La guarigione di Bartimeo, il cieco di Gerico, segna un punto di arrivo e una nuova partenza, nel contesto del Vangelo di Marco. È l’ultimo miracolo di guarigione operato da Gesù, a conclusione di una serie di insegnamenti morali; ed è il punto di partenza verso Gerusalemme, dove Egli vivrà gli avvenimenti della sua ultima settimana terrena, la Settimana Santa, dall’ingresso trionfale in città fino alla passione e alla risurrezione.

MENDICANTI DI LUCE

Rabbunì, che io veda di nuovo!
Marco 10,46-52

La guarigione del cieco di Gerico è l’ultimo miracolo narrato nel Vangelo di Marco. Questo racconto segue i tre annunci di Gesù riguardo alla sua passione, morte e risurrezione, accompagnati dalle relative catechesi impartite ai discepoli. Questi annunci e catechesi costituiscono la colonna portante della parte centrale del Vangelo di Marco.

Siamo a Gerico, l’ultima tappa per i pellegrini galilei che percorrevano la strada lungo il Giordano, diretti verso Gerusalemme per la Pasqua. La distanza tra Gerico e Gerusalemme è di circa 27 chilometri. Il percorso attraversa un territorio desertico e montuoso, con un dislivello significativo. Infatti, Gerico si trova a circa 258 metri sotto il livello del mare, mentre Gerusalemme è situata a circa 750 metri sopra il livello del mare. Il cammino, dunque, è in salita e piuttosto faticoso, un dettaglio rilevante nel contesto del viaggio di Gesù verso Gerusalemme, come descritto da Marco.

L’evangelista pone particolare attenzione sulla figura di Bartimeo, probabilmente una persona conosciuta nella comunità primitiva. Oltre a menzionare il nome di suo padre, l’evangelista descrive con cura le sue azioni: “Gettò via il suo mantello, balzò in piedi e andò da Gesù.” Il mantello, considerato l’unico possesso del povero, rappresentava anche l’identità della persona. Perciò, “gettare via il mantello” simboleggia lo spogliarsi di sé stessi. San Paolo, nella Lettera agli Efesini (4,22), parla dello “spogliarsi dell’uomo vecchio”. Bartimeo è l’unico caso in cui si dice che la persona guarita segue Gesù lungo la strada. I Padri del Deserto vedevano in questo un’allusione alla liturgia battesimale: prima di essere battezzato, il catecumeno si spogliava della veste, discendeva nudo nella vasca battesimale e, risalendo, veniva rivestito con una tunica bianca.

Spunti di riflessione

1. Bartimeo, figura del discepolo: valenza simbolica del miracolo

La parte centrale del Vangelo di Marco (capitoli 8-10), chiamata “la sezione del cammino”, è inquadrata da due guarigioni di ciechi. All’inizio della sezione troviamo la guarigione progressiva del cieco di Betsaida (8,22-26), che precede immediatamente la professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo. In quel caso, un cieco – senza nome – viene portato a Gesù da alcuni amici che intercedono per lui. Alla fine della sezione, troviamo la guarigione di un altro cieco, Bartimeo, figlio di Timeo, che prende lui stesso l’iniziativa di chiedere, gridando – nonostante l’opposizione della folla – la grazia di riacquistare la vista.

Il racconto ha un grande valore simbolico: Bartimeo è lo specchio del discepolo. Nelle ultime domeniche, Marco ci ha condotti attraverso l’itinerario degli apostoli. In questo percorso di formazione e di presa di coscienza delle esigenze della sequela, il discepolo si sente cieco. Bartimeo simboleggia il discepolo che si siede lungo la strada, incapace di proseguire. Rappresenta ciascuno di noi. Tutti noi, infatti, ci rendiamo conto di essere spiritualmente ciechi, quando si tratta di seguire Gesù sulla strada della croce. Come Bartimeo, chiediamo al Signore di essere guariti dalla cecità che ci immobilizza.

2. Bartimeo, nostro fratello: “maestro” di preghiera

Bartimeo sa esattamente cosa chiedere, a differenza di Giacomo e Giovanni, che “non sapevano cosa domandavano”. Egli chiede l’essenziale attraverso una preghiera, semplice e profonda: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” In questa supplica, Bartimeo esprime la sua fede in Gesù come Messia, chiamandolo “Figlio di Davide” — è l’unica persona nel Vangelo di Marco a conferirgli questo titolo. Allo stesso tempo, manifesta un rapporto di fiducia, intimità e tenerezza, chiamando Gesù per nome e invocandolo come “Rabbunì”, che significa “mio maestro”. Questo titolo appare solo due volte nei Vangeli: qui e nel racconto di Maria Maddalena, nel mattino di Pasqua (Gv 20,16).

La vita nasce dalla luce e si sviluppa grazie alla luce. Lo stesso accade nella vita spirituale: senza la luce interiore, la nostra vita spirituale è inghiottita dall’oscurità. A volte sperimentiamo la gioia della luce, mentre altre volte le tenebre sembrano invadere la nostra esistenza. Problemi, sofferenze, difficoltà e debolezze offuscano la nostra visione della vita, rendendoci incapaci di seguire il Signore. In questi momenti, ci viene in aiuto la preghiera di Bartimeo: “Rabbunì, che io veda di nuovo!” Bartimeo è maestro di una preghiera semplice, essenziale e fiduciosa!

3. Compagni di Bartimeo: mendicanti di luce

Nella Chiesa antica, il battesimo veniva chiamato “illuminazione”. Questa illuminazione, che ci ha strappati dalle tenebre della morte, è continuamente minacciata. Il nostro battesimo implica un cammino di ricerca continua della luce. Come il girasole, ogni giorno il cristiano si volge verso il Sole di Cristo. Ogni mattina, mentre ci laviamo gli occhi fisici, con l’anima in preghiera corriamo a lavarci nella piscina di Sìloe del nostro battesimo, come il cieco nato di cui parla Giovanni nel capitolo 9 del suo Vangelo. E quando ci ritroviamo ciechi, ricordiamoci che c’è il collirio dell’Eucaristia. Con le mani che hanno accolto il Pane di Cristo, possiamo toccare i nostri occhi e il nostro volto, memori dell’esperienza dei due discepoli di Emmaus, ai quali si aprirono gli occhi nello “spezzare del pane”. Non solo i nostri occhi, ma anche il nostro volto è destinato a risplendere, come quello di Mosè (Es 34,29). Infatti, il volto del cristiano riflette la gloria di Cristo (2Cor 3,18), diventando così testimone della Luce, posta sul candelabro del mondo.

P. Manuel João Pereira Correia, mccj

La fede riscalda il cuore e illumina i passi del discepolo

Ger 31,7-9; Sl 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52

Riflessioni
Gerico: città nella valle del fiume Giordano, 10 km a nord del Mar Morto, città dal clima mite, al di sotto del livello del mare (- 300m), “città delle palme” (Dt 34,3); è considerata la prima città murata della storia (8000 a.C.), le sue mura crollarono in modo spettacolare davanti al popolo di Israele (Gios 6). Una città ben conosciuta da Gesù. Nei pressi di Gerico, Egli fu battezzato e visse i 40 giorni di digiuno e tentazioni; parla della strada che scende da Gerusalemme a Gerico (la strada del Buon Samaritano); qui s’incontra con il pubblicano Zaccheo e, prima di salire a Gerusalemme, compie il miracolo per il cieco Bartimeo (Vangelo), in un contesto significativo.

La guarigione di Bartimeo, il cieco di Gerico, segna un punto di arrivo e una nuova partenza, nel contesto del Vangelo di Marco. È l’ultimo miracolo di guarigione operato da Gesù, a conclusione di una serie di insegnamenti morali; ed è il punto di partenza verso Gerusalemme, dove Egli vivrà gli avvenimenti della sua ultima settimana terrena, la Settimana Santa, dall’ingresso trionfale in città fino alla passione e alla risurrezione.

Gesù ha dato importanti insegnamenti morali, che, se messi in pratica, rinnovano le persone dal di dentro, con un cambio di mentalità e di comportamenti (metanoia). Le esigenze morali poste da Gesù  (vedi i brani del Vangelo di Marco nelle domeniche precedenti)  operano la conversione del cuore, dando come risultato la libertà interiore della persona. Più che di rinuncia, è più giusto parlare di un dono di liberazione-purificazione del cuore, per scoprire e seguire Gesù, il vero tesoro. Si tratta, quindi, di libertà dall’egoismo (rinnegare se stesso, prendere la croce: 8,32-38); libertà negli affetti (unità e indissolubilità del matrimonio, amore e rispetto per i bambini: 10,2-16); libertà di fronte alle ricchezze (pericolo delle ricchezze: 10,17-31); libertà dal potere (autorità come servizio: 10,35-45)…

In ciascuno di questi ambiti il discepolo vive la tensione permanente fra la mentalità mondana dominante e il richiamo di Gesù. Spesso la tensione diventa scontro e conflitto fra l’oscurità del male e la luce del Vangelo. A questo punto, prima della salita di Gesù verso Gerusalemme, Marco colloca, emblematicamente, la guarigione del cieco di Gerico (Vangelo), che egli narra come un fatto miracoloso e allo stesso tempo ricco di simbologia.

Il cieco “sedeva lungo la strada a mendicare” (v. 46): era immobile, mendicante, quindi dipendente dagli altri... All’avvicinarsi di Gesù, la sua vita cambia: gli grida per due volte la sua situazione implorando pietà (v. 47-48). Si imbatte con il gruppo dei discepoli, che in un primo momento gli sono di intralcio e lo ostacolano, ma poi lo incoraggiano ad andare verso Gesù che lo sta chiamando (v. 49). Il cieco getta via il mantello  -simbolo della sua sicurezza fino a quel momento-,  balza in piedi, parla con Gesù, riceve da Lui la fede e la vista, e comincia a seguirlo “lungo la strada” (v. 52). Il cammino che sale verso Gerusalemme è arduo, soprattutto per gli avvenimenti che attendono Gesù in quella Settimana; ma il discepolo, ormai illuminato, sa che il Maestro lo precede, lo attira dietro a sé e gli affida una missione da compiere con umiltà, fedeltà e libertà interiore.

Bartimeo è l’immagine del discepolo che finalmente apre gli occhi alla luce del Maestro e si decide a seguirlo lungo la via. La chiamata di Gesù non giunge direttamente al cieco, c’è qualcuno incaricato di trasmetterla. Questi mediatori rappresentano gli autentici seguaci di Cristo, sensibili al grido di chi cerca la luce. Sono coloro che dedicano gran parte del proprio tempo all’ascolto dei problemi dei fratelli/sorelle in difficoltà, coloro che hanno sempre parole di incoraggiamento, che indicano ai ciechi il cammino che conduce al Maestro” (F. Armellini). Questa è la responsabilità missionaria della comunità dei credenti: trasformati dall’amore di Dio, è loro compito evitare ogni intralcio e facilitare il cammino, con la testimonianza e la parola, per quanti cercano la luce e verità di Gesù.

In questa ricerca del Signore, il Battesimo è un punto di arrivo, ma è, al tempo stesso, alla base dell’impegno missionario di ogni cristiano: il cieco, ormai illuminato, è affascinato da Cristo e testimonia davanti a tutti la gioia di seguirne le orme. L’impegno missionario di ogni battezzato non ha confini: è rivolto alle realtà vicine, per arrivare fino ai confini del mondo.
P. Romeo Ballan, mccj

Con Gesù “lungo la strada” fino a Gerusalemme

Ger 31,7-9; Salmo 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52

Bartimeo, come tutti i giorni, siede sulla strada per ricevere dai passanti l’elemosina che gli consente di sopravvivere. Nel buio della sua cecità, egli sente il nome di Gesù e si aggrappa gridando con tutte le sue forze: “Figlio di Davide, abbi pietà di me” In quest’appellativo, (Figlio di Davide) è un implicito un riconoscimento del potere messianico di Gesù. Bartimeo corre dimenticandosi di essere cieco e gettando via il mantello, forse perché d’impaccio nella corsa. La sua fede è grande, e per questo egli si appella alla compassione del Nazareno.

Ma tra il cieco che grida e Gesù si frappone la folla che sgrida lo straccione, perché disturba e dà fastidio. Ma il cieco, cerca di superare l’ostacolo della folla gridando ancora più forte la sua invocazione. Questa insistenza del cieco ha la meglio sull’opposizione della folla, perché Gesù ascolta il suo grido. Infatti il racconto dice espressamente che Gesù si ferma ed ordina proprio a quelli che sgridavano il cieco: “chiamatelo!” tutti, volubili ed opportunisti, sono ormai disposti a fargli coraggio (“Coraggio alzati, che ti chiama”), quando lui, il coraggio se l’è già dato da sé. La reazione di Bartimeo è immediata, egli cioè si presenta a Gesù.

Può sembrare superflua la domanda che Gesù pone al cieco: “che vuoi che io ti faccia?” Con questa domanda, che rende esplicita la speranza del cieco di vedere la luce, non solo Gesù stabilisce un rapporto più immediato e personalizzato con Bartimeo, ma anche vuole renderlo protagonista del suo processo di uscita verso la luce. Ma la sua domanda nasce spontanea dalla sua condizione.

Gesù, da tutti ciò, trae una conclusione: “va, la tua fede ti ha salvato”. E’ una formula ricorrente nel Vangelo di Marco: è per esempio la stessa espressione rivolta all’emorroissa Mc5, 34). Gesù mette il complesso degli atteggiamenti del cieco sotto un comune denominatore: la fede.

Il racconto evangelico non solo segnala l’immediata guarigione del cieco, ma aggiunge: “e prese a seguirlo per la strada”. In altre parole, la guarigione del cieco Bartimeo diventa anche la sua chiamata alla sequela di Gesù. E’ una lezione per tutti quanti chiedono miracoli al Signore.

Questo racconto, infine, appare un “episodio regale”, poiché Gesù sembra voler lasciare quest’ultimo segno di potenza, prima di indossare volontariamente la debolezza in occasione della Passione. Non è un debole, ma “il forte” che si consegna nelle mani dei nemici. Indubbiamente è una “assicurazione” per tutti quelli che intendono seguire Gesù, Figlio di Davide, il Messia, salvatore.
Don Joseph Ndoum

XXX Domenica del Tempo Ordinario – anno B
Lectio divina

Gli occhi del discepolo
Mc 10, 46-52

L’evangelista Marco, che ci sta accompagnando in questo anno liturgico, ci ha fatto percorrere con Gesù l’itinerario del discepolo per “formare” il discepolo che c’è in noi. E oggi, al termine del viaggio verso Gerusalemme, avviene l’incontro decisivo con il cieco di Gerico per imparare cosa comporti seguire Gesù sulla via che lo conduce verso la sua Pasqua di morte e resurrezione.
Il viaggio di Gesù verso Gerusalemme era stato preceduto dalla guarigione del cieco di Betsaida (Mc 8, 22-26); lungo la via, Gesù ha pazientemente formato i suoi attraverso gli annunci della sua passione, morte e resurrezione, di fronte ai quali gli apostoli hanno mostrato tutta la loro “cecità” (Pietro che “non pensa secondo Dio, ma secondo gli uomini” in Mc 8,31-33; tutti gli apostoli che lungo la via avevano discusso su “chi fosse il più grande” in Mc 9,33-34; Giacomo e Giovanni che chiedono di “sedere uno alla destra e uno alla sinistra nella sua gloria” in Mc 10,35-44). Ora il cammino volge al termine. La città santa, Gerusalemme, è vicina: infatti Gerico è l’ultima città, dopo la quale, solo il deserto separa il pellegrino dalla sua meta.
Quanta cecità ha incontrato Gesù lungo il cammino!
Seguire Gesù chiede occhi che ancora i discepoli non hanno.
Il viaggio verso Gerusalemme rappresenta simbolicamente il cammino di ogni discepolo per giungere a vedere e accogliere Gesù come un Messia Crocifisso. Il discepolato, sembra dirci l’evangelista Marco, è questione di occhi per vedere “secondo Dio”, per riconoscere la via che sceglie l’amore di Dio per rivelarsi, la via della Pasqua. Seguire il Signore Gesù Cristo su questa via è la vocazione di ogni discepolo, in ogni tempo: oggi siamo quindi chiamati nuovamente a “seguire Lui lungo la strada” fino al suo capolinea, là dove potremo vedere che il “Figlio di Davide” (come lo chiama oggi il cieco di Gerico) è “il Figlio di Dio” crocifisso (come lo riconoscerà il centurione sotto la croce in Mc 15,39).
Nel Vangelo di questa domenica ci mettiamo alla scuola del cieco Bartimeo per imparare come si diventa discepoli di un Messia crocifisso e come poter andare fino in fondo nella sequela di Lui.
Al limitare del deserto, mentre “parte” da Gerico ormai diretto verso la città santa, Gesù incontra l’ultimo cieco, Bartimeo: “il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!»”.
Questo uomo non ha nulla: è un cieco e un povero. Ma va da Gesù con quello che ha: orecchi capaci di ascoltare e voce capace di gridare. E il suo grido nasce dall’ascolto (“sentendo che era Gesù cominciò a gridare”).
Non si tratta di una semplice ostinata richiesta di compassione e di misericordia, ma è anche una esplicita confessione di fede, che proclama Gesù quale «Figlio di David», cioè il Re-Messia a lungo atteso da Israele e che Dio avrebbe mandato per inaugurare il suo regno (infatti fra i segni della venuta del Messia era annoverata la guarigione dei ciechi: Is 35,5; 42,1-9). Il «Figlio di David» è il Messia, il Cristo di Dio e così sarà riconosciuto al suo ingresso a Gerusalemme: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide” (Mc 11,9-10) . È come se il cieco Bartimeo ripetesse con altre parole quanto aveva affermato Pietro all’inizio del cammino: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29). Ed ora Gesù gli apre gli occhi per vedere fino in fondo cosa questo significhi.
Aprendo gli occhi al cieco, Gesù prepara gli occhi di tutti i discepoli (Pietro, Giacomo, Giovanni, tutti gli altri apostoli e noi con loro) a vedere dentro la sua pasqua di morte e resurrezione il mistero dell’amore di Dio che si consumerà a Gerusalemme.
All’invocazione di Bartimeo, Gesù “si ferma”. E’ importante questo particolare del vangelo, perché questa è l’unica volta in cui si dice che Gesù si fermi, da quando aveva intrapreso il suo viaggio verso Gerusalemme in Mc 8,27. Il suo cammino non può proseguire senza incontrare quest’uomo. Infatti il viaggio riprenderà includendo anche Bartimeo, al seguito di Gesù.
L’incontro fra Gesù e il cieco è ora mediato dalla folla che lo segue: Gesù chiede ai presenti di chiamarlo. Qui comprendiamo il ruolo della comunità ecclesiale, che questi discepoli simbolicamente rappresentano: sono invitati a farsi ministri della chiamata di Gesù, incoraggiando il chiamato e mettendosi da parte per permettere l’incontro personale fra il Signore e il cieco («Coraggio! Àlzati, ti chiama!»); oppure possono essere un ostacolo all’incontro, cercando di mettere a tacere il grido del mendicante (come avviene all’inizio del vangelo: “molti lo rimproveravano perché tacesse”). Il Vangelo ci esorta quindi a verificare fino a che punto le nostre comunità ecclesiali sono “luoghi” che favoriscono l’incontro fra il povero che grida e il Signore.
Chiamato dalla folla, Bartimeo getta via il mantello, si alza con grande slancio e va da Gesù. Il gesto di lasciare il mantello è molto significativo in quanto il mantello era tutto per il povero: la sua unica proprietà, la sua coperta per la notte, ciò che, se prestato, doveva essere restituito prima del tramonto del sole, la sua casa. Per andare a Gesù, il cieco si spoglia di tutto ciò che potrebbe rallentare la sua corsa verso di lui, lascia ogni pur minima sicurezza, depone la sua stessa vita. “Il figlio di Timeo, Bartimeo”, si presenta nella sua nuda povertà e nella sua cecità di fronte a Gesù, il «Figlio di David».
Il gesto di gettare il mantello, lasciando quest’uomo nella sua nudità, tornerà poco più tardi nel vangelo di Marco. Infatti nel momento dell’arresto di Gesù nel Getsemani, quando tutti i discepoli lo abbandonano e fuggono, Marco ci dice che “lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggi via nudo” (Mc 14,51).
La nudità che deriva da questo gesto estremo del lasciare l’unica veste che si possiede, sembra essere la condizione necessaria del discepolo. Non dimentichiamo che in ambito biblico, la veste (o il mantello) indica l’identità della persona e quindi gettare via la propria veste corrisponde allo spogliarsi di sé (S. Paolo parlerà di “spogliarsi dell’uomo vecchio” in Ef 4,22). Si tratta di un gesto nel quale riecheggia lo stile della vita stessa di Gesù, Colui che “spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (cfr. Fil 2,7-8) e che deporrà le vesti durante l’ultima cena con i suoi per rivelare loro la via per la quale passa l’Amore (cfr. Gv 13).
Ed ecco che il mendicante Bartimeo si presenta a Gesù con una muta domanda, tutta racchiusa nella sua invocazione di misericordia: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.
Ma è Gesù che, rivolgendogli la stessa domanda che aveva fatto a Giacomo e Giovanni («Che cosa vuoi che io faccia per te?», Mc 10,36), suscita in Bartimeo l’unica richiesta propria del discepolo: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». Chiede occhi per vedere di nuovo. E sappiamo bene che gli occhi, prima di essere luce per il corpo, sono l’organo della fede dell’uomo, in quanto gli permettono di vedere e di affidarsi all’invisibile.
Non per nulla anche Saulo di Tarso scopre la sua cecità sulla via di Damasco nell’incontro con il Risorto e deve essere condotto fino a vedere di nuovo per mano di Anania (At 9; 26).
La richiesta della vista/fede è rivolta a Colui che Bartimeo chiama “suo maestro”, “Rabbunì”. Solo due volte, nei vangeli, Gesù è chiamato in questo modo: da Bartimeo e da Maria Maddalena, il mattino di Pasqua, nel giardino della resurrezione (Gv 20,16). “Rabbunì” è il nome che usa chi è riconosciuto da Lui in un rapporto di intimità, chi lo confessa come un Maestro amato, che desidera seguire.
Gesù riconosce nel cieco la fede che vede possibile ciò che nessun uomo sarebbe stato capace di fare: ridonare la vista ad un cieco. La fede di Bartimeo ha già occhi che vedono. Quindi, Gesù, invocato in questo modo, opera secondo il significato del suo nome: salva (Gesù significa infatti “Dio salva”), gli apre gli occhi perché Bartimeo possa alzarsi e mettersi in cammino sulla via della salvezza.
“E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”. Al discepolo che crede, a Bartimeo, è donata la possibilità di vedere il volto di Colui che lo ha salvato. E l’incontro diventa cammino. Infatti questo è l’unico caso del vangelo di Marco in cui Gesù permette a un “miracolato” di seguirlo. Bartimeo lo seguirà sulla strada verso Gerusalemme, su quella strada che condurrà Gesù alla passione e alla morte.
Insieme al cieco, sono risanati e rimessi in cammino anche i discepoli che non avevano accolto l’esito di quel viaggio, la Pasqua del Signore Gesù. In Bartimeo è donata a tutti i discepoli la possibilità di seguire il Maestro fino alla fine, al di là dei tradimenti o delle incomprensioni che potranno vivere.
Quindi la Parola che oggi la liturgia ci rivolge è l’invito ad andare da Gesù per ricevere da lui quegli occhi “nuovi” che ci permettano di vedere dentro la passione e la croce la gloria della resurrezione e imparare a seguirlo sulla Via che lui apre per noi, perché viviamo la nostra pasqua.
Clarisse di Sant’Agata

Credere fa bene, Cristo guarisce tutta l'esistenza 

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». 

Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Un ritratto tracciato con tre drammatiche pennellate: cieco, mendicante, solo. Un mendicante cieco: l'ultimo della fila, un naufrago della vita, un relitto inchiodato nel buio sul ciglio di una strada di Gerico. Poi improvvisamente tutto si mette in moto: passa Gesù e si riaccende il motore della vita, soffia un vento di futuro. Con il Signore c'è sempre un "dopo".

E Bartimèo comincia a gridare: Gesù, abbi pietà. Non c'è grido più evangelico, non preghiera più umana e bruciante: pietà dei miei occhi spenti, di questa vita perduta. Sentiti padre, sentiti madre, ridammi vita. Ma la folla fa muro al suo grido: taci! Il grido di dolore è fuori luogo. Terribile pensare che davanti a Dio la sofferenza sia fuori luogo, che il dolore sia fuori programma.

Eppure per tanti di noi è così, da sempre, perché i poveri disturbano, ci mostrano la faccia oscura e dura della vita, quel luogo dove non vorremmo mai essere e dove temiamo di cadere. Invece il cieco sente che un altro mondo è possibile, e che Gesù ne possiede la chiave. Infatti il rabbi ascolta e risponde, ascolta e rilancia.  

E si libera tutta l'energia della vita. Notiamo come ogni gesto da qui in avanti sembra eccessivo, esagerato: Bartimèo non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza da terra, ma balza in piedi. La fede è questo: un eccesso, un'eccedenza, un di più illogico e bello. Qualcosa che moltiplica la vita: «Sono venuto perché abbiate il centuplo in questa vita». Credere fa bene. Cristo guarisce tutta l'esistenza. 

Anzi il cieco comincia a guarire prima di tutto nella compassione di Gesù, nella voce che lo accarezza. Guarisce come uomo, prima che come cieco. Perché qualcuno si è accorto di lui. Qualcuno lo tocca, anche solo con la voce. Ed egli esce dal suo naufragio umano: l'ultimo comincia a riscoprirsi uno come gli altri, inizia a vivere perché chiamato con amore.

La guarigione di Bartimèo prende avvio quando «balza in piedi» e lascia ogni sostegno, per precipitarsi, senza vedere, verso quella voce che lo chiama: guidato, orientato solo dalla parola di Cristo, che ancora vibra nell'aria. Anche noi cristiani ci orientiamo nella vita come il cieco di Gerico, senza vedere, solo sull'eco della Parola di Dio, che continua a seminare occhi nuovi, occhi di luce, sulla terra.
(Letture: Geremia 31,7-9; Salmo 125; Ebrei 5,1-6; Marco 10, 46-52)
Ermes Ronchi 
(tratto da www.avvenire.it)

Di seguito il commento di Enzo Bianchi

“La tua fede ti ha salvato”

Con il brano che leggiamo in questa domenica il vangelo secondo Marco conclude il racconto della salita di Gesù a Gerusalemme, ossia l’itinerario del discepolato durante il quale Gesù ha dato insegnamenti, ha formato quanti lo seguivano, nella consapevolezza che giunti a Gerusalemme sarebbe avvenuta “la fine del profeta”, mediante la sua condanna a morte. Subito dopo Gesù entrerà nella città santa, scortato festosamente e acclamato figlio di David, cioè Messia (cf. Mc 11,7-11), evento in qualche modo anticipato nella nostra pagina.

Siamo a Gerico, la porta della Giudea a oriente. Mentre non solo i discepoli ma molti altri seguono Gesù, un cieco che porta il nome di Bar-Timeo (figlio di Timeo), un uomo marginale, ridotto a mendicare sulla strada, uno “scarto” di cui nessuno si prende cura, sente dire che sta per passare Gesù di Nazaret. Essendo cieco, non l’aveva ovviamente mai visto, né l’aveva incontrato, ma la fama di questo rabbi galileo l’aveva raggiunto. Nel suo cuore era certamente presente almeno il desiderio di vedere, la speranza di avere la vista, per poter uscire dalla notte.

Udito che Gesù sta passando, inizia dunque a gridare: “Figlio di David, Gesù, abbi pietà di me!”. In questo grido vi è una grande spontaneità, vi è la sua fede giudaica nel Messia veniente, vi è l’attesa di una guarigione, della salvezza, vi è la forza di gridare e di farsi sentire, nella personale convinzione che quel rabbi può fare qualcosa per lui, dunque è un maestro capace di cura e di amore verso chi incontra.

Ma allora come adesso tra Gesù e chi lo cerca ci sono altri: qui è la folla, in altri casi sono i discepoli stessi, cioè la sua comunità, a diventare ostacolo, barriera tra Gesù e chi desidera incontrarlo. Attenzione, ciò accade anche per sante ragioni: paura di disturbare il maestro, volontà di proteggerlo dagli assalti della gente… Bartimeo, però, non desiste, si mette a gridare più forte, e così la sua invocazione raggiunge Gesù. Questi si ferma e lo manda a chiamare.

Ciò avviene puntualmente, con le parole che tante volte i discepoli di Gesù avevano udito durante i suoi incontri con chi si trovava nella sofferenza o nel peccato: “Coraggio, alzati!”. Nell’invito espresso con “Coraggio!” (cf. Mt 9,2-22; 14,27; Mc 6,50) c’è il cuore di Gesù, che dice innanzitutto: “Coraggio, non temere, abbi fiducia!”.

Questo il primo atteggiamento necessario all’incontro con Gesù: occorre uscire dal timore, dalla sfiducia, dalla mancanza di attesa, dalla visione di se stessi come non degni di essere da lui amati. A quel punto si tratta di alzarsi – verbo egheíro, che esprime anche il risorgere (cf. Mc 5,41; 6,14.16; 12,26; 14,28; 16,6)! – dal giaciglio alla postura dell’uomo che ha speranza (homo spe erectus).

Una volta in piedi, si può ascoltare e comprendere che il Signore chiama ciascuno in modo personalissimo e pieno di affetto (“Chiama te”). Quel cieco, allora, “getta via il suo mantello, balza in piedi e viene da Gesù”. È un povero che non ha nulla, se non il mantello, segno della sua identità di escluso, unica sua inalienabile proprietà (cf. Dt 24,13). Gettandolo, si spoglia di ogni pur minima sicurezza, per stare in piedi di fronte a Gesù.

Quest’ultimo non presume il bisogno di chi lo ha invocato, non si rivolge a lui in modo meccanico e anonimo, ma proprio per conoscere dalle sue parole il bisogno che lo abita gli domanda: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E Bartimeo risponde: “Rabbunì, mio grande maestro, che io veda di nuovo!”. La preghiera è desiderio espresso davanti a Gesù, e Bartimeo desidera vedere, ben oltre la semplice visione con gli occhi: vuole vedere anche con il cuore, vuole vedere nella fede, vuole essere nella luce e non nella tenebra…

Di fronte a questa preghiera Gesù allora replica: “Va’, la tua fede ti ha salvato”, parole che egli ha ripetuto spesso di fronte a chi gli chiedeva salvezza (cf. Mc 5,34 e par.; Lc 7,50; 17,19; 18,42). “Va’”, cioè “non essere più paralizzato dalla cecità, rimettiti in cammino, cammina nella luce, perché la tua fede, cioè la tua fiducia nel cercare, nel chiedere, in questo sconosciuto che sono io”, dice Gesù, “ti ha salvato”. Straordinario, Gesù non dice: “Io ti ho salvato”, bensì: “La tua fede ti ha salvato”. Guarigione non solo fisica quella di Bartimeo, ma salvezza che lo investe interamente: infatti, “subito si mette a seguire Gesù lungo la strada”.

Si pone alla sequela di Gesù, come i discepoli che sempre lo seguono (cf. Mc 1,18; 2,14.15; 5,37, 6,1; 8,34; 10,21.28.32; 11,9; 14,51.54; 15,41), vanno dietro a lui (cf. Mc 1,17.20; 8,33.34). Colui che era cieco, ai bordi della strada, mendicante, dopo l’incontro con Gesù è capace di seguirlo come un discepolo, verso Gerusalemme. Di più, il suo grido rivolto a Gesù – “Figlio di David!” – subito dopo viene ripreso dalla folla, durante l’ingresso di Gesù nella città santa: “Benedetto il Regno veniente di David nostro padre!” (Mc 11,10). Si potrebbe dire che è questo cieco ad aver intonato per primo le grida di gloria nei confronti di Gesù…

Questo episodio è molto di più di un semplice racconto di miracolo, come il lettore di Marco può ormai capire. Gesù sta per entrare nella città santa per la sua passione e morte, ma i suoi Dodici discepoli lungo tutto quel cammino sono rimasti ciechi. Ascoltavano le sue parole ma non capivano, mostrando di essere ben lontani dal vedere gli eventi come li vedeva Gesù: prima Pietro (cf. Mc 8,32), poi tutti e Dodici (cf. Mc 9,34), infine Giacomo e Giovanni (cf. Mc 10,35-37) sono sembrati ciechi di fronte a ogni rivelazione fatta loro da Gesù.

Ma ora ogni lettore può identificarsi con questo cieco di Gerico; deve solo prendere coscienza della propria cecità, gridare al Signore: “Abbi pietà di me!” e avere fede che egli può strapparlo dalla tenebra e fargli vedere ciò che i suoi occhi non riescono a vedere. Sì, in quel mettersi in cammino dietro a Gesù, Bartimeo è per noi più esemplare dei Dodici.

E allora? Ognuno di noi si metta davanti al Signore Gesù e, guardando a lui con fede e attesa, si scoprirà non vedente. Allora abbia la forza e il coraggio di gridargli solo: “Signore, abbi pietà di me”, “Kýrie eleison”, questa invocazione brevissima eppure così completa rivolta a lui, con piena fiducia che egli può salvarci. 
(tratto da
www.monasterodibose.it)