Con questa domenica si conclude il lungo discorso di Gesù sul pane della vita nel vangelo di Giovanni (6,60-69). Nel brano odierno di fronte alla proposta di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, scoppia la crisi anche tra il gruppo dei suoi discepoli. Infatti, molti di loro, dopo aver ascoltato, dissero “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”
Il giorno del grande scandalo!
“Signore, da chi andremo?”
Giovanni 6,60-69
Siamo giunti alla fine del capitolo 6 del vangelo di Giovanni, che abbiamo ascoltato durante cinque domeniche, interrompendo la lettura del vangelo di Marco, previsto dal calendario liturgico per quest’anno. Il passo di oggi ci presenta la reazione dei discepoli di Gesù al discorso che egli aveva appena concluso, nella sinagoga di Cafarnao, il giorno dopo il miracolo della moltiplicazione dei cinque pani e due pesci. Non si parla più della folla o dei giudei, ma del seguito dei discepoli che prendono posizione davanti all’affermazione di Gesù di essere il Pane/Parola e il Pane/cibo e bevanda disceso dal cielo.
Il brano si divide in due parti. Nella prima, troviamo il gruppo dei suoi seguaci che mormora: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Questi discepoli si scandalizzano e decidono di andarsene. Nella seconda parte del testo, Gesù interpella il gruppo dei Dodici, domandando loro: “Volete andarvene anche voi?”. Pietro si fa portavoce del gruppo e risponde: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.
L’ambiente è carico di tensione, quasi palpabile. Man mano che Gesù rivela il senso profondo del segno che aveva operato, il disagio, la mormorazione e la critica si impadroniscono di tutto il suo uditorio: la folla, poi i “giudei”, cioè, i capi religiosi suoi avversari, e adesso addirittura il folto gruppo dei discepoli che lo seguivano, attirati dai suoi miracoli più che dalla novità del suo messaggio. E accade allora qualcosa di inaspettato: il più grande segno operato da Gesù, riconosciuto come il segno messianico che tutti si aspettavano (“Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!”, v.14) diventa il suo primo grande fallimento. Si è capovolta la situazione. Non che Gesù sia stato preso alla sprovvista. Infatti, fin dal giorno prima, quando la gente voleva “prenderlo” (v.15) per farlo re, Gesù aveva percepito tutta l’ambiguità delle attese della folla. Satana era ritornato per tentarlo!
Come si spiega Gesù questa situazione? Ci sono due tipi di mentalità che si contendono il cuore dell’uomo: la carne che “non giova a nulla” e lo Spirito che “dà la vita”. Lo spirito della carne agisce per istinto, mentre lo Spirito di Dio agisce per fede. La fede, però, non è conquista dell’uomo ma dono di Dio: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre”.
Questo è un momento drammatico di crisi nel ministero di Gesù, che corrisponde a quello del suo insuccesso a Nazareth, riportato dai tre vangeli sinottici. Lì Gesù aveva reagito con lo stupore, qui con l’amarezza. Non crediamo che Gesù fosse indifferente o insensibile alle reazioni dei suoi ascoltatori! Anche lui ha sperimentato tutti i sentimenti nostri. In questo caso possiamo pensare che abbia provato tristezza, frustrazione e amarezza per la chiusura di cuore degli uditori.
Cosa dire dei Dodici? È la prima volta che compare il gruppo nel vangelo di Giovanni. Forse nemmeno loro hanno capito granché e un miscuglio di pensieri e di sentimenti ha riempito di confusione la loro mente e il loro cuore. Pietro parla qui per la prima volta e con la sua professione di fede aiuta il gruppo a ritrovare la compattezza. Ma niente sarà come prima. Oltre l’incredulità e l’abbandono di molti, fluttua adesso sul gruppo la nube nera dell’annuncio di un tradimento.
Spunti di riflessione
1. “Sceglietevi oggi chi servire!”. Ci sono dei momenti in cui siamo costretti a prendere una decisione e a giocare la nostra vita. “Sceglietevi oggi chi servire!”, dice Giosuè alle dodici tribù riunite a Sichem (Giosuè 24, prima lettura). “Volete andarvene anche voi?”, chiede Gesù ai Dodici. Noi, purtroppo, talvolta tendiamo a procrastinare le nostre decisioni e ad andare avanti con un piede in due scarpe, cercando di mantenere aperte tutte le possibilità. Ma “lentamente muore… chi salvar la vita vuole”!
2. “Anche se tutti ti abbandoneranno, io non ti abbandonerò mai!”. Colpisce il fatto che Gesù sia pronto a lasciar andare anche il gruppo dei Dodici e a riprendere la missione da solo. Solo, ma solido! Al momento supremo dirà: “Mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me” (Giovanni 16,32).
In questo momento storico in cui la fede cristiana non gode più il consenso sociale, quando si avvera, ancora una volta, la parola del vangelo: “Molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non camminavano più con lui”, abbiamo bisogno di cristiani sinceri e generosi come Pietro. Dio voglia che, malgrado la coscienza acuta della nostra fragilità, possiamo dire, in uno slancio di fiducia semplice come quella di un bambino: “Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai!” (Matteo 26,33).
3. Evangelizzare i nostri fallimenti. Tutti noi accumuliamo esperienze e ricordi di insuccessi e fallimenti che possono diventare una zavorra nel nostro cammino. Non sempre il tempo li guarisce. Hanno bisogno di essere evangelizzati. Col passare degli anni, ci accorgiamo che la nostra vita non è una marcia vittoriosa di raccolta di trionfi e medaglie, come avevamo sognato. Accettare con serenità la nostra fragilità e i nostri limiti, riconciliarsi con la propria realtà, incassare le sconfitte senza scoraggiarsi, è l’unica via per vivere nella pace.
P. Manuel João Pereira Correia, mccj
Verona, Agosto 2024
Da chi andremo?
Tu solo hai le parole di vita eterna
Gs 24,1-2.15-17.18; Sl 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69
«Da chi andremo Tu solo hai le parole di vita eterna»
Con questa domenica si conclude il lungo discorso di Gesù sul pane della vita nel vangelo di Giovanni (6,60-69). Nel brano odierno di fronte alla proposta di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, scoppia la crisi anche tra il gruppo dei suoi discepoli. Infatti, molti di loro, dopo aver ascoltato, dissero “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”
La vera causa dell' incomprensione e del rifiuto, e cioè della crisi anche nella cerchia dei discepoli, è la mancanza di fede «ci sono tra voi alcuni che non credono». Ci si può, in realtà, illudere di credere, o meglio credere di credere, come sembra in questo caso: hanno la pretesa di veder prima chiaro per poter credere dopo. E' veramente l'opposto: prima si crede, ci si abbandona totalmente a Gesù, ci si fida e poi si comincia a veder chiaro.
«Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui».
Di fronte a questa defezione Gesù non fa nulla per trattenere questi sfortunati. Non riduce le sue richieste, cioè non concede sconti sul prezzo originario della sequela. Anzi, ne aumenta. Con le sue parole bisogna prendere posizione, fare una scelta precisa, e non si possono adottare posizioni intermedie o di compromesso. O si sta con lui o ci si separa da lui.
«Forse anche voi volete andarvene?»
Nonostante la crisi Gesù non concede per niente facilitazioni, non addolcisce le sue esigenze, sembra preferire rimanere solo piuttosto che mercanteggiare sulle cose essenziali e fare concessioni nel senso della facilità. Conferma qua le sue parole sulla «porta stretta» d'ingresso al cielo.
Il discorso di Gesù a Cafarnao pareva risolversi in un clamoroso scacco senza la risposta di Pietro, che rappresenta la vera reazione attesa dal Signore. Si tratta di una confessione di fede a nome dei Dodici: «Signore, da chi andremo? Tu hai le parole di vita eterna». Non dice «dove andremo?» ma «da chi andremo?» Il problema grosso è quindi da chi andare o da chi essere fedeli. Pietro parla infatti della fedeltà a una persona, con la quale ci si lega per camminare insieme, per andare nella stessa direzione. E questa persona è Cristo.
Credere non significa dunque sottoscrivere un elenco di verità, ma aderire a una persona, e fare di questa persona (Cristo) il centro, il senso della propria esistenza. Questa fedeltà non va subita, ma vissuta con gioia, in un rapporto di fede e di amore.
«Volete andarvene anche voi?»
Proviamo anche noi ad applicare questa domanda alla nostra situazione, e così Verificare la nostra disponibilità ad accettare i discorsi e le esigenze del Maestro.
Don Joseph Ndoum
Che non si vive di solo pane Israele ha l’opportunità di impararlo durante il lungo cammino nel deserto (cfr. Dt 8, 3), quando scopre che può liberarsi dalla dittatura dei bisogni e soddisfare la propria sete di alleanza aprendosi alla bellezza di relazioni intime, genuine, destinate a durare. A partire dal rapporto con quel Dio «unico» (Dt 6, 4), «vicino» (Sal 33, 19), che è tutto sensibilità e compassione, che vuole tessere con i suoi figli un’alleanza d’amore e operare in sinergia con loro. Egli, infatti, mai si stanca di adoperarsi per rendere santi i suoi figli «purificandoli con il lavacro dell’acqua mediante la sua parola» (cfr. Ef 5, 26) che è «spirito e… vita» (Gv 6, 63) e può pertanto estrarre chiunque dalla tana dell’individualismo e forgiare in lui un cuore comunionale, capace cioè di assumere sul serio l’alterità, investendosi nella genesi di un corpo comunitario: il popolo dell’alleanza.
«Non di solo pane vivrà l’uomo» (Mt 4, 4) afferma il Figlio di Dio nel suo personale deserto dinanzi alle seduzioni del tentatore che in tutti i modi cerca di porre il sospetto sulla sua filiazione divina o di leggerla in modo deformato, attraverso un messianismo eclatante volto ad imporsi con effetti speciali e non con l’umiltà di chi coltiva pazientemente il germe della fede nei cuori.
Anche la tristezza e l’insoddisfazione che albergano nel cuore dei ricchi egoisti confermano che l’uomo non vive solo di ciò che entra nella bocca ma soprattutto di ciò che esce, cioè della parola dell’uomo che ha il potere di tessere i rapporti interpersonali e della Parola di Dio che illumina la storia e la orienta verso il suo fine che è anche il suo inizio: l’amore.
Eppure l’essere umano ama più il pane della parola e non solo quando ha fame… Il pane, infatti, può diventare un’ossessione, può essere persino l’obiettivo della vita quando si diventa “macchine da lavoro” che consumano il tempo per produrre «un pane di fatica» (Sal 126, 2). Così anche le folle al seguito di Gesù, che hanno mangiato non un pane di fatica ma quello che il Signore concede ai suoi amici nel sonno (cfr. Sal 126, 2), sono state così soddisfatte per quel beneficio da dimenticare il Benefattore, chiudersi alla relazione con Gesù e rendersi impermeabili alla sua Parola. Eppure Gesù aveva invitato le folle a darsi da fare per il cibo che «rimane» (Gv 6, 27): la sua carne e il suo sangue offerti «per la vita del mondo» (Gv 6, 51). Questo dono però è lo scoglio contro cui s’infrange la razionalità non solo delle folle ma anche dei discepoli. È uno scandalo che fa inciampare. Non resta altro che fuggire e tornare alla vita di “un tempo”.
«Volete fuggire anche voi lontano da me?» chiede Gesù ai Dodici (cfr. Gv 6, 67) e Simon Pietro s’infiamma di zelo per lui: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68). Sulle sue labbra sboccia una confessione di fede simile a quella che Israele aveva espresso a Sichem: «Lontano da noi abbandonare il Signore… che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile… ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso…» (Gs 24, 16-17).
Israele e la Chiesa sanno bene che cercare il Signore per amarlo, stare con lui e godere della sua presenza è il beneficio più grande che si possa ricevere. E noi lo sappiamo? Cosa cerchiamo quando ci mettiamo sulle tracce del Signore? Cerchiamo Dio o le cose di Dio? Perché le cose passano mentre Dio solo resta.
[Rosalba Manes – L’Osservatore Romano]