio vescovile di Bressanone e segretario del Vescovo Fessler durante il Concilio ecumenico Vaticano. Questo uomo esimio è il miglior conoscitore dell'apostolato dell'Africa Centrale, egli è uno dei più insigni ed attivi membri del Comitato della Società di Maria.


[4874]
Due giovani neri della tribù dei Denka e dei Bari lo coadiuvarono nella compilazione di un vocabolario, di una grammatica e dei Vangeli domenicali e festivi in lingua Bari-Denka con a fianco la traduzione tedesca, la cui edizione con note latine ed italiane venne alla luce a Bressanone (1864) e si distinse per grande precisione e per molta profondità di studio. Quest'uomo, che ha un grande talento per le lingue e vaste cognizioni nella filologia, è stato di un'utilità indicibile per i Missionari nei territori di queste tribù primitive*; al suo solerte aiuto e alle sue sollecitudini noi dobbiamo il progresso dell'opera santa delle missioni; fu lui pure che per noi e per l'opera nostra raccolse offerte tra i buoni cattolici tirolesi e bavaresi ed arruolò missionari attivissimi ed esimi: Gostner, Überbacher, Lanz, e molti altri.


[4875]
L'instancabile Beltrame più tardi faceva stampare in italiano una grammatica molto chiara di lingua Denka e presentemente la Società Geografica Italiana cura l'edizione del suo vocabolario Bari-Denka, per l'arricchimento della scienza e particolarmente per uso dei missionari futuri del Fiume Bianco. Siccome il Denka ed il Bari, come tutte le lingue ancora sconosciute dell'Africa e come anche la lingua dei popoli nubani di cui parliamo, mancano di segni grafici, dietro consiglio di molte autorità, ho deciso di adottare i segni grafici latini, come fecero Mitterrutzner e molti altri, perché ciò è di particolarissima importanza per i missionari della Chiesa Cattolica, che si recano in quei paesi. Per quanto concerne la pronuncia di questo idioma africano, per avvicinarla al latino quanto più è possibile, ho deciso di seguire parzialmente il sistema stabilito da Lepsius e dall'insigne e dotto filologo conte Maniscaldi-Evizzo di Verona, che lo propose all'Istituto di Venezia.


[4876]
Quanto alla terminologia della Chiesa cattolica, per esprimere nelle lingue africane i santi Sacramenti, gli articoli di fede, l'Eucaristia, la transustanziazione, la S. Messa ecc., ho stabilito di ritenere le espressioni della Chiesa Latina in latino e di darne poi la spiegazione nel loro idioma ai popoli dell'Africa Centrale, facendo seguire nella loro lingua una trascrizione, più chiara che sia possibile, delle materie catechistiche. E' un sistema di prudenza e di notevole importanza, che noi pratichiamo qui e che riuscirà chiaro ad ognuno che conosca la storia delle eresie dei primi secoli della Chiesa di Gesù Cristo.


[4877]
In compagnia di Don Luigi Bonomi mi diedi dunque con la massima applicazione a studiare la lingua dell'interessante e intelligente popolo nubano, tra il quale dimoravo. Percorremmo tutti e due i dintorni, per apprendere dagli indigeni la natura delle loro superstizioni religiose, i loro costumi, ed abitudini, le loro abilità artistiche, ancora infantili e le loro tradizioni. Sui risultati delle nostre ricerche si sono pubblicati alcuni brevi cenni dai missionari Martini e Bonomi. Seguirà una descrizione più dettagliata, quando avremo studiato ancor meglio la lingua del paese; infatti è mio fermo proposito di non pubblicare nulla, se prima non ho fatto io stesso le più profonde indagini.


[4878]
Voglio trascrivere qui una relazione ufficiale dell'8 ottobre 1875, che inviai alla S. Congregazione di Propaganda da Delen, la prima stazione tra i Nubani. Essa dice:

..........................................

(Vedi lettera al Card. Franchi dell'8/10/1875)




[4879]
Come notai fin dal principio, poiché tutte le opere di Dio hanno la loro origine dal Calvario, anche la missione tra i Nubani ha dovuto percorrere questa via dolorosa e portare i segni della Croce. Mentre scrivevo la precedente relazione alla S. Congregazione di Propaganda, si ammalava Don Gennaro Martini di febbre intermittente, e due giorni dopo anche i due Padri Camilliani Franceschini e Chiarelli. Domenico Polinari ne soffriva già da tempo. Sr. Germana Assuad di Aleppo, Superiora dell'Istituto delle morette, che era stata assalita già da tempo da violenti attacchi nervosi, peggiorò tanto nel suo stato da temere di perderla. Tutti i neri e le nere, che stavano al servizio della missione, si ammalarono uno dopo l'altro. Mi ammalai anch'io di violenta febbre e nello stesso giorno anche Don Luigi Bonomi, che dalla sua partenza dall'Europa aveva goduto sempre ottima salute, e nel quale la malattia prese una piega ugualmente pericolosa.


[4880]
L'amore misericordioso dell'Onnipotente aveva risparmiato solo Augusto Wisnewsky e Sr. Maddalena Caracassian, che almeno poterono assistere gli altri. Ma trascorsi alcuni giorni, si ammalò anche costei e il buon Wisnewsky incominciò pur lui a sentirsi male, sicché alla fine tutti i membri, che formavano la missione tra i Nubani, furono visitati dalla malattia e il nostro stabilimento si era mutato in un ospedale. Non si può descrivere a parole quanto ne soffrisse il mio animo, perché il quel tempo gravava su di me tutto il peso della responsabilità e fui colto da un grande avvilimento. La febbre si manifestò in tutti a intermittenza, così che quelli che gemevano sotto la violenza della febbre un giorno, l'altro giorno trovavano requie e potevano assistere gli altri che si trovavano in un attacco febbrile. Per Don Bonomi la cosa andava così male che io dubitavo della sua guarigione. In tale angustia io mi appigliai ai rimedi che nella mia ventennale esperienza avevo sempre trovato come i migliori in questi attacchi di febbre africana, cioè il cambiamento d'aria, secondo il detto di Ippocrate: "Fuggi il cielo dove ti sei ammalato" (Fuge coelum in quo aegrotasti).


[4881]
Avendo io ivi raccolti membri di diverse Congregazioni religiose, sentii pesare su di me una grande responsabilità a loro riguardo; ciò mi decise, attesa pure la mia infermità, a pensare a un cambiamento d'aria, perché sentivo che in questo stato di emergenza non si poteva conseguire il minimo vantaggio, e che tale doveva proprio essere la volontà di Dio. Il mio piano era di ritirarci per un certo tempo da Delen. Ma come metterlo in esecuzione? Fare questo viaggio a piedi sarebbe stato per tutti una morte certa, e non avevamo a nostra disposizione né cammelli, né cavalli, né asini, perché in tutta la zona ce n'erano quattro o cinque, per di più la nostra provvista di sale per condire i cibi e il poco brodo, unico nutrimento per gli ammalati febbricitanti, bastava solo per altri 20 giorni. La maggioranza dei nostri non erano ancora assuefatti a cavalcare, secondo l'uso del paese, su mucche e su tori.


[4882]
Ah! che giorni di dura prova furono per me quelli, e come mi tormentai il cervello per discernere il meglio della nostra misera situazione, che doveva diventare ancor peggiore con l'arrivo di un messaggio da parte del Governatore del Kordofan, il quale mi scriveva da Birch, a tre giorni di viaggio da Delen, che io per il momento dovevo sospendere la stazione di Delen, non potendoci egli garantire la vita contro le minacce della vicina tribù dei nomadi Baggara. Nello stesso tempo il Mudir aveva mandato 20 cammelli per il nostro trasporto. Inoltre il portatore del messaggio aveva raccontato alla Superiora inferma che a Birch e dintorni si trovavano, presso il Governatore, un migliaio di soldati con quattro cannoni e che questi aveva intenzione di assalire i villaggi soggetti al capo Kakum, perché non aveva voluto pagare il tributo secondo il dovere. A questo annuncio la superiora venne subito in fretta da me e mi scongiurò di ordinare l'immediata partenza, altrimenti saremmo stati massacrati anche noi dai soldati musulmani, che in tali circostanze sogliono essere sempre molto crudeli.


[4883]
In vista di questa pericolosa situazione, feci chiamare il Cogiur Cakum e lo ammonii di pagare il tributo che doveva, come aveva fatto per gli anni precedenti, ma egli mi spiegò che per allora gli era perfettamente impossibile e che io potevo scriverlo al Governatore pregandolo di attendere fino al prossimo raccolto, poi tutto sarebbe stato pagato. Spedii tosto dal Governatore un messo con una lettera in cui lo rendevo informato di questo.


[4884]
Questa nuova circostanza accrebbe ancor più la nostra angustia, sicché dopo aver fervorosamente pregato il divin Cuore di Gesù e Nostra Signora del S. Cuore e tutti i nostri Santi protettori, raccolsi nella nostra capanna tutti quattro i missionari per sentirne il parere. Essi furono tutti d'accordo per l'abbandono provvisorio della stazione e, nel caso che si ricuperasse la salute, si impegnavano a ritornarvi. Don Bonomi aggiunse che, se non fosse stato così male, sarebbe rimasto sul posto, nonostante tutti i dispacci del Governatore, però si sottometteva pienamente alle mie decisioni.


[4885]
Erano di questo parere anche le suore, sicché anche in considerazione del fatto che vi venivano meno le medicine, fui maggiormente confermato nel mio piano di fare un arretramento a Singiokae, dove ci saremmo fermati fino a ristabilirci tutti; là inoltre, per la bontà del Governatore ci sarebbe stato possibile procurarci il sale che ci mancava e le altre cose necessarie. Io sospettavo anche che il Governatore con questo suo dispaccio non avesse di mira altro che il nostro allontanamento dai Nubani per l'interesse all'ignominiosa tratta degli schiavi, poiché aveva ricevuto sicure informazioni che il capo dei Baggara aveva dichiarato al Governatore di non poter esercitare la tratta degli schiavi per pagare con ciò l'annuo tributo, imposto loro dal Governatore del Kordofan, fino a che noi eravamo tra i Nubani.


[4886]
Senza perdere tempo, i cammelli furono caricati delle casse, e tutta la stazione, con le capanne e ciò che vi si trovava, fu messa sotto la protezione del capo Kakum, dopo di che, la mattina del 30 ottobre, ebbe luogo la nostra partenza. Nei viaggi attraverso le foreste e le infuocate zone desertiche dell'Africa è sempre mia consuetudine di essere uno degli ultimi a montare il cammello, per poter vegliare sul carico e tener d'occhio tutto il personale, onde non resti indietro alcuno e io potessi vedere se tutto andava bene. Nelle foreste impraticabili i cammelli con i loro carichi non procedono mai in modo ordinato e si allontanano l'uno dall'altro spesso sopra una superficie di una o due miglia, senza che le altre parti della carovana se n'avvedano affatto. La mattina del 30 ottobre si ordinò la partenza dei cammelli, secondo che erano stati caricati di bagagli o di persone, operazione questa che durò fino alle sette, e allora montai anch'io sulla mia bestia col giannizzero che il Governatore aveva inviato per farmi scorta. Alle 7 era già in moto l'intera carovana, che doveva attraversare 14 ore di foresta, dove vivevano leoni ed altre bestie feroci.


[4887]
Eravamo in cammino da appena un'ora, quando P. Franceschini si sentì male per un attacco di febbre così straziante da dover scendere, e io e le suore ci affrettammo verso di lui per soccorrerlo. Adagiatolo sull'erba per una buona mezz'ora, si sentì nuovamente in grado di rimontare il cammello. Allora diedi ordine che le suore, Augusto e il giannizzero stessero al suo fianco. Si andò avanti con difficoltà, ma già dopo un'ora di cavalcata faticosa il P. Franceschini dichiarò di non poterne più, avendo egli grande difficoltà di respirazione. Vacillante lo conducemmo sotto un albero, gli bagnammo le tempia con acqua e facemmo di tutto per sollevarlo sotto ogni riguardo. Ma, dato che la febbre continuava ad aumentare e per di più sentiva orribili dolori di stomaco e cominciava a mancare del tutto l'acqua, che portavamo con noi in due piccole borme, mentre le provvigioni da cucina e i materassi si trovavano con la parte di carovana separata da noi, mandai immediatamente due guide con cammelli a tutta velocità, per dire a Don Luigi e al P. Alfonso di far subito ritornare indietro i cammelli carichi di viveri, dei materassi ecc. perché per il momento non era possibile continuare il viaggio. Per fortuna io portavo con me l'olio Santo per tutte le evenienze, per la qual cosa ringraziai molto il Signore.


[4888]
Lo stato del P. Franceschini peggiorava assai, e non avevamo più acqua alla mano per bagnargli la fronte e per fare le frizioni sul petto. Noi sentivamo con dolore la strettezza in cui ci trovavamo e non vedevamo via di scampo né mezzo alcuno per uscire da quest'angustia. Dopo tre ore di indicibili dolori il P. Franceschini, che giaceva a terra sopra una coperta, cadde in sonno profondo e sudò per una buona ora; svegliandosi egli si sentì molto meglio; ne sia ringraziato il Signore! Erano ormai le ore due, e quelli che ci dovevano portare materassi, acqua e viveri, non erano ancora ritornati; una sete ardente ci consumava e non avevamo neppure un boccone di cibo per calmare la fame; eravamo tutti distesi per terra. Dato che il P. Franceschini si sentiva un po' sollevato ed io lo conoscevo per un giovane coraggioso, energico, gli proposi di fare il tentativo di rimontare il cammello per raggiungere la carovana. Così continuammo il nostro viaggio sotto una canicola quanto mai orribile, sotto la quale soffrimmo molto.


[4889]
Dopo quattro ore di cammino fastidioso, avvertimmo da lungi una di quelle pozzanghere di acqua sporca e nera, nelle quali le mucche, le pecore e le capre sogliono entrare per spegnere, secondo il bisogno, la sete. Qui facemmo abbeverare i nostri cammelli, e quantunque l'acqua fosse nauseante e cattiva, con essa sedammo pure noi la nostra sete ardente, e ci riuscì come il migliore dei ristori. Intanto era giunta la sera e si poteva percepire il ruggito dei leoni. Noi dovemmo attraversare una fitta boscaglia per un cammino di due ore, nella quale i nostri burnù, turbanti, i veli e gli abiti delle Suore furono completamente lacerati dalle piante spinose. Ritenendo io pericolosissimo il continuare nell'oscurità della notte, e poiché il ruggito dei leoni si faceva ognor più forte e noi risentivamo al massimo grado lo strapazzo, decisi di fare una sosta, benché mi trovassi in disaccordo con le vedute di Augusto, del giannizzero e dei cammellieri, i quali sostenevano che, se rimanevamo lì, saremmo stati preda dei leoni.


[4890]
Ordinai perciò che discendessero subito e offersi ai cammellieri e al giannizzero tre talleri Megidi (= 14 franchi), qualora avessero continuato il viaggio per raggiungere il resto della carovana che avrebbe dovuto aspettare fino a che la ricongiungessimo. Essi poi dovevano ritornare subito e portarci i materassi e tutto il necessario. Ma si rifiutarono decisamente obbiettando che era semplicemente impossibile arrischiarsi attraverso il bosco, perché sarebbero stati certamente sbranati dai leoni. Feci quindi accendere tutt'intorno un gran fuoco, che doveva durare tutta la notte, per tenere lontani i leoni; poi distendemmo per terra le nostre gualdrappe e vi ci adagiammo.


[4891]
Tormentati dalla fame e dalla sete, passammo una notte orribile, e quanto furono grandi le pene del mio spirito! Infatti ero proprio senza notizie circa la sorte del resto della carovana e temevo che si fosse smarrita o che fosse ritornata indietro. Chi più chi meno eravamo tutti abbattuti dalla febbre, avevamo digiunato sì a lungo, e non sapevamo in quali paraggi ci eravamo fermati e quanto fossimo lontani dal termine del nostro viaggio. Per fortuna il giannizzero si trovò ancora in tasca un pezzetto di carne cruda di montone, ucciso tre giorni prima, ma erano appena 5-6 once e per di più già mezzo imputridito. Frugando nel mio tascapanni da viaggio, venne fuori un'altra scatoletta con un pezzetto di carne salata di circa 8 once, che avevo comperato a Khartum. Come eravamo contenti per questa scoperta! In mancanza di un recipiente, per cuocere quel po' di carne, mettemmo i due pezzetti nella doka (un pezzo di ferro a cuna, nel quale gli arabi del Sudan preparano il loro pane) e dopo pochi minuti che era al fuoco, ci dividemmo la carne, che in meno tempo, di quanto impieghi a descriverlo, era già scomparsa.


[4892]
Come abbiamo lodato il Signore, il quale si era ricordato misericordiosamente di noi tra i ruggiti dei leoni, in mezzo alle foreste! All'alba, sfiniti dalla fame e dalla sete, intirizziti dal freddo e stanchi per gli strapazzi, continuammo il nostro viaggio e dopo 8 ore di cavalcata arrivammo a Singiokae, dove trovammo il resto della carovana ricoverata nelle capanne dei selvaggi, essendovi essi giunti alcune ore prima di noi. Allora sciogliemmo l'enigma e venimmo a sapere tutta la connessione della storia. I cammellieri che avevo spediti dall'albero dove ci eravamo rifugiati col P. Franceschini, invece di indurre la carovana a sostare, come avevo ordinato loro, eccitarono i nostri compagni a proseguire e dissero che io avevo dato ordine che potevano continuare e che noi li seguivamo per un cammino più breve.


[4893]
Molte ore dopo, non vedendoci arrivare, Don Bonomi ordinò ai cammellieri di fermarsi e si apparecchiò a mandarci incontro acqua e provviste. Ma essi si ostinarono nella loro prima asserzione e non vollero ritornare indietro; così si videro costretti a proseguire il viaggio senza sapere affatto dove ci trovavamo noi, così da soffrire per noi quella stessa ansietà che noi soffrivamo per loro. A Singiokae ci fermammo alcuni giorni per rimetterci; il mio piano era che gli ammalati vi si fermassero a lungo e soltanto in seguito, tornassero a Delen; ma dato che il loro stato non era troppo buono, li mandai nella nostra casa missionaria del Kordofan. Oltre a ciò, dal villaggio di Singiokae erano fuggiti tutti gli abitanti ed avevano portato via con sé i loro greggi, affinché non cadessero nelle mani dei ladroni delle truppe del Mudir, che oltre il tributo dovuto, si sarebbero impadroniti anche del loro bestiame, delle loro provvigioni e dei loro schiavi e per di più sarebbero stati costretti a mantenere la soldataglia. Perciò non vi trovammo né carne, né burro, né altro per nutrire convenientemente i nostri malati, ragione per cui decisi di continuare il viaggio verso Berket-Koli, dove si trovava il Mudir con la sua gente, per mezzo del quale noi potevamo procurarci il necessario.


[4894]
Affinché i lettori comprendano ancor meglio la necessità della mia risoluzione, mi si permetta di inserir qui quanto segue:

Già da lungo tempo il Governo del Kordofan, coll'intenzione di conquistare le tribù confinanti e infine i territori abitati da diverse tribù arabe nomadi, ha rilevato da queste popolazioni tasse annue, sia in denaro, sia in bestiame, frumento o schiavi. Siccome c'era qualcuno che spingeva alla resistenza e si rifiutava di pagare tali tributi, si era introdotta l'usanza che ogni anno il Governo spedisse in queste contrade, alcuni alti ufficiali con un certo numero di truppa, per estorcere con la forza questi tributi; circostanze in cui non di rado si ricorreva alle bastonate e alle sferzate. Ma inoltre, come già accennammo, queste truppe governative, si rendono colpevoli di rapine d'ogni fatta e saccheggiano e distruggono le capanne dei poveri indigeni.


[4895]
Quando fui a una giornata di viaggio da Singiokae, sentii che anche Birket era stata abbandonata dalla popolazione per lo stesso motivo e che il Mudir con i suoi soldati, era andato sulle montagne di Tegheta, ma lasciando indietro un ufficiale ed alcuni soldati, che metteva a mia disposizione. Purtroppo la febbre tra i missionari e tra le suore non cessava e, mancandoci ogni aiuto, risolvetti di condurre la carovana a El Obeid, dove in casa propria, i malati potevano avere tutte le comodità e le medicine adatte, e c'era da sperare che si sarebbero rimessi tutti bene. Questo viaggio andò nuovamente congiunto a preoccupazione e ad ansietà, perché era difficilissimo il condurre malati sui dorsi dei cammelli, con un sole cocente di giorno e con molto freddo di notte; e la cosa andò sempre così attraverso il deserto interminabile.


[4896]
Noi speriamo che tutto sia scritto nel gran libro di Colui al quale abbiamo consacrato tutta la nostra vita, una vita piena di pericoli e di dolori, per raggiungere l'unico sublime scopo di strappare le anime al potere dello spirito nemico. Così dopo 18 giorni di viaggio dacché lasciammo i Nubani, benché stremati, tuttavia ancor vivi giungemmo alla nostra residenza di El Obeid. Se abbiamo scampato tanti pericoli, lo dobbiamo alla divina grazia. Fummo accolti con indescrivibile gioia dai nostri, che erano in non piccola angustia per causa nostra. Per disposizione di Dio capitò che si trovasse presente in questa capitale il bravo Dr. Pfunt, medico e naturalista. Io affidai a quest'uomo eccellente i miei malati che dopo ripetuti e violentissimi attacchi di febbre, che assumevano le forme più svariate, e dopo aver preso molte medicine, con l'aiuto di Dio tutti, senza eccezione, ricuperarono nuovamente la loro salute, poiché Dio non abbandona mai chi confida in Lui.


[4897]
Io debbo solo all'inesauribile bontà di Dio se sono riuscito a salvare la vita a tutti i compagni della pericolosa missione di Gebel-Nuba.


[4898]
Nella capitale del Kordofan trovai importantissimi dispacci che rendevano necessaria la mia immediata partenza per Khartum e per l'Egitto. Senza porre indugio la intrapresi non appena ebbi prese tutte le misure con i compagni e col Governatore. Incaricai Don Bonomi di riprendere nuovamente con alcuni compagni, la missione di Gebel Nuba, non appena la sua salute glielo avesse consentito. Erano in mia compagnia Sr. Germana e Augusto. Dopo aver attraversate le immense pianure e le fitte boscaglie di gomma, a Tura-el-Khadra salimmo sul battello insieme al Generale americano Colston, al quale esso era stato mandato incontro, e così arrivammo felicemente e in buona salute a Khartum.


[4899]
Prima di lasciare la capitale dei possedimenti egiziani del Sudan, è mio dovere fare alcuni accenni a una piccola parte dell'apostolato dell'Africa Centrale, che riguarda alcune migliaia di copti cristiani eretici, che abitano la Nubia e sono soggetti alla sede vescovile di Khartum. Questa piccola scintilla di cristianesimo, che ricorda i suoi tempi gloriosi, e che si è conservata fino ai nostri giorni in mezzo alle tenebre dell'islamismo e del paganesimo, merita una menzione, sia nell'interesse della storia ecclesiastica, sia riguardo alla missione dell'Africa Centrale.


[4900]
La Nubia, come già dissi, costituisce una parte delle immense regioni etiopiche che abbracciano quasi tutti i paesi dell'Africa, che si estendono tra i due tropici, il Mar Rosso e l'Oceano Indiano fino al Niger e alla Guinea. Gli antichi dividevano l'Etiopia in varie denominazioni, tra le quali la divisione più conosciuta è quella di Tolomeo: Isola di Meroe, l'Etiopia sottostante all'Egitto, e l'Etiopia interna. L'Isola di Meroe comprende le zone tra il Nilo al di là del deserto e il Fiume Azzurro, e questo territorio, secondo alcuni, s'estendeva senza confini a destra del Fiume Bianco. La Nubia, l'odierna Abissinia e i territori dei Galla, che Tolomeo indicava come la Troglotide degli antichi, territorio che essi ritenevano per l'India, formavano l'Etiopia posta sotto l'Egitto.


[4901]
L'Etiopia interna abbracciava tutti i territori tra il sud del Niger e il sud-ovest dell'Abissinia e i territori al di là della linea dell'Equatore. Alcuni storici antichi, per Etiopia in generale, intendevano una metà dell'Africa, dividendola in Africa alta e Africa bassa, consistente in un regno grande e sconfinato, che poi dagli arabi, dai turchi e dalle popolazioni vicine, fu nuovamente ridotto fino a un po' meno della metà. L'Abissinia, la Nubia e una parte della Guinea, costituiscono l'alta Etiopia. Gli Etiopi, che una volta erano una nazione grande e potente, estesero il loro dominio fino alla Siria; ma il grande Sesostri, re d'Egitto, li sottomise. Nell'antichità l'Etiopia era famosa per le guerre che i suoi abitanti facevano contro gli Egiziani, ed anche per la ricchezza del suo commercio. Questo paese produceva rame, ferro ed altri minerali, ed era immensa anche la sua ricchezza di pietre preziose, specialmente di smeraldi.


[4902]
L'Abate Tergi da Lauria ci dà una descrizione dell'Etiopia e delle sue province. Egli dice che il grande regno dell'alta e bassa Etiopia, era formato da 40 regni, ch'egli enumera, ed era abitato da cristiani eretici e da neri idolatri, e ci presenta un quadro delle molte lingue, condizioni morali e caratteristiche di questi popoli, che obbedivano ad un unico monarca, detto "Negus", il quale si vantava di discendere da re David attraverso il figlio Salomone e la regina Saba. Egli narra che questo monarca un tempo ebbe tributari 72 re e parla dell'Etiopia inferiore con le sue province e della celebre Isola di Meroe con le loro capitali e la città della regina Candace, e dà la serie cronologica di tutti i principi d'Etiopia, dalla regina Saba fino all'Imperatore Fasilides, nel 1660, persecutore dei cattolici. La tradizione dice che questa regina abbia costruito e ingrandito la città di Soba, di cui si scorgono ancora oggi alcune rovine nel villaggio di Soba sulla riva destra del Fiume Azzurro a tre ore da Khartum.


[4903]
Rinaldi riferisce che gli Etiopi accettarono dai Giudei la circoncisione, che i loro sapienti, prima che l'eunuco della regina Candace, (che fu il primo pagano a farsi battezzare), si fosse convertito al cristianesimo, adoravano un Dio immortale, principio di tutte le cose, e un Dio mortale senza nome. Aggiunge che l'Etiopia, ad eccezione dell'Abissinia, era sconosciuta agli antichi romani; e che questa parte d'Etiopia era stata scoperta dai Romani al tempo dell'impero di Costantino il Grande. Si trovano ancora tracce della potenza romana anteriore alla nascita di Cristo in alcune località della Nubia inferiore, soprattutto nell'Isola di File. Per due vie il Vangelo fu propagato in Etiopia. La prima fu per mezzo dell'eunuco della regina Candace, di cui parlano gli Atti degli Apostoli. Essa risiedeva in Axum, capitale del regno nel Goggiam, non lungi dal Fiume Azzurro, ove, dietro il comando di una ispirazione divina, fece costruire un magnifico tempio a cinque navate in onore di Dio e di S. Maria di Sion. Dopo aver ricevuto il battesimo da S. Filippo, l'eunuco predicò il Vangelo nelle province situate sul Mar Rosso e penetrò nell'Etiopia, dove convertì alla religione di Gesù Cristo una grande moltitudine di infedeli.


[4904]
L'altra via è quella che ci è nota, cioè per mezzo di S. Matteo, che insegnò il Vangelo nell'Etiopia inferiore, ed alcuni sostengono che il cristianesimo nella Nubia inferiore l'abbia predicato S. Marco. Inoltre la divina Provvidenza, per illuminare questo popolo, all'inizio del 4 secolo, durante l'impero di Costanzo e di Massimiano, si servì anche di un altro efficacissimo mezzo. Meropio, un filosofo di Tiro, intraprese un viaggio verso l'India, ossia verso l'Etiopia situata sotto l'Egitto, con due ragazzi versati in varie lingue; l'uno si chiamava Edesio, l'altro Frumenzio. Ma essendo allora gli Etiopi in sommossa contro i Romani, Meropio fu ucciso e i due fanciulli furono portati davanti al re degli Etiopi, che se li affezionò e, come furono cresciuti, accordò loro posti d'onore a corte, così da pervenire a tal punto di stima che, dopo la morte del re, si affidò loro il governo e la cura dell'erede al trono.


[4905]
Quando questi fu maggiorenne, Edesio tornò a Tiro, dove fu ordinato prete, e Frumenzio al suo ritorno ad Alessandria, informò S. Atanasio sulla condizione dell'Etiopia, fu da lui consacrato vescovo e rinviato perché si occupasse della conversione degli Etiopi. Ciò gli riuscì meravigliosamente al tempo del governo di Abraha.


[4906]
Frumenzio con l'aiuto di un chierico datogli da S. Atanasio, eresse la sua sede vescovile ad Auxuma, ovvero Axum, che era la capitale del regno. Da quel tempo l'Etiopia fu governata da molti vescovi, in dipendenza dal rispettivo metropolita, e restò sempre soggetta ai patriarchi di Alessandria. Allora trovò accoglienza in Etiopia anche la vita monastica per opera dei famosi anacoreti e monaci delle Tebaidi e dell'Egitto. Ce lo attestano i resti di molti monasteri eretti in molti punti del territorio secondo le regole di S. Antonio e di S. Basilio, come pure le relazioni degli scrittori ecclesiastici. Fino alla metà del 5º secolo il cristianesimo in Etiopia si mantenne nella sua integrità.


[4907]
Ma nel 449 Dioscoro, Patriarca di Alessandria, cadde nell'errore di Eutiche, Archimandrita di Costantinopoli. Dioscoro era un uomo ambizioso e violento; tuttavia aveva un grande prestigio in quel grande Patriarcato. Egli volle trattare l'affare di Eutiche nel Latrocinio di Efeso e riuscì a tirare nell'errore quasi tutti i vescovi soggetti al Patriarcato d'Alessandria. Così ebbe origine l'eresia eutichiana che staccò dall'unità cattolica la celebre chiesa di Alessandria, sicché un po' alla volta anche tutta l'Etiopia, che faceva parte di questo vasto patriarcato, si pervertì pure essa. Benché circondati dappertutto da popolazioni barbare, gli abitanti di questo grande regno godettero sempre la bontà misericordiosa dell'Onnipotente, che nel vecchio e nel nuovo Testamento diffuse su di loro magnifici raggi di santa e vera religione. Ma tirati nelle tenebre dell'errore, privati di vescovi fedeli alla S. Sede, e di ogni aiuto, perdettero la purezza della fede e divennero infelici vittime delle false dottrine. Essi restarono sotto l'egida dei vescovi eretici, che venivano inviati loro dal patriarcato di Alessandria.


[4908]
"L'Oriente Cristiano" riferisce i nomi e la storia di 40 metropoli d'Etiopia. Secondo il 52º canone arabo gli Etiopi, non possono scegliersi un patriarca tra i loro uomini dotti, perché questi è soggetto alla giurisdizione del patriarca d'Alessandria e a questa sede spetta la nomina e la consacrazione del cosiddetto metropolita cattolico per l'Etiopia, il quale è dipendente e non ha il diritto d'istituire metropoli, come il patriarca d'Alessandria; benché egli goda ugual onore, non ha però ugual potere. Praticamente il metropolita cattolico è il Patriarca degli Abissini, ma è solo Vicario del Patriarca di Alessandria, benché egli abbia un numero maggiore di soggetti di lui.


[4909]
Gli Etiopi hanno conservato sempre un alto concetto della gloriosa sede patriarcale alessandrina, che inviava loro i vescovi, e le rimasero sempre fedeli; essi non permisero mai che il loro metropolita eleggesse più di 7 Vescovi, per timore che la chiesa etiopica non venisse ad avere 12 Vescovi, numero esigito dagli orientali per avere un Patriarca, affinché così non si scuotesse il giogo della chiesa alessandrina e non si eleggesse un patriarca indipendente da esso. Oggi questo timore è divenuto difficile, perché esistono solo due sedi vescovili, i cui titolari ricevono il loro mandato dal Patriarca di Alessandria: quello dell'Abissinia, con una giurisdizione molto estesa, e quello di Khartum, con la giurisdizione sopra un paio di migliaia di copti, che in gran parte appartengono alla diocesi di Esne, e che vivono sparsi nei vasti territori coloniali egiziani, facenti parte del nostro Vicariato.


[4910]
Le divergenze religiose dei cristiani dissidenti d'Etiopia consistono nella circoncisione, nella purificazione, nella celebrazione del sabato, nel digiuno fino a sera, nell'astenersi, in molte contrade, dalle carni suine e dai pesci senza squame, nel divorzio e nella poligamia, cosa che però capita di rado. Rigettano il purgatorio e credono che lo Spirito Santo proceda solo dal Padre e che la natura umana di Cristo sia uguale alla divina. In Cristo ammettono una sola volontà, ripetono il battesimo e dicono che le anime dei giusti godono Dio solo alla fine del mondo. Essi non conoscono il S. Viatico e non fanno differenza dei peccati di pensiero e di desideri contrari ai dieci comandamenti di Dio. Inoltre credono che l'anima non sia creata da Dio, ma provenga dalla materia. Essi rigettano il Concilio ecumenico di Calcedonia, in cui fu condannato Dioscoro, e (non riconoscono) il primato della Chiesa cattolica apostolica romana, e il Papa come Vicario di Cristo. Quando danno il battesimo, non di rado segnano una parte del volto con un ferro rovente. La Chiesa cattolica fece ripetuti tentativi di ricondurli sul retto sentiero della fede, ma in questo ottenne un risultato minimo.


[4911]
I Papi romani si presero grandissima sollecitudine della salute spirituale degli Etiopi, tra essi soprattutto: Alessandro III nel 1177, Innocenzo IV nel 1243, Alessandro IV nel 1254, Urbano IV nel 1261, Clemente IV nel 1265, Innocenzo V nel 1276, Nicolò III nel 1277, Nicolò IV nel 1288, Benedetto IX nel 1303, Clemente V nel 1305, Giovanni XXII nel 1316. Essi si sforzarono di strappare gli Etiopi alla marea dell'eresia e dell'Islam, da cui purtroppo una gran parte si era lasciata travolgere. Per una supplica del re d'Etiopia, Alessandro III concesse a questa nazione perfino una chiesa a Roma e a Gerusalemme, per far educare nella religione cattolica i suoi sudditi. Concesse agli Etiopi la chiesa e il chiostro di S. Stefano dei mori dietro la basilica vaticana; e Innocenzo III affidò questa missione all'Ordine dei Predicatori.


[4912]
Eugenio IV fu il primo Papa che mirò all'unione dei copti o giacobiti d'Etiopia e d'Egitto, con la S. Sede apostolica, nel Concilio ecumenico di Firenze, e invitò amichevolmente il Patriarca Giovanni, perché questi aveva mandato al Supremo Pastore, l'abate Andrea del Convento di S. Antonio in Egitto. Questi comparve dinanzi al Papa come legato del Patriarca dei Giacobiti e del re d'Etiopia, in compagnia di un diacono, di tre deputati del re Zereiacob, dell'Imperatore Costantino d'Etiopia e dell'abate Nicodemo, legato degli Etiopi residenti a Gerusalemme. Nel 1442 Eugenio IV ebbe la paterna consolazione di riunire alla Chiesa Cattolica i Giacobiti o Copti, sul quale argomento egli fece un'istruzione e un decreto.


[4913]
Mentre l'eresia luterana proseguiva la sua opera devastatrice nella Germania cattolica, David, re degli Etiopi, si alleava al Portogallo contro il Patriarca d'Alessandria e mandò Francesco Alvarez, con lettere patenti, dal Papa Clemente VII, nelle quali lo riconosceva Capo supremo della Chiesa universale e lo pregava di invitare i principi cristiani a difenderlo contro i musulmani. Il Papa si degnò di ornare la Chiesa etiopica con la dignità primarziale, nominando a questa carica Giovanni Bermodez.


[4914]
Re Claudio, vedendosi sempre minacciato dai turchi, cercò aiuto presso Giovanni III, re di Portogallo, in conseguenza di che, d'accordo col Papa e con S. Ignazio di Loiola, furono mandati in Etiopia 12 gesuiti e il P. Giovanni Nuñez, un portoghese, fu eletto Patriarca, e i PP. Andrea Oviedo e Merchiore Cornaro furono aggiunti in qualità di coadiutori. Ciò non durò molto e re Claudio mostrò su ciò una grande indignazione. Il Patriarca non fu ammesso in Etiopia e Mons. Oviedo nella sua sede fu colpito da persecuzione, bloccando ogni vantaggio alla Religione.


[4915]
Quando nel 1559 Claudio fu ucciso e gli succedette Neva, questi si mostrò così ostile alla Chiesa romana da far porre in catene Oviedo e tramandone la morte. Tuttavia quando nel 1562 egli morì e gli succedette sul trono il figlio Sarezza Denghal, che aveva sentimenti più miti verso i cattolici, questi ottennero di poter praticare la loro Religione. Ma gli Etiopi persistettero sempre nei loro antichi errori. Terminato il Concilio di Trento, Pio IV fece pregare Sarezza di inviargli legati, e mandò al Patriarca di Alessandria il gesuita P. Cristoforo, ma inutilmente. Allora Pio IV scrisse a Sebastiano, re del Portogallo, e a suo zio, il Card. Enrico, che poi fu re, di entrare in relazioni con il re dell'Etiopia. Ma dato che questo principe e la popolazione faceva molta opposizione, ordinò al Patriarca Oviedo di andare nel Giappone. Se non che non lo si lasciò uscire dall'Etiopia e perdette miseramente la vita nel Tigrè, ove morirono anche i suoi compagni.


[4916]
Nel 1597 morì in Etiopia il P. Supi e i suoi confratelli, e nel tentativo di penetrarvi, furono uccisi dai turchi che si erano impadroniti della costa del Mar Rosso. Frattanto nel 1603 il P. Paez riuscì ad aprirsi una strada, e il re Zadanguel, pieno di affetto per la S. Sede, lo incaricò di scrivere al Papa che poteva eleggere un Patriarca, ma l'Abuna o metropolita eretico insorse e sollevò una ribellione contro il re, che vi lasciò la vita. Il suo successore Susneo, per rendersi caro ai portoghesi, protesse i Gesuiti e chiamò alla sua corte il P. Paez. Inoltre scrisse al Papa che poteva mandargli missionari, mentre suo fratello Zela si professava pubblicamente cattolico, e con un decreto si ordinava di abbracciare la dottrina cattolica. Egli rimproverò il Patriarca eretico, i monaci e i preti che avevano congiurato contro la sua vita, e, rinunciando ai suoi primi errori, licenziò le sue concubine e dichiarò formalmente di riconoscere soltanto la S. Sede e di voler obbedire soltanto al Papa. Gregorio XV, informato di ciò, fece Patriarca d'Etiopia Alfonso Mendez della Compagnia di Gesù, il quale ebbe un'ottima accoglienza da parte di Susneo e ricevette dalla famiglia imperiale, molte prove di fedeltà e di devozione verso la S. Sede. Ma, essendo sorti in conseguenza di ciò dei tumulti da parte degli Etiopi, cui stavano a cuore le costumanze antiche, il re fu così debole da riaccettare lo scisma d'Alessandria, dichiarando che la Chiesa alessandrina era la stessa che la romana.


[4917]
Tutti i grandi si mostrarono ostili ai Padri Gesuiti, e dopo la morte di Susneo, tutti gli Europei furono espulsi dall'Etiopia. Intanto a successore di Mendez fu nominato Patriarca Apollinare d'Almeida, che fu ucciso nel 1638; e Pietro II, re di Portogallo, nominò primate il P. Luigi da Silva. Benché tutti gli sforzi e la sollecitudine di Innocenzo X per gli Etiopi si siano mostrati infruttuosi, Urbano VIII ottenne dal Patriarca dei copti, Matteo, una lettera di sottomissione, e sotto Alessandro VII si nutrì la speranza di vedere ritornare all'ubbidienza della S. Sede il Patriarca di Alessandria, giacché per opera del Minore Riformato P. Salemma, egli aveva inviato una professione di fede secondo i principi della Chiesa Cattolica. Ma anche allora ebbero il sopravvento la paura dei turchi e la solita incostanza e sentimento avverso dei copti e degli Etiopi, sempre tenacemente aderenti allo scisma e così la gioia per la vera dottrina di Gesù Cristo svanì.


[4918]
Innocenzo XII diede 50,000 scudi per le missioni tra gli Etiopi e nominò missionari i Padri Minori Riformati di S. Pietro in Montorio a Roma, dei quali fu superiore il surriferito Salemma, che, fornito di lettere apostoliche e di doni, si portò in Egitto e invitò il Patriarca d'Alessandria ad aggregarsi all'unità cattolica. Ma pur accettando lettere e doni, costui dichiarò di desiderare l'unità, ma che per il momento non la poteva ratificare per la guerra scoppiata in Egitto e per la discordia dei grandi del paese. Perciò la S. Congregazione di Propaganda si limitò a mandare missionari solo al Cairo. Clemente XI prese tutte le disposizioni possibili per riguadagnare alla vera Fede l'Etiopia, e fece invitare il re Dodemanut a lavorare per la desiderata riconciliazione, per la qual cosa egli inviò il P. Giuseppe dei Minori Riformati di S. Francesco e lo raccomandò caldamente all'Arcivescovo d'Etiopia e all'Abate generale dei monaci di S. Antonio.


[4919]
La S. Sede tentò in diverse riprese di mandare in quelle contrade uomini di quest'Ordine, come pure Cappuccini e Carmelitani; ma non ebbero buona accoglienza e molti di loro furono uccisi dai turchi ed altri dagli stessi Etiopi. Da ultimo l'Etiopia per mezzo secolo e più restò senza apostoli cristiani, fino a che con Gregorio XVI si fondò la missione d'Abissinia, avente per scopo l'apostolato tra gli Etiopi, per le sollecitazioni del mio amico carissimo l'esimio signore Antonio d'Abbadie, che attraversò per molti anni, in tutte le direzioni, questo paese insieme a suo fratello. La missione fu data in mano ai Lazzaristi; il Vicariato dei Galla nel 1846 fu affidato ai Cappuccini, e il Vicariato apostolico dell'Africa Centrale fu regolato come ho riferito.


[4920]
Al presente la sede episcopale dei copti di Khartum è vacante, e viene provvisoriamente amministrata da un Gumus (arciprete) di nome "Abuna Hanna", col quale la missione cattolica è in buone relazioni. I copti esercitano il commercio e sono impiegati nel divano del Governo, ove fungono spesso da scrivani. Si trovano e vivono dispersi in tutti i territori dei possedimenti egiziani del Sudan, da Suakim fino al Darfur, da Taka a Dongola, da Khartum fino al paese dei Bari. Sono più numerosi a Khartum, a Dongola, nel Kordofan, a Suakim, a Berber e a Kassala; il capo supremo della chiesa copta dissidente, talora manda preti in tutti questi luoghi per l'amministrazione dei sacramenti.


[4921]
I copti, da tanti secoli a contatto con i musulmani, ne hanno adottato naturalmente molte costumanze. Nonostante la lunga secolare persecuzione da parte dei seguaci dell'Islam, che decimarono alla lettera la nazione copta, l'eresia eutichiana si è conservata presso di loro. Siccome nelle chiese separate d'Oriente è permesso il matrimonio dei preti semplici, i vescovi vengono reclutati tra i monaci, che soli conservano il celibato. Benché i monaci copti, in fondo, siano assai versati nella S. Scrittura e soprattutto nel santo Vangelo, tuttavia nei monasteri resta molto a desiderare quanto a preghiera ed ubbidienza, due cose essenziali che contraddistinguono lo stato religioso. Però le sublimi tradizioni dei primi eremiti e cenobiti non sono dimenticate tra i copti dissidenti, ma sono anzi lodevolmente ricordate. Nonostante il grande numero di monasteri che si vedono sulle rive del Nilo e nella Tebaide, quelli dai quali si sceglie l'episcopato sono soltanto tre, cioè i monasteri di S. Antonio, di S. Paolo e di S. Macario.


[4922]
E' segno di una grande devozione che i copti prestano ai tre grandi santi, i quali nei deserti delle Tebaidi, mostrarono in modo chiarissimo, la vittoria dello spirito sulla carne. I monasteri di S. Antonio e di S. Paolo sono posti sul Mar Rosso, nel deserto che a destra del Nilo si stende fin quasi dirimpetto al Sinai. Il monastero di S. Macario giace sulla riva destra del Nilo, subito dopo il Delta. Solo il monastero di S. Antonio ha il diritto di occupare la sede del Patriarca, il quale, una volta in possesso della sua carica, non esercita alcun potere sui preti, per quello che concerne le funzioni di chiesa perché ciò spetta alla giurisdizione episcopale.


[4923]
Il Vicariato dell'Africa Centrale gode l'alta protezione di Sua Maestà Giuseppe I, Imperatore d'Austria e di Ungheria, sotto la rappresentanza di un console a Khartum, e la missione è in buona armonia con le autorità locali, dalle quali ha ottenuto preziosi favori, tra i quali deve ricordarsi l'esenzione dalle tasse. Fu mia principale intenzione, non appena entrai in possesso del Vicariato, di dare con ogni diligenza, un buon consolidamento alle due principali missioni di Khartum e del Kordofan, come punti sicuri di appoggio e centri di comunicazione per poter estendere il lavoro apostolico nei posti più importanti del Vicariato.


[4924]
La missione di Khartum è la base d'operazione e il punto di comunicazione per portare la vera fede e la vera civiltà in ognuno di quei regni e di quelle tribù che formano la parte orientale del Vicariato, confinante col Vicariato d'Abissinia e le tribù dei Galla, e fino al Fiume Bianco oltre l'Equatore e le sorgenti del Nilo. La missione del Kordofan ha lo stesso compito negli estesi regni e tribù che costituiscono la parte centrale e occidentale del Vicariato. Ivi la missione ha incontrato ostacoli non piccoli da parte delle autorità locali, per quello che concerne gli inconvenienti della schiavitù e l'abominevole tratta dei neri.


[4925]
Su questo punto ho in mente di scrivere una relazione speciale, perché questa cosa merita un'ampia trattazione. Tuttavia spunta già una scintilla di speranza riguardo a questa importante questione, che deve impegnare, con così alta partecipazione, l'umanità. Ultimamente il Vicerè d'Egitto nominò Governatore generale dei possedimenti egiziani del Sudan il colonnello Gordon, un eccellente ufficiale inglese, col grado di Ferik-Pascià. Nella guerra di Cina egli si era distinto contro i ribelli e mostra le migliori intenzioni di volersi occupare dell'abolizione della schiavitù. Questo abilissimo personaggio di magnanimi sentimenti, è nello stesso tempo un uomo intrepido e coraggioso; egli darà un colpo mortale alla tratta degli schiavi, come credo con fiducia. Tuttavia c'è sempre da temere che le popolazioni del Sudan, i mercanti arabi e i Governatori musulmani, gli frappongano ostacoli, perché costoro ricavano grande guadagno dal commercio degli schiavi, che costituisce la più notevole fonte di guadagno per le autorità locali.


[4926]
Per sanare queste aperte ferite dell'umanità, questa stridente ingiustizia, c'è un unico mezzo: stabilire in queste contrade la Fede cattolica e predicarvi il Vangelo di Gesù Cristo, che insegna l'uguaglianza di tutti, schiavi e liberi, che portò sulla terra per tutti la libertà dei figli di Dio. Solo la Religione Cattolica può assistere il glorioso inglese in quest'opera umanitaria e bandire da questi infelici popoli, questo plurisecolare flagello. L'insigne generale Gordon troverà nella missione cattolica il migliore aiuto e la più valida assistenza nell'adempimento del suo sublime compito.


[4927]
Il magnanimo e dotto Re dei belgi, spinto da questi motivi, ha preso ultimamente la nobile iniziativa di rivolgere tutto l'influsso della scienza e tutte le forze della civiltà moderna a questo scopo, perché venga estirpata dalla terra africana l'ignominia della schiavitù e dalla tratta degli schiavi, ed egli avrà ugualmente il più efficace aiuto nell'azione apostolica dei predicatori del Vangelo e soprattutto nell'Africa Centrale, dove si trova il centro del commercio degli schiavi. Sia lode a questo insigne monarca cattolico nel cui nobile cuore trova eco il grido di dolore di questi infelici popoli africani, che tendono gementi le mani alla Chiesa Cattolica e invocano la civilizzazione dai popoli d'Europa, affinché portino loro soccorso nella plurisecolare calamità che li opprime.


[4928]
Questo augusto monarca belga è riuscito a scuotere dal loro letargo le potenze d'Europa e d'America (l'Inghilterra fece sempre una lodevolissima eccezione, perché rivolse a questo scopo immensi mezzi e forze) e le mise in movimento per questa grande opera. Nel nostro evo moderno, in cui ci imbattiamo in tante rovine, questa vivida scintilla riempirà d'entusiasmo i cuori che finora erano rimasti insensibili, e nei quali non era stato ancor risvegliato il senso della giustizia e della carità. La condotta del magnanimo re Leopoldo II, s'addice proprio all'alta missione di principe cattolico ed egli avrà l'imperitura gloria di aver attuata sotto il suo governo, una delle più nobili opere umanitarie dei secoli cristiani, la quale diffonderà le sue benedizioni e i suoi benefici sulla parte più abbandonata della terra.


[4929]
E la missione dell'Africa Centrale, la più popolata e la più vasta del globo, avrà la nobile soddisfazione di aver cooperato a questa grande opera, che mostra il vero progresso e che fu ispirata ad alta sapienza, dettata da cristiana carità, e che porta alla più sublime gloria coloro che seguirono l'invito dell'augusto monarca.


[4930]
Il 19 dicembre 1875 io partii, in compagnia del mio segretario, Don Paolo Rossi di Legnago e di alcuni altri, dalla mia residenza principale, dopo aver amministrato il battesimo ad alcuni adulti d'ambo i sessi, preparati dai missionari e dalle suore. Feci una visita alla stazione di Berber e con dieci cammelli entrammo nelle sabbie infuocate del deserto e valicammo le aride montagne appartenenti al territorio etiopico, che separa il Nilo dal Mar Rosso; su questa via si trovano foreste pietrificate e si ammirano pietre granitiche e alabastri orientali. Dopo 40 giorni di penosissimo viaggio, facemmo sosta a Suakim, dove, forse per la prima volta dopo 13 secoli, io celebrai l'incruento sacrificio della S. Messa secondo il rito cattolico, sulle ridenti rive nubiane dell'Eritreon (il Mar Rosso degli antichi). Dopo aver visitato i cristiani d'ogni rito, in quattro giorni, sopra un battello a vapore del Governo egiziano, arrivai nel porto di Suez, dove fummo ospitati amichevolmente dai Reverendi Frati Minori Riformati, e due giorni dopo, in ottima salute, arrivammo al Cairo.


[4931]
Qui non posso passare sotto silenzio le grandi premure e i grandi favori che la missione dell'Africa Centrale ottenne da parte dell'illustre comandante Ceschini. Questi è l'agente diplomatico e il Console generale di sua Maestà apostolica l'Imperatore d'Austria e d'Ungheria alla corte del Kedive d'Egitto, e se, dopo vani tentativi fatti precedentemente, fece il regalo di un appezzamento di terreno per la costruzione di due case al Cairo, come stazioni di preparazione e di acclimatizzazione per i missionari e per le Suore che devono lavorare nell'apostolato dell'Africa Centrale, lo dobbiamo a lui.


[4932]
Noi ottenemmo gratuitamente dalla liberalità del Vicerè d'Egitto, un terreno per costruzioni del valore di 43,000 fr., situato nel quartiere Ismailia, uno dei migliori quartieri del Cairo. Io feci innalzare gli edifici fino al secondo piano e dal luglio dell'anno scorso, vi collocai i missionari dell'Istituto veronese e le Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione, che in Cairo Vecchio, dal 1867, erano alloggiate in due case prese in affitto. Io confido e spero che i miei benefattori d'Europa mi aiuteranno a continuare a innalzare queste case, perché ad esse va congiunta la conservazione della vita e delle forze degli operai evangelici, che sono destinati al clima torrido dell'Africa Centrale.


[4933]
Seguendo in obbedienza l'invito dell'E.mo Card. Prefetto di Propaganda, lasciai la terra classica santificata dall'esilio della S. Famiglia e nell'aprile 1876 mi portai nella metropoli del cattolicesimo. Durante la mia assenza dal Vicariato, i missionari dell'Istituto di Verona, conformemente al mio Piano per la rigenerazione dell'Africa, si occuparono della formazione di moretti e di morette, per i quali ho assegnato abitazioni distanti una giornata e mezzo di viaggio dal Kordofan, affinché non vengano a contatto dei musulmani e non perdano con ciò la fede. Nella pianura di Malbes, che è provvista di acqua e che presenta un terreno coltivabile, si sono domiciliati moretti convertiti, usciti dagli istituti di El Obeid.


[4934]
La pianura di Malbes, oltre all'isolamento dai musulmani, offre ai convertiti, anche il vantaggio che essi possono esercitarvi l'agricoltura e il commercio, con cui si procurano il sostentamento della vita; quest'istituzione poi si presta benissimo a mandarvi i nostri malati della missione del Kordofan, affinché dimorando in campagna, si rimettano. Questa colonia diventerà in seguito paese, una borgata, una città abitata solo da cattolici, sotto la direzione dei missionari e delle Suore, quanto alla salute eterna delle anime. Dove domina l'Islam, si procederà dappertutto con questo sistema e così la missione cattolica riuscirà, col tempo, a inalberare il vessillo della Croce, e la legge del Vangelo regnerà sulle numerose tribù dell'Africa Centrale, sulle quali continua a pesare, da tanti secoli, l'ombra di morte.


[4935]
Premesse queste notizie storiche sul Vicariato e sull'opera della rigenerazione della Nigrizia, passerò a dare uno sguardo all'attuazione, alle difficoltà e alle speranze del lavoro apostolico del Vicariato.


[4936]
Quando il missionario ha terminato la sua formazione nell'Istituto Veronese, egli viene inviato nell'Istituto d'acclimatizzazione del Cairo, e solo dopo egli prosegue per l'interno alla volta di Khartum, per profondere tutte le sue energie a beneficio dell'infelice Nigrizia, in quella stazione o in altro posto a lui assegnato; dovunque egli deve dare principio alla lotta contro gravi difficoltà, in nessun luogo egli le sfugge. Sono soprattutto le varie religioni che incontra, che rendono difficile il suo lavoro. Qui io dovrei menzionare tutti gli errori dello scisma copto e dell'Islam, che è diffuso nelle due Nubie, nei piccoli e grandi regni del Kordofan e del Darfur, Waday, Baghermi, Bornù e che s'incontra presso tutte le tribù nomadi arabe, che occupano alternativamente un vastissimo territorio.


[4937]
Al contrario, vi sono altre parti di Vicariato immuni da questa corruzione, e questo si trova più verso il centro, ove regna il paganesimo. Tuttavia per non stancare i miei lettori col ripetere una cosa su cui hanno già letto in lungo e in largo, benché tutte queste descrizioni siano ben lungi dall'essere vicine al vero, voglio dar qui solo qualche accenno.


[4938]
Maometto si servì di un'arte così scaltra per attirare a sé gli spiriti e i cuori dei musulmani, che a stento la forza umana riesce ad annientare le funeste suggestioni di questa dottrina. L'Oriente, che già in tutto il suo modo di vita lusinga i sensi e in cui è così pronunciato il contrasto delle passioni, fu presto preda di Maometto. Egli non propose niente di nuovo quanto a fede, ma sedusse il popolo con una quantità mostruosa di proposizioni di fede, le più ordinarie e generali, e con un culto che consiste solo in esteriorità e che, nello stesso tempo, segue gli istinti e le passioni più basse.


[4939]
Il Corano legittima una vita sfrenata e vede nella donna, che non è santificata dalla religione, un puro strumento d'immoralità e la considera soprattutto come un accessorio di casa. Il Corano negli Harem fa divenire bestiale ogni sentimento umano e ivi fa naufragare nell'uomo ogni nobile pensiero e ogni sentimento di virtù. L'intelletto si ottenebra e non può comprendere nulla di sublime, l'anima viene avvilita e non può più lanciarsi verso la sublimità della Religione Cattolica.


[4940]
Anche se la civiltà cristiana si fa ora largo in tante maniere e l'Islam viene a contatto dei costumi europei, che conquiste e che progressi si può fare nei confronti dei musulmani? Riuscirà a scuotere il musulmano dalla sua infingardaggine e a fargli abbandonare le sue inclinazioni bestiali e antisociali? Ma ciò non è completamente contrario al Corano, che lo comanda espressamente? In verità la civiltà europea avrebbe fatto molto se i maomettani si lasciassero indurre ad abbandonare le loro capanne e i loro accampamenti a cielo aperto, per costruirsi delle abitazioni migliori. Ma non riuscirà giammai a far sì che anche l'uomo sia nobilitato, che pensi, senta e agisca in modo degno dell'uomo! Potrà risvegliare lo spirito di egoismo e di comune interesse, ma non otterrà mai influenza sull'anima, non potrà mai far sorgere il sentimento della giustizia. L'amore e il rispetto del prossimo non sarà mai il vincolo che unisce la società musulmana.


[4941]
La civiltà europea avrà ottenuto molto quando potrà dire a se stessa di aver fatto nascere nei musulmani, l'idea di tendere a una riforma di principi che si basano sul Corano, perché il Corano vieta ogni novità, ogni istruzione più approfondita, ed al contrario, assicura ogni appagamento di malvagie brame e di passioni bestiali e permette ai suoi seguaci la più grande violenza contro gli infedeli. La società umana, come noi ce la immaginiamo nel vero senso della parola, non può accordarsi col Corano; il vero progresso, la vera civiltà e il Corano, non possono stare insieme. L'uno distrugge l'altro. Nessuna forza umana può dunque vincere il Corano, e nemmeno riuscì contro di esso il protestantesimo, il quale gli dichiarò guerra sulle rive del Nilo, poiché, registrate ad Esne solo due conversioni, dietro certa somma di denaro, si vide costretto ad abbandonare quelle contrade. I rigidi seguaci del Corano, i fanatici adoratori di Maometto, condannano qualsiasi discorso sulla religione e dichiarano santo chi si lascia calpestare dal bianco cavallo del sommo sacerdote, sul quale, al tempo del grande pellegrinaggio alla Mecca, egli muove verso la moschea; santo è colui che in seguito a continuate ovazioni religiose a Maometto, si ammala o impazzisce. Tutti accorrono tosto a soccorrere un simile eroe, che viene onorato e richiesto di consiglio da ognuno e al quale, quando muore, viene eretto un monumento. La Nubia sotto questo aspetto offre un triste spettacolo.


[4942]
Se è proibita un'istruzione più profonda e ogni discorso di religione, come vi possono attecchire novità benefiche e nuove dottrine di fede? E' impossibile ottenere l'abbandono del Corano, che essi osservano con fanatismo e rigore, se prima non si può chiarire i suoi fondamenti. Senza rinunciare al Corano, non è concepibile un'istruzione superiore, e chi oserebbe tentarlo, se il Governo stesso vieta ogni tentativo di conversione?


[4943]
Chi si facesse partecipe di un'istruzione più alta, verrebbe biasimato da tutti e sarebbe rigettato dai genitori. Platone credeva che soltanto una potente fiaccola fosse una meravigliosa forza capace di rischiarare le tenebre del paganesimo e di risollevare l'umanità caduta. Così anche per rinnovare lo spirito ed il cuore degradato dell'Islam, è necessario un mezzo veramente prodigioso e un'illustrazione soprannaturale, che noi troviamo nella grazia di Dio. I mezzi umani sono incapaci di ciò; solo alla Chiesa cattolica può essere dato di riportare qui i trionfi, e il Signore che nella sua potenza, scuote i cedri del Libano e fa tremare le colonne del firmamento, egli solo per mezzo della sua religione, potrebbe portare luce in tanto spirituale errore.


[4944]
Egli che un giorno ha mutato i boschetti e i templi idolatrici in luoghi santi della sua vera religione, soltanto Lui, sulla rovina della moschee, potrebbe inalberare la Croce. E solo in questo modo anche i Maomettani, condotti sul sentiero della salute, potrebbero possedere tutti i vantaggi che sono annessi alla civiltà cristiana. Anche se il Signore, negli imperscrutabili suoi consigli volesse servirsi nelle opere sue di mezzi puramente umani, chi non scorgerebbe nelle prescrizioni fanatiche del Corano, i più grandi ostacoli per riportarne successo? Si tratta inoltre di sostituire alla religione musulmana, una religione che essi tanto abborriscono, così che il solo nome cristiano suona per loro come l'insulto e l'offesa più grande.


[4945]
Muterebbero essi la loro comoda religione con la Religione Cattolica che richiede la rinuncia di se stessi, la mortificazione della carne e il sacrificio? Il far loro comprendere la sublimità della Religione Cattolica, la santità della sua dottrina, la bellezza della sua liturgia offre ostacoli e difficoltà quasi insormontabili perché essi non sono in grado di comprendere le cose sublimi, dato che si trovano in un lagrimevole stato morale per la corruzione concessa dalle leggi.


[4946]
Ma il Missionario confida nella misericordia di Dio, e, pronto alla lotta, si reca sul campo del lavoro guidato dalla speranza che non lo abbandona mai. Mentre sulla nave spira un vento favorevole, e il viaggio incomincia.


[4947]
Che scena! Si stendono dinanzi a lui le sempre nuove meraviglie del Nilo! Sulla riva destra si scorgono le montagne di Mokatan, nel deserto della Nubia, e a sinistra del Nilo le colline libiche, che corrono parallele al fiume, ma che ne sono separate da una pianura ora coltivata ed ora formante un deserto sabbioso. Si ha sempre dinanzi agli occhi il più stupendo panorama. Qua un'isola con pascoli verdeggianti, ove un pastorello nero veglia sul gregge di capre, non lontano da una piccola capanna che appena si scorge tra le fitte palme di dattero, da cui sono circondate. Là si vede un bosco di palme da dattero e di alberi Dong che fanno pompa dei loro frutti. Ora le sponde si avvicinano e mostrano ai viaggiatori le bellezze dei loro dintorni, ora tornano a dividersi e ci si trova improvvisamente in un lago. Poi rocce nude ed aspre tornano a chiuderlo e circondarlo di orrido, mentre il fiume in questo promontorio roccioso viene flagellato dai venti in modo violento. Al chiudersi di questo giorno, con quadri pieni di varietà, noi scorgiamo laggiù lontano i limiti delle acque agitate del fiume, mutate nel più vivido color di bragia dal sole che tramonta; noi crediamo di trovarci in un mare di splendore e di fiamma.


[4948]
Ma in tutti questi magnifici incanti di natura, i pensieri del missionario spesso si allontanano e si riempiono di considerazioni amare, quando sul crepuscolo ode la rauca voce del muezzin, che dall'alto del minareto chiama i seguaci di Maometto alla preghiera. E la tristezza lo invade quando pensa all'infelice condizione di queste povere anime. Nel profondo silenzio che circonda queste sponde, dalle quali sorge qua e là una capanna, egli pensa al silenzio che precede la tempesta e gli pare che questi infelici dormano un sonno crudele per risvegliarsi solo al baleno della collera divina. Ed egli deve soffocare tutto dentro di sé. Il vento spira propizio, i marinai dormono sotto l'albero delle vele. La luna diffonde ora la sua pallida luce sulla pianura, interrotta di quando in quando da ammassi rocciosi che fanno raccapricciare.


[4949]
Ed è in questi momenti che, come piangesse sul cristianesimo un tempo qui fiorente e di cui ora contempla le rovine, al missionario, immerso in profonda preghiera, in mezzo a questa solitudine sconfinata, pare di udire la voce del divin Pastore, che cerca la nera pecorella smarrita, e la sua fiducia si rianima ancora e spera fermamente che gli ostacoli che l'Islam solleva contro la conversione dei suoi seguaci, cadranno e che la potenza del male non avvolgerà più a lungo la Nigrizia, e una così grande moltitudine d'infedeli dà al missionario la migliore prospettiva per la sua attività, soprattutto in quelle contrade che non sono ancora contagiate dalla corruzione musulmana. Ora le cateratte interrompono il suo viaggio perché il Nilo, arrestato nel suo corso da masse rocciose, precipita schiumante e con frastuono tra gli scogli e li frastaglia in tortuosa corrente. Attraverso queste rocce spezzate che giacciono sul Nilo e disseminate lungo le sue sponde, ne viene ai naviganti il pericolo della vita, e dagli alberi delle navi affondate, emergenti dall'acqua, si vede che, quando l'acqua si schianta, essa ha spesso riportato tristi vittorie. C'è pure un'altra via, ma il deserto con la sua sterminata estensione, ha pure i suoi grandi disagi.


[4950]
Il missionario si deve sempre ricordare che dodici pescatori usciti da un oscuro villaggio della Giudea, dopo aver guardato all'altura del Golgota, si dispersero per il mondo e, fortificati nella fede del Salvatore divino e sicuri della vittoria, provarono grande gioia nei loro dolori e patimenti. Così anche il missionario dell'Africa Centrale non indietreggerà, per quanto faticosa e piena di rinunce possa essere la sua vita. Se egli è prudente e procede con i mezzi, che l'esperienza gli mette in mano, la sua attività porterà i frutti migliori, a beneficio dei cento milioni di anime che già da tanti secoli sono in potere del maligno.


[4951]
Se si considerano le distanze, la povertà dei mezzi di trasporto che si devono usare, la mancanza di vento propizio nei viaggi sui fiumi, l'indolenza dei marinai, il viaggio in questi paesi è di una durata estremamente lunga e spesso pericolosa. Quando il vento è sfavorevole, il missionario è costretto a passare le notti sulla riva solitaria, dove molto di rado lo protegge un albero spinoso. Accade pure che egli debba passare in questo modo molti giorni e molte notti. Poi per settimane e mesi nel deserto egli deve soffrire l'indolenza dei cammellieri. Egli deve essere preparato ad abbracciare gravi sacrifici, quando, solo sulla nuda groppa di un cammello, passa il deserto sconfinato e attraversa le nude montagne granitiche o le immense foreste dell'interno. Qui egli ha da temere l'incontro con le bestie feroci, l'impennarsi del cammello, forse anche con qualche ferimento, quando pure non viene assalito da qualche malattia. In ogni caso, in queste condizioni, egli deve continuare il viaggio tra dolori e senza che gli si possa dare alcun sollievo; il restare indietro lo farebbe morire di sete; i cammellieri poi, che sono responsabili della sua vita, non gli permetterebbero mai, per nessun motivo, di rimanere indietro.


[4952]
Nel deserto sconfinato il sole lo colpisce liberamente con i suoi raggi infuocati e il sedere in groppa al cammello da mattina a sera, lo sfianca ed esaurisce le sue energie; e quando a sera discende, non può pensare ancora al riposo, perché deve errare solo, per la pianura deserta, per raccogliersi le piante secche ed arbusti, per prepararsi la modesta cena; ed è assai frequente il caso in cui egli non ha nient'altro che pane e cipolle con un po' di acqua nella borma, che, quantunque sempre calda, insalubre e corrotta, costituisce nondimeno l'unico dissetante del viaggiatore del deserto. Poi si posa sulla sabbia ed è felicissimo se un masso lo protegge dal vento. Tutti questi disagi del viaggio non lo abbattono gran che, perché nelle stazioni missionarie la sua vita non è molto migliore; anche se non lo tormentano le malattie, il più delle volte è oppresso dalla stanchezza e le molte difficoltà, contro le quali ha da combattere, e le molte disillusioni che deve subire, riempiono di tristezza l'anima sua.


[4953]
Un grande ostacolo trova il missionario nel libero esercizio della sua vocazione apostolica: la piaga della schiavitù. Io posso dire che è la più grande di tutte. Si ripetono continuamente quelle sanguinose cacce all'uomo; schiere di uomini armati si gettano sui paesi montuosi dell'interno e i poveri aggrediti son costretti a difendere le loro famiglie e restano uccisi sul posto per la ferocia di questi disumani; e questi rapitori di uomini, nei pacifici paesi dell'infelice Nigrizia, sono rimasti finora impuniti. Quante carovane si incontrano di tali schiavi, che devono sostenere marce opprimenti sotto un sole cocente, su una sabbia che scotta, straziati dalla fame e dalla sete! Per di più questi infelici sono posti sotto la "sceva", cioè, sotto un giogo a cui viene stretto il collo dello schiavo. E questi poveri camiti vengono spinti avanti senza pietà dai malvagi giallaba e segnano, non raramente, il sentiero con il sangue che esce dai loro piedi gonfi.


[4954]
Molti di loro non arrivano alla meta e le loro salme servono di pasto alle iene. Se in queste razzie, che distruggono la felicità di famiglie intere, vengono portate via una madre e un figlio, il barbaro schiavista non permette che la madre, lungo il viaggio, aiuti il suo caro bambino. Essa regola, per amore, il suo passo su quello del bambino che ancora le resta, ma il giallaba subito lo strappa alla madre e lo trafigge con crudeltà belluina, così che egli cade sulla sabbia. Il cuore della povera madre sanguina e volentieri morrebbe con il suo bambino, ma sente già sulla sua schiena la sferza e il bastone, e deve continuare, muta, il suo viaggio.


[4955]
E quante migliaia di poveri neri, mezzo affamati ed estenuati dalla miseria, non si vedono sui mercati di schiavi! Lì si può comprendere quanto sia obbrobriosa per l'umanità la schiavitù. Qualcuno pensa di trovare nella schiavitù un mezzo di civilizzazione; ma come si può difendere la violazione dei diritti naturali più santi? Quale vergognoso trattamento si vede e quale crudeltà che farebbe spezzare un cuore di pietra! Qui con il denaro si fa mercato dell'umanità e ciò che vale è solo l'interesse più basso e degradante. E ognuno può convincersi che la sorte che li attende quando, comprati sul mercato, vengono condotti in casa di un compratore, è meno barbara sotto il paganesimo che sotto l'Islam. Il loro padrone ha su di loro il diritto di vita e di morte, e il poco che guadagnano devono darlo a lui. Da certuni vengono costretti a rubare dai mucchi di grano altrui, che a qualche distanza dalla casa del padrone sono custoditi da schiavi.


[4956]
Essi vedono dinanzi a sé rosseggiare del loro sangue o la sferza del derubato, se sono scoperti, o quella del proprio padrone se alla sera non portano la quantità di grano richiesta. Lo schiavo non trova mai assistenza; egli muore solo, lo si abbandona a se stesso, e sulla sua morte nessuno versa lagrime di compassione. Così ha termine la sua vita piena di rinunce e di tormenti; la sua salma viene sepolta nella sabbia e diventa ben presto preda dei cani e delle bestie feroci. Orbene, se nonostante tutto questo, si volesse considerare la schiavitù come un mezzo di civilizzazione, perché allora si permettono agli schiavi di passare spesso le intere giornate nell'ozio?


[4957]
Perché si proibisce loro di avere rapporti con il missionario, dal quale verrebbero istruiti nella Religione Cattolica e in tutte le cose utili? Ma il fatto è che, se uno schiavo riesce a fuggire perché non può più sopportare i maltrattamenti e si è rifugiato alla missione, il suo padrone usa tutta l'astuzia che si possa immaginare, per riaverlo indietro e mette in atto anche la forza; ma alla missione ciò non approda a nulla. E tutto questo lo si fa perché lo schiavo, trovandosi alla missione per il corso d'istruzione, non può più essere venduto perché riceve dalla missione, con la firma del Console nostro protettore, la dichiarazione di stato libero. La cupidigia più vergognosa è l'unica causa per cui la schiavitù sussiste ancora; ed essa è un grande ostacolo all'esercizio del ministero apostolico. Ciò rende difficile l'opera nostra, non solo tra i musulmani, ma anche là dove abbiamo le stazioni, come a Berber ed a El-Obeid.


[4958]
A Khartum il lavoro missionario è ugualmente difficile, avendo noi dovuto fondare le stazioni a distanza di dodici, quindici giorni di viaggio l'una dall'altra, perché solo a tali distanze si trovano popolazioni raccolte in popolose città di cinquanta e centomila abitanti, altrimenti si trovano paesi isolati con poche famiglie, che si sono stabilite sulle brulle montagne del deserto. Qui ci si imbatte inoltre nella naturale apatia degli indigeni che, secondo il precetto dell'Islam, devono restare nell'ignoranza, e la corruzione vi può quindi crescere indisturbata.


[4959]
Ma tutto questo non riesce a demoralizzare il sacerdote e il laico cattolico; al contrario egli si deve commuovere profondamente al vedere sì numerosa popolazione languire in tanta miseria. A così grande sprone egli deve sentirsi pronto a intraprendere qualsiasi cosa pur di raggiungere l'ideale sublime che si è proposto.


[4960]
La Croce è il sigillo di tutte le opere redentrici di Dio, e perciò anche se la rigenerazione di questi popoli è ardua, sarà tanto più bella la vittoria che riporteremo. E poiché nulla è impossibile, queste difficoltà non ci abbatteranno affatto; ma diventerà sempre più vivo in noi l'amore verso i riscattati e così aumenterà il nostro interessamento per loro.


[4961]
Quando noi avremo in mano i mezzi necessari per aprirci l'adito nelle famiglie onde cattivarcene l'affezione e la stima, il missionario troverà anche qui il terreno adatto ad essere coltivato e dove egli potrà lavorare con frutto.


[4962]
Benché il missionario cattolico veda infruttuosa l'opera sua tra i musulmani, che cerca in tutti i modi di convertire, tuttavia egli ha occasione di fare molto bene tra gli europei di Berber, Khartum, El-Obeid e delle province dipendenti, i quali vivono dispersi con le loro famiglie. Probabilmente essi aumenteranno molto per il commercio, che acquista sempre maggior sviluppo, e per i lavoratori che vengono portati qui. Anche tra costoro già si è impedito molto male e si è fatto molto bene e il missionario trova anche qui un vasto campo per la dispensazione dei beni spirituali. Con visite, ammonimenti, minacce egli ottiene molto e all'infelice che si ammala, assicura una incomparabile accoglienza all'ospedale della missione.


[4963]
Per l'influenza dei missionari si videro conclusi matrimoni legittimi al posto dei concubinati e le concubine negre e abissine, si fecero istruire nella dottrina cattolica attraverso l'opera delle Suore. Fu ravvivata la vita ecclesiale in molte famiglie in cui si era assopita. E con quale soddisfazione non si vedono qui molti di coloro che la cupidigia della loro patria cattolica ha spinto in queste lontane contrade africane, tornare ai sacramenti della religione e, uniti in fraterna uguaglianza con i neri neofiti, assistere alle celebrazioni liturgiche e saziarsi alle sorgenti della salute che il Pastore celeste rende loro accessibile.


[4964]
Ma l'azione apostolica non si limita solo al bene della popolazione europea, dove essa vive tra i musulmani, ma si estende ai greci scismatici e ai copti che ivi parimenti abbondano. Anche se presso di loro non si è raggiunto alcun buon risultato, tuttavia speriamo molto per l'avvenire, specialmente in quei luoghi dove non sono guidati dai sacerdoti e sono pur tuttavia di buona fede, e perciò anche il missionario cattolico gode prestigio e stima presso di loro. Tra i greci scismatici un po' di conquiste alla Croce, si dovranno pur fare.


[4965]
Tuttavia tra gli schiavi, che stanno al servizio delle famiglie musulmane e che superano di gran lunga il numero della popolazione e che, provenendo dalle tribù pagane, e sono più facilmente propensi ad abbandonare l'Islam, da loro spesso abbracciato perché costretti dalla loro condizione, il missionario trova un campo di lavoro che dà motivo di speranza di maggior frutto che non tra i musulmani e gli scismatici.


[4966]
Gli adulti ritornerebbero certamente all'incostanza se venissero di nuovo a contatto dei loro padroni musulmani, e il missionario, quando li accoglie nella Religione Cattolica deve fare molta attenzione che essi o restino alla missione o entrino in servizio presso una famiglia cattolica, oppure si uniscano in matrimonio con una delle morette divenute cattoliche, che ricevono la loro formazione nei nostri Istituti, e così possano continuare il mestiere imparato da noi. Quelli che si rifugiano alla Missione vengono considerati come figli adottivi e provveduti di tutto quello che è necessario alla loro educazione morale e al loro bene materiale. Imparano a leggere, a scrivere e a fare lavori manuali utili, senza metterli al corrente di maggiori esigenze. Inoltre noi li lasciamo nelle loro costumanze, secondo ciò che è conforme con gli usi e religione cristiana. Su questa gioventù poniamo le migliori speranze, ed essa costituisce una consolazione per il cuore del missionario, che la circonda di cure amorevoli.


[4967]
Dalle mie descrizioni Loro comprenderanno bene come le spese di quest'opera apostolica debbano essere molto rilevanti; questo è un punto che deve contribuire assai a coronare di successo l'opera nostra in queste terre.


[4968]
a) Considerevoli sono le spese per un sistema missionario che è l'unico possibile in queste contrade e che è l'unico che prospetti dei risultati. Non esistendo colà convenienti edifici, noi siamo sempre costretti a costruire per collocarvi tutto il personale della missione con i moretti e le morette. Durante la loro formazione noi dobbiamo pensare al nutrimento e al vestito, poi la missione deve procurare il posto ove collocarli, come ho già detto. Ci si convincerà facilmente che le spese in totale, devono aumentare quando crescono le conversioni.


[4969]
b) Perché i posti sono isolati, manca spesso l'acqua e nelle piccole città dobbiamo tutto portarci dall'Europa e dal Cairo nel Sudan.


[4970]
c) Che spese non richiedono soltanto gli Istituti di Verona e del Cairo, le continue spedizioni, i trasporti, le perdite per trascuranza, le enormi distanze, i mutamenti del valore monetario in paesi diversi? Io godo pertanto che, nelle stesse contrade musulmane del Vicariato, la nostra opera africana missionaria non appare impossibile, come potrebbe sembrare ad alcuno che sapesse quanto poco vi sia favorito il missionario; però vi sono gli ostacoli da superare. Se il missionario usa le precauzioni consigliate dall'esperienza, anche il clima non gli riesce micidiale.


[4971]
Se si considera che furono fondati due grandi stabilimenti per il noviziato a Verona e due al Cairo, oltre alla casa di Scellal, e un grande edificio a Berber, due a Khartum e uno ad El-Obeid, e a Mal-bes, e che si è incominciato con due costruzioni anche a Gebel Nu-ba, e tutto su terreno proprio, si troverà che si è pensato seriamente a tutte le necessità.


[4972]
Sia ringraziato Dio per tutto, e i nostri generosi benefattori possano avere un'eterna ricompensa per averci aiutati con le loro abbondanti elemosine e con le loro fervide preghiere in questo nostro sublime compito, anche se non poterono contribuire in altro modo, alla nostra opera per il trionfo della Chiesa Cattolica. Il quadro storico che ho preparato per Loro, e nel quale ho tralasciato molte altre cose, è una testimonianza che quest'opera è sorta ai piedi della Croce, e che porta il sigillo della Croce adorabile, per la quale diventa opera di Dio.


[4973]
Il Salvatore del mondo compì le sue meravigliose conquiste di anime con la forza di questa Croce che atterrò il paganesimo, rovesciò i templi profani, sconvolse le potenze dell'inferno e, secondo il detto di S. Leone Papa, divenne altare non di un unico tempio, ma altare di tutto il mondo. Questa Croce che prese il suo volo dall'alto del Golgota e che riempì l'universo della sua potenza, nei templi le fu prestata adorazione; nelle città reali la più grande venerazione; viene rispettata come distintivo sulle bandiere ed invocata sugli alberi maestosi delle navi. Essa diede alla fronte sacerdotale la consacrazione, e a quella dei monarchi una sacra incoronazione. Sul petto degli eroi comunicò entusiasmo. Terra, mare e cielo riconoscono la Croce e dovunque le si rende onore.


[4974]
Fra i dolori e le spine è sorta e cresciuta l'opera della Redenzione e per questa essa mostra uno sviluppo mirabile e un futuro consolante e felice. La Croce ha la forza di trasformare l'Africa Centrale in terra di benedizione e di salute. Da essa scaturisce una virtù che è dolce e che non uccide, che rinnova e discende sulle anime come una rugiada ristoratrice; da essa scaturisce una grande potenza perché il Nazzareno sollevato sull'albero della Croce, tesa una mano all'Oriente e l'altra all'Occidente, raccolse i suoi eletti da tutto il mondo nel seno della Chiesa; e con le sue mani trafitte, come un altro Sansone, scosse le colonne del tempio, dove da tanti secoli si prestava adorazione al potere del male.


[4975]
Su queste rovine Egli inalberò la Croce meravigliosa che tutto attrasse a sè: "Si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum" (Quando sarò elevato da terra, attirerò tutte le cose a me).



+ Daniele Comboni



Traduzione dal tedesco.






734
Schema di conferenza
0
1877
SCHEMA DI CONFERENZA

ACR, A., c. 18/22



1877
[4976]
Laboriosa, 1º. lento e continuo martirio per le febbri cocenti inevitabili, pel clima infuocato, per le inaudite privazioni.


[4977]
Difficile, tentarono Gesuiti; Francescani, valenti missionari tedeschi e italiani, e o si ritirarono, o soccombettero sul campo: 2º. pel clima infocato, pel carattere degli infedeli, per gli ostacoli che vi contrappone l'islamismo, e per non essere fino ad ora la S. Sede riuscita a sistemare regolarmente questa missione.

L'Austria contribuì alla regolare sistemazione del Vicariato etc. etc.


[4978]
La più infelice. Perché essendo stati vani gli sforzi della chiesa per istabilire finora il Vicariato dell'Africa Centrale, quei popoli gemettero fino ad ora sotto il ferreo giogo del demonio e della più grande miseria: essa è l'ultima ad essere chiamata alla Ora undecima dal Proprietario. Infelice, per tacere di altre avversità, pello stato permanente di schiavitù in cui geme, e per la tratta orribile che vi si fa. Descrizione della tratta


[4979]
2º. e lo è perché anche sono stati gli ultimi ad essere chiamati, per cui gemettero per più lungo tempo nel baratro etc. più che tutte le altre parti del mondo.

L'Africa Centr. è la missione più santa, santa pell'altezza della vocazione dei missionari e suore destinate all'Apostolato. Essi devono esser sempre pronti alla morte: quindi amor di Cristo anime etc.


[4980]
3º. pella nobiltà della carità dei benefattori che per sì santa e sublime causa offrono. Maggior merito è offrire un fiorino per salvar la vita di uomo, che per saziare un povero.


[4981]
Umanitaria si tratta di tramutare da primitivi in uomini. Di soccorrere i popoli più infelici dell'universo privi di tutti i beni. Cambiare cannibali, Dahomei, in civili. Essi sono poveri, soffrono tutto e tanto miseri che nessun re o nazione sinora li potè sollevare.


[4982]
Più gloriosa pelle grandi virtù cristiane apostoliche, spirito di sacrifizio abnegazione dei missionari etc. senza di cui non possono in Africa resistere e perseverare, ma devono tornare addietro. Certo è più glorioso a un capitano espugnare grande fortezza, che un villaggio.


[4983]
4º. più gloriosa perché è l'Opera del secolo della civiltà. Re de' Belgi, Leghe internazionali, tutto il mondo guarda l'Africa, la bandiera gloriosa Austriaca sventolerà etc. etc.


[4984]
5º. più gloriosa pei grandi meriti e per la nobiltà e altezza della squisita carità dei benefattori e Società Benefattrici che soccorrono la più vasta popolata santa missione del mondo.


[4985]
E' la più necessitosa e bisognosa e quindi la più degna della carità dei benefattori etc.

La più interessante missione


[4986]
Ora misurate o E.mo Principe e illustri Signori i meriti straordinari dei vostri predecessori estinti del Vescovo Mechutar, Hurter Dworzak, e specialmente di quel campione che fu il Barone di Spens etc. Misurate i meriti di Sua Maestà, dei generosi Vescovi Clero e pii Cattolici che hanno si luminosamente contribuito a mantenere l'esistenza etc.

Ora ai vostri meriti di aver continuato con costanza l'opera dei vostri Predecessori, malgrado le prove subite dall'apostolato dell'Africa Centrale e dalle diminuite oblazioni per isterilità momentanea di successi, e per le accresciute associazioni, ed altri estremi bisogni della Chiesa del Papato e delle Opere Cattoliche necessarie nell'interno dell'Impero, deh! per l'amore di 100 milioni di anime, aggiungete zelo, e date un grande sviluppo a questa Marienverein etc. etc.






735
Vittorio Patuzzi
1
Verona
1877
AL DOTT. VITTORIO PATUZZI

AUTOGRAFO SU FOTO

ASC, I 8



Verona 1877



736
M.me Paole Villeneuve
1
1877
A M.me PAULE DE VILLENEUVE

AUTOGRAFO SU FOTO

AFV, Versailles



1877



737
Pie Madri della N.
1
1877
ALL'ISTITUTO DELLE PIE MADRI DELLA NIGRIZIA

ACR, Sez. Fotografie



1877



Dedica.



738
P. Stanislao Carcereri
1
1877
A P. STANISLAO CARCERERI

AUTOGRAFO SU FOTO

APCV, 1458/553



1877



739
Firma su astuccio croce
1
1877
. 739 (N. 1217)

FIRMA SU ASTUCCIO DI UNA CROCE PETTORALE

ACR



1877



740
Appunto S. Sede Claudiopoli
0
1877
APPUNTO SULLA SEDE EPISCOPALE DI CLAUDIOPOLI

ACR, A, c. 18/21



1877

CLAUDIOPOLI (CLAUDIOPOLITAN.)
[4987]
Sede Vescovile in Partibus Infidelium dell'Armenia Minore nell'Asia, sotto la Metropoli di Seleucia, sino dal quarto secolo, in cui fu eretta. Essa fu fiorente città, ed è posta ai confini della Cilicia, fra Comana, ed il fiume Cidno. Questa città, come qualche altra, avea preso il nome di Claudio Cesare figlio di Druso, il quale avea stabilito molte colonie in diverse parti dell'Impero, ma soprattutto nel Levante. Sei Vescovi vi ebbero Sede. Gli ultimi Vescovi in partibus sono Monsig.r Gio. Gaetano Gius. Maria Gomez Portugal che ai 23 febbraio 1831 Gregorio XVI traslatò alla Chiesa di Mechoacan; e Antonio Maithenyi Arcidiacono Camaromiense, fatto dal medesimo Pontefice nel Concistoro del 14 Dic. 1840, e dato per Ausiliare all'Arcivescovo di Strigonia, come si ha dalle proposizioni ed atti concistoriali.




[4988]
CLAUDIOPOLI

Franciscus Latoni

SS.mi Auditor



Pro R. D. Daniele Comboni

Vicario Ap.lico Africae C.is

Titulus Episcopalis Ecclesiae

in Partibus Infidelium



Claudiopolis Civitas Asiae in Armenia minori et confinio Ciliciae sub Archiepiscopo Seleuciensi vacat per translationem R. P. D. Ildephonsi Infante et Macias ad Sedem Cathedralem S. Christophori de Laguna.