[496]
Io mi lusingava che, giunto in Alessandria, avrei trovato lettere di Verona, che mi porgessero qualche ragguaglio dell'Ist.o e del nostro venerando buon vecchio Padre, che ha gran cuore e pensa molto, ma scrive assai poco. Ma vane furono le mie speranze. Per la qual cosa digiuno come io sono di notizie di Verona, voglio uscire un po' del mio stile laconico, da me serbato finora verso di lei, nelle tre lettere che gli scrissi da Napoli, Palermo, e Roma, e voglio abbozzarle in qualche modo le circostanze che accompagnarono il mio viaggio da Verona all'Egitto, assicurandola che se per lo passato non le ho scritto a lungo ogni cosa, fu perché fui sempre occupatissimo per regolare alla meglio e condurre a buon fine il negozio rilevantissimo che la Provvidenza m'ebbe affidato.
[497]
Ella è a piena cognizione dell'esito incerto e non troppo avventurato della spedizione che noi facemmo nell'Africa Centrale, allorché in numero di cinque Missionari ed un laico siam partiti da Verona nel 1857; e sa ancora i sinistri successi delle varie spedizioni fatte dalla Propaganda e dalla Società di Maria in Vienna, per fondare nelle Regioni Incognite dell'Africa una Missione Cattolica per far risplendere in quei vasti regni sepolti ancora nelle tenebre e nelle ombre di morte la luce della Fede di Cristo.
[498]
Perciò da tutti questi risultati si vide chiaro quanto sublime e sapiente riesca sempre più il gran disegno escogitato dall'amatissimo e venerando nostro Superiore, il quale fino dal febbraio del 1849 decretò la creazione di un clero indigeno, e l'educazione di giovani e giovanette africane da istituirsi nei nostri Collegi in Europa, affinché questi indigeni informati nel grembo del Cattolicesimo nello spirito della nostra Santa Fede, ed istruiti nella religione e civiltà, avessero poi a ritornare ai loro paesi natali, e là, ciascuno, secondo la sua vocazione e professione avessero a comunicare ed insegnare ai loro connazionali quei beni e quelle dottrine sì religiose che civili, che essi appresero in Europa, e così si avesse a poco a poco a formare delle tribù degli africani* altrettante nazioni incivilite e cristiane.
[499]
Operando secondo questo piano sublime e sapientissimo, il più opportuno ed adatto che siasi finora riconosciuto per la conversione dell'Africa, piano, che fu ideato secondo lo spirito della Chiesa, la quale non peraltro scopo fondò nella capitale del Cristianesimo il Collegio Urbano di Propaganda Fide, nel quale vengono introdotti scelti giovani di tutte le parti del mondo, per essere poscia, dopo ricevuta l'ecclesiastica loro educazione, restituiti alle loro terre natali, per piantarvi e promuovervi la civiltà e la religione, operando, dicea, secondo questo gran piano il nostro amatissimo Superiore, dietro le informazioni di un Missionario del Malabar reduce dalle Indie, venne a sapere circa la metà dello scorso novembre, che sulle coste dell'Abissinia venne fatta prigione un nave di giovani e giovanette schiave africane che voleansi traghettare pel Mar Rosso nelle coste dell'Arabia deserta; ed impossessatone gli inglesi, trasportarono questa truppa di negri nei loro possedimenti indiani, e consegnandone parte di loro a' Missionari Cattolici di Aden, si occuparono nei lavori del caffè e delle droghe orientali.
[500]
Gli inglesi hanno agito a norma del trattato del 1856 stipulato a Parigi, in cui dal Congresso delle grandi potenze d'Europa, radunatosi allo scopo di sistemare gli affari d'Oriente, si proclamò l'abolizione della schiavitù e della tratta dei neri, determinazione saggia, caritatevole, e cristiana, che interdice l'infame traffico di umana carne, opera indegna che avvilisce e degrada l'umanità, e che riduce umane creature fornite come noi del lume dell'intelligenza, che è un raggio medesimo della divinità, ed una forma emula dell'Augustissima Trinità, alla vil condizione dei bruti.
[501]
Sarebbe cosa che farebbe raccapricciare se io avessi ad accennare il modo indegno e spietato con cui si rapiscono i poveri neri dal grembo delle loro famiglie, e vengono trattati sui mercati del Cordofan e della Nubia: ma nulla di tutto questo. Solo dirò come la circostanza accidentale che un vascello inglese s'impadronì sul Mar Rosso di una barca di questi poveri negri, che furono poi condotti nei possedimenti inglesi, parve al gran Servo di Dio, il venerando nostro Superiore, una propizia disposizione della Provvidenza, con cui Dio gli offeriva un mezzo e gli apriva una via per introdurre nei nostri Istituti di Verona giovani e giovanette more, cosa resasi sommamente difficile dopo l'abolizione della schiavitù: ond'egli, come colui che è sempre abbandonato nelle braccia amorose della Provvidenza divina, senza punto sgomentarsi per le gravi difficoltà che in oggi s'incontrano per aver generose e larghe elemosine, determinò d'inviarmi in Aden allo scopo di fare una buona scelta di queste creature africane, qua e là sparpagliate nei vari possedimenti inglesi.
[502]
Essendosi poi, dietro le provvide cure di chi veglia sollecito con pietosa industria e regola il nostro Ist.o maschile, maturato il momento di condurre a Napoli quattro giovani africani che non poteano sopportare il rigido clima di Verona, giunse il tempo in cui doveasi metter mano all'opera stabilita.
[503]
Per la qual cosa, riuscita prosperamente la mia gita a Venezia, ove da S. Eccellenza il luogotenente delle province Venete, il B.e Togenburg, ottenni un passaporto pei quattro Mori, la mattina del 26 nov.e p.p. io lasciava il Collegio e Verona, e varcato il confine degli Stati Austriaci, e la parte che segna il confine del lago di Garda, mandando un fervido sospiro alle patrie sponde Limonesi, ove respirai le prime aure di vita, m'arrestai a Brescia nella lusinga di abbracciare e dare un saluto al mio buon vecchio padre, cui bramava di vedere e confortare, trattandosi che intraprendeva un viaggetto un po' più lungo di quello che v'è fra Verona ed Avesa.
Ma ahi, che le mie speranze rimaser fallite: stanteché, suscitatasi nel giorno avanti furibonda burrasca sul Lago di Garda, non si potè in verun modo effettuare il tragitto da Limone e Gargnano. Il Signore sia sempre benedetto.
[504]
Colla prima corsa delle cinque pomeridiane, offerta la mia servitù al Vescovo di Brescia, a Mons.r Tiboni, ed all'amico mio cariss.mo il D.r Pelizzari, partii per Milano, ove la sera stessa io fui accolto cordialmente coi quattro giovani e D. Luciano nel Seminario delle Missioni estere a S. Calocero. Colà il mio cuore s'inebriò della più soave letizia nel favellare insieme colla santa anima del Rettore di quel Seminario, e nel trovarmi in mezzo a' fratelli carissimi, alunni sacerdoti di quel fiorente giardino di carità evangelica, ove s'informano allo zelo ed alle virtù degli apostoli e dei martiri tante anime generose, che rotti i vincoli di natura e del sangue, con piè generoso calcando il fasto dell'umana prosperità e grandezza, che una agiata condizione e un felice ingegno avrebbe potuto loro offerire, abbandonando le gioie delle patrie contrade, si spargeranno poi per la faccia della terra per innalzare il vessillo della Croce in tanti regni incurvati sotto l'impero di Satana, a scuotere dal profondo letargo in cui gemono addormentate tante misere genti sulla quale non ancora sfolgorò l'astro luminosissimo della Fede, e ridurle all'ossequio della Croce.
[505]
Gran consolazione mi recò poi, fra questi giovani Missionari, uno, cui toccò, come a me, di abbandonare il campo aperto alle sue apostoliche fatiche nell'Oceania; ed ora tutto rassegnato alle adorabili disposizioni del cielo, s'occupa con zelo instancabile nella predicazione in forma di Missioni, e nell'esercizio del Ministero Sacerdotale. All'alba della mattina seguente io mi trovava già in Monza nel Collegio dei P. Barnabiti, ove diedi un saluto ad alcuni P.dri Barnabiti, che mi lasciarono un piccolo segnale della loro amicizia e del loro attaccamento all'Opera a cui son consacrato.
[506]
Alle 10 mi trovava in amichevole trattenimento col diletto amico nostro, il P. Calcagni Barnabita Vicerettore del R. Collegio Longoni, il quale mi fece uno scherzo a me non troppo gradito; poichè domandatomi di copiare la lettera che M.eur Ratisbonne, che dal Giudaismo si convertì miracolosamente alla Fede, mi scriveva nel passato agosto da Gerusalemme, io gliela rilasciai, a patto che alle 1 pom.e me la spedisse al Seminario della Missioni Estere: ma, con mio gran dolore, al tempo fissato mi mandò la copia della lettera, e non l'originale, contenente un pezzo da 20 franchi ed un felice augurio pel mio viaggio.
[507]
Io gli ho già perdonato colla promessa di rimbeccargliene una di più grosse. Alle tre pom.e, salutati i Missionari, era già sulla strada ferrata; e gettato un rapido sguardo sui campi di Magenta, e sul ponte del Ticino, trapassata Novara ed Alessandria, alle 10 era già a cena coi miei africani all'albergo di Cristoforo Colombo in Genova.
[508]
Alla mattina del 28, celebrato il Divin Sacrificio nella chiesa dell'Annunziata, la più bella e magnifica della capitale della Liguria, lasciati i giovani sotto la custodia di D. Luciano giro e rigiro per le varie agenzie di vapori diretti per le due Sicilie per subodorare se nulla v'era di propizio a mio favore. Avea già iniziato un lucroso contratto colla Società Marsigliese Fraissenet et Frères, dalla quale otteneva un ribasso di quasi la metà della spesa di tragitto; ma vivendo nell'incertezza del quando il vapore, che dovea tradurci a Napoli dovesse arrivare in Genova, strinsi un contratto colla Società Zuccòli, che ancor la sera spediva a Napoli un vapore postale, ed ottenni per tutti sei il ribasso di un terzo di spesa per ciascheduno; sì che alle 9 della sera montammo sulla Stella d'Italia, ottimo vapore italiano, a bordo del quale al chiaro fulgor della luna vagheggiammo l'incantevole spettacolo che offre la vista della capitale della Liguria osservata dal mare.
[509]
Difesa per terra e per mare da ampie fortificazioni della natura e dell'arte, vaghissima per la mirabile sua situazione e per gli splendidi suoi edifizi, è abbellita da un porto in forma di semicircolo assai vasto munito di due grandi moli, oltre a' quali s'innalza un faro gigantesco, che nelle tenebre serve di stella a' nocchieri: questo porto franco frequentatissimo forma un deposito generale assai considerevole di ogni genere di mercanzie, ed è uno dei più gran punti di commercio dell'Europa. Salutate queste amenissime sponde della Liguria, lasciando a sinistra dopo tre ore le spiagge ridenti del magnifico golfo della Spezia, alla mattina del giorno seguente gettate l'ancore nel porto di Livorno, scesi a terra; e celebrata la Messa nella sucida cattedrale, cercai alla Madonna del classico P. Giravia (come mi dissero i Padri suoi compagni); ma non lo trovai, essendo stato alcuni mesi fa relegato in Pisa dal Governo d'Italia.
[510]
Al mezzogiorno la Stella d'Italia salpava dal porto di Livorno; e non appena entrati in alto mare si scatenò contro di noi un vento per oltre 25 ore, che i quattro moretti non poterono gustar cibo, e dovettero rendere al mare l'ordinario tributo. Non così io, che avvezzo ai viaggi d'oriente ed a passare i mesi interi sulle acque, cominciò a crescermi l'appetito, sì che feci a tavola le parti de' miei sofferenti compagni di viaggio. Vedemmo sorgere dal livello del mare le amene isole della Capraia e Gorgona; passammo assai vicino a Porto Ferraio, all'arida e tetra Isola di Elba che offerì uno squallido e triste soggiorno al grande Napoleone.
[511]
Due miglia appresso al tetro domicilio dell'illustre prigioniero incontrammo lo Zuavo di Palestro vapore sardo che portava seco 1200 volontari di Garibaldi che andavano a ristorarsi nel seno delle loro famiglie in Piemonte e Lombardia dalle loro fatiche sofferte a Calatafimi a Palermo e Milazzo ed a Capua. Da un ufficiale di Garibaldi, il Duca Salvatore Mungo, che trovavasi a bordo con noi, e che era uno degli avanzi dei mille che sbarcarono a Marsala domandai informazioni di Prina, già alunno del nostro Ist.o, e mi fece grandi elogi, come di un valoroso ufficiale: mi disse che non era colonnello, ma che si è distinto a Milazzo. Costui tornava (!!??) dall'Isola di Caprera, ov'era stato col suo Duca, e m'assicurava che era intenzione di Garibaldi di recarsi prima in Ungheria che nella Venezia, la quale non iscuoterebbe il suo giogo che dopo qualche anno.
[512]
In questi e molti altri discorsi che mi faceva il garibaldino, eccoci allo stretto che divide la celebre Isola di Procida dall'Isola d'Ischia, oltre alle quali s'apre in forma di stupendo anfiteatro, il golfo ridente di Napoli; e noi alle cinque pom.e avevamo già fatte le pratiche colla direzione marittima della capitale Partenopea, e rassegnati i passaporti, fummo assai cordialmente ricevuti nell'Ist.o della Palma dal P. Lodovico da Casoria, Istitutore del Collegio africano. Benché io già conoscessi fino dall'anno scorso, allorché sbarcai a Napoli, quest'uomo di Dio, nulladimeno nei vari giorni che mi trattenni ora a Napoli, potei ammirare più davvicino ed apprezzare questo buon padre e persuadermi che egli è uno di quegli uomini straordinari, che di quando in quando suscita la Provvidenza per beneficio dell'umanità e per la diffusione ed incremento della gloria di Dio.
[513]
Secondo quel che mi narrò qualche Padre della Palma, il Padre Lodovico, quantunque vivesse all'ombra del vessillo di S. Francesco, tuttavia non era perfetto osservatore delle Regole del suo Ist.o, perché sapea procacciarsi molti dei comodi della agiata sua casa paterna, era piuttosto alieno da quella subordinazione che deve avere un religioso, e manteneva secolaresche amicizie con parecchi di elevata condizione, che vedeano di malocchio un loro pari umiliato alla abiezione di oscuro francescano. Era poi affatto contrario alla fatica ed all'applicazione a tutte le pratiche francescane, e sol dilettavasi negli studi filosofici e nelle matematiche, in cui avea fatto dei grandi progressi, ed avea passato molt'anni in qualità di professore.
Colpito da una grave infermità, il suo guardiano colse quest'occasione per mettergli sott'occhio la passata sua condotta non troppo conforme allo spirito del Serafico Istituto, gli suggerì di detestare il suo modo di vivere in Religione tenuto in addietro, e che promettesse a Maria di riformare i suoi costumi e la sua condotta secondo lo spirito dell'Istituto a cui s'era per vocazione arruolato, qualora a Dio fosse piaciuto di restituirgli la sanità. Entrò il padre Lodovico allora in se stesso; e nell'umiltà del suo cuore si offerse a Dio pronto a qualunque ardua impresa a cui lo chiamasse il Signore. La grazia divina allora si diffuse in larga copia nell'anima del buon Servo di Dio; e gettato da sé, ed allontanatosi da ogni cosa che sapesse di secolare e non conforme alla sua religione passò qualche anno in perfetto ritiro. Poi, per tacere di molte altre opere che ei fece,
[514]
1º. Istituì una Riforma della Provincia di Napoli, alquanto deteriorata, presso a poco come fece il B. Leonardo da Porto Maurizio quando creò il Ritiro di S. Bonaventura in Roma.
2º. Fondò l'Ist.o dei Missionari indigeni, ove vengono raccolti Sacerdoti da tutte le parti d'Italia, e s'informano alla scuola delle Missioni e Spirituali Esercizi, e poi si spargono per l'Italia a dare le Missioni gratuitamente, dipendenti in tutto dall'Ist.o, al cenno del quale essi solo possono esercitare l'ap.lico ministero. Nelle due Sicilie ha fatto già quest'Ist.o gran bene.
3º. Fondò un gran Ricovero pei poveri in Napoli; poi un altro per istruire gli ignoranti.
4º. Fondò una grande Infermeria per tutti Francescani di Napoli.
5º. Finalmente gettò le fondamenta ed iniziò già due altri Istituti Africani, uno maschile sotto la condotta dei Francescani, l'altro femminile sotto la guida delle Suore Stimmatine unicamente consacrate all'educazione delle More.
[515]
Tutte queste cinque grandi opere a spese del P. Lodovico, il quale è sempre nitido, come il nostro Superiore, e mantiene elemosinando quotidianamente, come il Superiore. Una parola sui Collegi africani.
[516]
Sotto la protezione del Re def.to Ferdinando IIº, dietro speciale autorizzazione della Direzione generale dell'Ordine Serafico, il Collegio dei neri, istituito alla Palma, ove risiede il Prefetto della Riforma, ha per iscopo di riscattare dalla schiavitù e miseria in cui giacciono, e quindi educare ed istruire nella Fede, nella scienza cattolica e nelle arti civili di ogni sorta i giovani mori che si raccoglieranno da paesi d'Africa, affinché bene educati, istruiti, ed informati dello spirito cattolico, fatti adulti, ritornino a' loro paesi per propagarvi, ciascuno secondo la sua professione la Fede di G. C. e la Xna Civiltà.
[517]
I giovani moretti istruiti che saranno nella Fede Cristiana, e battezzati a mano a mano che vengono dall'Africa, vestiranno tutti l'abito Francescano, come giovani alunni, e in quanto a tali serberanno contegno e disciplina di giovanetti religiosi, e attenderanno con discreta direzione agli usi della religione Serafica, agli studi e alle arti. Sarà cura del P. Prefetto della Palma, previo esame e conoscenza dell'indole e capacità de' giovanetti mori, classificarli negli studi elementari, che sino agli anni 18 dovranno tutti compiere sotto la istruzione di maestri idonei che il Prefetto assegnerà loro, o siano Religiosi dell'Ordine, o sieno anche secolari di provata scienza e bontà, sempre però questi ultimi patentati dalla Provincia, o dal Ministro Generale.
[518]
Compiuta l'istruzione elementare a' 18 anni, i giovani moretti si distribuiranno in tre classi secondo che porti la loro capacità e vocazione; cioè: in Chierici pel Sacerdozio, in laici professi, ma artisti, e in secolari del 3º Ordine (come Tacuso) di S. Francesco, egualmente artisti, e liberi di abbracciare lo stato coniugale. Le due prime classi professeranno servatis servandis la Regola dell'Ordine dei Minori. Pel Noviziato regolare di questi, previa facoltà della S. Sede apostolica, in luogo appartato del medesimo Collegio, sotto la direzione e giudizio della Comunità Religiosa della Palma, saranno appartamenti adattati, come luogo di Noviziato, ove riceveranno l'educazione opportuna religiosa secondo le leggi dell'Ordine.
Venendo poi quelli della prima classe all'età di ordinarsi, verranno presentati al rispettivo Ordinario colle dimissorie del Provinciale. E ciò s'intende in quanto i moretti nascono figli dell'ordine dei Minori con ispeciale intendimento addetti alle Missioni d'Africa, per le quali disporrà l'occorrevole il Generale dell'Ordine. Quelli finalmente della terza classe infino che dimoreranno in Europa vestiti e professati da Terziarii di S. Francesco, assisteranno alle opere del Collegio, e si perfezioneranno nella Arti.
[519]
Ricevute poi le necessarie istruzioni ed istituzioni, Sacerdoti mori Minori, Laici mori minori, e Terziari di S. Francesco mori, d'intelligenza e con informazione sì del Provinciale, che del Prefetto, a misura che vi sarà il bisogno, con Obbedienza del Ministro Generale dell'Ordine, partiranno per le Missioni di Africa. I Sacerdoti da veri Missionari di Cristo, propagatori della Fede Xna; i Laici professi al servizio dei Sacerdoti, ed anch'essi catechisti ed istruttori delle genti infedeli che si convertiranno a Gesù Cristo; ed i Terziari più liberamente spargendosi fra quei popoli, sotto la guida dei Missionari loro fratelli in esercizio delle arti e mestieri che avranno imparato nel Collegio, facendoli servire al lume della Fede.
[520]
Partiranno sempre, e dappertutto dimoreranno a due, ed anche a tre, non mai soli; e l'ordine sarà in tal modo, cioè un Sacerdote ed un Laico, od un Sacerdote, un Laico, ed un Terziario. Nella professione religiosa faranno tutti promessa giurata di andare nell'Africa, ma per l'andare in Africa si eccettueranno quelli eletti ed abili per maestri del Collegio della Palma, ed officiali a servire nel detto Collegio, o di altri motivi ragionevoli e gravi da riconoscersi dai Superiori. Il P. Prefetto avrà cura, e porrà tutta sua sollecitudine a far sì che a mano a mano che i giovani mori di qualsivoglia classe si avanzino bene nelle scienze o cognizione delle arti, e riescano abili a fare da Maestri essi stessi nel medesimo Collegio, egli ve li ponga assegnando loro la scuola che si conviene alla loro abilità.
[521]
E lo stesso deve intendersi degli Officiali, come prefetto, cuochi, assistenti, portinai, canovari, sguatteri etc. etc. sicché a poco a poco il Collegio Serafico dei moretti della Palma divenga un Coro uniforme di moretti. Andati i mori alle Missioni d'Africa, e quivi dopo lunghi anni di fatiche sostenute per G. C., siano Sacerdoti, siano Laici, siano Terziari o per vecchiaia o malattia, o per altra gravissima cagione non possano più prestare la loro opera al servizio di quelle Missioni, avvisatine i Superiori della Provincia e del Collegio, abbiano asilo e riposo nello stesso Collegio della Palma.
[522]
Ecco in abbozzo il piano dell'Ist.o dei moretti alla Palma. Ora sono già Nº 52, compresi i quattro da me condotti. Io rimasi soddisfattissimo al vedere dieci o dodici botteghe da falegname, sarto, calzolaio, tessitore, fabbro ferraio, agricoltore etc. etc. ed una bella spezieria con due maestri di medicina e di farmacia. Accanto poi alla Palma v'è un ampio giardino, in cui son distribuite parecchie porzioni di terreno, destinate a molteplici derrate e coloniali da coltivarsi; e qui convengono ogni giorno i moretti, divisi in tante classi, per apprendere, sotto apposito colono a coltivare, e ad imparare ogni ramo di agricoltura.
Con regole adattate vengono per le Missioni dell'Africa educate le morette che ora ascendono a 22. Restai meravigliato dei loro progressi negli studi e ne' lavori femminei. L'anno scorso parecchi lavori delle morette furono accettati nell'Esposizione Urbana di Napoli, e premiati. Ma di questo Ist.o scriverò un'altra volta
[523]
Io rimasi soddisfattissimo dell'istruzione dei moretti della Palma. Ve ne sono sedici che studiano Umanità e Rettorica (meno il greco) quattro filosofia, il resto il Ginnasio inferiore. Quello poi che più mi fece impressione fu l'ordine, il silenzio ai tempi dovuti, la esatta disciplina, e l'amore agli esercizi di pietà e al desiderio di farsi santi e di consumarsi in sacrificio dei loro fratelli infedeli per quelle vie che aprirà loro l'obbedienza e la vocazione. Possibile, diceva un giorno al P. Lodovico, possibile che i moretti della Palma sieno buoni tutti? Non lo credo, perché da quanto potei conoscere in quella poca di esperienza che feci tra i mori, molti sono buoni, ma alcuni non sembrano suscettibili alla pietà e alla perfetta osservanza della nostra SS.ma Religione.
[524]
Oh! ascoltate, mio caro fratello, mi rispose il Padre, il mio collegio io l'ho fondato per fare dell'Inferno un Paradiso, perché i giovani da cattivi diventino buoni. Quando gli africani sono entrati nella Palma, erano diavoli, e quasi disperava di ridurli al bene; ma colla pazienza, colla continua diurna e notturna vigilanza, e coll'instancabile opera dei miei educatori, sono tutti buoni, e debbo ringraziare Iddio che non ve n'ha neppure uno, uno di cattivo.
[525]
Noi non dobbiamo spaventarci se dapprima li vediamo cattivi, colla grazia di Dio, e con un'istancabile e paterna sollecitudine tutto si vince. E difatti in ciascuna camerata vi sono due prefetti, uno dei quali veglia tutta la notte: quando v'è un giovane che mostra una cattiva inclinazione, contro questa si dirigono tutte le armi della prudenza cristiana, e nol si abbandona finché non sia pienamente sradicato quel difetto, in modo che per fas o nefas, colle buone o colle cattive per amore o per forza bisogna lasciare quel vizio. Ma basta su questo argomento; molte cose furono da me osservate sulla direzione di quell'Ist.o; ma sarà stanco Ella di leggere, come lo sono io di scrivere, dunque khalàs.
[526]
Ragioniamo ora un poco di cose profane. E per dirle qualche cosa di Napoli, io credo che sia impossibile immaginarsi la sua singolare e bella situazione, ed il superbo colpo d'occhio che offre da qualunque lato si osservi. La città è posta al sud-est sul declivio d'una lunga fila di colline, e all'intorno di un golfo della larghezza di oltre cinque leghe, e di altrettanta lunghezza terminando a' lati con due promontori vestiti d'una fresca verzura. L'Isola di Capri da una parte, e quella di Procida dall'altra sembrano chiudere il golfo, scoprendosi tuttavia fra quest'isole e i due promontori un'immensa veduta del mare.
[527]
La città sembra coronare questo amenissimo golfo; una parte verso occidente s'innalza a guisa d'anfiteatro sulle colline di Polisippo e d'Antignano; l'altra si distende ad oriente sopra un terreno più piano, spalleggiato da bellissime ville e casini fino al monte Vesuvio, che alla notte è come un sole vivissimo, la cui luce è concentrata in sette bocche che mandano fuori incessantemente lava e bitume. A mezzo di questa magnifica scogliera tutta vestita di aranci e limoni e d'ogni sorte di verzura, s'innalza, vicino alla Palma, Capodimonte, ove sorge il palazzo di villeggiatura del re: questa, a giudizio dei grandi viaggiatori, è il più bel colpo d'occhio del mondo, e nulla v'è da paragonare alla bellezza di una tale situazione.
[528]
Se a tutto questo poi si aggiunge la dolcezza del clima, la fertilità delle campagne, la bellezza delle vicinanze e la grandezza degli edifizi, la magnificenza delle sue strade tutte coperte di grandi lastre di pietra, come sarebbe la nostra Piazza dei Signori, si persuaderà che Napoli è uno dei più magnifici e graditi soggiorni del nostro globo. La strada di Toledo lunga un miglio e mezzo in perfetta linea retta, quella della Chiaia, che fiancheggia per lungo tratto la Villa Reale che si stende sulla spiaggia del mare, ove presenta una magnifica veduta, ed è fiancheggiata verso terra da ben disposti cancelli qua e là intersecati da variopinti eccelsi pilastri che formando al nord-ovest una grande semi-elisse racchiudono centinaia di statue di marmo imitate da' migliori antichi modelli, sono fra le più superbe d'Europa.
[529]
Le Chiese in generale sono bellissime e sorprendenti, e mostrano a chi lo considera la fervente pietà del popolo Napoletano che le frequenta, e di coloro che le hanno edificate. S. Francesco di Paola, di architettura moderna, ricca di opere dei più celebri artisti moderni, alla parte esteriore, che fa fronte al gran palazzo reale è fiancheggiata da due portici sostenuti da 44 grandi colonne, ed abbellita dalle statue colossali della Religione, di S. Francesco, e S. Luigi collocate sul vestibolo formato da 10 grandi colonne ed altrettanti pilastri: l'interno perfettamente rotondo è un'imitazione del Panteon di Roma.
[530]
S. Martino sul Colle di S. Elmo appiè del castello, che domina la città, in istupenda posizione, il Gesù Nuovo tutto incrostato di marmi, che racchiude il sepolcro di S. Francesco de Jeronimo, sul corpo del quale io celebrai messa ed è chiuso da un urna d'argento e trapuntato di perle e pietre preziose, S. Gaetano, nel cui sotterraneo si conserva il Corpo, su cui celebrai pur la Messa, sono magnifici templi.
[531]
Ma S. Gennaro, ossia la cattedrale è la più bella chiesa di Napoli. L'interno è a tre navate divise, e sostenute da (parmi) 18 pilastri con colonne che appartennero ad idoli del Gentilesimo. Lasciando a parte le opere innumerabili di arte, non farò cenno che della cappella del Santo Patrono della città, detta il tesoro, che ha esteriormente due grandi statue di S. Pietro e S. Paolo, ed un bellissimo cancello di bronzo. L'interno è a forma greca, le pareti incrostate di marmi finissimi con 42 colonne di broccatello e 19 di bronzo; tutti gli affreschi sono del Domenichino. L'altar maggiore è di porfido, dietro si conserva in due cellette foderate di lamina d'argento con porticine dello stesso metallo, la Testa di S. Gennaro e due ampolle che contengono una parte del suo sangue, il quale suole liquefarsi almeno 2, quattro volte all'anno, quando vien posto avanti alla testa del santo, cioè nelle tre feste di maggio, settembre e dicembre che celebransi in onore del Santo colle rispettive ottave.
[532]
Questo miracolo, che venne osservato da innumerabili protestanti ed infedeli partorì e produce al giorno d'oggi gran numero di credenti alla fede di Cristo. (Siccome l'ultima volta che fece il miracolo or son quindici giorni, come udii al mio passaggio da Napoli, pare che l'abbia anticipato di un qualche mezz'ora prima del solito, si udirono parecchie grida nel tempio: "guarda guarda, che S. Gennaro si piace della Repubblica e ti bole (vuole) Vittorio Emanuele." Qui a proposito di S. Gennaro voglio accennargli la scena stravagante che succede il giorno in cui fa il miracolo. Primieramente appoggiati ad una vaga e malferma tradizione i Napoletani pretendono sapere che le tali e tali famiglie povere sono discendenti dalla stirpe del Santo Protettore; per ciò fra la plebe è opinione che non si faccia il miracolo senza la presenza di uno o più individui di questi nipoti consanguinei di S. Gennaro.
[533]
I lazzaroni sono i primi a presentarsi alla cappella taumaturga: sono innumerabili gli improperi e le villanie che premettonsi al miracolo. Escono fra le altre in queste espressioni: "S. Gennaro, e chi se tu che non vuoi fare il miracolo? E che hai rubato il titolo di Santo che non meritavi. E perché hai gabbato quelli che t'àn fatto tanto onore? E che non sei buono da nulla. E che ti hai le mamme da marruzzo (lumaca); non vali una grana. E che fai la ad imbrogliare la povera gente? sei un impostoraccio che ti burli di noi.... Guardalo, guardalo che smorfie che fa.... e' ci corbella, e ci canzona... E che sarebbe stato meglio di corbellar te, che lasciarci da te corbellare.... vedi che ci corbella e ci canzona... A che non se' capace di fare il miracolo, non vali una grana, vien giù da quel pizzo (rivolgendosi alla statua). E che fai là, imbroglione impostore? Ah che non sei santo, e non istai nel cielo, non se buono da nulla. Scendi scendi, e non mangiar a uffa...". E così via.
[534]
Altre cose più strane si proferiscono da que' lazzaroni, le quali troppo lungo sarebbe l'annoverare e che io dimenticai. In vero, se a me scrivessero tali cose, non le crederei, ma chi ha visitato Napoli, ed ha conosciuto quanto quella nazione è ancora indietro, ed è inclinata alla pietà bensì, ma superstiziosa un po', non dura fatica a prestarvi fede. Tali cose e simili mi furono raccontate da persone degne di fede.
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In Napoli con D. Luciano visitammo le cose più rimarchevoli, fra le quali le Catacombe, più ampie e meno lunghe di quelle di Roma, il Museo Nazionale, il secondo del mondo, dopo il Vaticano, a giudizio degli eruditi, e sotto l'aspetto che offre perfettamente in materiale i costumi degli antichi, il primo del mondo. Ma un quinterno ci vorrebbe. Visitammo la grotta di Polisippo, uno stupendo sotterraneo, ove sta la tomba di Virgilio a lumi accesi etc. Pompei Ercolano etc. Ma scriverò, se avrò tempo in altra mia; come pure mi tratterrò sul viaggio di Palermo e di Roma; ma ora non ho tempo, perché adesso mi è annunziato che è giunto in Suez da Calcutta il vapore della Compagnia delle Indie, e ripartirà entro la settimana. Io domani parto pel Cairo e per Suez. Da Aden scriverò, ma cum pactu che non vorrei rimaner digiuno delle sue lettere.
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Io mando un affettuoso saluto a tutti i giovani, prefetti, e chierici del nostro caro Ist.o e mi raccomando alle loro orazioni; perché aspra sarà la lotta che dovrò fare cogli inglesi; perché per tacere del resto, sta affisso dinanzi alla dogana turca, ai divani, ed a consolati europei un editto con cui si interdice ai Consoli ed al Governatore d'Alessandria di far passare schiavi o Barberini, senza indagare e riconoscere la loro provenienza, senza che sia legalizzata. Voglio trascriverlo stasera pria di partire da Alessandria. Dunque ho bisogno dell'aiuto dall'alto. Ma non si dee temere. Le corna di Xto sono più dure di quelle di Satana: e se Iddio vuole l'opera, non vi sono nè inglesi, nè turchi, nè diavolo che si possano opporre.
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Mi riverisca D. Tomba, D. Fochesato, D. Fukesneker, D. Donato, D. Clerici, D. Urbani, D. Lonardoni, Toffaloni e figlio, e tutti i Preti dell'Ist.o, le canteraniste, i Marchesi Carlotti, i C.ti Cavvazzocca, Parisi, Morelli; mi riverisca M.r Vescovo etc. etc. e m'abbia sempre nei SS.mi Cuori di G. e di M.a pel
Suo affz.mo amico
D. Daniele
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Offra speciali saluti al mio fig.cio Vittorio, sul quale desidero informazioni. I mei saluti alla fam.a Patuzzi e Biadego, Fontana etc. riceva i saluti di G. Scaùi che sta bene, ed a quanto mi dicono i P.dri Missionari si diporta assai bene. Tre furibonde burrasche m'hanno scosso un po' la salute: ma ora sto benissimo.