Il Vangelo di questa domenica (Gv 6,1-15) è un forte richiamo alla compassione per un mondo che spesso manca del necessario per vivere, così che il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci sollecita il nostro intervento, come ha fatto Gesù con gli apostoli, quando disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”, ed era una folla numerosa: “circa cinquemila uomini, senza contare le donne ed i bambini”. La sollecitazione di Gesù è necessaria anche per noi oggi, bloccati spesso dalla paura di non farcela, di non riuscire a rispondere ai molteplici bisogni del mondo.
Anche noi, frenati da quei “cinque pani e due pesci”, ci sentiamo dire da Gesù: “portatemeli qui”. Consegnati a Lui diventano abbondanza per un’azione misteriosa della Provvidenza. È necessario però credergli, lasciando che sia lui ad agire. A noi è chiesto di fare quello che possiamo fare, niente di più se non collaborando con lui nella distribuzione. È proprio questa collaborazione che diventa solidarietà e forza di abbondanza nell’amore verso coloro che sono in particolari situazioni di disagio sociale e lavorativo.
Cinque pani e due pesci, la ricetta del miracolo!
“Questi è davvero il profeta”.
Giovanni 6,1-15
Con questa domenica la liturgia interrompe la lettura del vangelo di Marco, quando eravamo arrivati al racconto della moltiplicazione dei pani, per inserire la lettura della versione giovannea di questo miracolo. Durante cinque domeniche ascolteremo il capitolo 6 del vangelo di Giovanni, il capitolo più lungo e uno dei più densi dei quattro vangeli. La moltiplicazione dei pani è l'unico miracolo che viene raccontato da tutti i vangeli. Lo troviamo sei volte, addirittura, perché viene raddoppiato in Marco e Matteo. Questo ci fa capire l'importanza che i primi cristiani hanno dato a questo evento, così sensazionale.
Il capitolo 6 di Giovanni è particolarmente ricco e profondo dal punto di vista simbolico. Questo “segno” (così chiama Giovanni i miracoli) è meditato ed elaborato con grande cura, come d'altronde egli fa con tutti i sette “segni” che raccoglie nel suo vangelo. Al centro del racconto troviamo il “pane”, menzionato 21 volte (su 25 in tutto il vangelo di Giovanni). Nel sottofondo della narrazione, e del discorso che ne segue nella sinagoga di Cafarnao, troviamo il riferimento all'eucaristia. Ricordiamo che Giovanni non racconta l'istituzione dell'eucaristia, rimpiazzata dalla lavanda dei piedi. Egli presenta qui la sua meditazione sull'eucaristia.
Il rischio del riduzionismo
Prima di accostarci al testo, mi pare opportuno sottolineare la necessità di evitare alcuni possibili riduzionismi:
1) Concentrare la nostra attenzione quasi esclusivamente sull'aspetto miracoloso, cioè, sulla dimensione storica, sul “fatto” in sé. I quattro evangelisti ne danno versioni con dettagli assai diversi. Questo ci fa capire che ognuno di essi ne fa già una rilettura in funzione della propria comunità, per cui il “fatto” viene intrecciato con la sua interpretazione catechetica;
2) Ritenere dal racconto solo la dimensione simbolica, svuotando il “segno” del suo riferimento storico, riducendolo così ad una “parabola”. Senza la veracità del miracolo non si spiega perché gli evangelisti e la prima comunità cristiana abbiano dato tanta importanza a questo “segno”;
3) Interpretare il racconto esclusivamente in chiave eucaristica. Tutti gli evangelisti collegano il miracolo all'eucaristia, ma la narrazione ha una portata più ampia e più ricca. Nel testo di Gv 6 il riferimento esplicito all'eucaristia appare solo verso la fine del discorso di Gesù;
4) Fare una lettura univoca del testo, cioè, solo “religiosa” (il miracolo come figura del cibo spirituale), o unicamente “materiale” (come un semplice invito alla condivisione e alla solidarietà).
Alcuni elementi simbolici
1) La nuova Pasqua. “Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei”. Il riferimento alla Pasqua non è solo una annotazione temporale, ma ha una portata simbolica. Questa “grande folla” non va più verso Gerusalemme per celebrare la Pasqua, ma verso Gesù. Egli è la nuova Pasqua che dà inizio all'esodo definitivo della nostra liberazione.
2) Il nuovo Mosè. “Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli”. Questo salire sul monte (prima con i discepoli e poi da solo) ci ricorda Mosè. L'accostamento è ancora più evidente se teniamo conto che subito dopo segue il racconto di Gesù che cammina sul mare (6,16-21). Gesù è il nuovo Mosè, il nuovo profeta e condottiere del popolo di Dio che sta per offrire la nuova manna.
3) Il vero Pastore. “Fateli sedere. C’era molta erba in quel luogo”. Questa annotazione, oltre ad essere un riferimento alla primavera e al periodo della Pasqua, ci rimanda al salmo 23: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare”. Gesù che riunisce attorno a sé la folla e intuisce i suoi bisogni è il Pastore promesso da Dio (Ezechiele 34,23).
4) La nuova manna. “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto”. La manna non doveva essere raccolta per il giorno dopo, eccetto per il giorno di sabato (Esodo 16,13-20). Qui, invece, Gesù raccomanda di raccogliere i pezzi avanzati. Non tanto affinché nulla vada sprecato, ma come allusione all'eucaristia. “Li raccolsero e riempirono dodici canestri”, tanti come le dodici tribù d'Israele, come le ore del giorno e i mesi dell'anno.
Due spunti di riflessione
1) Convertirsi ad una visione globale del Regno. Notiamo, prima di tutto, che Gesù si preoccupa non solo della fame spirituale della gente ma anche di quella fisica. Non possiamo ignorare che, oltre alla fame della Parola, c'è pure una drammatica fame di pane nel mondo. Il Regno di Dio concerne la totalità della persona. Nella nostra mentalità perdura tuttavia una visione dualista della vita, una separazione tra la sfera spirituale e quella materiale. “La gente va in chiesa per pregare; per mangiare ognuno ritorni a casa sua e si arrangi!”: questa è la nostra logica, molto pratica. Ed era quella degli apostoli, come vediamo nella versione del racconto del vangelo di Luca, dove essi dicono a Gesù: “Si fa tardi, congeda la folla perché vada nei villaggi per alloggiare e trovare cibo”. Gesù però sembra mancare di senso pratico e risponde loro: “Voi stessi date loro da mangiare” (Luca 9,12-13). La Chiesa non può estraniarsi dalle condizioni in cui vive l'umanità “caduta nelle mani dei briganti”!
2) Dall'economia del commercio a quella del dono. “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare? Diceva così [Gesù a Filippo] per metterlo alla prova”. Perché lo chiede proprio a Filippo? Perché è un tipo pratico e sveglio (vedi Gv 1,46; 14,8-9). Infatti, fa subito i conti: “Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo”! Duecento denari erano tanti, se teniamo conto che un denaro era il salario giornaliero di un bracciante. A questo punto interviene Andrea, suo amico e compaesano, dato che Gesù aveva chiesto “dove” si poteva trovare del pane: “C’è qui un ragazzo che ha [da vendere?] cinque pani d’orzo e due pesci”, ma rendendosi conto della figuraccia, aggiunge subito: “ma che cos’è questo per tanta gente?”. Ma 5+2 fa 7, il numero della pienezza. Per Gesù basta e avanza. E il miracolo avviene!
Di tali miracoli oggi se ne vedono pochi. Come Gedeone, potremmo chiederci anche noi: “Dove sono tutti i prodigi che i nostri padri ci hanno narrato?” (Giudici 6,13). Ma se oggi non avvengono i “miracoli”, non è perché è diventata “troppo corta la mano del Signore.” (Isaia 59,1). Egli vorrebbe operare tanti miracoli: il miracolo di far cessare la fame nel mondo, di far sparire le guerre che uccidono i suoi figli e figlie e sfigurano la sua creazione, di instaurare definitivamente un mondo nuovo dove regna la pace e la giustizia... C'è però un problema. Dio, dopo aver creato l'uomo, si è proposto di non far più niente senza la cooperazione degli uomini. Il Signore vorrebbe operare miracoli, ma gli mancano gli ingredienti che solo noi possiamo offrire. Gli mancano i cinque pani d'orzo e i due pesci, che noi ci ostiniamo a voler vendere, invece di condividerli!
Per la riflessione settimanale
1) Quali sono i “cinque pani d’orzo e i due pesci” che il Signore mi sta chiedendo per cambiare la mia vita?
2) Quale logica predomina nella mia vita: quella dell'accumulo o della solidarietà?
3) Per meditare:
- “Se condividiamo il pane del cielo, come non condivideremo quello della terra?” (Didachè);
- “Il pane dei bisognosi è la vita dei poveri, colui che glielo toglie è un sanguinario. Uccide il prossimo chi gli toglie il nutrimento, versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio.” (Sir 34,25-27);
- “Nel mondo c’è pane sufficiente per la fame di tutti, ma insufficiente per l’avidità di pochi” (Gandhi).
P. Manuel João Pereira Correia mccj
Verona, luglio 2024
La moltiplicazione dei pani si realizza nella condivisione
2Re 4,42-44; Salmo 144; Efesini 4,1-6; Giovanni 6,1-15
Riflessioni
Una domanda per riflettere: perché il segno straordinario della moltiplicazione dei pani e dei pesci viene narrato sei volte nei Vangeli, una volta da Luca e Giovanni e ben due volte da Matteo e altrettante da Marco? Più di tutti gli altri segni miracolosi operati da Gesù! Le prime comunità cristiane ne avevano compreso l’importanza, essendo la fame, nelle sue varie forme, una preoccupazione permanente e universale: il problema, la lotta per il pane quotidiano. Non è casuale che la radice ebraica delle parole pane e combattere sia composta dalle stesse consonanti. Non per nulla la maggior parte delle guerre nella storia si sono scatenate per problemi di fame, di accumulo di beni, oltre che per motivi di vendetta o di prestigio personale o di gruppo.
Anche oggi la lotta per il pane quotidiano accomuna tutti gli esseri viventi, anche se con risultati differenti. Spesso addirittura opposti: fino a una vita di stenti e persino alla morte per fame, come succede tutt’oggi, purtroppo, per centinaia di milioni di persone. I dati della Fao (Onu) parlano di oltre 800 milioni di persone che soffrono la fame. La soluzione a questo scandalo vergognoso e umiliante non verrà da nuove moltiplicazioni cadute dal cielo, ma da decisioni nuove, programmi concordati, strategie globali per mettere in moto la solidarietà e la condivisione nelle sue varie forme. Obiettivo: nessun popolo sia più senza pane! Queste sono le sfide che la città degli uomini e delle donne, deve affrontare oggi con determinazione, equità e rapidità, come ci sprona Papa Francesco. (*)
Il Vangelo di questa domenica offre alla famiglia umana preziose indicazioni per tale cammino. Giovanni ambienta il segno straordinario di Gesù nella vicinanza della Pasqua (v. 4). Più che di un’informazione cronologica, si tratta del contesto della donazione totale di Gesù che “li amò sino alla fine” (Gv 13,1): come lo vediamo nella lavanda dei piedi, nell’ultima cena con il dono dell’Eucaristia, con la Sua morte e risurrezione. Il segno che Gesù pone scaturisce dalla profonda commozione che Egli sente per la gente stanca, sbandata, senza pastore, affamata. Per Lui quella “grande folla” (v. 2.5) non è anonima, ha un volto, una dignità. Sono figli e figlie nella casa del Padre, non schiavi. Sono tutti invitati a mensa: quindi li fa sedere. Sedere a mensa è un gesto di dignità, che corrisponde a Gesù e ai suoi primi amici (v. 3), ma anche alla gente: Giovanni lo ripete tre volte in due versetti (v. 10.11). “C’era molta erba” (v. 10), che fa ricordare la premura del Pastore che invita a riposare “su pascoli erbosi” (Sal 23,2). Quando i figli siedono attorno alla stessa mensa e il pane viene condiviso equamente, cessano le contese e le guerre.
I discepoli Filippo e Andrea riconoscono l’inadeguatezza delle poche risorse disponibili, di fronte a così tanta gente (v. 7.9). Gesù introduce qui una logica nuova: compie il segno partendo dai cinque pani d’orzo (pane dei poveri) e dai due pesci che un ragazzo mette a disposizione (v. 9); rende grazie e incoraggia creativamente la condivisione e la distribuzione, fino ai più lontani, fino ad avanzarne (v. 12-13), sulla scia del miracolo compiuto dal profeta Eliseo (I lettura). Nel testo evangelico non appare il termine moltiplicazione, bensì l’atto della condivisione: la moltiplicazione abbondante operata da Gesù avviene e si prolunga durante e attraverso la condivisione. Mai Gesù avrebbe compiuto il miracolo della moltiplicazione per soddisfare la cupidigia di alcuni soltanto; Egli vuole che la moltiplicazione arrivi a tutti attraverso il canale della condivisione.
Chiave di lettura di questo segno è il ragazzo dal quale ha inizio la condivisione. Il ragazzo rappresenta il discepolo chiamato a farsi bambino per entrare nel Regno (Mc 10,15): egli non può accumulare per sé, ma deve condividere con altri quanto possiede. Come cristiani, noi siamo parte di un unico corpo e condividiamo con altri la stessa fede nell’unico Signore (II lettura). Perciò la partecipazione alla mensa eucaristica ci deve portare a un impegno coerente e creativo, perché ci sia pane sufficiente sulle mense di tutti; ci deve portare ad assumere uno stile di vita ‘eucaristico’, forti nella condivisione. Questa è la nostra missione!
Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù fa una lunga catechesi (vedi tutto il capitolo di Gv 6), per portare la gente a non fermarsi al dono-regalo, ma a riconoscere, accogliere e seguire il Donatore. Egli non è solo uno che dà pane ma uno che si fa pane, pane spezzato per tutti: “Io sono il pane vivo disceso dal Cielo; Io sono il pane della Vita” (Gv 6,35). Alla fine della moltiplicazione, Gesù si ritira da solo sul monte, perché volevano farlo re (v. 15). Oggi Lui vuole che quel miracolo continui, ma che lo compiano le nostre mani, le nostre comunità, moltiplicando il pane nella condivisione. Per questo Gesù spezza il pane e ci dice: “Fate questo memoria di me!”
Parola del Papa
(*) «Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita… Vedendo le loro miserie, ascoltando le loro grida e conoscendo la loro sofferenza, ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco».
Papa Francesco
Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013) n. 53. 191
P. Romeo Ballan, MCCJ
La sazietà che va oltre i giorni dell'uomo
2Re 4,42-44; Salmo 144; Ef 4,1-6; Gv 6,1-15
Il brano di questa domenica ci introduce più direttamente al discorso del "pane di vita". La lettura del capitolo sesto di Giovanni ci offre proprio l’opportunità di approfondire questo tema centrale del quarto vangelo cogliendone in modo progressivo i diversi aspetti. La folla, che è stata saziata in maniera miracolosa, parte alla ricerca di Gesù. Vuole, addirittura, farlo re. Gesù avverte subito che quella gente è avida soltanto dei prodigi spettacolari e vorrebbe vivere di miracoli. Per cui denuncia l’ambiguità di questa ricerca: «voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati». Si tratta di una ricerca troppo interessata e riduttiva.
Il verbo «cercare» è un verbo-chiave, caratteristico del quarto vangelo. In ogni modo il Maestro invita chi si è messo in cammino verso di lui a interrogarsi per sapere cosa si aspetta da Gesù. Perché lo cerca, che cosa spera di ottenere. Si tratta di prendere coscienza delle vere motivazioni e dei veri obiettivi della ricerca. Poiché c’è chi cerca Gesù e chi cerca se stesso, chi lo cerca per motivi utilitaristici e chi invece vuole farne il centro della propria vita. Occorre cercarlo in chiave esistenziale, cioè non soltanto per «sapere» (chiave intellettuale) ma soprattutto perché non si potrebbe vivere senza di lui, e perciò si vuole «dimorare» con lui. Questo tipo di ricerca corrisponde con il dinamismo proprio del credente che, stimolato dal segno, va oltre il segno per coglierne il significato profondo.
«Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna e che il figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Certo Gesù non rifiuta questo pane che perisce, non ne misconosce l’importanza, cioè non è insensibile alle necessità elementari dell’uomo, rifiuta invece di fermarsi a questo. Conferma che «non di solo pane vive l’uomo» (Mt 4,4). Infatti, il cibo che alimenta la vita che finisce con la morte è precario e di poco conto. Quello vero «rimane», perché è in rapporto con la vita eterna. Esso è posto in relazione con il ruolo di Gesù, l’inviato autorevole e il Figlio autentico di Dio. Egli è infatti l’inviato sul quale Dio ha messo il suo sigillo, cioè il segno di autenticazione, di appartenenza e di protezione tipico degli eletti: Dio lo ha abilitato in modo permanente a donare l’alimento per la vita eterna.
In seguito all’invito di Gesù, la folla gli chiede: «che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Nella sua risposta Gesù riprende l’espressione «opere di Dio», ma al singolare: «Questa è l’opera di Dio: credere in colui che Egli ha mandato». La folla pensa immediatamente a qualcosa da fare, a delle opere onerose da compiere, per meritare la simpatia di Dio. Il Maestro replica che «l’opera» fondamentale è la fede o il credere. È il punto focale del brano di questa domenica. La fede è prima di tutto un dono, ma richiede anche una libera risposta dell’uomo. C’è una sola cosa da fare: lasciarsi fare.
Don Joseph Ndoum
Pane nel deserto:
l’impossibile si fa possibile
Un commentario a Gv 6, 1-15
Ricordiamoci che nelle domeniche di quest’ anno liturgico leggiamo il vangelo di Marco e che finora siamo arrivati al capitolo sesto. La domenica scorsa abbiamo visto Gesù commosso davanti alla folla che lo seguiva “come pecore senza pastore”. Oggi, nella lettura continuata di Marco, saremmo arrivati a quel racconto che conosciamo come la “moltiplicazione dei pani”.
Ma, per meditare su questo episodio molto importante nella vita di Gesù, la liturgia ha preferito lasciare Marco da parte per cinque domeniche e prendere al suo posto il capitolo sesto di Giovanni, che tratta il tema più ampiamente e con molti e interessanti riferimenti teologici. Questa domenica leggiamo i primi quindici versetti del capitolo, che ognuno di noi è invitato a leggere e capire a partire dalla propria vita. Da parte mia, mi fermo a due riflessioni:
1. Gesù, il nuovo Mosè
Giovanni comincia il suo racconto con una certa solennità. Evidentemente vuole fare capire che succede qualcosa di molto grande. Tre elementi parlano di questa “solennità”:
- Gesù, partendo dal Lago di Galilea, sale sulla montagna. A questo punto noi sappiamo già che, nel linguaggio biblico, la montagna è molto di più che un incidente geografico. Questo salire sulla montagna ci fa ricordare, tra altre, la storia di Mosè che salì sul Sinai e lì ha fato la trascendente esperienza della rivelazione del Dio liberatore e “capo” del suo popolo.
- Arrivato sulla montagna, Gesù “si siede” con i discepoli. Il gesto ci parla di Gesù Maestro che insegna con un’autorità che non avevano i maestri del suo tempo. Come Mosè, che nel Sinai ricevette la Legge di Dio per il suo popolo in processo di liberazione, Gesù passa ai discepoli la nuova Legge, la Parola consegnata dal Padre per che tutti “abbiano vita”.
- Era vicina la Pasqua, la gesta degli ebrei. Sappiamo che la Pasqua era la festa per fare memoria della liberazione sperimentata, consolidare l’identità del popolo e rinnovare la speranza in una nuova e definitiva liberazione.
Quello che Giovanni ci racconta in questo capitolo sesto del suo vangelo si capisce meglio se si tiene presente questa cornice di riferimenti teologici.
Per i discepoli, e per noi oggi, Gesù non è un maestro qualunque, non è un profeta più o meno inspirato, non è un rinnovatore dell’etica… Lui è la Parola di Dio che ci illumina come una luce nell’oscurità, è il Pane di Dio che ci nutre nel deserto, è il nuovo Mosè che, scendendo dalla montagna di Dio, guida il popolo e lo fa camminare verso una terra di libertà e pienezza di vita. In Lui si stabilisce la Nuova Pasqua, la Alleanza tra Dio e il suo popolo.
2. L’impossibile diventa possibile
Giovanni ci racconta che Gesù chiese a Filippo come fare per dare da mangiare a tanta gente fuori dei luoghi abitati. E Filippo li diede l’unica risposa sensata e realista: Non è possibile. Tutti noi avremmo dato la stessa risposta, come di fatto facciamo quando ci troviamo davanti a problemi o situazioni di difficile o impossibile soluzione.
Filippo aveva ragione, ma sembra che aveva dimenticato la storia del suo popolo: Dare di mangiare a una folla nel deserto è impossibile come lo era che un piccolo popolo potesse liberarsi dal potere dei faraoni; come era impossibile che quello stesso popolo potessi traversare il deserto senza morire per strada… Ma dio fecce che quello che sembrava impossibile diventassi possibile: il popolo fu liberato, camminò nel deserto, grazie a un nutrimento divino, e arrivò alla terra promessa, anche se c’erano molti nemici che volevano impedirlo.
Ma non bisogna capire questa storia immaginando Dio come un potente mago. Si tratta, a mio parere, di qualcosa di più semplice e allo stesso tempo più profondo: Quando diamo spazio a Dio per accompagnarci con la sua benedizione, al tempo che noi stessi “ce la mettiamo tutta” (cinque pani e due pesci), succede che i potenti s’arrendono, le acque si dividono, il pane risulta abbondante, la fame e l’ingiustizia sono superate, i conflitti danno passo alla riconciliazione e la comunità umana vien rigenerata, avanzando verso nuove quote di giustizia, fraternità e comunione, facendo che si compia la volontà di Dio, “così in terra come in cielo”.
Quando affrontiamo i problemi con fede, speranza e carità (generosità), l’impossibile si fa possibile, come è successo tante volte nella storia dell’umanità e anche nelle nostre storie individuali. Ogni volta che partecipiamo nell’Eucaristia facciamo memoria di questa storia di salvezza e rinnoviamo la nostra fede che anche oggi Dio sarà con noi: come Parola, come Legge, come Pane per la vita.
P. Antonio Villarino, MCCJ