Nel nostro itinerario quaresimale, le domeniche passate hanno messo al centro l’annuncio della misericordia di Dio e l’invito alla conversione. Oggi questo percorso raggiunge il suo culmine con il Vangelo della donna sorpresa in flagrante adulterio. (...)
“Va’ e d’ora in poi non peccare più!”
Giovanni 8,1-11
Nel nostro itinerario quaresimale, le domeniche passate hanno messo al centro l’annuncio della misericordia di Dio e l’invito alla conversione. Oggi questo percorso raggiunge il suo culmine con il Vangelo della donna sorpresa in flagrante adulterio. Questo brano (Giovanni 8,1-11) ha avuto una storia travagliata: assente nei manoscritti più antichi, ignorato dai Padri latini fino al IV secolo e mai commentato dai Padri greci del primo millennio. È come una pagina strappata dal suo contesto originale e poi inserita qui nel Vangelo di Giovanni. Tuttavia, molti studiosi ritengono che possa appartenere a San Luca, l’evangelista della misericordia.
Questo brano risultava scomodo, poiché contrastava con la rigorosa prassi penitenziale dei primi secoli, secondo cui i peccati più gravi – omicidio, adulterio e apostasia – potevano essere perdonati una sola volta nella vita. In fondo, ancora oggi fatichiamo a superare la logica della giustizia per abbracciare pienamente la mentalità della misericordia.
Tu che ne dici?
La scena si svolge una mattina nel Tempio, dove Gesù stava insegnando al popolo. Gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio, la pongono in mezzo e gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora, Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”.
L'evangelista aggiunge che dicevano questo per metterlo alla prova. La donna è solo un pretesto: il vero imputato è lui, Gesù, e la sua misericordia. Vogliono vedere come se la cava in questa situazione. Infatti, se tergiversasse nell'applicazione della Legge, potrebbero accusarlo davanti al Sinedrio; se invece si pronunciasse a favore della condanna, si inimicherebbe la gente, che lo riteneva un maestro buono e compassionevole.
La pratica di condannare a morte gli adulteri era comune nell'antico Medio Oriente: una pratica barbarica che, purtroppo, sussiste ancora oggi in alcuni Paesi islamici. La troviamo anche nel libro del Levitico 20,10: “Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera devono essere messi a morte” (cf. Dt 22,22). Era un deterrente contro l'adulterio, ma nella pratica non veniva applicato rigidamente al tempo di Gesù. Notiamo, comunque, che qui c'è solo la donna adultera. E l’adultero dov’è? La legge, quindi, non viene applicata con imparzialità.
Gesù, invece di rispondere, si china e si mette a scrivere col dito per terra, in silenzio. Cosa scrive? I peccati degli accusatori, come afferma san Girolamo? Quante congetture sono state fatte a questo riguardo! La spiegazione, probabilmente, è ben più semplice: scarabocchiare per terra poteva essere un modo per prendersi del tempo, riflettere, preparare una risposta o persino smaltire l’irritazione suscitata dalla domanda.
Troviamo solo tre volte nella Scrittura l’espressione “scrivere col dito”. La prima è in Esodo 31,18: il dito di Dio che scrive la Legge sulle tavole di pietra; la seconda nel passo parallelo in Deuteronomio 9,10; la terza nel libro del profeta Daniele, al capitolo 5, quando un dito di una mano scrive tre parole sul muro della sala del banchetto, dove il re Baldassàr stava profanando i vasi preziosi trafugati dal Tempio di Gerusalemme.
Cosa scrive Gesù? La nuova legge dell’amore e della misericordia, scritta sulla polvere di cui siamo fatti, sulla fragilità della nostra carne, nella nostra vita segnata dall’infedeltà e dal peccato. È la nuova legge che Dio aveva promesso di scrivere nel cuore del credente (Geremia 31,31-34).
Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra!
Gesù taceva. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si drizzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.” Poi, chinandosi di nuovo, scriveva per terra.
Gesù non nega la Legge, ma invita ad applicarla prima di tutto a loro stessi. Tutti rimangono in attesa che qualcuno, “senza peccato”, scagli la prima pietra. Ma invano. E allora, uno dopo l’altro, se ne vanno. Erano arrivati insieme, sicuri di sé; se ne vanno confusi, alla spicciolata, cominciando dai più anziani. Rimangono lì, a terra, le pietre. E con esse, anche le maschere di chi si era presentato come giudice e giusto.
Gli accusatori della donna sono costretti a guardarsi dentro, a confrontarsi anch’essi con la Legge di Mosè. E si ritrovano al posto della donna. Se guardiamo davvero dentro noi stessi, non riusciamo più a condannare nessuno. Spesso, inconsciamente, non riuscendo a sconfiggere il male che abita dentro di noi, cerchiamo di combatterlo fuori — negli altri — e così finiamo per sentirci a posto. È qui che subentra la logica del branco: basta che qualcuno getti la prima pietra, e tutti gli altri lo seguono. In questo modo, nessuno si assume la responsabilità delle pietre scagliate. Se non combattiamo il male dentro di noi, esso sarà sempre l’altro, il nemico da eliminare.
Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?
Tutti se ne sono andati. Vinti o convinti, non si sa. E la donna rimase là, sola, in mezzo. Da una parte la misera, dall’altra la misericordia, commenta sant’Agostino. Allora Gesù si drizzò di nuovo, rivolse lo sguardo verso di lei e le domandò: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?” Ed ella rispose: “Nessuno, Signore.”
Gesù si drizza per guardare la donna. Secondo il senso letterale del verbo greco, Gesù si “drizza”, non “si alza in piedi”. Egli rimane seduto, in basso: non ci guarda dall’alto, ma dal basso, perché è venuto ad occupare l’ultimo posto.
A quel punto, i due sguardi s’incrociano: quello vergognoso, timoroso e triste della donna, e quello puro, dolce e compassionevole di Gesù. È uno sguardo diverso, unico, che la donna non aveva mai conosciuto.
“Ciò che salva è lo sguardo,” dice Simone Weil. Il cristiano è chiamato a rispecchiarsi in questo sguardo, ogni mattina, per prendere coscienza di quanto è amato e per purificare il proprio sguardo sugli altri e sulla realtà.
Gesù la chiamò “Donna”, come chiama anche sua Madre, secondo il Vangelo di Giovanni. Così le restituisce la sua dignità. E lei, la Donna, lo chiamò “Signore”, il Signore che le salvò la vita.
Questa donna rappresenta tutti noi, “adulteri”, infedeli allo Sposo. Anche noi facciamo parte della “generazione adultera e peccatrice” (Marco 8,38).
Va’ e d’ora in poi non peccare più!
Allora Gesù disse: “Neanch’io ti condanno!”, perché “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.” (Giovanni 3,17).
“Va’ e d’ora in poi non peccare più!” Sei libera dal tuo passato. La vita è rimessa di nuovo nelle tue mani. Puoi iniziare una vita nuova!
La stessa parola è rivolta a noi in questa Quaresima. Tante volte la nostra vita è imbrigliata dal passato: dai nostri fallimenti, dal rammarico per le opportunità mancate, dai nostri peccati... Ma il Signore ci dice: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Isaia 43,16-21 – Prima Lettura). Facciamo, quindi, come San Paolo: “Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta.” (Filippesi 3,8-14 – Seconda Lettura).
P. Manuel João Pereira Correia, MCCJ
L’unica legge possibile è quella dell’amore
Internet ci confonde, ci stordisce, ma ogni tanto ci permette di recuperare momenti straordinari del passato, ad esempio Bob Dylan e Joan Baez che cantano insieme in un concerto With God on our side, e sono giovani e belli, e intonano meravigliosamente una canzone contro la guerra e ogni violenza: «I libri di storia lo dicevano, lo dicevano perfettamente/ la cavalleria caricava/ gli indiani cadevano/ la cavalleria caricava/ gli indiani morivano/ perché il paese era giovane/ e Dio era dalla sua parte».
E ancora: «Oh, la Prima Guerra Mondiale, ragazzi/ è cominciata ed è finita/ e la ragione per combattere non l’ho mai capita/ ma ho imparato ad accettarla/ perché non si contano i morti/ quando Dio è dalla nostra parte».
Ecco, sentirsi dalla parte della ragione, protetti e giustificati da un Dio fatto a propria misura, da una legge superiore, produce effetti devastanti. E gli uomini che stavano attorno all’adultera pensavano allo stesso modo, credevano di poterle spaccare la testa a sassate perché la legge era dalla loro parte. «Chi è senza peccato scagli la prima pietra», dice Gesù, e tutte le pietre vengono posate, e quegli uomini si allontanano perché ognuno sa di aver un peccato, un torto, un errore dentro di sé.
Chi crede di aver ragione è pericolosissimo, può sentirsi in diritto di compiere qualsiasi nefandezza, lanciare una pietra crudele o afferrare un mitra. Guardo qualche dibattito in televisione: ognuno pretende di essere dalla parte giusta, e grida, offende, cerca di imporre la sua ragione, ma in fondo vuole solo imporre se stesso, alimentare il proprio ego smisurato, ribadire che lui è migliore e superiore agli altri. Guardo, ascolto e provo imbarazzo. Non sono mai stato capace di affrontare una polemica dura e aggressiva perché non ho mai sentito fino in fondo di rappresentare una ragione assoluta, mi sembrava sempre che anche gli altri avessero le loro motivazioni, che la verità fosse qualcosa che comprendeva tu? i nostri torti, le nostre miserie. Beati gli ultimi e beati i poveri, beati coloro che non vogliono imporsi sugli altri, che capiscono quanto la nostra vita è fragile e imperfetta. Posiamo pietre e sicurezze fasulle, amiamo gli altri per quello che sono, diversi da noi e a noi necessari. Oggi il cosiddetto “pensiero unico” vuole spazzare via ogni differenza, la massimizzazione del profilo, unica legge universale, colpisce ciecamente perché crede di rappresentare la sola ragione del mondo. Ma non è così, l’unica legge possibile è quella dell’amore, che non giudica e non lapida, che abbraccia tutti quanti gli esseri umani, povere figure erranti, fratelli.
Marco Lodoli - L'Osservatore Romano
Dio salva amando. Non a colpi di pietre!
Isaia 43,16-21; Salmo 125; Filippesi 3,8-14; Gv 8,1-11
Riflessioni
La “vita nuova” è il tema delle tre letture di questa domenica. Gesù nel Vangelo ridona la vita alla donna adultera: “Va' e non peccare più” (v. 11). Già il profeta Isaia (I lettura) parlava di vita agli esiliati di Babilonia predicendo il ritorno in patria: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia” (v. 19). La promessa era accompagnata da due segni eloquenti: una strada nel deserto e fiumi d’acqua nella steppa. Per san Paolo (II lettura) la vita nuova è una persona, Cristo Gesù, l’unico tesoro, di fronte al quale tutto il resto è perdita e spazzatura (v. 8). È Lui l’unica meta da conquistare correndo con ogni sforzo. Paolo sente tale impegno non come un peso, ma come risposta d’amore verso Cristo che lo ha conquistato (v. 12). Da questa esperienza nasce l'impulso missionario di Paolo.
“All’alba” (Vangelo), sulla spianata del tempio di Gerusalemme, ebbe inizio la vita nuova anche per una donna “sorpresa in flagrante adulterio” (v. 2.4). Una donna da lapidare, secondo la Legge, buttata lì come uno straccio davanti a Gesù, unica accusata di una colpa che, per definizione, suppone un complice, che però si è abilmente volatilizzato... Gesù la salva dalla sassaiola compiendo gesti sorprendenti, che provocano un cambio totale della situazione. Anzitutto il silenzio disarmante di Gesù, poi quello "scrivere col dito per terra" (v. 6.8) con segni che la storia non riuscirà mai a decifrare, e infine la sfida a gettare per primi la pietra (v. 7). Sono gesti che smascherano l’ipocrisia di quegli accusatori legalisti dal cuore di sasso. La loro trappola per accusare Gesù era (quasi) perfetta: se egli salva la donna, va contro la Legge; se la condanna a essere uccisa, va contro l’Impero romano, che si è riservato il diritto di un’esecuzione mortale. Gesù scavalca tutti i tranelli e va al fondo del problema e della soluzione: chiama in causa la coscienza degli accusatori.
Alla fine, la donna e Gesù restano da soli: “la misera e la misericordia”, commenta sant’Agostino. Gesù parla alla donna: nessuno le aveva parlato, l’avevano trascinata fra spintoni e accuse. Gesù le parla non con linguaggio da strada, ma con rispetto, riconoscendone la dignità; la chiama ‘donna’, come Egli soleva chiamare sua madre (Gv 2,4; 19,26). Gesù distingue tra lei - donna fragile, certo - e il suo sbaglio, che Egli però non approva: l’adulterio è e resta un peccato (Mt 5,32), anche nel caso di un desiderio disonesto (Mt 5,28; e IX comandamento). Gesù condanna il peccato ma non la peccatrice; non si ferma ad analizzare il passato, ma rilancia la vita, riapre il futuro. Il messaggio nuovo del racconto non è il peccato, ma il cuore di Dio che ama e vuole che noi viviamo. L’immagine di Dio-amore che Gesù vuole far passare è questa: che la donna sperimenti che Dio la ama così com’è. In tal modo la donna, sentendosi rispettata, amata, protetta, è in grado di accogliere l’invito di Gesù a “non peccare più” (v. 11). Dio salva amando. Non a colpi di legge o di pietre. Solo l’amore converte e salva! Quella donna incontra Gesù che le cambia la vita, vive così la sua Pasqua: è risuscitata!
Questo scomodo brano di Vangelo ha avuto una storia travagliata: è omesso in vari codici antichi, è spostato in altri. C’è chi pensa che l’autore non sia Giovanni ma Luca, dato lo stile e il messaggio molto simili alla parabola del padre misericordioso (vedi Luca 15, nel Vangelo di domenica scorsa), con i vari personaggi della parabola: la donna nei panni del figlio minore; gli scribi e i farisei in linea con il figlio maggiore; e Gesù nel perfetto ruolo del Padre. Lo sottolinea anche un noto autore moderno: «Testo insopportabile, che manca in diversi manoscritti. La coscienza morale, e anche la coscienza religiosa degli uomini non può ammettere che il Cristo rifiuti di condannare la donna... Essa è stata sorpresa in flagrante delitto; ha commesso uno dei peccati più gravi che la Legge conosca... Il Cristo confonde gli accusatori ricordando loro l’universalità del male: anch’essi, spiritualmente, sono degli adulteri; anch’essi in un modo o nell’altro, hanno tradito l’amore. “Chi è senza peccato...” Nessuno è senza peccato, ed Egli concluse dicendo: “Va’ e d'ora in poi non peccare più”. Una frase che apre un nuovo avvenire» (Olivier Clément).
Il brano evangelico costituisce una intensa pagina di metodologia missionaria per l’annuncio, la conversione, l’educazione alla fede e ai valori della vita. L’amore genera e rigenera la persona, la rende libera; Gesù educa all’amore vissuto in libertà e con gratuità. Solo a queste condizioni si capisce perché dobbiamo lasciar cadere dalle mani le pietre che vorremmo scagliare sugli altri. Il fatto poi che i più anziani comincino a sfilare via (v. 9) rivela in loro un senso di colpa, di vergogna, o di aver capito la lezione? Infine risulta chiaro che chiunque opera e lotta onestamente per le pari opportunità tra donna e uomo, nei vari ambiti, trova in Gesù un precursore ideale, un pioniere e un alleato.
Parola del Papa
«Sant’Agostino inquadra il finale del Vangelo di oggi con queste parole: “Rimasero solo loro due: la misera e la misericordia” (In Joh 33,5). Sono andati via quelli venuti per scagliare pietre contro la donna o per accusare Gesù nei riguardi della Legge… Gesù invece rimane. Rimane perché è rimasto quel che è prezioso ai suoi occhi: quella donna, quella persona. Per Lui prima del peccato viene il peccatore. Io, tu, ciascuno di noi nel cuore di Dio veniamo prima: prima degli sbagli, delle regole, dei giudizi e delle nostre cadute. Chiediamo la grazia di uno sguardo simile a quello di Gesù, chiediamo di avere l’inquadratura cristiana della vita, dove prima del peccato vediamo con amore il peccatore, prima dell’errore l’errante, prima della sua storia la persona».
Papa Francesco
Omelia nella liturgia penitenziale, 29.3.2019
P. Romeo Ballan, MCCJ
Contro tutte le ipocrisie di chi giudica gli altri
Is 43,16-21; Salmo 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
L’oracolo di liberazione rivolto dal profeta Isaia al popolo di Israele, in esilio a Babilonia, dà l’intonazione alla liturgia della Parola di questa domenica. Egli fa ricorso all’Esodo per esprimere la speranza della liberazione dei deportati. Il ritorno dei prigionieri esuli dal deserto babilonese alla patria è immagine del ritorno del peccatore pentito a Dio, dopo la sua conversione. Questo tema del passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia, riecheggia anche nelle immagini della semina e mietitura del salmo responsoriale, che ha un profondo significato messianico. “Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo”: Gesù semina nelle lacrime delle Passione, e nelle gloria della Risurrezione raccoglie i frutti abbondanti maturati dal sole della grazia che Egli loro meritò.
Lo stesso ritmo si trova nella pagina autobiografica di Paolo che racconta il suo passaggio dalla “giustizia derivante dalla Legge” a quella che deriva dalla fede in Cristo. Paolo esorta ad aderire in modo così forte a Cristo fino a stimare tutto il resto “spazzatura”. Secondo lui, è il segreto della vita cristiana, è la sublimità della conoscenza di Cristo. Non una conoscenza intellettuale, ma esperienziale.
Nel brano evangelico, il testo pone in rilievo, nella stessa linea di testi precedenti, da un lato la gravità del peccato, dall’altro la misericordia di Gesù. Il volto della donna occupa completamente l’episodio. Gesù vede in lei non un bersaglio per le pietre di una sentenza crudele, ma un essere amato, malgrado il suo peccato. Lo sguardo di Gesù, specchio della misericordia infinita di Dio, chiama all’esistenza una persona, risveglia il suo essere autentico, mette in luce il meglio che c’è in ogni umano Già l’antico profeta Ezechiele aveva detto che Dio non vuole la morte del peccatore, ma “che si converta e viva” (Ez. 33, 11).
Gesù stesso è stato esplicito: “Non sono venuto a giudicare, ma a salvare” (Gv 3, 17) Infatti, fuori di ogni colpabilizzazione o condanna della donna, Gesù dice niente; ma chinatosi si mette a “scrivere col dito per terra”. Cosa scrive? Il testo evangelico non risponde a questa curiosità. Scrive forse i peccati degli accusatori della donna? O scrive la sentenza , quello gesto del giudice, prima di proclamarla ad alta voce, cioè che solo Dio ha il diritto di condannare? Oppure, scrivendo per terra, Gesù offre ai farisei il tempo di riflettere e di ridimensionare il loro progetto chiedendosi “come mai una donna sola, quando nell’adulterio sono coinvolte due persone?” Comunque essi tacciono… e se ne vanno.
Perché i più anziani prima? Probabilmente perché più coinvolti. Restano, dice sant’Agostino, soltanto loro due: “La miseria e la misericordia”. Viene descritta, in queste due parole, la condizione umana nei confronti di Dio. Gesù la scusa, ma l’avverte di non peccare più. Non scusa la colpa; condanna il peccato, ma non la peccatrice, essendo essa ormai pentita.
Dio, fonte di perdono e di salvezza, ci ama malgrado il peccato, però ci chiama alla conversione e c’insegna il dovere del riserbo nel giudicare e condannare le persone In un mondo in cui tutti hanno le pietre in mano contro tutti, corriamo il rischio di essere giudicanti severi ed ipocriti, pensando di esseri migliori degli altri e dimenticando la nostra condizione di peccatori. Togli prima la trave del tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dell’occhio del tuo fratello. Non giudicare, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misuriamo saremo misurati.
Quindi, quando ci trovassimo, anche noi con il sasso in mano come i farisei, prima di scagliarlo, pensiamo che cosa potrebbe Gesù scrivere di noi con il suo dito per terra; e poi deponiamolo, seguendo il suo esempio, che anche dall’alto della croce ripete la parola del perdono: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.
Don Joseph Ndoum
“Misericordia et misera”
Gv 8, 1-11
Un incontro insperato quello che l’evangelista Giovanni racconta in una delle pagine evangeliche tra le più note: una donna, la cui condanna a morte sembra essere scritta su di lei in modo indelebile, e Gesù, il vero imputato in questo processo improvvisato sulla polvere del Tempio. La sentenza attesa vorrebbe vedere il sangue di lei scorrere sotto una pioggia di sassi e il sangue del Signore imporporare la (pretesa) giustizia di scribi e farisei.
Ciò che accade invece ha un altro sapore e altri colori, ci sorprende quasi come un ribaltamento delle sorti; questo Vangelo ci investe del buon profumo di Cristo che inonda, attraverso le sue parole, anche la temibile giuria: il protagonista è, ancora una volta, lo sguardo di Gesù che sottrae il volto ai suoi polemici interlocutori, attratto dalla terra, chino su quella materia polverosa da cui tutti siamo stati plasmati e resi vivi dall’umido soffio dello Spirito.
Vorrebbe che tutti guardassimo con lui a quella polvere, che tutti leggessimo ciò che il dito di Dio vi ha inscritto donando la vita, vorrebbe che quella stessa terra, quell’adamà, ci ricordasse da dove veniamo e quale grazia senza merito sia per noi vivere, vedere la luce, respirare, amare, cantare, gioire, muoversi… vorrebbe davvero che quell’humus ci insegnasse di nuovo l’umiltà della fraternità e, quindi, il perdono.
Ma a scribi e farisei di quel tempo come di oggi, i gesti non bastano come non sono mai sufficienti per coloro che tutto vogliono capire, controllare, giudicare e in un certo senso possedere. Insistono e domandano ed ecco la Parola, il Verbo di Dio che emerge, come da un silenzio raccolto, per mettere a tacere il tumulto cinico del loro e del nostro cuore: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8, 7). «È certamente la voce della giustizia — osserva sant’Agostino e colpiti da questa giustizia come da un enorme strale, esaminandosi e trovandosi peccatori, “se ne andarono l’uno dopo l’altro”. Restarono solo due persone: la misera e la misericordia». (Trattato sul Vangelo di Giovanni, xxxiii )
Questa donna, misera perché abbandonata e strumentalizzata da uomini senza scrupoli, e il cui nome, per pudore e rispetto, mai è rivelato nei Vangeli, conosce e lo permette anche a noi, una giustizia che non condanna ma rilancia, che non scende a compromesso con il peccato ma scommette sul futuro, sul seguito della storia, con dolcezza e determinazione. «Va’» le dice Gesù, riconsegnandola in un momento alla sua vita, alla cura di sé, a nuove possibilità, a nuovi amori, alla capacità, sempre aperta nella coscienza, di scegliere tra il bene e il male, e tra ciò che fa bene e ciò che fa male.
E Gesù, volto e voce della misericordia del Padre, «guarda negli occhi quella donna e, leggendo nel suo cuore, vi trova il desiderio di essere capita, perdonata e liberata. La miseria del peccato è rivestita dalla misericordia dell’amore. (…) La misericordia rinnova e redime perché è l’incontro di due cuori: quello di Dio che viene incontro a quello dell’uomo. Questo si riscalda e il primo lo risana: il cuore di pietra viene trasformato in cuore di carne, capace di amare nonostante il suo peccato.» (cfr. Francesco , Misericordia et misera 1. 16, 2016).
Preludio del più vero annuncio pasquale!
[Fulvia Sieni - L'Osservatore Romano]