Con la Domenica delle Palme e della Passione del Signore iniziamo la Settimana Santa, chiamata anche la Grande Settimana. Il rito della benedizione e della processione con i rami d’ulivo e le palme segna la fine della Quaresima, mentre la liturgia della Parola – soprattutto con la lettura della Passione – apre il tempo della preparazione immediata alla celebrazione del mistero della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, ossia il Triduo Pasquale, cuore dell'anno liturgico.
Il Signore ha bisogno di somari!
Luca 19,28-40 (Benedizione delle palme)
Luca 22,14-23,56 (Passione del Signore)
Con la Domenica delle Palme e della Passione del Signore iniziamo la Settimana Santa, chiamata anche la Grande Settimana. Il rito della benedizione e della processione con i rami d’ulivo e le palme segna la fine della Quaresima, mentre la liturgia della Parola – soprattutto con la lettura della Passione – apre il tempo della preparazione immediata alla celebrazione del mistero della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, ossia il Triduo Pasquale, cuore dell'anno liturgico. La Chiesa e i suoi figli vivono questa settimana come un “ritiro spirituale”, nel raccoglimento e nella preghiera, in comunione intima e profonda con il loro Signore.
Questa domenica ha due volti, due momenti ben distinti. Il primo: il rito delle Palme, seguito dalla processione, caratterizzato dalla gioia e dall'entusiasmo. Il secondo: l’Eucaristia, con la proclamazione della Passione, segnata da mestizia, fallimento e morte. Gloria e Passione, gioia e dolore, luce e tenebra, bene e male... sono misteriosamente congiunti in questa domenica. Le due dimensioni rivelano che la gloria di Dio si manifesta nella Passione di Gesù Crocifisso, scandalo per i Giudei e follia per i Gentili, secondo le parole di San Paolo.
Seguiamo anche noi “Gesù che cammina davanti a tutti salendo verso Gerusalemme”, acclamandolo con la folla festante: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!”.
A) Domenica delle Palme, senza palme!
1. Domenica del puledro. Nel racconto di oggi, Gesù, per rivelare la sua Signoria e Regalità, dice di avere bisogno di un puledro! (Mt 21,3; Mc 11,3; Lc 19,31). È l’unica volta nei Vangeli in cui Gesù afferma di “aver bisogno” di qualcosa. Questo puledro richiama Zaccaria 9,9-10: “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni.”
Quest’asino, simbolo di umiltà, servizio e povertà, diventa una delle immagini più belle e sconvolgenti di Dio. Il Signore ha bisogno di “somari” che siano testimoni di Cristo, che sulla croce portò la soma del peccato di tutta l’umanità. Come scrive San Paolo: “Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo” (Galati 6,2).
2. Domenica dei mantelli. “Gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada” (Lc 19,35-36). È interessante notare che, mentre Matteo e Marco parlano di mantelli e rami stesi sulla strada come segno di acclamazione, San Luca menziona solo i mantelli. Stendere i mantelli, simbolo della propria vita, era un gesto di sottomissione al re (cfr. 2 Re 9,13).
Dove abbiamo steso noi i nostri mantelli? Sulla groppa dei cavalli dei potenti? Abbiamo forse tappezzato la strada del successo, della ricchezza o del benessere? La Pasqua è un’occasione per destarci da inganni fuorvianti e rimetterci sulla scia di Cristo e della sua regalità di pace, umiltà e servizio.
3. Domenica del pianto. “Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.” (Lc 19,41-42). Come c’è una prima volta, ci sarà anche un’ultima, oltre la quale sarà troppo tardi. Allora ci sarà “pianto e stridore di denti” (Lc 13,28). Ma anche Dio piange sulle sue visite mancate!
B) La sacralità del racconto della Passione
Il racconto della Passione è la parte più antica, più sviluppata e più sacra dei Vangeli. “Questi ultimi capitoli SONO L’EVANGELO. Gli altri capitoli ne sono un commento. Il resto della Bibbia ci rivela Dio di spalle: ci dice ciò che ha fatto per noi. Qui, invece, lo vediamo faccia a faccia, in ciò che egli si è fatto per noi. Dio non ha più veli: 'Quando avrete innalzato il Figlio dell’Uomo, allora saprete che IO-SONO' (Gv 8,28), cioè conoscerete JaHWeH.” (Augusto Fontana)
Gli apostoli erano i “testimoni della risurrezione”. Come mai, dunque, i cristiani della prima generazione attribuirono tanta importanza alla memoria della Passione? Perché riconobbero che il pericolo di ignorare la croce di Cristo era molto concreto: sarebbe stato un tradimento del messaggio cristiano. Questo rischio, ancora oggi, rappresenta una grave tentazione per non pochi cristiani. Il kerigma, cioè l'annuncio cristiano, è un trittico che unisce indissolubilmente la passione, la morte e la risurrezione del Signore!
C) Proposte per interiorizzare il racconto della Passione
1. Un modo per affrontare il lungo racconto è quello di fissare l’attenzione su ciascun personaggio che interviene in questo dramma, e domandarci in quale – o in quali – ci vediamo rispecchiati. Ognuno di noi ha la sua parte in questo dramma. Ogni personaggio interpreta un ruolo in cui si compie la Scrittura. Quale parola si compie in me?
2. Una seconda modalità consiste nel soffermarci sulla bontà e sulla mansuetudine di Gesù durante la Passione.
Il Vangelo di Luca presenta un Gesù colmo di bontà e di mansuetudine. Anche nei momenti più drammatici, Luca mette in luce la delicatezza e la misericordia del Signore: accoglie Giuda con dolcezza, guarisce il servo ferito, guarda Pietro con amore, consola le donne di Gerusalemme, perdona i suoi carnefici e promette il paradiso al ladrone pentito. Persino chi lo condanna o assiste alla sua morte – Pilato, il popolo, il centurione – riconosce la sua innocenza e giustizia. Le sue ultime parole non sono di dolore, ma di fiducioso abbandono a Dio: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.”
Accogliamo questo sguardo di Gesù, che ci guarisce dalle nostre debolezze e infedeltà, ci rinnova la sua amicizia e fiducia, e ridesta in noi la gioia e l’entusiasmo nel seguirlo.
Rivolgiamogli, a nostra volta, uno sguardo pieno di tenerezza, amore e gratitudine, con lo stupore e l’amore appassionato di san Paolo: Gesù, il Figlio di Dio, “mi ha amato e ha consegnato se stesso per me!” (Galati 2,20)
3. Una terza modalità potrebbe essere quella di sedersi semplicemente davanti al Crocifisso, per ascoltare quanto ci dice dalla cattedra della croce.
Buon ingresso nella Settimana Santa!
P. Manuel João Pereira Correia, MCCJ
«Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno»: questa esclamazione è un profondo atto di misericordia ma è anche più di questo. È anche una rivelazione di come l’ignoranza rende possibile la violenza. Dire «non sanno quello che fanno» significa affermare una teoria radicale della giustizia: che “non sapere” assolve o perlomeno mitiga la violenza. Tuttavia, non è una giustificazione morale; è una diagnosi. La violenza della folla, dei soldati, dell’apparato statale: essi non sono guidati dal male, bensì dal rituale, dal meccanismo dell’obbedienza. Pertanto, ciò che Gesù dice nel momento della sua massima sofferenza mette in mostra la terrificante facilità con cui, sotto l’illusione della necessità o della normatività, viene perpetrata l’atrocità.
Ciò che Gesù offre — «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» — non è il semplice perdono ma una critica delle condizioni nelle quali la violenza diventa invisibile per coloro che la compiono. La sua affermazione anticipa l’ossessione del xx secolo per la psicologia dell’esecutore, con Eichmann, con My Lai, con Abu Ghraib. È il proto-testo della crisi etica della modernità: il male non è sempre consapevole, bensì abituale, sistematico e anonimo.
La violenza, come stiamo imparando, può assumere molte forme, spesso sottili. Commettiamo violenza contro il pianeta (e contro il futuro) quando, a causa dell’illusione della necessità o di norme, non agiamo su ciò che sappiamo del cambiamento climatico. Commettiamo violenza gli uni verso gli altri (e verso noi stessi) quando, poiché ci siamo detti che questa non è niente di meno che l’acqua in cui nuotiamo, consegniamo il controllo del nostro senso di sé, le nostre relazioni e i mezzi di comunicazione alle tecnologie. Commettiamo violenza contro le nostre democrazie quando, poiché siamo stati incoraggiati da demagoghi affamati di potere, riteniamo che tutte le notizie siano ugualmente false, che la verità non esista. Il perdono, qui, non è tanto superiorità morale quanto tragica consapevolezza. Il gesto che Gesù compie con queste parole non è soltanto generoso ma profondamente ironico. Gesù non perdona perché gli esecutori lo meritano ma perché la violenza più grande è la loro ignoranza.
Jonathan Safran Foer - L'Osservatore Romano
La morte di Gesù ci scuote e ci interpella
Gesù entra in città, la folla gli va incontro con gioia, la sua morte ci scuote e ci interpella. Scelgo questi tre elementi per introdurmi alla ricchezza liturgica e biblica della Domenica delle palme e alla Settimana santa.
Gesù entra nella città che lo consegnerà alla morte. Avrebbe potuto evitarlo, fare qualche ragionamento politico in più, scegliere in base al calcolo. E, invece, tira dritto con determinazione. In questa prima immagine viene evocato in realtà tutto il Mistero pasquale: il Signore è entrato nel mondo e nella storia, ne ha condiviso le speranze e le ferite, ha fatto rifiorire le gioie e compatito il dolore, ha incoraggiato le speranze e asciugato le lacrime. Niente di ciò che è umano lo trova indifferente e per questo è il Dio della passione: Egli ha passione per la nostra vita, discende nella nostra carne, si sporca le mani con la terra di cui siamo impastati, per trasformare il nostro lutto in danza. Anche se rifiutato e disprezzato, Dio rimane sempre Amore.
Una folla festante saluta questo suo ingresso in città, riconoscendolo Signore in mezzo al tripudio di rami di ulivo agitati al vento. È la gioia del popolo, dei semplici e dei poveri, degli umili e di coloro che nel suo Volto hanno visto i segni della vicinanza di Dio e hanno ricominciato a sperare. Una seconda indicazione che ci ricorda il carattere della fede pasquale: la gioia. Quando accogliamo il Signore, si moltiplica in noi la gioia. Un cristiano, una comunità religiosa, una comunità civile che hanno smarrito la dimensione della festa — come Papa Francesco ci ha ricordato in Evangelii gaudium —è un messaggio chiaro: mentre il Signore entra nelle nostre città e nelle nostre chiese, il nostro cuore forse è altrove.
Infine, il dramma dell’arresto, della sofferenza e della morte, con il corpo posto in un sepolcro sigillato da una grande pietra. L’immagine ci conduce a contemplare in silenzio la grandezza e la larghezza dell’amore di Dio, che ci ha amati fino alla fine e senza risparmiare se stesso; esso però, non può risolversi nella devozione privata dei nostri “Venerdì santo”, ma deve scuoterci e scavare una domanda capace di sfidare la nostra vita e la nostra fede: dove sono io in questo dramma? Dove sono nel dramma del mondo? Dove mi posiziono dinanzi alla crocifissione di un innocente, e dinanzi alle croci e alle ingiustizie inflitte oggi a tanti fratelli e sorelle del mondo intorno a me? Forse sono un discepolo turbato, che fugge via? O un Pilato che si lava le mani per non impegnarsi.
Saliamo anche noi verso Gerusalemme con il Signore; condividiamo la sua passione per il mondo e per l’uomo e apriamo il cuore alla gioia pasquale di una vita nuova.
[Francesco Cosentino – L’Osservatore Romano]
Dai rami di osanna al legno della croce
Is 50,4-7; Salmo 21; Fil 2,6-11; Lc 22,14 – 23,56
La celebrazione dei misteri pasquali avviene nella grande settimana, detta appunto “Settimana Santa”. Ma più di una settimana si può parlare di due domeniche, quella della Passione e quella della Risurrezione. In esse si innesta il Triduo sacro del crocifisso, sepolto e risuscitato, che comporta, sul piano celebrativo, la Pasqua rituale al Giovedì santo, la Pasqua passione al Venerdì e la Pasqua risurrezione alla Veglia. Va inoltre aggiunta la celebrazione della Messa Crismale, di solito situata al mattino del Giovedì santo, ma spostabile in altra data, perché il rito della benedizione degli oli, inserito nella celebrazione eucaristica, sottolinei il mistero della Chiesa come sacramento globale del Cristo, che santifica ogni situazione e realtà dell’esistenza umana.
Quindi, con la Domenica delle Palme entriamo nella Settimana Santa. E’ una domenica ricca di significati: ci ricordiamo il mistero di Cristo Salvatore che dona la vita per noi, e approfondiamo normalmente il senso del nostro essere cristiani.
La liturgia inizia con la benedizione delle palme o dei rami d’ulivo, per ricordare l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme. Essi erano segno di gioia, perché il popolo aveva trovato in Gesù il suo re e messia. I cristiani porteranno questi rami benedetti nelle loro case, come ricordo di Cristo vincitore della morte e come segno manifesto della loro volontà di rimanere uniti a lui, per portare frutti di opere buone.
Nella liturgia della Parola, questa domenica è dominata dal racconto della Passione del Signore.
La breve lettura dal profeta Isaia crea il clima adatto per l’ascolto di quest’episodio narrato da Luca. Il testo di Isaia riporta il terzo canto del servo del Signore che viene presentato come un “discepolo” del Signore. Si tratta di un personaggio perseguitato, offeso e maltrattato che si trova in prigione in attesa di processo. Ma egli è certo che il Signore lo assisterà come suo avvocato di fronte a quelli che lo accusano. L’unica preoccupazione del servo è di restare fedele al Signore che gli parla e lo istruisce perché egli sappia confortare chi è sfiduciato. L’altra lezione è quella della non-violenza: non rispondere male al male, insulto ad insulto. Infatti il servo non si ribella al suo destino di flagellazioni, insulti, sputi, di sofferenza e di umiliazione, ma si fida di Dio che lo assiste. Ha la sicurezza di non restare deluso, perché Dio non inganna mai.
Nella prospettiva cristiana, questo destino tragico si concentra in Gesù, il servo fedele a Dio e solidale con tutti gli uomini oppressi e perseguitati. Egli, nonostante la sua uguaglianza a Dio, come dice la seconda lettura, ha scelto di farsi servo e di condividere la sorte di tutti gli esseri umani, rimanendo fedele a Dio anche nella morte infame e dolorosissima sulla croce. Perciò Dio lo ha costituito Signore universale: egli “è il Signore, a gloria di Dio Padre”.
Questa figura del servo-Signore si riscontra nel racconto lucano della Passione. Gesù è il servo in quanto dona il suo corpo e versa il suo sangue. Gesù stesso interpreta la sua morte come un atto di donazione a favore dei discepoli (“per voi”) e fondamento della “nuova alleanza”.
Una delle ultime parole di Gesù prima di morire è una parola di speranza per un peccatore: “Oggi sarai con me in paradiso”. Si tratta di un annuncio di salvezza per tutti i peccatori che si pentono. E con l’ultima sua parola Gesù ci insegna come morire, nella preghiera di fiducia sul modello del salmo 31,6: ”Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Opportunamente, a questa preghiera di fiducia reagisce il centurione glorificando Gesù: ”Veramente quest’uomo era giusto”. Il clima di speranza che avvolge la scena della morte di Gesù dovrebbe animare ogni cristiano in questa Pasqua e per tutta la vita.
Don Joseph Ndoum
Settimana Santa: con un “cuore grande quanto il mondo”
Lc 19,28-40; Is 50,4-7; Sl 21; Fl 2,6-11; Lc 22,14 – 23,56
Riflessioni
Entriamo nella Settimana grande dell’amore fino alle estreme conseguenze (“Li amò sino alla fine”, Gv 13,1). L’ingresso nella Settimana Santa è segnato quest’anno dal racconto della passione e morte di Cristo, narrata da San Luca (Vangelo). Quella Passio non è solo storia del passato: gli stessi avvenimenti si ripetono oggi. I personaggi di allora (Caifa, Erode, Pilato, farisei, sacerdoti, Pietro, Giuda, Cireneo, pie donne, soldati, Centurione, Giuseppe d’Arimatea…) esistono ancora, sono emblematici di quanto succede oggi nei riguardi di Cristo e dei sofferenti, con i quali Egli si identifica (cfr. Mt 25,35s). Ognuno di noi può trovarsi ad essere, oggi, nel bene o nel male, l’uno o l’altro di quei personaggi. Siamo noi oggi gli attori nella passione che Gesù patisce in tanti anziani abbandonati, giovani senza lavoro, migranti bloccati o respinti, donne abbandonate o vittime della violenza... Oggi, ognuno può essere chiuso al dolore altrui, o meglio sensibile come le pie donne, che accompagnano Gesù nel dolore; o essere come il Cireneo, capace di portare il fardello altrui; o come Maria, ai piedi della croce…
Tre testimoni moderni del mondo missionario ci sono di aiuto nella comprensione e nella celebrazione del Mistero pasquale proprio della Settimana Santa. La loro parola nasce dall’esperienza personale di identificazione con Cristo morto e risorto. Per questo, tali testimonianze hanno una risonanza universale: aiutano a vivere la Pasqua secondo l’ampiezza e la profondità proprie del Cuore di Cristo.
“Sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo”.
S. Daniele Comboni (1831-1881), missionario appassionato della salvezza dell'Africa, nelle Regole per il suo Istituto (1871), raccomandava vivamente ai futuri missionari di contemplare con amore Cristo crocifisso, per formarsi al necessario “spirito di sacrificio”: «Il pensiero perpetuamente rivolto al gran fine della loro vocazione apostolica deve ingenerare negli alunni dell’Istituto lo spirito di sacrifizio. Si formeranno questa disposizione essenzialissima col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in croce per la salvezza delle anime. Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore, saran beati di offrirsi a perder tutto, e morire per Lui, e con Lui». (Dagli Scritti di D. Comboni, n. 2720-2722).
“Ho sete!”
La totale dedizione della Santa Madre Teresa di Calcutta (1910-1997) alla causa missionaria ebbe origine dalla contemplazione delle parole di Gesù in croce: "Ho sete!" (Gv 19,28). L’attenzione agli ultimi nella scala sociale nasceva in lei dal desiderio di soddisfare la sete di Cristo.
«“Ho sete!” Disse Gesù quando, sulla croce, era privo di qualsiasi consolazione. Rinnovate il vostro zelo per saziare la sua sete nelle dolorose sembianze dei più poveri dei poveri: “Voi l’avete fatto a me”. Non separate mai queste parole di Gesù: “Ho sete” e “voi l’avete fatto a me”». (Dagli scritti di Madre Teresa di Calcutta).
Celebrare la Pasqua con un “cuore grande quanto il mondo”
Tale è l’insegnamento di San Oscar Arnulfo Romero (1917-1980), martire, arcivescovo di San Salvador, ucciso mentre celebrava l’Eucaristia nel pomeriggio del 24 marzo 1980.
«Celebra la Pasqua con Cristo soltanto colui che sa amare, sa perdonare, sa sfruttare la forza più grande che Dio ha posto nel cuore dell’uomo: l’amore. La Chiesa sente che il suo cuore è come quello di Maria, grande quanto il mondo, senza nemici, senza risentimenti». (Dalle catechesi dei San Oscar A. Romero, nella Settimana Santa 1978).
Parola del Papa
(*) “Gesù entra in Gerusalemme. La liturgia ci ha invitato a intervenire e partecipare alla gioia e alla festa del popolo che è capace di gridare e lodare il suo Signore; gioia che si appanna e lascia un sapore amaro e doloroso dopo aver finito di ascoltare il racconto della Passione. In questa celebrazione sembrano incrociarsi storie di gioia e di sofferenza, di errori e di successi che fanno parte del nostro vivere quotidiano come discepoli, perché riesce a mettere a nudo sentimenti e contraddizioni che oggi appartengono spesso anche a noi, uomini e donne di questo tempo: capaci di amare molto… e anche di odiare – e molto –; capaci di sacrifici valorosi e anche di saper ‘lavarcene le mani’ al momento opportuno; capaci di fedeltà ma anche di grandi abbandoni e tradimenti”.
Papa Francesco
Omelia nella domenica delle Palme, 25 marzo 2018
P. Romeo Ballan, mccj