"Amare Dio e amare il prossimo" è la formula sintetica nella quale si riassume il messaggio cristiano, e costituisce il tema principale di questa domenica (4 novembre 2018). Al commento del decalogo nella prima lettura dal Deuteronomio, il discorso di Mosè ruota attorno a quattro verbi: temere, osservare, ascoltare, ed amare.

L’amore che vale più dei sacrifici

Deuteronomio 6,2-6; Salmo 17/18; Ebrei 7,23-28; Marco 12,28-34

"Amare Dio e amare il prossimo" è la formula sintetica nella quale si riassume il messaggio cristiano, e costituisce il tema principale di questa domenica. Al commento del decalogo nella prima lettura dal Deuteronomio, il discorso di Mosè ruota attorno a quattro verbi: temere, osservare, ascoltare, ed amare. Il primo (temere) corrisponde a "credere" nel senso del riconoscimento dell'assoluta sovrana ed unica signoria di Dio che abbraccia tutta la vita o esistenza del credente: egli deve quindi osservare (secondo verbo) tutte le leggi del Signore e tutti i suoi comandamenti per tutti i giorni.

Questa osservanza ricolma la vita della benedizione di Dio. Il terzo verbo (ascoltare) riassume l'atteggiamento di fede di chi entra a far parte dell'alleanza con Dio. Si tratta dell'attenzione alla Parola di Dio e dell'impegno a metterla in pratica. Anche questo gesto comporta la promessa di una benedizione (la felicità), soprattutto quando ascoltare la Parola di Dio vuol dire imprimerla e conservarla per sempre nel cuore. Il verbo "ascoltare" viene esplicitato e commentato mediante il quarto verbo (amare): "tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze". L'amore è inteso qui come un rapporto radicale e irreversibile con Dio. Questo grado o livello d'impegno e di alleanza viene appunto espresso mediante la triplice ripetizione di "tutto" che abbraccia le tre dimensioni dell'essere umano (cuore, anima, forza).

Nella pagina evangelica il comando dell'amore a Dio viene accosto a quello dell'amore al prossimo come si stessi. La domanda ("quale il primo di tutti i comandamenti?") nasce certamente da un esigenza particolarmente sentita nell'ambiente giudaico.

Si tratta infatti della ricerca di un modo migliore per piacere a Dio. Cristo risponde allora allo scriba unendo insieme due passi del Pentateuco. Il primo (Dt6, 4) è l'inizio della "shema Israel" (dalle Parole iniziali: Ascoltare, Israele!), una professione di fede con cui ogni israelita apriva e chiudeva la giornata: "Il Signore Dio nostro è l'unico Signore, amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il cuore”. Il secondo è tratto dal Levitico19, 18: E il secondo è questo. “Amerai il prossimo tuo come te stesso".

Gesù riassume la sua posizione con una frase che sottolinea il ruolo unico e fondamentale di questi due comandamenti: "non c'è altro comandamento più importante di questi". La novità della risposta di Gesù è l'accostamento del principio dell'alleanza al comandamento relativo all'amore del prossimo. Bisogna amare Dio con un amore che scaturisca dal centro della persona ed investa tutte le facoltà (cuore, anima, forza). La risposta reciproca dell'uomo all'amore di Dio deve quindi essere completa, totale e deve considerare l'attenzione verso il prossimo come un valore essenziale per piacere a Dio.
Don Joseph Ndoum

L’amore sfocia e si concretizza nella Missione
Deuteronomio  6,2-6; Salmo  17; Ebrei  7,23-28; Marco  12,28-34

Riflessioni
Nel labirinto di leggi e prescrizioni, norme e precetti contenuti nelle Scritture sacre, i rabbini avevano catalogato ben 613 comandamenti, fra precetti e divieti. Li avevano suddivisi minuziosamente in: 248 precetti positivi (cioè azioni da compiere, tante quante le ossa del corpo umano), e in 365 precetti negativi (azioni da evitare, tante quante i giorni dell’anno). Bisognava osservarli tutti, anche se alcuni precetti erano considerati gravi ed altri leggeri. Le donne  -non si capisce bene perché-  erano dispensate dai 248 precetti positivi. Era difficile impararli tutti e ancor più osservarli. Nell’intento di una semplificazione, alcune scuole rabbiniche discutevano pedantemente quali fossero i precetti più importanti: per alcuni, il comandamento di ‘non avere altri dei’; per altri, l’osservanza del sabato; altri si affidavano all’opinione del maestro Hillel: “Ciò che non desideri per te, non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la legge, il resto è solo commento”. La domanda posta a Gesù non era retorica o scontata, ma una domanda-trabocchetto.

In tale contesto si inserisce il dialogo fra lo scriba e Gesù circa “il primo di tutti i comandamenti” (Vangelo, v. 28). Siamo davanti a un modello di dialogo, che si basa sulle fonti e si conclude con una coincidenza dottrinale e con un apprezzamento mutuo: “hai detto bene”, “aveva risposto saggiamente”, “non sei lontano dal Regno di Dio” (v. 32.34). Al di là della forma, è più importante il contenuto. Gesù, seguendo la più pura tradizione biblica (I lettura), pone all’inizio di tutto il cammino del credente l’ascolto di Dio, l’unico Signore: “Ascolta, Israele...” (shemà, Israel), (v. 3.4). La fede è anzitutto ascolto e adesione: il discepolo ascolta e crede, si abbandona al suo Dio amandolo con tutto se stesso (cuore, mente, anima, forze…). Ma Gesù, senza esserne richiesto, associa al primo un secondo comandamento: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18; Mc 12,31). Il prossimo da amare è anche il forestiero, l’orfano, la vedova e l’indigente, quei cittadini cioè che non hanno alcun « difensore ».

Numerosi testi del Nuovo Testamento (i tre evangelisti sinottici, Giovanni, Paolo...) sottolineano la somiglianza dei due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo sulla base comune dell’amore. Anzi, la sintesi dei comandamenti si concentra nell’amore del prossimo: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri” (Gv 15,17); il distintivo di riconoscimento dei discepoli di Gesù ormai è il comandamento nuovo: “Se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34.35). Per San Paolo “tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Gal 5,14); pieno compimento della legge è l’amore” (Rom 13,10).

Il motore della vita del cristiano è l’amore. Perché “Dio è amore” (1Gv 4,16). Il cristianesimo non è una religione a base di divieti o di teorie, è anzitutto un cammino di amore. I riti e i sacrifici sono secondari rispetto al comandamento dell’amore: amare vale di più (Mc 12,33). “Ama, e fa quello che vuoi”, come si esprimeva S. Agostino. Il cristianesimo è un cammino di vita; un amore che si dona sino alla fine (Gv 13,1); un amore che si fa missione e servizio fino a donare la vita in riscatto per gli altri (Mc 10,45). Perché tutti abbiano vita in abbondanza (Gv 10,10): i vicini e i lontani, soprattutto i poveri e i deboli. Per la gioia di tutti: amici e nemici. Come Gesù, che ha offerto se stesso e ora è vivo per intercedere (II lettura), anche il cristiano si offre per gli altri. Dalla conoscenza ed esperienza del Dio-Amore, rivelato in Cristo, nasce l’annuncio missionario a tutti.

È doverosa l’applicazione ecclesiale e missionaria del comandamento dell’amore, come l’ha fatta il card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo emerito di Milano: “Ritengo quanto mai appropriata e stimolante la rilettura ecclesiologica del comandamento biblico dell’«ama il prossimo tuo come te stesso», che con rigorosa logica si declina così: «ama la parrocchia altrui come la tua, la diocesi altrui come la tua, la Chiesa di altri Paesi come la tua, l’aggregazione altrui come la tua, ecc.». Sto forse esagerando e rifugiandomi in una specie di sogno, o non piuttosto confessando la bellezza e l’audacia della nostra fede? Non ci sono dubbi: nel mysterium Ecclesiae ciò è possibile, ciò è doveroso: non solo nell’intenzione e nella preghiera, ma anche nella concretezza dell’azione. Rilevo come proprio a questo livello quotidiano possiamo cogliere l’intimo e inscindibile legame tra comunione e missione, tra missione e comunione. Sono assolutamente inseparabili: simul stant vel cadunt (insieme si reggono in piedi o cadono)”.

P. Romeo Ballan, MCCJ

Marco 12, 28-34

L’unica misura dell’amore è amare senza misura
Ermes Ronchi

Qual è, nella Legge, il più grande comandamento? Lo sapevano tutti in Israele qual era: il terzo, quello che prescrive di santificare il Sabato, perché anche Dio lo aveva osservato (Genesi 2,2).
La risposta di Gesù, come al solito, spiazza e va oltre: non cita nessuna delle dieci parole, ma colloca al cuore del Vangelo la stessa cosa che sta nel cuore della vita: tu amerai. Un verbo al futuro, come per un viaggio mai finito… che è desiderio, attesa, profezia di felicità per ognuno.
Il percorso della fede inizia con un «sei amato» e si conclude con un «amerai». In mezzo germoglia la nostra risposta al corteggiamento di Dio.
Amerai Dio con tutto il tuo cuore e il prossimo tuo come te stesso. Gesù non aggiunge nulla di nuovo: la prima e la seconda parola sono già scritte nel Libro. La novità sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, la prima. L’averle separate è l’origine dei nostri mali, dei fondamentalismi, di tutte le arroganze, del triste individualismo.
Ma amare che cosa? Amare l’Amore stesso. Se amo Dio, amo ciò che lui è: vita, compassione, perdono, bellezza; ogni briciola di pane buono, un atto di coraggio, un abbraccio rassicurante, un’intuizione illuminante, un angolo di armonia. Amerò ciò che Lui più ama: l’uomo, di cui è orgoglioso.
Ma amare come? Mettendosi in gioco interamente. Lasciando risuonare e agire la forza di quell’aggettivo «tutto», ribadito quattro volte. Il tutto di cuore, mente, anima, forza. Noi pensiamo che la santità consista nella moderazione delle passioni. Ma dov’è mai questa moderazione nella Bibbia? L’unica misura dell’amore è amare senza misura.
Amerai con tutto, con tutto, con tutto… Fare così è già guarigione dell’uomo, ritrovare l’unità, la convergenza di tutte le facoltà, la nostra pienezza felice: «Ascolta, Israele. Questi sono i comandi del Signore… perché tu sia felice» (Deuteronomio 6,1-3). Non c’è altra risposta al desiderio profondo di felicità dell’uomo, nessun’altra risposta al male del mondo che questa soltanto: amerai Dio e il prossimo.
Per raccontare l’amore verso il prossimo Gesù regala la parabola del samaritano buono (Luca 10,29-37). Per indicare come amare Dio con tutto il cuore, non sceglie né una parabola, né una immagine, ma una donna, Maria di Betania «che seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola» (Luca 10, 38). Gesù ha trovato che il modo di ascoltare di Maria fosse la «scelta migliore», la più idonea a raccontare come si ami Dio: come un’amica che siede ai suoi piedi, sotto la cupola d’oro dell’amicizia, e lo ascolta, rapita, e non lascerà cadere neppure una delle sue parole. Amare Dio è ascoltarlo, come bambini, come innamorati.

Il primo comandamento 
Enzo Bianchi

Uno scriba che ha appena ascoltato la discussione di Gesù con i sadducei a proposito della resurrezione dei morti (cf. Mc 12,18-27) e ha apprezzato la sua sapienza, si avvicina a lui per chiedergli: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”. Domanda che nasce da un’esigenza assai diffusa nell’ambiente religioso del tempo di Gesù: operare una sintesi dei precetti di Dio presenti nella Torah (613, secondo il Talmud babilonese), così da giungere all’essenziale, a ciò che costituisce l’intenzione profonda del cuore di Dio, della sua offerta di vita e di senso a tutta l’umanità.

Gesù risponde citando come primo comandamento l’inizio dello Shema‘Jisra’el (cf. Dt 6,4-9) ossia la grande professione di fede nel Signore Dio ripetuta tre volte al giorno dal credente ebreo, centrale in tutta la tradizione rabbinica: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è uno. Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze” (Dt 6,4-5). Questa preghiera rivela che l’ascolto ha un primato assoluto, è la modalità di relazione decisiva dell’uomo nei confronti di Dio: l’ascolto obbediente è il fondamento dell’amore. Anzi, le parole del Deuteronomio riprese da Gesù sembrano addirittura tracciare un movimento che dall’ascolto (“Ascolta, Israele”) conduce alla fede (“Il Signore è il nostro Dio”), dalla fede alla conoscenza (“Il Signore è uno”) e dalla conoscenza all’amore (“Amerai il Signore”)… Al Dio che ci ama di un amore eterno (cf. Ger 31,3), che ci ama per primo gratuitamente (cf. 1Gv 4,19), si risponde con un amore libero e pieno di gratitudine, che si radica nell’ascolto obbediente della sua Parola, fonte della fede. Fidarsi di Dio significa fidarsi del suo amore della sua capacità di amare, del suo essere amore (cf. 1Gv 4,8.16). Questo significa credere in Dio e dunque anche, inseparabilmente, amarlo.

Qui possiamo e dobbiamo approfondire la nostra meditazione, chiedendoci cosa significhi amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Che amore è mai questo verso un tu invisibile, “tre volte santo” (cf. Is 6,3), cioè altro, distinto da chi ama? Nella tradizione cristiana incontriamo almeno due risposte diverse a tale questione. In Agostino e in una lunga tradizione spirituale dietro a lui, l’amore verso Dio da parte del credente è un amore di desiderio, un sentimento, una dinamica per cui il credente va alla ricerca dell’amore e dunque ama l’amore. Il linguaggio di questo amore è sovente quello presente nel Salterio:

Io ti amo,Signore,mia forza, Signore, mia rupe, mia difesa, mio liberatore (Sal 18,2-3).
L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente (Sal 42,3).
La mia anima ha sete di te, a te, mio Dio, anela la mia carne (Sal 63,2).

Sì, Dio è oggetto di amore da parte dell’essere umano, perché è il “tu” che con il suo amore preveniente desta l’amore del credente come risposta; l’amore per Dio può essere un amore più forte di quello nutrito per se stessi o per qualche altra persona. Si faccia però attenzione: non si tratta di un amore totalitario che esclude altri amori, ma è un amore appassionato, un amore in cui non c’è timore (cf. 1Gv 4,18). In breve, un amore che supera e ri-orienta tutti gli altri amori.

Ma nella spiritualità cristiana è presente anche un’altra interpretazione dell’amore per Dio. È quella che legge nell’amore per Dio un amore obbediente, nel senso di un amore che nasce dall’ascolto (ob-audire), di un amore che risponde “amen” alla parola del Signore e all’amore stesso del Signore sempre preveniente. È un amore non di desiderio, di ricerca, di nostalgia, ma di adesione; è un amore con cui il credente cerca di realizzare pienamente la volontà di Dio, cerca di vivere come vuole il suo Signore e così mostra di amarlo. Ci sono parole di Gesù anche a questo proposito: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (Gv 14,15); “se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23). E ancora, nella Prima lettera di Giovanni: “Questo è l’amore di Dio, osservare i suoi comandamenti” (1Gv 5,3). In questa seconda ottica l’accento cade quindi sull’amore del prossimo comandato da Dio: realizzare questo comando, sintesi di tutta la Legge e i Profeti (cf. Rm 13,10; Gal 5,14), significa amare Dio. Dunque amare Dio è innanzitutto amare l’altro come Dio lo ama, perché – come ha chiarito una volta per tutte il discepolo amato – “chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20).

È in questo senso che possiamo comprendere la decisiva innovazione compiuta da Gesù, il quale accosta il comandamento dell’amore per Dio a quello dell’amore per il prossimo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18). L’innovazione consiste per l’appunto nell’abbinamento di questi due passi della Torah, dato senza paralleli nella letteratura giudaica antica, ripreso invece con frequenza dai successivi scritti cristiani. Basti pensare al brano di un antichissimo scritto cristiano delle origini, la Didaché: “La via della vita è questa: innanzitutto amerai il Dio che ti ha plasmato e poi il prossimo tuo come te stesso; e tutto ciò che non vorresti fosse fatto a te, neppure tu fallo a un altro” (1,2).

È importante riflettere sulla novità a livello dei contenuti della fede che questo accostamento di passi biblici porta con sé. È indubbio che Gesù stabilisca una precisa gerarchia tra i due precetti, ponendo l’amore per Dio al di sopra di tutto. Nello stesso tempo, però, risalendo alla volontà del Legislatore, egli discerne che amore di Dio e del prossimo sono in stretta connessione tra loro: la Legge e i Profeti sono riassunti e dipendono dall’amore di Dio e del prossimo, non l’uno senza l’altro. Non a caso nella versione di Matteo il secondo comandamento è definito simile al primo (cf. Mt 22,39), mentre l’evangelista Luca li unisce addirittura in un solo grande comandamento: “Amerai il Signore Dio tuo … e il prossimo tuo” (Lc 10,27). In altre parole, se è vero che ogni essere umano è creato da Dio a sua immagine (cf. Gen 1,26-27), non è possibile pretendere di amare Dio e, contemporaneamente, disprezzare la sua immagine sulla terra: ecco la profonda unificazione del pensare, parlare e agire alla quale Gesù invita. Una comprensione riassuntiva delle sante Scritture porta dunque Gesù – il cui parere è condiviso dal suo interlocutore – ad affermare che l’uomo compiuto, l’uomo “non lontano dal regno di Dio” è colui che, amando Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze sa amare il prossimo come se stesso. E il prossimo è colui al quale ci facciamo prossimi, vicini, come Gesù ha affermato a commento della parabola del samaritano (cf. Lc 10,36-37).

Nel quarto vangelo, quando dà l’ultimo e definitivo comandamento, che per questo si chiama “il comandamento nuovo”, Gesù compie un ulteriore passo avanti: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 13,34; 15,12), ossia senza misura, “fino alla fine” (Gv 13,1). In questa ardita sintesi, Gesù non ha neppure esplicitato la richiesta di amare Dio, perché sapeva bene che quando gli umani si amano in verità, quando si amano come lui li ha amati, nel fare questo vivono già l’amore di Dio. Ecco perché l’apostolo Giovanni, che nel prologo del vangelo ha scritto: “Dio nessuno l’ha mai visto, ma il Figlio unigenito lo ha raccontato” (Gv 1,18), è lo stesso che nella sua Prima lettera afferma: “Dio nessuno l’ha mai visto, ma se ci amiamo gli uni gli altri Dio dimora in noi e in noi il suo amore è giunto a pienezza” (1Gv 4,12). Amando gli altri noi amiamo anche Dio e ne abbiamo una conoscenza autentica, mentre chi dice di credere in Dio senza amare i fratelli è un illuso e un bugiardo (cf. 1Gv 4,20-21)!

Gesù ha vissuto la sua intera esistenza come capolavoro d’amore e in questo ha compiuto pienamente la volontà di Dio, è stato “l’uomo secondo il cuore di Dio”. Così facendo ha tracciato una via ben precisa per chi vuole seguirlo, semplificando all’estremo il cammino per andare a Dio: il comandamento che deve orientare la vita del cristiano è quello dell’amore per tutti, fino ai nemici (cf. Mt 5,44). Sì, l’amore concreto e quotidiano per i fratelli e le sorelle è il segno da cui si riconoscono i discepoli di Gesù Cristo, i cristiani, come ha indicato una volta per tutte Gesù stesso: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
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XXXI Domenica del Tempo Ordinario (B)
Lectio

L’amore único

Il brano di Vangelo che la liturgia ci dona in questa Domenica è al termine di una sezione in cui Gesù ha conosciuto diverse controversie. In tutte svolge un ruolo fondamentale l’interpretazione della Scrittura. Attraverso l’uso che Gesù fa della Scrittura Marco costruisce un cammino per avere una chiave di lettura della passione, morte e risurrezione di Gesù. Nel mistero pasquale Gesù si rivela come messia che porta a compimento le Scritture e in questo compimento c’è la rivelazione definitiva di cosa significhi che il Signore, che è il nostro Dio, Signore è uno, è l’unico. Questa serie di controversie termina non con un conflitto ma con un incontro fra due uomini che condividono una ricerca spirituale: non “qual è il primo di tutti i comandamenti” ma “il primo comandamento di tutto”, ossia qual è la volontà Dio obbedendo alla quale si obbedisce con intelligenza ai singoli comandamenti? In questo testo c’è un reale dialogo in cui ciascuno degli interlocutori dà il suo contributo e arricchisce la comprensione dell’altro.

“Qual è il primo di tutti i comandamenti?”. Gesù risponde subito chiaramente: Il primo è: Ascolta Israele, il Signore nostro Dio è l’unico Signore. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Marco è l’unico evangelista che raccontando questo incontro riporta tutto il comandamento, anche la prima parte. Prima di dire il comandamento Gesù dice la fede fondamentale del popolo di Israele: “Ascolta Israele: il Signore nostro Dio è l’unico Signore”. Intanto “Ascolta” è l’unico imperativo che c’è in questo testo del Deuteronomio e potremmo quasi tradurre: “Ascolta Israele: il Signore è uno. Se hai ascoltato veramente questo, ed è vero questo per te, allora sicuramente tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forse e con tutta la tua anima”. La decisione di amare nasce quindi dall’ascolto e dal riconoscimento che Lui è l’unico e per questa sua unicità, l’amore per Lui prende il tutto di noi. Questa è l’unica certezza: Dio è l’unico, e allora avviene tutto il resto. Affermano il primato dell’ascolto nell’esperienza di fede e dell’amore.

Il Dio che comanda l’amore, comandando l’ascolto crea in noi l’amore, produce in noi l’atteggiamento fondamentale che rende possibile amare Dio custodendo le sue parole e amare l’altro custodendo la sua differenza. Il primo atto di amore verso l’altro è ascoltarlo. L’amore per il prossimo comincia con l’imparare ad ascoltarlo e, dunque, imparare dall’altro. L’ascolto come primo atto della vita interiore richiede di essere capaci di silenzio. E’ vero però anche un altro lato da cui interpretare queste parole: questo ascolto che il Signore è il nostro Dio, questo comandamento, che è l’unico, può essere conosciuto solo da chi ama. Cioè solo nel momento in cui lo ami, lo conosci. Solo nell’amore, solo amandolo lo possiamo conoscere. Anzi, amandolo lo possiamo riconoscere: l’amore proprio come ermeneutica della conoscenza, come luogo della conoscenza vera di Lui, come luogo  del riconoscimento vero che Lui è il Signore.

“Il Signore è nostro Dio. Amerai il Signore tuo Dio”. Prima di tutto il Signore è il Signore di un popolo, il Dio nostro. E io lo devo amare come mio Dio, dentro il fatto che è il nostro Dio. Cioè questo amore “mio” deve essere dentro l’amore “nostro”. Non si tratta di una esperienza personale, è una esperienza personale che acquista il suo significato, acquista tutto il suo spessore, il suo senso solo nel momento in cui è nostra. Quindi è un amore scoperto dentro l’esperienza di un popolo. Un amore che diventa certo per me, perché è certo per noi.

“tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua  anima. Con tutta la tua mente e con tutte le tue forze.” L’ascolto e il riconoscimento dell’unicità di Dio aprono il cuore del credente ad un amore pieno.

Quindi è un amore, una adesione assolutamente totale, onnicomprensiva di tutta la persona: spirito anima e corpo, si può dire. Cioè una adesione che non può se non essere onnicomprensiva, perché Lui è l’unico, quindi tu non puoi lasciare qualcosa indietro per altri. Lui è l’unico.

“Il secondo è questo amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi” Gesù fa di due comandamenti uno solo perché per Lui l’amore di Dio e del prossimo è l’unico amore e un unico amore. Gesù aggiunge questo amore che è dentro l’amore di Dio perché Dio è anche il Dio del mio prossimo. Però è un altro tipo di amore. E questo deve essere molto chiaro, perché il Signore nostro Dio è l’unico. Dio è uno, cioè non ci sono altri dei. Il criterio dell’amore del prossimo, l’orientamento per l’amore del prossimo è verso se stessi. Per amare il prossimo occorre la verità su se stessi. E qual è la verità su se stessi? Che siamo creature e che siamo peccatori. Cioè è quella verità di noi che avviene davanti a Dio. E allora ciò che mi dò in quanto creatura di Dio, ciò che vivo in quanto creatura di Dio, quindi il lasciarmi amare, quindi la preghiera, la supplica, il ringraziamento, il ricevere  continuamente la vita da un altro, questo devo dare al prossimo. Di questo dev’essere fatto l’amore del prossimo. Allora è questo ciò di cui dev’essere fatto l’amore per il prossimo.

Dentro il rapporto con Dio io conosco il suo essere per noi, e da lì imparo l’essere per il fratello.

“Vedendo che gli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: non sei lontano dal regno di Dio.” Gesù riconosce la bontà e la bellezza di questo scriba senza nome. Però gli dice “non sei lontano”. Che cosa gli manca ancora? L’unica cosa che manca allo scriba è il riconoscimento di Gesù: c’è l’amore di Dio, c’è l’amore del prossimo, però ancora sei lontano dal regno di Dio finchè non riconosci che Gesù è il Signore e quindi entri ed aderisci alla sequela di Lui.

Il regno atteso accade nella morte di Gesù. Gesù sulla croce compie lo shemà. Gesù muore sulla croce amando Dio con tutto il cuore, senza rivolta contro Dio ma chiedendo la sua presenza; Gesù muore amando Dio con tutta la sua forza accettando l’estrema debolezza di chi è privato di ogni minimo segno di forza e dignità, persino del vestito; Gesù muore sulla croce  amando Dio con tutta la sua vita, restando fedele al Dio che lo abbandona fino a consegnare a lui la vita. Gesù muore in croce consegnando se stesso amando noi uomini, in un atto di amore totale per il prossimo. La croce è l’interpretazione cristiana dello shemà e indica il punto più alto dell’amore di Dio e del prossimo. Il nome del Signore ora è proclamato su Gesù; ora è Gesù che occorre ascoltare (Mc 9,7). Per questo l’interprete della Scrittura proclamando la superiorità dell’amare il prossimo sui sacrifici non è lontano dal Regno, ma deve attendere la sua manifestazione nella morte di Gesù. Il corpo di Gesù diventa il nuovo spazio di culto e la comunità, mediante l’amore fraterno, il perdono, il servizio reciproco del lavarsi i piedi, obbedisce al comandamento primo.
Clarisse di Sant’Agata