Comboni, in questo giorno

In lettera a Elisabetta Girelli (1870) da Verona si legge:
Noi siamo uniti nel Sacratissimo Cuore di Gesù sulla terra per poi unirci in Paradiso per sempre. È necessario correre a gran passi nelle vie di Dio e nella santità, per non arrestarci che in Paradiso.

Scritti

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N° scritto
Destinatario
Segn. (*)
Provenienza
Data
261
Teresa Comboni
1
Colonia
17. 8.1868
A TERESA COMBONI

ACR, A, c.14/131



Colonia (Prussia), 17 agosto 1868



Breve biglietto.



262
Mons. Luigi di Canossa
0
Colonia
18. 8.1868

A MONS. LUIGI DI CANOSSA

ACR, A, c. 14/59


Sia lodato G. e M. In eterno così sia.

Colonia, 18 agosto 1868

Eccellenza R.ma,

[1664]
Due giorni fa mi giunse da Cairo la preziosissima sua 3 luglio p.p. che mi inondò di consolazione perché conteneva i sensi di un S. Ignazio verso i suoi figli, e le dico il vero che mi sentii e mi sento sempre più il desiderio di patire e portare la croce; tanto le sue parole piene di unzione e di Spirito del Divin Pastore sono potenti sul mio cuore. Ci voleva veramente quella cara sua lettera, che baciai e ribaciai più volte, per preparare il mio spirito a sostenere con forte rassegnazione e per amor di Gesù il colpo terribile che mi ha recato la sua sempre carissima del 15 agosto, che ricevetti stamane, ed alla quale m'affretto a rispondere con quella tranquillità d'animo, sincerità, e verità, che deve avere un missionario e un uomo di Dio verso il suo Superiore, un figlio verso il suo padre.


[1665]
L'Istituto femminile, come sempre le scrissi, camminò come qualunque buon Istituto d'Europa. Fino dal primo giorno, dietro il pieno accordo reciproco fra di noi, ho stabilito quella separazione che la strettezza del luogo permetteva, e che era sufficiente a guarentire il decoro e la riputazione nostra e delle femmine, separazione che è maggiore di quella che vi è a Lione nei due rispettabilissimi Seminari per le Missioni africane e Diocesane, nei quali le Suore fanno la cucina e servono l'economia de' missionari. Ma siccome in Egitto vidi che io doveva aver riguardo e temere più dei Francescani (che sono alieni dal vedere istituzioni eterogenee di buon occhio) che del popolo, in ogni cosa chiamai il venerabilissimo P. Pietro francescano Parroco di Cairo vecchio, e mi acquietai solo dopo la sua piena approvazione. Tutto a lui sottomisi, anche per essere guarentito presso il Vic.o Ap.co.


[1666]
Fino da principio ho stabilito, che il P. Zanoni, essendo il più vecchio avendo la barba bianca, fosse quello che soprastasse immediatamente all'Istituto femminile. L'essere stato Prefetto del Suo Ordine in Mantova, il godere che ha fatto sempre stima e riputazione nel Veneto, e l'avere la barba bianca, mi parvero motivi sufficienti per fidarmi di lui, e di attendere io più esclusivamente alla partita esteri, e sorvegliare gli altri più giovani. Credo che qualunque uomo saggio al mio posto avrebbe fatto così. Mio veneratissimo Padre, io e tutti gli altri ci siamo ingannati.

Siccome la visita di un medico al Cairo vecchio vale un Nap.n d'oro, e siccome il P. Zanoni sa bene di medicina, così, dopo aver passato parola col R.mo Parroco (che egli stesso chiamò Zanoni più volte e dalle monache Clarisse e fuori per esercitare la medicina), io gli permisi di esercitare la medicina nei nostri due piccoli Istituti, e ciò comunicai subito a Mgr. Ciurcia.


[1667]
Fino al maggio tutto passò fra tutti un'armonia invidiabile: tutto camminava benissimo secondo la umana prudenza e lo spirito di G. C. Il Signore permise che un nembo di malattie e il vaiuolo terribile in Egitto ci visitasse: allora, come è naturale, si dovette chiudere gli occhi sopra la severità di qualche regola stabilita. Col permettere al P. Zanoni di esercitare la medicina, s'intendeva naturalmente che la dovesse esercitare nel modo come si conviene a religioso. Ma il pover'uomo ha abusato un po' troppo, e si permise delle confidenze assai indecenti. Fino dal giugno avendo osservato in lui qualche irregolarità, io subito l'avvisai, e l'avvertii colla carità di G. C.; fino che giunsi a restringergli l'autorizzazione.

Si vede che il pover'uomo non era avvezzo molto a cose simili; perché al mio avvertimento, volendo negare e scusarsi, commise tali imprudenze e ragazzate, che mi somministrò tutti gli argomenti per confermarmi nel mio giudizio. Siccome con tutta prudenza io tastai il P. Carcereri, e fummo ambedue d'accordo, così Zanoni sospettò che Carcereri facesse presso di me la spia a suo carico: di qua un odio mortale contro di lui, che giunse fino a non parlarsi più insieme. In una parola scoprimmo tutto, che qui epilogo in due parole: "Zanoni sotto specie di visita medica (ciò che io non permetterei nemmeno ad un medico che facesse sopra di me, a costo di morire), visitò in verendis et in pectore alcune morette buonissime, alle quali esitanti a lasciar fare, egli mostrò il Crocifisso etc." In un brevissimo tempo, cambiata casa, si pose rimedio a tutto, ed ora l'Istituto cammina benissimo sotto opportunissimo Regolamento che ho sottomesso al Parroco, e che vedrà.


[1668]
Già da tempo Zanoni mi avvertiva avere Franceschini qualche simpatica tenerezza colla buona e piissima Petronilla. Oltre di avere incaricato Stanislao di sorvegliarlo nella circostanza in cui poteano vedersi in Chiesa, stetti io stesso con cent'occhi. L'assicuro Monsignore, che non vi fu e non v'è niente. Franceschini è un piissimo e bravo giovane, docilissimo, buono, pieno di spirito religioso, e che diverrà un vero missionario camilliano. Quanto poi al P. Stanislao (parlando in affari interni, perché la diplomazia s'impara sol coll'esperienza) ha mostrato in tal circostanza un'anima, un giudizio, ed un cuore da santo. Monsignore io sono facile a santificare gli altri; ma qui devo dirlo con vera cognizione di causa. Stanislao è un vero sacerdote e religioso, e tutto quello che di lui si dirà o si disse da Zanoni in contrario, è falso.


[1669]
Tutte le cose stavano in famiglia; e si era tutto e con tutta prudenza terminato. Siccome si tratta di affare serio, voleva tutto sapere pria di scrivere a Lei; e già avea stesa una lunga lettera, allorché mi venne una terribile oftalmia che credea di perdere la vista. Appena convalescente, siccome il P. Zanoni si è veduto decapitato nella riputazione dell'Istituto, e vede che cogli attuali soggetti non potrà mai far bene; così mi chiese di andare a Gerusalemme, e poi in Europa. Siccome io mi trovava al verde di mezzi, e col Vicario Ap.lico decidemmo, che io facessi una gita in Europa, così pregai Zanoni a rimanere fino al mio ritorno (perché in 7 mesi partire i due missionari più vecchi, la cosa sarebbe data troppo nell'occhio, etc.). Egli è per questo che decisi di aspettare alla mia venuta a Verona, a aprire con Lei il mio cuore, e combinare insieme le misure prudenziali sul quid agendum in avvenire, e far ritornare il P. Zanoni con suo decoro e con quello degli Istituti.


[1670]
A giustificare il suo ritorno, sembra che questo povero padre vada esagerando le cose e la povertà dell'Istituto. Sembra che voglia per conservare se stesso, rovinare gli altri. Ma il Signore veglia sull'innocenza e sull'Opera tutta sua; è falso affatto che i debiti ci vogliono arenare. Io godo credito grande in Egitto, sì che potrei far debiti a mio piacere: ma io che ho paura dei debiti, e non voglio che vi entrino nell'Opera nostra, non ne ho fatti che con persone sicure e buone: al momento in cui sono, io in Egitto non ho nemmeno un centesimo di debito, perché coi 3000 franchi che ieri ho spedito, resta ancora da vivere un mese. Con questo che ho, e che riceverò dalle Società; come ho tutta la speranza, i due piccoli Istituti di Cairo sono provveduti. Colonia mi ha dato 5000 franchi adesso; e per mostrarle come io mi trovo in fatto di credito a Colonia, le spedisco l'Annuale di quest'anno.


[1671]
Non dico altro per ora, perché sono in un oceano di dolore. La sua lettera, il contenuto, sono spine anche al mio cuore, già straziato da altre croci. Fiat! Io la ringrazio di cuore, perché oltre di venerare in Lei un vero padre, ho la grazia di avere un medico saggio. Gesù Crocifisso, Maria Addolorata, ecco i miei cari conforti. Siccome Dio le ha dato un zelo immenso per l'anime, così spero che non rallenterà il suo coraggio a perseverare nell'intrapresa santa, difficilissima, e che ci darà croci ancora più grandi di queste che abbiamo.

Benedica, Monsignore questo povero



Affez.mo e afflittissimo figlio

D. Daniele Comboni M. A.



Alle messe ho già pensato. Carcereri le scriverà. I nostri Istituti hanno guadagnate più anime in 6 mesi che i Francescani in due anni (Haec inter nos). Il P. Artini conosce a fondo Zanoni.






263
P. Luigi Artini
0
Colonia
20. 8.1868

AL PADRE LUIGI ARTINI

APCV, 1458/151

W.J.M.J.

Colonia (Prussia Renana), 20 agosto 1868

R.mo ed amatissimo Padre,

[1672]
Mi reca somma sorpresa il vedere che pel nostro buon P. Franceschini non si è ancora ottenuta da Roma la grazia, mercé cui possa essere quanto prima promosso al Sacerdozio. Dall'orizzonte che mi si para dinanzi sono inclinato a pensare che qualche motivo abbia indotto il veneratissimo nostro Padre, Mgr. Vescovo di Verona, a prorogarne la domanda. Conoscendo io bene a fondo questo giovane e degno figlio di S. Camillo, che è pieno dello spirito religioso, e potendo in coscienza rispondere sul suo conto, mi permetto di pregarla ad umiliare calde suppliche a Monsignore, perché si degni di affrettare dalla S. Sede la grazia, affinché possa essere subito ordinato Sacerdote da Mgr. Vic.o Ap.co dell'Egitto. Franceschini merita una tal grazia; né vi è circostanza o motivo qualsiasi perché gli venga ritardata.


[1673]
Sembra che il Signore nell'infinita sua bontà Le abbia preparato una spinosa mortificazione, che da qualche po' di tempo angustia pure il mio spirito. Il nemico dell'uman genere sta sempre pronto a disturbare le opere di Dio. Ma coraggio, mio P. amatissimo. L'Uomo-Dio non ha mostrata in miglior modo la sua sapienza che nel fabbricare la Croce: è questa il vero conforto, il sostegno, il lume, la forza dell'anime giuste; è questa che forma le anime grandi, e le rende atte a sostenere ed operare gran cose per la gloria di Dio e salute dell'anime.


[1674]
Sollevi dunque il suo spirito sul sacro adorabile altar della Croce, e pensi che se la V. P. R. non avesse fatto altro che allevare alla Religione ed educare allo spirito di G. C. un Carcereri Stanislao (e mi lusingo di poter aggiungere un Tezza), ella ha fatto abbastanza. Sono in grado di poter emettere questa proposizione. Io conosco abbastanza i tre suoi figli, con cui ebbi la felicità di dividere le fatiche dell'Apostolato egiziano.


[1675]
Sono certo che Ella pure conosce a fondo il P. Zanoni, e perciò mi astengo dall'esprimere su di lui il mio giudizio. Se debbo rimproverarmi qualche torto (chi mangia è soggetto ad errare), egli è quello di aver posto in lui troppa fiducia. Ma ho di che scusarmi anche di questo, perché la P. V. R. sa che è facile essere abbagliati dalla barba bianca, e dal riflesso che Zanoni godette per anni la fiducia di molti anche distinti personaggi, e sostenne onorevoli uffici nell'inclita Provincia Lom.-Ven. del venerato Ordine Camilliano. Alzando gli occhi al cielo, e stringendosi al petto il dolcissimo tesoro della Croce di G. C. prepari il nostro caro P. Tezza ed il buon Savio alla prossima partenza per l'Egitto.


[1676]
Confidi nel gran Dio Crocifisso e nella Madre nostra Regina dell'Africa e madre della consolazione, perché a dispetto del dragone d'abisso, che infierisce in codesta misera Italia contro le più venerande Istituzioni, non sarà lontana l'epoca in cui la Croce di S. Camillo brillerà luminosa fra le tribù dell'infelice Nigrizia sedenti ancora nelle tenebre e nelle ombre di morte. La Croce sosterrà l'animo contro i colpi delle umane vicissitudini. Carcereri, Tezza, e Franceschini saranno tre valorosi campioni dell'Apostolato africano, che conforteranno validamente il gran cuor di V. P. R., che è fatto per godere i frutti di queste piante elette del suo giardino, degno oggetto delle paterne sue fatiche.


[1677]
Bramerei che per ora il mio cenno sul P. Zanoni rimanesse fra Lei, Mgr. Vescovo, il P. Tomelleri, e se crede il buon Tezza. A voce poi il resto quale mel detta la coscienza, ed una sufficiente cognizione di causa benché il nostro caro P. Stanislao lo renderà bene informato delle cose.

Nel mentre che la prego a salutarmi il P. Peretti, Tomelleri, Tezza, Savio, et omnes, le bacio le mani, e mi dichiaro con tutto il rispetto e la venerazione



di V. P. R.

u.mo, ed aff.mo servo e figlio

D. Daniele Comboni M.o A.






264
P. Luigi Tezza
0
Rosenheim
17. 9.1868

AL PADRE LUIGI TEZZA

APCV, 1458/159

Rosenheim, 17/9 = 68

Carissimo mio P. Luigino,

[1678]
Fatemi il favore di scrivere col primo vapore italiano a Stanislao che mi mandi subito a Parigi la nota di tutto ciò che abbisogna la nostra cappella. Ho battuto fuori tutto, spero, in Francia: ma è meglio constatare ogni cosa.


[1679]
Tenetevi in pronto pel mese venturo, voi, Savio, Ferroni, Rolleri, che uniti a tre more ed a me, andremo a mangiare i datteri novelli al gran Cairo. Abbiamo, carissimo, una sublime missione a compiere degna dei veri Sacerdoti di Cristo, e dei veri figli dell'eroico S. Camillo. Coraggio adunque: non lasciamoci abbattere dal soffio di qualche procella. Abbiamo il vero spirito di G. C., e desideriamo unicamente la sua gloria e la salute dell'anime, e poi avanti. Le croci ci saranno compagne, ma soffriremo con Cristo e con S. Camillo.


[1680]
Sono ansioso di arrivare a Parigi, per leggere lunghe e dettagliate lettere di Stanislao, e forse di Zanoni, e avere notizie di Cairo. Parto stamane: non mi fermo che due ore a Strasburgo. Baciate per me la mano al venerato e caro P. Provinciale, a Tomelleri, Peretti, Bresciani, Carcereri etc. ricevete il più affettuoso abbraccio



dal vostro D. Daniele






265
Mons. Luigi Ciurcia
0
Parigi
19. 9.1868

A MONS. LUIGI CIURCIA

AVAE, c. 23

W.J.M.J.

Parigi, 19 sett. 1868

Eccellenza R.ma,

[1681]
Col prossimo vapore francese scriverò all'E. V. R.ma tutto in dettaglio, perché coll'attuale è impossibile, essendo io arrivato in Parigi solo stamane da Bamberga e da Monaco.

Benché le mie cose sieno andate benino in Germania, e m'abbia pigliato 400 Nap.ni d'oro, tuttavia ho l'animo alquanto afflitto per le notizie che trovai in molte lettere posta restante a Parigi. La più grave è il tristo ed iniquo procedere del P. Gio. Batta Zanoni, che finalmente, grazie al cielo è partito. Riservandomi a quest'altro vapore lo scriver tutto, per ora mi limito a rimetterla al nostro venerato P. Pietro, che è a giorno del sostanzial delle cose, ed a chiederle umilmente perdono per non avere io in Alessandria esposto all'E. V. quello che v'era di fatto e che si poteva prevedere a quel punto. Voleva ed era dispostissimo ad esternarle tutto l'affare dello sconsigliato P. Zanoni: ma poi non ebbi il coraggio, dopo che m'avvidi che l'E. V. era occupatissima.


[1682]
Frattanto siccome vi fu chi scrisse a Roma che io non ho stabilito una conveniente separazione fra l'Ist.o femm.le e noi, e siccome il Card. Barnabò me ne rese avvertito con una lettera che spedironmi d'Egitto e che ricevetti stamane, così trovo necessario di pigliare ad affitto mezzo Convento dei Maroniti, che il nuovo Superiore e Parroco offerse: e quindi ho ordinato al P. Carcereri di consultarsi in proposito col P. Pietro, e se è d'uopo coll'Ecc. V. R.ma, per operar subito questa traslazione; benché tanto nelle due case dei Maroniti, quanto nell'attuale, vi sia stata una separazione conveniente pari a quella del Seminario delle Missioni Africane in Lione, e dell'Ist.o delle Suore dell'Apparizione in Roma, allorché la M.e Emilia Julien dal 1856-61 abitò colle sue Suore il 1º. e 2º. piano di Casa Castellacci, ed al 3º. v'era Monsignore col fratello e 9 figli.


[1683]
S. Ecc. Mgr. Arciv.o di Monaco (che grazie alla sua potente raccomandazione mi diede 1000 fr.) la riverisce distintamente, come pure i Sig.i Baudri e Soci del S. Sepolcro di Colonia.

Mentre rinnovo le mie suppliche di un generoso perdono, e di una speciale assistenza morale nell'attuale procella che sembra manifestarsi sopra i due piccoli nascenti Istituti, pieno di fiducia in quell'adorabile Gesù, per la cui gloria unicamente intendo di lavorare e soffrire, le bacio la sacra veste, e mi dichiaro con tutta gratitudine e ossequio



di V. E. R.

umil.o ed ubb.mo figlio

D. Daniele Comboni






266
Card. Alessandro Barnabò
0
Parigi
22. 9.1868

AL CARD. ALESSANDRO BARNABO'

AP SC Afr. C., v. 7, ff. 1307-1310v

Parigi, 22 settembre 1868

E.mo Principe,

[1684]
Avendo io calcolato che il Presidente dell'O. P. di Lione comunicando colla S. C. avrebbe alquanto ritardato a prendere una determinazione sulla mia supplica, ho deciso di rispondere all'invito fattomi di intervenire al Congresso generale dei Cattolici della Germania a Bamberg, affine di toccarvi col mio confratello D. Aless. Dalbosco la causa dei negri.


[1685]
Arrivato sol ieri a Parigi vi trovai le pregiatissime lettere Nº. 3, 4º. e 5º., che l'E. V. ebbe la degnazione d'inviarmi. Mentre la ringrazio vivamente degli utili e preziosi avvertimenti che tutte e tre contengono, e dei quali studierò di giovarmi efficacemente, Le rispondo circa i due punti capitali che abbraccia l'ultima sempre veneratissima sua; cioè, 1º. la risposta che l'E. V. diede al Presidente di Lione; 2º. la partecipatale coabitazione di me e de' miei compagni colle Suore e morette, di cui con tratto di speciale e paterna bontà l'E. V. degnavasi farmi cenno fino dal 4 agosto p.p.


[1686]
Il primo punto costituisce per me una croce assai più pesante di quella che mi voleva addossare Vittorio Emanuele, e dalla quale ben difficilmente potrò liberarmi, come ho fatto con quella. La risposta che V. E. diede al Presidente, ho giusti motivi di supporre che mi abbia decapitato nella riputazione presso quell'inclito Consiglio, e m'abbia fatto comparire un vero imbroglione, in guisa che non avrò più in avvenire né il coraggio di avvicinarmivi, né la speranza di ricever mai alcun soccorso. E ciò che raddoppia ancor di più il mio cordoglio, si è, che una tale risposta temo che abbia fatto scomparire anche il venerato mio Superiore, il degnissimo Vic.o Ap.co dell'Egitto, che mi ci avea caldamente appoggiato con una speciale commendatizia.


[1687]
L'E. V. ha creduto suo dovere di dichiarare a Lione il vero stato delle cose. E qual'è il vero stato delle cose dichiarato?... Sono proprio sfortunato, o E.mo Principe, perché senza saperlo e volerlo l'E. V. ha dichiarato specialmente due cose che sono affatto aliene dalla verità. In ogni mia azione ho sempre usato schiettezza e verità; ed all'E. V. ho sempre fatto conoscere i miei passi anche quando temeva di non operare con saggezza e prudenza. Mi pare impossibile che sia sfuggito alla tenacissima sua memoria le comunicazione che io Le ho fatte sull'Opera del B. Pastore. Ecco le due cose:


[1688]
Ad primum. L'E. V. ha confermata l'opinione erronea che aveva il Presidente di Lione, che l'Opera del B. Pastore è diretta a mantenere lo stabilimento dei negri in Cairo; e lo conferma talmente, che poi si degna soggiungermi: "se la S. C. desidera la civilizzazione della Nigrizia, non può consentire che se ne procurino mezzi con svantaggio della benemerita pia Opera." Basta che l'E. V. si degni di scorrere il 1º. articolo dello Statuto generale di essa, per convincersi che l'O. del B. P. ha per fine di mantenere e moltiplicare le Opere preparatorie d'Europa, cioè, hic et nunc il nascente piccolo Seminario di Verona, cosa affatto estranea alla sfera della carità della sant'Opera della Prop.e della Fede (che aiuta soltanto gli stabilimenti di missione in partibus Infidelium), come sono estranei i Seminari delle Missioni Estere di Milano, Lione, Parigi, Londra etc. Il Semin.o di Parigi ha beni propri, di Lione si sostiene con questue quotidiane, quel di Londra con una questua straordinaria in America.


[1689]
Per fondar quello di Verona ho calcolato che nei tempi difficili che corrono, giammai privati benefattori doteranno stabilimenti ecclesiastici pel giusto timore che nel turbine di una rivoluzione vada tutto assorbito dalle leggi degli incameramenti. Perciò usando io del diritto di associazione riconosciuto teoricamente anche dai governi liberali, ho ideato l'Opera del B. Pastore, che ha per fine di sostenere Seminari in Europa, per educare ecclesiastici all'Ap.lto della Nigrizia, come quel di Parigi forma apostoli per l'India, Cina, e Giappone.

Di tal fondazione io toccai nel mio Rapporto alla S. C. 1866 fatto dietro l'invito di V. E. Prima di fondare quest'Opera vi ho pensato due anni, ho consultato eminentissimi personaggi, Vescovi, e uomini versatissimi nelle opere di simil genere; ed ebbi incoraggiamenti da tutti. Lo stesso toccò a Mgr. Canossa, che fu incoraggiato assai; e mi pare che anche l'E. V. me n'abbia mostrato più volte il suo alto gradimento. Dal che l'E. V. può vedere che l'Op. del B. Pastore niente ha da che fare, né può recare svantaggio alcuno all'O. P. di Lione e Parigi, come niente hanno da che fare 53 Opere di simil genere benedette dalla Chiesa che fioriscono in Germania, nel Belgio, ed in Francia. Confido nel Signore che l'O. del B. P. contribuirà in pochi lustri a dar buoni apostoli alla Nigrizia centrale.


[1690]
Ad secundum. L'E. V. ha dichiarato al Presidente di Lione che l'Opera del B. Pastore è solamente decorata di 40 giorni d'Indulgenza dal V.o di Verona, senza notare che essa fu arricchita dal S. Padre di 6 Indulgenze Plenarie, e ciò con un autografo rescritto, che pervenuto nelle mie mani alle 4 pom.e di un giorno del luglio del 1867, mi sembra il 25, io alla sera ebbi l'onore di presentarlo all'E. V., che lo ha letto da capo a fondo, e se n'è mostrato compiacentissimo. Stampata poi in Verona la pagella che qui le accludo, io ho ritenuto fino ad oggi di averla presentata a V. E. nello scorso novembre: ma veggendo ora che Ella non ne ha fatto menzione, dubito che turbato dalla procella che ebbi a soffrire da parte del Vicegerente, ho certo dimenticato di comunicargliela, e ne chiedo venia.


[1691]
A questi due punti aggiungo un'altra dolorosa osservazione. L'E. V. ha dichiarato al Presidente di Lione che il Programma fu stampato in Propaganda a di Lei insaputa, che io ho trattato particolarmente col Cav. Marietti, e si estese in altri particolari in guisa che, dal complesso della pregiata sua narrazione sembra apparire che io non abbia in simil negozio agito schiettamente, ed abbia fatto dei sotterfugi in detta stampa. La pura verità è che, dovendosi stampare i Programmi con qualche accessoria modificazione dall'edizione veronese, io stesso ho suggerito al Vicegerente di stamparli in Roma, e gliene addussi in ragione che le cose stampate in Roma hanno più credito all'estero. Io poi nel mio animo era indotto da un più forte motivo ad usare i tipi di Roma; cioè, che non io, ma il Vicegerente avrebbe pagato la stampa, come mi avea promesso. Difatti fu lo stesso Monsignore che mi diede il denaro per pagare Marietti.


[1692]
Tutte queste cose, insieme ad altri particolari che l'E. V. ha giudicato bene di esporre e citare al Presid.te di Lione ove io fui benissimo accolto, mi hanno fatto assai male; come mi ha recato e mi reca gran pregiudizio il ripetere che l'E. V. fa di tanto in tanto che D. Comboni è un matto, un pazzo da 14 catene etc., perché una tal cosa ha trattenuto qualche insigne benefattore ch'era disposto a soccorrermi, ed ha raffreddato moltissimi che mi avean prima dato buoni argomenti che pigliavano grande interesse dell'Opera da me concepita. Non è questo un lamento che io gliene fo', o E.mo Principe; è solo uno sfogo di profondo dolore, nel vedere che dopo tante fatiche e pericoli della vita a cui mi esposi, dopo tanti studi, viaggi e spese da me solo sostenute senza disturbare la Propaganda, dopo 15 anni di assidui patimenti e lavoro in un'Opera per se stessa difficilissima, e che tanti hanno abbandonata (sia anche che non sia riuscito a far nulla, benché costante fu il sacrificio), mi sembra che L'E. V. mi tratti con qualche severità.


[1693]
Io merito più di questo, perché sono gran peccatore ed ho dei debiti da pagare con Dio; e quindi la ringrazio di tutto cuore, perché l'E. V. (che in altre circostanze mi ha fatto del bene) come Capo di tutte le Missioni è assistita e guidata da Dio: e perciò nel ringraziarla sinceramente mi giova ripetere: hic ure, hic seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas.


[1694]
Dopo tutto questo mi permetto di aggiungerle, che se nella profonda sua saviezza l'E. V. trova conveniente di chiarire al Presid.te di Lione i punti sovraesposti, ed anche di incoraggiarlo a darmi subito qualche soccorso pei due piccoli Stabilimenti di Cairo, ed a raccomandargli che li soccorra in avvenire per mezzo del Vic.o Ap.co come Opera diocesana d'Egitto, nella guisa che vengono aiutati i Frères, le Clarisse, e le Suore del B. Pastore in Cairo, Ella mi farà una somma carità, e mi aiuterà in momenti di grande bisogno.


[1695]
Pensi da quante croci fui tribulato in un anno: non so come vi abbia potuto resistere: la grazia di Dio è grande. Pensi che l'Ist.o ha salvato dell'anime; e solo nel testè passato agosto ben tre adulte furon battezzate, ed un bambino musulmano in articulo mortis. Che se l'E. V. non crederà opportuno di esaudire l'umile mia preghiera, ne la ringrazio lo stesso: è segno che Dio non vuole: sia fatta la sua SS.ma volontà: Dio penserà a liberarmi in altra guisa da tante angustie: Maria adiuvabit.


[1696]
Al secondo punto sulla pretesa nostra coabitazione colle Suore e morette Le risponderò domani. Fino a che nemici particolari si rapportano alla Propaganda, nulla ho a temere, perché la Chiesa non si gabba, e tosto o tardi viene a conoscere la verità.

Nel mentre che le chiedo perdono di quanto ho osato esporle in questo foglio, le bacio la sacra porpora, e mi dichiaro con tutto l'ossequio

di V. E. R.

umil.o indeg.mo afflitt.mo figlio in G. C.

D. Daniele Comboni






267
Card. Alessandro Barnabò
0
Parigi
25. 9.1868

AL CARD. ALESSANDRO BARNABO'

AP SC Afr. C., v. 7, ff. 1311-1313v

W.J.M.J.

Parigi, 25 sett.e 1868

E.mo Principe,

[1697]
Eccomi a toccarle sulla pretesa coabitazione di me e de' miei compagni colle Religiose e morette, a cui l'E. V. con un tratto speciale di paterna bontà degnavasi di richiamare la mia attenzione colle venerate sue ultime lettere, che solamente l'altro giorno ricevetti a Parigi.


[1698]
Giunto colla mia carovana in Cairo la vigilia dell'Imm.ta Concezione dell'anno scorso, collocai le Suore e le morette all'Ospitale Europeo presso le Suore di S. Giuseppe, mentre noi fummo caritatevolmente ospitati dai P. Francescani, e dai Fratelli delle Scuole Cristiane: il che ebbe luogo per 10 giorni, fino a che pigliai a pigione il Convento dei Maroniti di Cairo Vecchio.

Il convento è composto di due case, l'una all'oriente, l'altra all'occidente della Chiesa, le quali sono tra loro affatto separate, ed hanno l'uscita al deserto. Nel 1838 i Maroniti comprarono un'altra casa all'occidente della Chiesa, che riunirono al Convento con una grande muraglia. Questa casa ha uscita propria all'occidente dalla parte diametralmente opposta all'uscita delle altre due case. In questa abitarono già delle Suore orientali. Tutte queste tre case comunicano colla Chiesa mercé altrettante porte che mettono in una gran corte. Nella prima casa abitano i frati Maroniti quando vanno in Cairo vecchio: nella seconda abitai io coi miei compagni; nella terza abitarono le Suore e morette, le quali per andare in corte deono passare dalla porta interna chiusa a chiave, e poi per un corridoio a pian terreno pur chiuso.


[1699]
Benché io non fossi soddisfatto di questa divisione, perché sono italiano, e non francese, pure (trattandosi di cosa provvisoria) chiamai a consulta il nostro Parroco francescano, il P. Pietro da Taggia, uomo venerabile, vecchio, e di coscienza delicata, e m'assicurò che la cosa potea passare senza taccia di sorta. Difatti vi è certo tanta separazione in queste due Case quanta ve n'ha nel Semin.o Africano di Lione e in tanti altri stabilimenti di buonissima riputazione da me visitati, in cui le Suore fan la cucina, come han fatto per noi le nostre Suore e morette.


[1700]
In queste due case si abitò fino al 15 giugno, in cui presi un'altra casa più grande delle due sopraddette appartenente al Sig.r Bahhry Bey. Questa ha due grandi appartamenti e due piani, che mettono in un grande scalone che mette in un giardino, a cui sta annesso un altro piccolo giardino di datteri diviso da un alto muro, ove sta la cappella. Nel Iº. piano stanno le Suore e morette; nel 2º. noi. Alle suore appartiene il 1º. giardino e l'uscita dalla parte verso il Nilo; a noi il 2º. giardino e l'uscita dalla parte della città.

Benché questo nostro soggiorno fosse affatto provvisorio, fino a che avessi combinato di prendere per noi un'altra casa, pure anche in questa casa di Bahhary Bey, prima di andarvi dentro, chiamai il P. Pietro Francescano e il Parroco copto per vedere se era conveniente che noi vi abitassimo provvisoriamente; ed ambedue trovarono convenientissimo l'abitarvi. Difatti qui c'è più separazione fra i missionari e le Suore di quel che vi fosse in Roma, quando le Suore di S. Giuseppe abitavano in primi piani di Casa Castellacci, mentre all'ultimo dimorava Monsig.re Arciv.o di Petra e la numerosa famiglia di suo fratello.


[1701]
Finalmente l'avvio mercé il nuovo Superiore dei Maroniti avendoci offerto a buonissimi patti il suo Convento, io accettai definitivamente; ed ora le Suore e le morette sono in Casa Bahhry Bey; ed il Collegio maschile e miei compagni stanno al C.to Maroniti distanti l'uno dall'altro come dalla Propaganda a Piazza di Venezia.


[1702]
Fin da quando io ho ideato di erigere questi Istituti, ho sempre inteso di regolarli secondo lo spirito del Signore, e come si conviene ad un'opera di Dio perché abbia a raggiungere l'alto scopo prefisso. Il principio di una fondazione è sempre arduo e malagevole, e vi vuol sempre tempo per riuscire ad una regolare sistemazione. Quello che si fa nel primo anno è sempre cosa provvisoria: la lentezza ed il tempo, come avviene del grano di senape, sviluppano a poco a poco l'opera di Dio. Durante questo stato provvisorio, io, dopo avervi riflesso, permisi tre cose:

1º. Essendo tutto caro in Egitto, e soprattutto la man d'opera, io, ed i miei compagni nel debito modo facemmo da muratori, fabbriferrai, falegnami, e pittori etc. anche nella casa femminile, per riattarla e toglierla dal suo deperimento.

2º. Una visita di un medico costando in Cairo vecchio 8 scudi, ed il P. Zanoni Camilliano sapendo bene la medicina che studiò e praticò durante 15 anni nei grandi Ospitali etc., ho permesso al medesimo di esercitare la medicina nell'Ist.o femminile in ciò solo che spetta all'ordinazione di qualche rimedio; non mai in uffici che non si addicono alla dignità di sacerdote e religioso; perché per ciò venne sempre un medico abile dell'ospital turco. Di ciò avvisai il Delegato. Zanoni fu più volte consultato da frati, da Preti cofti e Suore Clarisse, e rese servigi a molti poveri turchi: il suo nome è in ciò benedetto da tutti.

3º. Al P. Zanoni affidai l'ispezione immediata dell'Ist.o femminile perché egli avea la barba bianca e 49 anni, fu altre volte direttore di Monache, sostenne per 20 anni onorevoli uffici nella Provincia Veneta Crocifera, fu per 7 anni Prefetto della Casa Camilliana di Mantova, e nel Veneto in generale ha goduto del credito. Un uomo di prudenza nel mio caso avrebbe agito così.


[1703]
Stabilito fin da principio opportuno regolamento, e messa in azione da me la più assidua vigilanza, ho sorvegliato tutto, ed anche il P. Zanoni (perché, o Eminenza, in giornata non mi fido più di nessuno, neanche di mio padre, essendo stato corbellato fino da Arcivescovi e frati), e le cose camminarono benissimo, e i due piccoli Istituti godettero e godon tuttora credito grande circa il morale, e godono ottima riputazione presso i cristiani e presso i turchi, e furono visitati da laici, da preti, da frati, da monache, e da Vescovi; e mai nessuno ebbe a farmi la minima osservazione. Certo è che io non sarei stato mai contento, fino a che non avessi avuto due case distanti mezzo miglio l'una dell'altra.


[1704]
Nel marzo venne a colpirci il turbine delle malattie e soprattutto del vaiuolo, che infierì fino al luglio, e furono attaccate tutte le Suore, quasi tutte le morette, due giovanetti, il P. Franceschini, ed io: la Superiora stette tre mesi a letto, ed uno convalescente, tre morette ed un moretto morirono. Come è naturale in così grande sconcerto i regolamenti si osservarono fino ad un certo punto, ed io fui molto occupato nel provvedere a tutto.


[1705]
Fu durante quest'epoca calamitosa che il P. Gio. Batta Zanoni (che sempre godette prospera salute) abusò della sua delicata posizione; e cogliendo il momento in cui io andava al gran Cairo per affari economici, egli, ad una ad una in epoche diverse, fece spogliar nude alcune morette, sotto pretesto di curarle e preservarle dalla morte: e queste essendosi rifiutate, o fuggendo, egli le arrestò, e col crocifisso alla mano (cosa inaudita!) le pregava in nome di Dio per amore di quel Crocifisso, e della loro salute a lasciarsi esaminare. Egli riuscì infatti a praticare un tale esame in parti che non lice nominare. Di più ebbe special dilezione verso Maria Zarea, una di quelle more che volea farsi monaca, dilezione, che si cambiò in odio, dopo che ella accortasi, non volle più vederlo.

Malgrado i suoi 49 anni, e la sua astuzia, malgrado le condizioni eccezionali in cui l'Ist.o femminile si trovava, Zanoni non potè sfuggire alla mia vigilanza: con ogni precauzione possibile feci le più scrupolose indagini, ho messo in azione altresí la vigilanza del P. Carcereri, religioso di molta coscienza e illuminato; e constatai la assoluta verità dell'esposto. Dio solo sa quanto mi pesò questa croce. Chiamato Zanoni al redde rationem, ebbe il coraggio di negarmi tutto con tali argomenti puerili, che mi avrebbero convinto, se non lo fossi stato, della sua realtà. Il medesimo constatò il P. Carcereri.


[1706]
Fu allora che presi la casa Bahhari, ed occupatala nel modo sovraesposto, stabilii un apposito regolamento da rendersi impossibile ogni inconveniente. Il Zanoni conosciuta pienamente la sua posizione, la riputazione perduta, e la sua impossibilità di più rimanere nel mio Istituto, esacerbato viemaggiormente dal vedere i suoi due Camilliani opinare per la verità, cioè approvare il mio operato, e disapprovare altamente la sua condotta, per salvare se stesso escogitò l'insano progetto di screditare gli Istituti, e portare un colpo mortale ai medesimi, a me, a Franceschini ed a Carcereri: contro costui specialmente serba un'avversione ed odio mortale, benché sia stato da Carcereri trattato più che fratello.


[1707]
Io non so quali passi abbia fatto realmente il Zanoni: sembrami che abbia cercato d'insinuare le sue idee a Mgr. Delegato, ad alcuni P. Francescani, e al Padre che dirige le Suore di S. Giuseppe all'Ospedale, col quale io me la intendo poco a ragione: credo che abbia scritto a suo modo al P. Guardi, e forse a V. Em.; credo che abbia scritto a Verona a molti, ed abbia fatto credere che ritorna perché non vi sono mezzi abbastanza.


[1708]
Checché abbia fatto, io ho tutta la mia confidenza in Dio; Gesù è il solo amico degli afflitti. Se fossero mancati in qualche punto gli altri missionari più giovani, avrei scrupolo, e temerei di aver mancato io a provvedere alla dovuta separazione: ma un vecchio di 49 anni!!! Ah! credo che Zanoni non sia arrivato a questo punto in un sol colpo. All'iniquità si arriva per gradi. Il fatto è che Zanoni partì dal Cairo, facendosi fare attestati medici falsi, e facendo mille imbrogli. Fu il più sano e robusto di tutti. L'Istituto femminile cammina ora assai bene, e gode ottima riputazione presso i Cristiani ed i turchi, e continua la sua missione di trarre dalle tenebre anime infedeli; e già anche il dì dell'Assunzione tre morette furono battezzate, di cui ne avea fatto cenno all'E. V. fino dal giugno passato.


[1709]
Sull'affare Zanoni le scriverò ancora. Il passato è sempre una scuola per l'avvenire. Mgr. Delegato avrà messa al chiaro la S. C. dell'avvenuto: vedrà l'E. V. che anche in questa nuova burrasca, il nemico dell'umana salute cercò di farmi del male; e comprenderà che sono tante le tempeste che mi opprimono, che è un miracolo se potrò resistere al peso di tante croci. Ma io mi sento talmente pieno di forza e di coraggio e di confidenza in Dio e nella B. V. Maria, che sono sicuro di superar tutto, e di prepararmi ad altre croci più grandi per l'avvenire.


[1710]
Già vedo e comprendo che la croce mi è talmente amica, e mi è sempre sì vicina, che l'ho eletta da qualche tempo per mia Sposa indivisibile ed eterna. E colla croce per isposa diletta e maestra sapientissima di prudenza e sagacità, con Maria mia madre carissima, e con Gesù mio tutto, non temo, o E.mo Principe, né le procelle di Roma, né le tempeste d'Egitto, né i torbidi di Verona, né le nuvole di Lione e Parigi; e certo a passo lento e sicuro camminando sulle spine arriverò ad iniziare stabilmente e piantare l'Opera ideata della Rigenerazione della Nigrizia centrale, che tanti hanno abbandonata, e che è l'opera più difficile e scabrosa dell'apostolato cattolico. Certo mi raccomando, benché indegno di essere esaudito, all'E. V. R.ma; Ella mi sia padrone, medico, maestro, e padre. Io non ho altro pensiero per ora fuorché quello di stabilir bene il piccolo Seminario di Verona, e i due piccoli Istituti di Cairo. D. Aless. Dalbosco, è una perla pel Semin.o di Verona: mi dice che D. Rolleri è un buon missionario: a poco a poco farem tutto. Veggo in pratica verificarsi quello che l'E. V. ebbe la bontà di dirmi e scrivermi; tempo, lentezza, prudenza, preghiera; ed io aggiungo anche Croce, ma croce che venga da Dio, non che sia procurata dalla propria insipienza, parmi sentir l'E. V. aggiungere.

Insomma io le offro i miei sensi della più profonda venerazione e gratitudine; mentre Le chieggo perdono di tutto, le bacio la Sacra porpora, e mi dichiaro



dell'E. V. R. um.o ubb.mo osseq. figlio

D. Daniele Comboni

Spedisco questa lettera per mezzo del Nunzio Ap.lico perché contiene cose delicate.






268
Claude Girard
0
Parigi
5.10.1868

A CLAUDE GIRARD

AGB

Parigi, 5 ottobre 1868

Mio carissimo amico,

[1711]
una circostanza straordinaria mi ha impedito di scriverle prima di oggi. Sono contento di sapere che va a Orléans poiché è il motivo più forte che mi può condurre là, ma occupato com'ero fino a oggi ad assistere la venerabile Contessa di Havelt, non ho potuto decidere il mio viaggio a Orléans. Ora che la signora è in cielo, mi sembra che potrei. Mi scriva subito a Parigi il giorno in cui arriverà a Orléans, e dove si fermerà che verrò senz'altro. Ho bisogno di lei, della sua direzione, poiché finora, dopo il mio ritorno dalla Germania, non ho guadagnato un soldo e non ne ho da spendere. Addio. A tutta la famiglia tutto il mio affetto



Suo aff.mo amico Comboni


[1712]
E' orribile la guerra del P. Zanoni. Egli ha scritto a Roma ecc. ecc. Ma il Buon Dio lo raggiungerà. Con le più nere menzogne non si fa trionfare che l'ingiustizia. Egli ha tentato di rovinarmi a Roma e a Verona e poi presso il Delegato Apostolico. E tutto ciò perché ho fatto un atto di giustizia, facendo il mio dovere dichiarando che egli ha fatto male e agito male. Ma, mio caro amico, Comboni non teme niente, né le tempeste di Roma, né i temporali dell'Egitto, né i nuvoloni di Verona: io ho con me i Cuori di Gesù e di Maria e questo mi basta. Ciò che io ho sofferto e ciò che mi resta da soffrire non basteranno per abbattere il mio cuore: l'Opera della conversione e della rigenerazione dei neri sarà fondata, malgrado tutti gli ostacoli dell'inferno, poichè le corna di Gesù Cristo sono più dure di quelle del diavolo. Coraggio, e Dio sarà con noi.

Addio amico mio.



Suo dev.mo D. Daniele Comboni



Traduzione dal francese.






269
Mons. Luigi Ciurcia
0
Parigi
8.10.1868

A MONS. LUIGI CIURCIA

AVAE, c. 23

W.J.M.J.

Parigi, 8 ottobre 1868

Eccellenza R.ma,

[1713]
Allorché ricevetti a Parigi una lettera di S. E. il Cardinal Prefetto, che trattava della risposta data dall'E.mo al Consiglio di Lione, e sulla partecipatagli coabitazione di me e de' miei compagni colle Religiose e morette, io ho pensato di spedire all'E. V. R. una copia delle risposte che io diedi a Sua Eminenza su questi punti importanti. Ma ora, siccome queste sono troppo lunghe, ho giudicato che L'E. V. gradirà meglio un piccolo abregé, riserbandomi alla prossima mia venuta di sottometterle tutto, e rendere esatto conto del mio operato.


[1714]
Riguardo al primo punto, cioè la risposta di S. Em. a Lione, temo che non abbia troppo appoggiato la mia causa, perché ha confermata l'opinione erronea che aveva il Consiglio, cioè, che l'Opera del B. Pastore è diretta a mantenere lo stabilimento dei negri in Cairo, e si è disteso nel dichiarare al Presidente che detta opera non è approvata a Roma, e non ha annessa che l'indulgenza di 40 giorni applicati ad essa da Mgr. Canossa. A questo errore io ho risposto che basta che S. Em. esamini il Programma di detta Opera e la pagella delle Indulgenze Plenarie concesse con autografo papale da Pio IX (le cui copie consegnai io stesso nelle mani del Cardinale il p.p. ottobre 1867), per convincersi che l'Opera del B. Pastore ha per fine di sostenere il piccolo Seminario di Verona, e che fu arricchita di sei plenarie indulgenze da S. S. Pio IX. Del resto, a quanto mi fu detto da uno dei più attivi membri del Consiglio di Lione, il R.mo De Georges Superiore dell'Inclito Seminario Chartreux, l'Opera della Propagazione della Fede farà sempre calcolo della venerata commendatizia di V. Ecc. R.ma, e sosterrà il mio Istituto qual'Opera diocesana dell'Egitto, perché il Consiglio sa bene che il nostro rispettabilissimo Cardinale ha preso un granchio.


[1715]
Riguardo al secondo punto della pretesa coabitazione, ho esposto a S. Em.a un'esatta descrizione tanto delle due case componenti il Convento dei Maroniti, quanto della nuova casa Bahri, che abbiamo occupata il 18 giugno p.p., ed ho fatto vedere che nella casa Maronita v'era più separazione fra i missionari e le Suore, di quello che vi sia attualmente e vi sia stata nel rispettabile Seminario di Lione, in cui le Suore, stando nella medesima casa colla rispettiva separazione, fanno la cucina etc. agli alunni di detto seminario africano, e più separazione v'è che in quasi tutti i conventi femminili di Germania, in cui il confessore e cappellano abitano lo stesso convento e la stessa casa colla separazione solo di porte; e quanto alla casa di Bahhari v'è più separazione fra i due vasti piani di quello, che vi sia stata a Roma nella casa Castellacci, in cui dal 1856 al 1862 la Madre generale colle Suore abitavano il primo e secondo piano, mentre Monsignore con suo fratello e nove figli e figlie abitavano il terzo.

Feci osservare a S. Em. che la nostra attual posizione era cosa provvisoria, perché fu sempre mia intenzione di pigliare due case a tempo migliore distanti almeno mezzo miglio l'una dall'altra; e essendo io al principio di tal fondazione poteva la cosa passare con tutta la prudenza umana.


[1716]
Chi ha suscitato questo semenzaio, mi consta con certezza essere stato il povero P. Zanoni, il quale veggendosi decapitato nella riputazione, e conoscendo l'assoluta impossibilità di rimanere nel mio Istituto (per ciò che ha commesso, e che il P. Stan. Carcereri le deve aver fatto conoscere, cosa che forma l'oggetto del mio più vivo dolore), ha cercato di giustificare la sua partenza col portare un colpo al mio Istituto, a me, ed agli altri due, e screditarci e a Roma e a Verona, ed ovunque egli potè. Ciò fece dopo la mia partenza. Scrivendo al P. Generale dei Crociferi, il P. Guardi, amico intrinseco del nostro Cardinale, e scrivendo a suo modo, e con molta malizia, io n'ebbi a soffrire assai al cospetto di Sua Em.za, la quale con tutta ragione non mi ha appoggiato presso il Consiglio di Lione.


[1717]
Io ho un peccato a rimproverarmi, ed è di non aver aperto il mio cuore subito coll'E. V., e favellarle del P. Zanoni. L'E. V. avrebbe posto subito rimedio, e le cose sarebbero camminate bene. Ma sì perché la partenza subitanea del P. Zanoni avrebbe impedita la mia, che era d'altronde necessaria; e sì perché il parlare dell'argomento che dovea allontanare il P. Zanoni era una cosa talmente dura al mio cuore oppresso, che non mi ci poteva risolvere. Spero che il cuore più che paterno di V. E. mi accorderà benigno perdono, perché d'ora innanzi non mi lascerò arrestare da veruna contrarietà, e troverà in me un figlio.

Del resto sono impaziente di restituirmi in Egitto. Qui a Parigi le cose sono lunghe, perché tutti in campagna. In ogni modo spero di lasciare l'Europa ai primi del mese venturo.


[1718]
Se il Signore mi aiuta, ho fiducia di avere un sussidio dalla Santa Infanzia, ed un piccolo da Mgr. Soubiranne, e dal ministero del fondo orientale, e qualche cosa dall'Institut d'Afrique di cui sono Presidente onorario dall'anno scorso. La Duchessa di Valenza la riverisce, e il Barone di Havelt, di cui sono ospite, come gran patrocinatore delle Missioni le offre i suoi ossequi.

Io le bacio il S. anello, e raccomandandomi al suo cuore, che fu più che paterno per me, mi dico



Dell'E. V. U. dev. figlio

D. Daniele Comboni






270
M.me A. H. De Villeneuve
0
Parigi
9.10 1868

A MADAME A. H. DE VILLENEUVE

AFV, Versailles

W.J.M.J.

Parigi, 9/10/68

Mia carissima e venerata Signora,

[1719]
mi trovo da qualche giorno a Parigi e non partirò mai senza vederla. Speravo che lei venisse a Parigi durante il mese di ottobre, ma mi si dice che resterà a Quimper nel mese di novembre. Ebbene, io verrò a trovarla in questo mese. Sono felice di vederla qui e cerco di vedere oggi la signora Maria.

Penso sempre a lei, al mio caro Augusto e alla sua cara famiglia.


[1720]
Ho appena assistito la signora Baronessa di Havelt della quale ho accolto l'ultimo respiro; ho passato molte notti prima, le ho dato la Benedizione Papale e diciotto volte l'Assoluzione; ella è andata in cielo.

Sono felice di ascoltare il signor Désiré comunicarmi delle belle notizie del mio caro Augusto. Una madre unica e incomparabile come lei, deve essere esaudita dal Buon Dio. La sua dedizione e l'amore materno colpisce di più il Buon Dio che qualsiasi preghiera. Tuttavia pregheremo sempre.

La prego di fare i complimenti al signor Augusto e al mio buon ragazzo Urbansky del quale mi dà buone notizie Désiré.

Addio, mia venerata signora; sono impaziente di vederla e di trascorrere una giornata con lei e con il mio caro Augusto. E' con questi sentimenti che ho l'onore di dirmi nel Sacro Cuore di Gesù



Suo aff.mo D. D. Comboni



Traduzione dal francese.