Lo Spirito attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio, e la Sua Paternità è la filigrana di ogni prospettiva, di ogni ipotesi, di ogni sguardo oltre l’oggi. Allora, finalmente, l’uomo può smettere di angosciarsi o di alienarsi, e la fiducia e l’amore diventano la chiave di tutto. Quando arriva lo Spirito, degli uomini fragili diventano apostoli gioiosi e schietti, e la loro parola è gravida di un futuro di salvezza, una parola che è così luminosa, da suonare familiare ad ogni uomo.

Lo Spirito Santo compie il miracolo della comunicazione: ci rieduca alla comprensione vicendevole, al rispetto, alla stima, all’amore reciproco, perché siamo fatti per la comunione. Inoltre, di tanti ci fa uno. Persone che appartengono a popoli diversi e parlano lingue diverse, grazie allo Spirito, si incontrano, si accolgono e diventano una sola comunità. Lo Spirito, anima della comunità, per renderci capaci di amare come Cristo, potenzia le nostre capacità, ci offre doni per l’utilità comune, perché costruiamo la nostra fraternità. Lo Spirito rende forti e coraggiosi. È il miracolo della missione: dobbiamo essere testimoni gioiosi e coraggiosi della nostra fede, annunciatori di gioia e di speranza.

Le quattro Pentecoste
Giovanni 20,19-23

La Chiesa celebra oggi la grande solennità della Pentecoste, la festa della discesa dello Spirito Santo, cinquanta giorni dopo Pasqua, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli (vedi prima lettura). La Pentecoste, che significa “cinquantesimo giorno”, dal greco, era una festa giudaica, una delle tre feste di pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme: Pasqua, Pentecoste e Festa delle Capanne (la festa autunnale del raccolto). Era una festa agricola, chiamata la “festa della mietitura e dei primi frutti”, e si celebrava il 50° giorno dopo la Pasqua ebraica. È chiamata anche “Festa delle Settimane”, per la sua ricorrenza di sette settimane dopo la Pasqua. Alla festa agricola venne associato il ricordo del dono della Legge o Torah per mezzo di Mosè al monte Sinai.

La Pentecoste cristiana è il compimento e la conclusione del periodo pasquale. È la nostra Pasqua, il passaggio ad una nuova condizione, non più sotto il regime della Legge, ma dello Spirito. È la festa della nascita della Chiesa e l’inizio della Missione.

Le letture della festa in realtà ci presentano quattro venute dello Spirito Santo o quattro modalità, diverse ma complementari, della Sua presenza. Direi che si tratta di quattro “Pentecoste”!

1. La Pentecoste sulla Chiesa

La prima lettura (Atti 2,1-11) ci presenta una venuta dello Spirito dirompente, impetuosa, irresistibile, infuocata: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo”. È una venuta che suscita stupore e meraviglia, entusiasmo ed euforia, consolazione e coraggio. È assolutamente gratuita, imprevedibile e mai programmabile. Sono casi eccezionali. Ne troviamo alcuni nel libro degli Atti, ma ci sono stati anche nella storia della Chiesa, non sempre così appariscenti e irruenti, ma sempre di grande fecondità. Infatti, a questa Pentecoste segue sempre una primavera ecclesiale. Dio sa quanto ne abbiamo bisogno, nell’inverno ecclesiale che stiamo attraversando in occidente! Solo la preghiera incessante nel cenacolo della Chiesa, la pazienza umile del seminatore e la docilità allo Spirito possono ottenere una simile grazia!

2. La Pentecoste sul Mondo

L’effusione dello Spirito si estende a tutta creazione. È Lui “che fa vivere e santifica l’universo” (preghiera eucaristica III). È Lui che “porta pollini di primavera nel seno della storia e di tutte le cose” (Ermes Ronchi). Per questo con il Salmista abbiamo invocato la Pentecoste su tutta la terra: “Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra” (Salmo 103). Questa dovrebbe essere una preghiera tipica del cristiano: invocare la Pentecoste sul mondo, sulle dinamiche che reggono la nostra vita sociale, sugli eventi della storia. Tutti si lamentano di “quanto va male il mondo”, degli “spiriti cattivi” che lo animano, ma quanti di noi facciamo “l’epiclesi” (invocazione) dello Spirito perché scenda sulle persone, le situazioni, gli eventi nella nostra quotidianità?

3. La Pentecoste dei Carismi o del Servizio

L’apostolo Paolo nella seconda lettura (1Corinzi 12) richiama la nostra attenzione su un’altra epifania dello Spirito: i carismi. “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito… A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune…. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo…” Oggi parliamo molto di carismi e di condivisione dei servizi ecclesiali, ma c’è un crescente e inquietante disimpegno delle nuove generazioni. Il sacramento della confermazione, la “Pentecoste personale”, che dovrebbe diventare il passaggio ad una partecipazione piena nella vita ecclesiale, è purtroppo il momento della diserzione. Segno evidente che abbiamo fallito l’obiettivo dell’iniziazione cristiana. Cosa fare? La Chiesa dovrà diventare un grande Orecchio e potenziare le sue antenne per percepire la Voce dello Spirito in questo particolare momento storico. Oserei dire che il problema più grave è la mediocrità spirituale delle nostre comunità. Preoccupati di salvaguardare l’ortodossia e il buon ordine della liturgia, abbiamo perso di vista l’essenziale: l’esperienza di fede!

4. La Pentecoste domenicale

La liturgia ci ripropone il vangelo dell’apparizione di Gesù Risorto della sera di Pasqua (Giovanni 20,19-23). Un vangelo tutto pieno di risonanze pasquali:
“La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.
Questo vangelo è chiamato “la piccola Pentecoste” del vangelo di Giovanni perché qui Pasqua e Pentecoste coincidono. Il Risorto offre lo Spirito la sera di Pasqua. Tutto il contesto fa pensare all’adunanza domenicale e all’Eucaristia. È lì che lo Spirito aleggia sulle acque della paura della Morte e porta la pace e la gioia della Vita. Bisogna riscoprire il ruolo preminente dello Spirito. Questo è il Suo tempo. Senza di Lui non possiamo proclamare che “Gesù è Signore” (Corinzi 12,3) né invocare “Abba! Padre!” (Galati 4,6). Non c’è Eucaristia senza l’intervento dello Spirito. Quindi, entriamo nell’Eucaristia supplicando nel nostro cuore: Vieni, vieni, Spirito Santo!

Per concludere, come navighi nel mare della vita: a remi o a vela?

Noi respiriamo lo Spirito Santo. Lo Spirito è il nostro ossigeno. Senza di Lui la vita cristiana è legge e dovere; è un remare continuo, con sforzo e fatica. Con Lui è la gioia di vivere e di amare; è la leggerezza di navigare a gonfie vele. Adesso che, dopo il periodo pasquale, riprendiamo il tempo ordinario, con il tran tran della vita, come ti appresti a navigare: con la forza dei remi o lasciandoti portare dal Vento che soffia sulla vela dispiegata del tuo cuore?

P. Manuel João, comboniano
Castel d’Azzano (Verona) – maggio 2024

Quale è il nostro progetto di vita: Babele o Pentecoste?

Tutti furono colmati di Spirito Santo
Atti degli Apostoli 2,1-11

La Chiesa celebra oggi la grande solennità della Pentecoste, la festa della discesa dello Spirito Santo, cinquanta giorni dopo Pasqua, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli (vedi prima lettura). La Pentecoste, che significa “cinquantesimo” giorno (dal greco), era una festa giudaica, una delle tre feste di pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. Si trattava di una festa agricola, la festa dell’inizio della mietitura del grano e dei primi frutti, celebrata il 50° giorno dopo la Pasqua ebraica, chiamata anche “Festa delle Settimane”, per la sua ricorrenza di sette settimane dopo la Pasqua. Alla festa agricola di ringraziamento per i doni della terra, venne poi associato il ricordo del più grande dono fatto da Dio al suo popolo: la Legge, la Torah, per mezzo di Mosè al monte Sinai.

Pentecoste, apice della Pasqua

La Pentecoste cristiana è intimamente collegata alla Pasqua, formando un tutt’uno con essa. Infatti, nei primi secoli, il periodo pasquale di cinquanta giorni era celebrato nella gioia e nell’esultanza come “una grande domenica” (Sant’Atanasio). La Pentecoste è l’apice della Pasqua. È la nostra Pasqua, la nascita della Chiesa e l’inizio della missione. Come il battesimo di Gesù aveva dato inizio al suo ministero, così questo “battesimo nello Spirito” segna l’inizio della missione apostolica della Chiesa.

La Pentecoste degli Atti 2,1-11

La versione della Pentecoste presentata negli Atti è molto ricca e suggestiva. San Luca elabora il racconto avendo in mente alcuni testi del Primo/Antico Testamento: la Torre di Babele, il Sinai e il dono della Legge, il soggiorno di Elia al Sinai… Vediamo allora alcuni elementi del racconto, sette, per la precisione, perché sette, simbolo della pienezza, è la cifra dello Spirito.

1. “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste…”. La concomitanza della discesa dello Spirito con la festa giudaica della Pentecoste suggerisce che lo Spirito Santo è la vera primizia della Chiesa e la nuova Legge, non più scolpita su tavole di pietra, ma scritta nel cuore. “Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore.” (Geremia 31,33; vedi Ezechiele 36,2 e Ebrei 8,10).
Attualizzazione. Nel silenzio e nell’intimità della preghiera ascoltiamo la voce dello Spirito che in noi sussurra: Abba, Padre! Sentiremo lo Spirito quale Fontana d’acqua viva che zampilla nel nostro cuore e mormora dentro di noi e ci dice: «Vieni al Padre» (Sant’Ignazio d’Antiochia ).

2. “Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. Quale era questo luogo? Presumibilmente quello di cui si era parlato prima: “la stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi” (1,13).
Attualizzazione. Senza essere “frequentatori” della “stanza al piano superiore” non c’è Pentecoste. Ogni cristiano deve avere questa “stanza”, uno spazio ed un tempo di silenzio, di intimità e di dialogo con “l’ospite dolce dell’anima.” (Sequenza di Pentecoste).

3. “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso”. Si tratta di allusioni alla rivelazione di Dio al monte Sinai (Esodo 19,16-19), prima della consegna delle “Dieci Parole”, ossia i comandamenti della Legge, e alla manifestazione di Dio al profeta Elia (1Re 19,11-13). Questa irruenza non è solo un segno della teofania divina, ma anche segno delle resistenze che lo Spirito deve vincere in noi. Notiamo che, al contrario, la discesa dello Spirito su Gesù nel battesimo accade nella dolcezza della colomba (Luca 3,22).
Attualizzazione. La visita dello Spirito non è indolore. Lo Spirito è un terremoto che scuote le fondamenta della nostra vita (Atti 4,31), un vento impetuoso che spazza via i nostri egoismi, un fuoco che brucia le nostre idolatrie. Quali sono le resistenze che lo Spirito trova in me?

4. “E riempì tutta la casa dove stavano”. Non si tratta qui di una casa qualsiasi. Potremmo pensare che la “casa” sia un riferimento al Tempio. Questo Tempio ora è la Chiesa. Anche noi siamo diventati tempio dello Spirito Santo (1Corinzi 6,19).
Attualizzazione. Lo Spirito vuole riempire non solo il nostro cuore, ma pure le nostre “case”, i luoghi dove viviamo, lavoriamo, socializziamo… Noi siamo i “pneumatofori”, i portatori dello Spirito, in quei luoghi, come la Vergine Maria in casa di Elisabetta.

5. “Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”. Lo Spirito si dona a tutti, ma si diversifica in ciascuno. “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (1Corinzi 12,7).
Attualizzazione. Lo Spirito è generoso, ci ha riempito di doni e carismi. Ciascuno di noi è unico, perché lo Spirito è la Fantasia di Dio, non si ripete. Ma tante volte siamo come delle vetrate nell’oscurità, opachi, scialbi, spenti. Quando la Luce dello Spirito penetra nella nostra anima, allora la nostra vita si rivela in tutto il suo splendore di bellezza.

6. “Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e fuori di sé per la meraviglia”. Troviamo qui un riferimento al racconto biblico della Torre di Babele (Genesi 10), dove avvenne la dispersione dell’umanità con la confusione delle lingue. A Pentecoste avviene il movimento contrario, centripeto, senza per questo creare uniformità o omologazione. Il linguaggio dello Spirito è l’amore, un linguaggio nuovo che stupisce e suscita meraviglia. Lo Spirito è la garanzia della comunione e dell’armonia.
Attualizzazione. La nostra vita può essere vissuta secondo due progetti: Babele o Pentecoste. Il cristiano è chiamato a vivere nella consapevolezza che ogni sua azione può essere un mattone per erigere la torre di Babele o una pietra viva nella costruzione del nuovo progetto di umanità che è la Pentecoste: “Quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale” (1Petro 2,5).

7. “Come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa […] delle grandi opere di Dio?”. Abbiamo qui, di nuovo, una allusione al Sinai. Secondo la tradizione rabbinica, la Legge/Torah era stata proposta in 70 lingue, ossia a tutte le nazioni della terra, ma solo gli Ebrei l’accolsero. L’elenco di popoli elaborato qui da Luca, intorno ai quattro punti cardinali, sottolinea l’universalità del dono dello Spirito, offerto indistintamente a tutti i popoli, e non solo ad Israele. Questo avverrà con l’accoglienza dei pagani nella Chiesa.
Attualizzazione. Celebrando la Pentecoste, ogni ebreo dichiarava che anche lui era presente al Sinai per ricevere il dono della Torah. Similmente, a Pentecoste, ogni cristiano è invitato a recarsi in pellegrinaggio alla “stanza al piano superiore” del Cenacolo per essere riempito di Spirito Santo. Ma quanti cristiani saranno davvero presenti a questo appuntamento?

Per la riflessione settimanale:
– Ringrazia il Signore per il dono del suo Spirito;
– Chiedi i sette doni dello Spirito o uno specifico di cui senti di avere un particolare bisogno;
– Rileggi la seconda lettura (Gàlati 5,16-25) e chiediti se la tua vita è condotta abitualmente dallo Spirito di Dio o dallo spirito della carne.

P. Manuel João Pereira Correia mccj
Verona, maggio 2024

Il maestro delle «cose future»

Il grande economista J. M. Keynes diceva: «L’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre». Questa geniale frase descrive anche il frequente tentativo dell’uomo di ripararsi da ciò che teme, fabbricandosi rifugi che diventano le sue gabbie, nel tentativo di evitare qualcosa che, poi, spesso, non accade. Quel che arriva è sempre e comunque almeno in parte inatteso.

Niente va mai esattamente come lo si programma. E spesso, proprio quel programma diventa la nostra tortura, impedendoci di sintonizzarci sui fatti. Come pensavamo il futuro nel gennaio 2020? Da cosa pensavamo di doverci difendere? Non da quel che è arrivato...

Nel guardarci indietro forse dobbiamo riconoscere che tanto del nostro tempo lo abbiamo speso a preoccuparci di inconsistenze. Il rapporto con il futuro decide gli atteggiamenti umani. Se percepiamo quel che ci viene incontro come disastro, tutto, in noi, viene orientato all’angoscia. Nel Vangelo di questa Pentecoste Gesù rivela che, non essendo noi capaci di portare il peso di molte cose, abbiamo bisogno che lo Spirito Santo ci annunci «le cose future».

Chi sta raccontando il futuro a questa generazione? Quale lettura stiamo assimilando dalla nostra cultura? Si oscilla dalla distrazione di un consumismo edonista, via via fino a tutti i futuri più disparati, per arrivare alle ossessioni per le mille incognite del domani. Quando lo Spirito Santo arriva, è il maestro che insegna «le cose future», e se un uomo si lascia annunciare da Dio il suo futuro, la storia diventa Provvidenza.

Lo Spirito attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio, e la Sua Paternità è la filigrana di ogni prospettiva, di ogni ipotesi, di ogni sguardo oltre l’oggi. Allora, finalmente, l’uomo può smettere di angosciarsi o di alienarsi, e la fiducia e l’amore diventano la chiave di tutto. Quando arriva lo Spirito, degli uomini fragili diventano apostoli gioiosi e schietti, e la loro parola è gravida di un futuro di salvezza, una parola che è così luminosa, da suonare familiare ad ogni uomo.
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]

Consacrati dallo Spirito
che apre cuori e frontiere

Atti 2,1-11; Salmo 103; Galati 5,16-25;
+ la Sequenza; Giovanni 15,26-27; 16,12-15

Riflessioni
La Pentecoste cristiana celebra il dono dello Spirito, “che è Signore e dà la vita”. Inizialmente, la festa ebraica di Pentecoste - sette settimane, ossia 50 giorni dopo la Pasqua - era la festa della mietitura del frumento (cfr. Es 23,16; 34,22). Ad essa si unì, più tardi, il ricordo della promulgazione della Legge sul Sinai. Da festa agricola, la Pentecoste è divenuta progressivamente una festa storica: un memoriale delle grandi alleanze di Dio con il suo popolo (vedi Noè, Abramo, Mosè e i profeti Geremia 31,31-34, Ezechiele 36,24-27…). È da sottolineare la nuova prospettiva riguardo alla Legge, il nuovo modo di intendere e vivere l’alleanza. La Legge era un dono del quale Israele andava orgoglioso, ma era una tappa transitoria, insufficiente.

Era necessario progredire in un cammino di interiorizzazione della Legge, cammino che raggiunge il culmine nel dono dello Spirito Santo, che ci è dato, come nuova fonte normativa, come vero e definitivo principio di vita nuova. Intorno alla Legge, Israele si costruì come popolo. Ma nella nuova famiglia di Dio, la coesione non viene più da un comando esterno, per quanto eccellente, ma dal di dentro, dal cuore, in forza dell’amore che lo Spirito ci dà “perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5,5). Grazie a Lui “siamo figli di Dio” e gridiamo: “Abbà, Padre!”. Siamo il popolo della nuova alleanza, chiamato a vivere una vita nuova, in forza dello Spirito che fa di noi la famiglia di Dio, con dignità di figli ed eredi (Rm 8,15-17).

A tale dignità deve corrispondere uno stile di vita coerente. San Paolo (II lettura) descrive con parole concrete due stili di vita differenti e opposti, a seconda delle scelte di ciascuno: le opere della carne (v. 19-21) o i frutti dello Spirito (v. 22). Per quelli che sono di Cristo Gesù e vivono dello Spirito, il programma è uno solo: “camminiamo secondo lo Spirito” (v. 25). Lo Spirito è dono. (*)

Lo Spirito fa camminare le persone e i gruppi umani e cristiani, rinnovandoli e trasformandoli dal di dentro. Lo Spirito apre i cuori, li purifica, li sana, li riconcilia, fa superare le frontiere, porta alla comunione. È Spirito di unità (di fede e di amore) nella pluralità di carismi e di culture, come si vede nell’evento di Pentecoste (I lettura), nel quale si coniugano bene insieme l’unità e la pluralità, ambedue doni dello stesso Spirito. La grande effusione dello Spirito Santo consacra i discepoli ad essere missionari del Vangelo in ogni punto della terra. Popoli diversi intendono un unico linguaggio comune a tutti (v. 9-11). S. Paolo attribuisce allo Spirito la capacità di rendere la Chiesa una e molteplice nella pluralità di carismi, ministeri e operazioni (cfr. 1Cor 12,4-6). La Chiesa ha sempre davanti a sé la sfida di essere cattolica e missionaria; di passare da Babele a Pentecoste.

Lo Spirito Santo è certamente il frutto più bello della Pasqua nella morte e risurrezione di Gesù: Egli Lo alita sui discepoli (Gv 20,22-23). È lo Spirito del perdono dei peccati e lo Spirito della missione universale. Anzi è il protagonista della missione (cfr. RMi cap. III; EN 75s.), affidata da Gesù agli apostoli e ai loro successori. Lo Spirito è sempre all’opera: nell’azione missionaria semplice e nascosta di ogni giorno, come pure nei momenti più solenni, al fine di rinnovare l’evento della Pentecoste nelle Chiese particolari, in vista di un più fermo impegno nella nuova evangelizzazione e nella missione ad gentes.

Per tale missione lo Spirito ci viene dato come guida “alla verità tutta intera” e come Consolatore (Vangelo). Strettamente legata all’opera creativa e purificatrice dello Spirito, c’è anche la Sua capacità di sanare e guarire. Si tratta di un potere reale ed efficace, intorno al quale esiste una sensibilità particolare nel mondo missionario, anche se non è sempre facile discernere bene. L’azione risanatrice raggiunge a volte anche il corpo, ma molto più spesso tocca lo spirito umano, sanandone le ferite interiori ed effondendo il balsamo della riconciliazione e della pace.

Parola del Papa

(*) «Il segreto dell’unità nella Chiesa, il segreto dello Spirito è il dono. Perché Egli è dono, vive donandosi e in questo modo ci tiene insieme, facendoci partecipi dello stesso dono. Dio è dono, non si comporta prendendo, ma donando. Da come intendiamo Dio dipende il nostro modo di essere credenti. Se abbiamo in mente un Dio che prende, che si impone, anche noi vorremo prendere e imporci: occupare spazi, reclamare rilevanza, cercare potere. Ma se abbiamo nel cuore Dio che è dono, tutto cambia. Se ci rendiamo conto che quello che siamo è dono suo, dono gratuito e immeritato, allora anche noi vorremo fare della stessa vita un dono. E amando umilmente, servendo gratuitamente e con gioia, offriremo al mondo la vera immagine di Dio. Lo Spirito ci ricorda che siamo nati da un dono e che cresciamo donandoci, non conservandoci, ma donandoci».
Papa Francesco
Omelia nella Domenica di Pentecoste, 31.5.2020

P. Romeo Ballan, MCCJ

Tutti i popoli riuniti nell’unica fede

At 2,1-11; Salmo 103; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,12-15

La beata Pentecoste ci ricorda tre eventi principali: l’effusione dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli nel cenacolo, la prima predicazione del vangelo in Gerusalemme e il formarsi della prima comunità cristiana o la nascita della Chiesa. Il protagonista (nascosto) di tutte queste Vicende è lo Spirito Santo.

Il nome Pentecoste deriva dal fatto che questa festa veniva celebrata cinquanta giorni dopo la Pasqua. Essa coincideva nell’Antico Testamento con la festa della mietitura, giorno di rendimento di grazie durante il quale erano offerte a Dio le primizie dei prodotti della terra. Era inoltre occasione per un pellegrinaggio alla città santa, eco o/e coronamento del pellegrinaggio pasquale, commemorazione annuale dell’alleanza, quando nel Sinai venne data la legge totale.

Invece, la festa cristiana commemora la Pentecoste che seguì alla morte di Gesù; essa fu segnata dal dono dello Spirito Santo che inaugurò una nuova creazione e il tempo della Chiesa. La Pentecoste segna dunque il culmine dell’opera divina di salvezza e la vocazione della nuova comunità del Risorto all’universalismo. È la pienezza della Pasqua o il mistero pasquale totale. La coincidenza di data con la festa giudaica indica anche la figura che ha cessato il suo compito, perché si è entrata nelle realtà, quella della nuova Alleanza.

La Pentecoste non è quindi la festa dello Spirito Santo, intesso come persona divina in se stessa, ma è celebrazione di un avvenimento salvifico, cioè uno di quegli interventi di Dio che nella realizzazione del piano della salvezza decidono in modo unico e definitivo della sorte del mondo. Questo evento consiste principalmente nel dono dello Spirito: "L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è donato" (Rm 5, 5).

I Padri della Chiesa hanno paragonato questo "battesimo nello Spirito Santo", che segna l’investitura apostolica della Chiesa, al battesimo di Gesù, il quale segnò l’inizio del suo ministero pubblico. Il fatto che la gente di diversa lingua comprenda la lingua nella quale parlano gli Apostoli dice che prima comunità messianica si estenderà a tutti i popoli. La divisione operata a Babele (Gn 11,1-9) trova ormai la sua antitesi e il suo termine positivo. Il miracolo della confusione e dispersione.

Nella Pentecoste cristiana, il dono dello Spirito Santo prende il posto della Legge. Si realizza così il sogno dei profeti che annunciavano l’alleanza fondata sul dono interiore dello Spirito di Dio a tutti (Ez.36, 27).

Insomma, la Pentecoste è la celebrazione di quello dono insuperabile fattoci dal Risorto. Lo Spirito, che è presenza di Dio in noi, riversa su di noi i suoi doni, che ci rendono attenti alle ispirazioni divine e ci orientano al bene. Quando ci vengono pensieri buoni, è lo Spirito che ci visita. Evidentemente, tutti quanti che invocano e sono guidati dallo Spirito hanno sempre idee e hanno, acceso in loro, il fuoco dell’amore vero ed autentico (l’agapè). E veramente, se facciamo spazio allo Spirito, Egli interviene sempre con efficacia nella nostra vita. Manda, Signore, il tuo Spirito, perché rinnovi la faccia della terra.
Don Joseph Ndoum

DONI DELLO SPIRITO SANTO

1. Consiglio. E' il primo dono dello Spirito Santo. Nella Bibbia indica il progetto di Dio su ogni persona. Questo dono aiuta a conoscere ciò che Lui si aspetta da ognuno. Ci facilita la vita mettendoci accanto persone di Sua fiducia (genitori, catechisti, amici, suore, Don...) che indicano la strada giusta da seguire. Lui si aspetta però anche che i ragazzi sappiano dare consigli ai compagni di viaggio con le parole e con i viaggi.

2. Sapienza. Secondo la Bibbia è il secondo dono dello Spirito Santo. Serve a capire come funziona la vita e ad ordinare le cose secondo una classifica giusta riservando il primo posto a Dio. Spiega come le piccole e grandi gioie aiutano a vivere meglio ma non durano per sempre. Per questo la persona saggia costruisce la casa sulla roccia e non sulla sabbia. La sapienza ti permette di vedere le cose con il Cuore stesso di Dio... Cioè come le comprende Lui.

3. Fortezza. La Fortezza è il terzo dono dello Spirito Santo. Sostiene la resistenza contro ogni tentazione che porta al male e fa realizzare il bene. Aiuta a mantenere gli impegni presi nei confronti nella vita, di noi stessi e con Dio. Dà ai ragazzi energia sufficiente per non comportarsi da "pecoroni" che imitano i modi sbagliati dei prepotenti. Questo dono insegna loro a sostituire l'amore per la forza con la forza per l'amore.

4. Intelletto. L'intelletto è il quarto dono dello Spirito Santo che fa riconoscere la presenza di Dio nei diversi episodi della giornata. Non si ferma al look, ma dà importanza a ciò che è 'dentro'. La persona intelligente non dà peso all'apparenza, ai pettegolezzi, alla banalità: cerca invece la verità nelle persone e nelle parole che ascolta e che dice.

5. Pietà. E' il quinto dono dello Spirito Santo. Aiuta a riconoscere Dio come un padre buono che pensa a tutti, con cui si può dialogare volentieri e si fa il possibile per accontentarLo. Uno dei modi più belli è di riconoscere tutti i Suoi figli come fratelli e sorelle. Se li amiamo, ha detto Gesù, si ama anche il Padre che è nei cieli.

6. Timor di Dio. Il Timor di Dio è il sesto dono dello Spirito Santo e fa capire che Dio deve essere rispettato. Non è un Tipo suscettibile che spaventa e castiga, ma neppure Uno che può essere facilmente ingannato e raggirato. E' il Dio Amore di cui bisogna parlare bene nei discorsi e nei fatti. Dio non vuole spaventare nessuno, vuole solo che noi ci assumiamo la nostra responsabilità, usiamo bene della nostra libertà aprendo a Lui il nostro cuore.

7. Scienza. E' il settimo dono e nella Bibbia è sinonimo di conoscenza e di amore totale verso Dio. Se conosci Dio vedi le persone e le cose in relazione con Lui. L'amore per le creature deriva dall'amore per il Creatore. Per questa ragione rispetta la natura, comprende gli altri e con essi cammina verso la felicità, verso l'Amore (con la A maiuscola) che è alla base di ogni amore. Questo è il vero "scienziato" che migliora la sua vita e quella degli altri.

Preghiera allo Spirito Santo
Gv 15, 26-27.12, 12.15

In questa Domenica di Pentecoste leggiamo due delle cinque promesse che Gesù fa nel vangelo di Giovanni. Qual è la differenza tra un professore di religione e un profeta, tra un uomo del culto e un testimone, tra un teorico della giustizia e un fratello, tra un esperto “teologo” e un credente? Qual è la differenza tra un gruppo umano ben organizzato e una comunità di credenti, tra una Chiesa e una potente ONG? La differenza la fa la presenza, o meno, dello Spirito, lo stesso che era già all’inizio della Creazione, lo stesso che accompagna Gesù dal momento dell’incarnazione fino alla Pasqua, lo stesso che fa vivere la Chiesa e soffia dove vuole nel mondo e nella storia. Su questo, più che un commentario, voglio condividere con voi una preghiera, che naturalmente ognuno può completare, ridurre o adattare alla propria esperienza di vita.

 

Vieni, Spirito Santo
Spezza le catene della mia routine;
da verità e profondità alla mia preghiera;
fammi vivere pienamente ogni momento,
ogni azione, ogni pensiero.
Fammi sentire la “voglia” di fare il bene,
di essere disponibile,
di godere la vita con semplicità, buon umore e amore;
trabocca nel mio spirito e nel mio corpo,
nella mia intelligenza e nei miei affetti.
Vieni, Spirito Santo
Dammi fiducia.
Aiutami a superare le paure
di me stesso
di quello che diranno gli altri,
del fallimento,
di riconoscere i miei limiti e mancanze.
Dammi la fiducia del bimbo nelle braccia del suo papà.
Vieni, Spirito Santo
Sì Tu il mio istruttore,
allaccia il mio cuore al cuore del Padre,
rinnova in me la Alleanza,
che mi fa conoscere dal di dentro,
amare dal di dentro,
superare ogni falsità.
Vieni, Spirito Santo
Fammi sensibile,
aperto, disponibile.
Fammi capace di reagire sempre da fratello,
superando ogni indifferenza.
Portami a diventare servizievole,
capace di offrire il mio tempo e le mie energie,
per servire chi ne ha bisogno.
Vieni, Spirito Santo
Dammi libertà e coraggio
Per essere me stesso,
per lasciarmi guidare dalle tue ispirazioni.
Non farmi confondere libertà con capriccio,
coraggio con orgoglio e testardaggine.
Sì Tu la luce che illumina il mio cammino in libertà
e il vento che mi spinge per la strada della generosità.
Vieni, Spirito Santo
Fa di me un missionario, qui e adesso,
nelle attuali circostanze della mia vita.
Infonde in me uno spirito di dialogo,
insegnami a saper ascoltare.
Aiutami a rimanere sempre aperto a nuove idee,
nuove proposte,
a imparare sempre.
Fammi vedere la parte positiva di quelli che vivono con me
e di quello che dicono e fanno.
Vieni, Spirito Santo
Riempimi della tua gioia,
dammi contentezza e buon umore.
Non farmi confondere fedeltà con severità;
che i problemi non mi facciano vivere nell’amarezza,
che la mia vita sia un momento di lode
e una testimonianza di gratitudine
per il sicuro amore del Padre
e per la tua presenza nella Creazione e nella Storia.
Vieni, Spirito Santo
Fammi resistente agli errori della vita,
piccoli o grandi che siano.
Che non mi lasci scoraggiare dall’incoerenza di tanti,
dei peccati della Chiesa,
della corruzione nella società,
dalla mia infedeltà.
Regalami la tua umile verità e il tuo amore gratuito.
Adesso e sempre. Amen.

P. Antonio Villarino, MCCJ

Un alito di vita
Gv 20, 19-23

Ricevete lo Spirito Santo…

Più ancora che le porte del cenacolo, quella sera, chiuso era il cuore degli Undici, barricato dentro le proprie convinzioni e riserve, paralizzato dalle proprie paure. Le tenebre della sera che incombeva erano figura di ben altre tenebre, di quelle dell’incapacità di credere alla risurrezione del Maestro. La chiusura era stata la reazione dei discepoli all’annuncio recato loro da Maria di Magdala di aver visto il Signore. Tra gli Undici c’erano anche Pietro e il discepolo che Gesù amava, i quali avevano toccato con mano che quella mattina era davvero accaduto qualcosa. Ma nulla. C’era qualcosa cui essi attribuivano un potere superiore a quello del Signore: per timore dei Giudei… Ripenso a tutte quelle situazioni cui io attribuisco un potere paralizzante di fronte al quale finisco per concludere: neanche Dio può farci più nulla.

Eppure, Dio non si rassegna. Dio non pronuncia mai l’espressione che sovente affiora sulle nostre labbra quando con disincanto e disarmati ripetiamo: non c’è più nulla da fare. Dio non lo fa mai. Dio ripete sempre: ricevete lo Spirito Santo! Dalla parte della vita, fino alla fine, anche quando tutto sembra portare i segni evidenti del fallimento manifesto. Smettetela – dice Dio – di continuare a voler sistemare un passato attraverso l’unico mestiere che a volte finisce per assorbirvi: quello di riempire di fiori la morte. Oh, se siamo esperti di questo mestiere mentre dobbiamo riconoscerci analfabeti dello stile di Dio!

Ricevete lo Spirito Santo…

Come non pensare all’antico profeta Ezechiele che guardando la situazione del suo popolo che si era allontanato dal Signore lo paragonava a una sterminata distesa di ossa di fronte alle quali si sente ripetere: potranno queste ossa rivivere?

Immagino il Signore che guarda la mia vita e rivolge a me questa parola: padre Antonio, potranno queste ossa rivivere? E il riferimento non è anzitutto a qualcosa di esterno a me: il riferimento è alla mia, alla nostra situazione interiore di fronte alla quale con disincanto verrebbe da concludere che per virtù propria non potranno rivivere. Poi certo, il riferimento è a questa stagione ecclesiale nella quale prevale lo scoramento e la fatica propri di quelle stagioni in cui sembra mancare il respiro.

Cosa può significare celebrare ancora la Pentecoste se non sentirsi ripetere che non è ancora la fine e Dio non cessa di riversare il suo Spirito e non già perché finalmente la situazione sia ideale ma, forse, proprio perché essa sembra allo sbando?

Quella sera il Signore si rese presente – venne Gesù, stette in mezzo a loro – in mezzo a una comunità che conosceva bene fragilità e paure. A loro consegnò il dono della pace che nulla a che vedere con una esistenza al riparo da lotte e tensioni, nulla da spartire col nostro bisogno di starcene in pace. La pace donata dal Risorto, infatti, è quella capacità di riconoscere che se la paura e la fragilità sono evidenti, ben più grande è la fiducia in colui che vince il male grazie a una misericordia insperata.

Non è forse questo il compito della comunità cristiana inviata per essere segno di nuovi inizi, di possibili germogli nella misura in cui si lascia condurre dallo Spirito Santo e non già da logiche strategiche che nulla hanno da spartire con il Vangelo?

Un’altra storia è possibile, dice Dio, ma occorre tanta audacia da parte nostra per farla nascere.

Ricevete lo Spirito Santo…

Al termine di questo unico grande giorno di Pasqua iniziato con una luce nella notte del male e della morte, il cero pasquale verrà spento e collocato accanto al fonte battesimale. Ma la sua luce continuerà ad ardere grazie alla nostra disponibilità a perdonare: a chi rimetterete i peccati… Il riferimento non è soltanto a una prassi sacramentale ma ad uno stile relazionale.

Perdonare è donare attraverso le ferite ricevute, è fare del male subìto l’occasione di un gesto di amore. Se tu non perdoni, l’altro non potrà cambiare.

Il nostro perdono il segno che il male non ha l’ultima parola sulla nostra vita.

Don Antonio Savone
http://acasadicornelio.wordpress.com/

La piccola Pentecoste

Omelia di don Angelo

Ancora questo gioco: avviene nell’ottavo giorno, come suggerisce il Vangelo di Giovanni, o il giorno di Pentecoste, come suggerisce il libro degli Atti, il dono dello Spirito. Forse è impoverire lo Spirito Santo questa pretesa di imbrigliarlo in un’unica manifestazione. Ed è anche bello pensare che l’avevano ricevuto la sera di Pasqua e ancora l’attendevano: e non è una finta, un far finta, è un anelito vero: vieni, Santo Spirito!

E vorrei partire in questa riflessione proprio dalla Pentecoste piccola, quella senza clamore, quella che avviene la sera di Pasqua, al calare delle ombre, mentre chiuse erano le porte: “Alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi….”. Uno Spirito – voi mi capite – per essere liberi interiormente, liberi da ciò che ci rinchiude dentro, il peccato. Vedete, la libertà – quella interiore – è grande dono, forse dono ancor più grande della libertà esteriore.

I rabbini si chiedono perché Dio non avesse dato la Torah – la legge – a Israele immediatamente dopo l’esodo dall’Egitto, ma molto dopo sul Sinai. E rispondevano che era più facile per Dio far uscire Israele dall’Egitto che far uscire l’Egitto da Israele. Come è vero! Quanto è più difficile recuperare la libertà dentro, quant’è più difficile disintossicarci dentro, quant’è più difficile espellere i faraoni che ci comandano dentro.

Manda, Signore, il tuo Spirito a renderci liberi dentro. E ci faccia sempre più convinti che ciò che conta è come siamo dentro. Ci aiuti a sfuggire all’inganno di una società che privilegia l’immagine, la maschera.
Il tuo è uno Spirito d’interiorità
I nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre passioni, le nostre scelte siano nella rettitudine e nella libertà.

A questo riguardo è suggestivo pensare che ai tempi di Gesù la festa ebraica di Pentecoste era la festa della Rivelazione, la festa del dono della Legge sul Sinai. Nel racconto della Pentecoste cristiana molti di voi avranno notato alcune significative assonanze: il vento, il fuoco, il miracolo delle lingue. Secondo un noto midrash sul monte Sinai ogni parola uscita dalla bocca di Dio si divise in settanta lingue, così che ogni popolo sentiva i precetti divini nella propria lingua.

Mi piace pensare allo Spirito che fa diventare tua lingua la Parola di Dio: tua lingua e tua passione e tuo cuore. Ricordo l’impressione – sì, direi l’emozione – che provammo a Gerusalemme, quando una sera vedemmo davanti al Tempio i giovani ebrei danzare abbracciati – così come si abbraccia la creatura amata – abbracciati al rotolo della Torah, della Bibbia. Quasi una sorta di innamoramento.

Manda, o Signore, il tuo Spirito.
Ci liberi dal gelo di una religione ridotta a un elenco di definizioni da credere, o a un prontuario di norme da osservare.
Ci faccia parlare con te, seguire te, pensare a te con il cuore di chi ama.

Lo Spirito di Gesù ci fa – lo dicevamo – uomini e donne dell’interiorità ma non certo uomini e donne dell’intimismo. La Pentecoste è anche festa di uno Spirito che ci scuote, che apre le porte, che conduce sulle piazze, fuori dai nostri recinti protetti, nel rischio della vita, nella imprevedibilità della vita.

“La fede non è un fatto crepuscolare, umbratile, da vivere solo nella penombra delle chiese. La fede è un fuoco. La fede la si gioca allo scoperto, nella città, nelle piazze, nella vita di tutti i giorni” (L. Pozzoli).

Ma – vorrei aggiungere – non alla maniera dei ciarlatani: lo Spirito è anche pudore, è discrezione, è ascolto, è trasalimento per la voce misteriosa, per i segni improvvisi che solo chi è abitato dallo Spirito – quello vero! – sa sorprendere. Non abbiamo – no, non abbiamo conosciuto lo Spirito, il vero Spirito di Dio, se come cristiani diamo l’impressione di essere “impegnati” a lottare e a vincere più che a comprendere e a contemplare.

Vieni, Santo Spirito tu che sei vento impetuoso ma anche brezza leggera,
tu fierezza ma anche dolcezza,
tu rigore ma anche amabilità,
tu assolutezza della verità ma anche tenerezza della misericordia.

Omelia di don Angelo
http://www.sullasoglia.it

PENTECOSTE
Giovanni 20, 19-23
Lectio

19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”.

È indicato il giorno “tē hēméra ekéinē”=quel giorno (della Resurrezione) nel quale inizia la nuova creazione, =tē mia sabbátōn=il primo della settimana. Il luogo non viene precisato. L’annuncio che Gesù è risuscitato non toglie i discepoli dalla paura per la loro incolumità in quanto anch’essi sono ricercati (nell’interrogatorio il sommo sacerdote interrogò Gesù riguardo i suoi discepoli, 18,19). Non è sufficiente sapere che Gesù è risuscitato, ma occorre sperimentarlo presente. Gesù si presenta ponendosi al centro (stette in mezzo) della comunità. Questa dell’evangelista è una indicazione teologica: la comunità cristiana è centrata unicamente in Gesù, unico punto di riferimento e fattore di unità.

Viene sottolineato il contrasto tra il timore dei discepoli e la pace che Gesù comunica loro. Perché questa comunicazione di pace diventi effettiva deve essere accompagnata da gesti che la concretizzino.

20 Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

La pace di Gesù scaturisce dai segni del suo amore per i discepoli. Quell’amore che ha fatto sì che lui si consegnasse dando la vita per i suoi rimane impresso per sempre nella sua carne. Si realizza quanto Gesù aveva loro promesso: “Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia”(16,22). Il timore per i Giudei lascia il posto alla gioia per il Signore. Se avevano paura della morte che potevano infliggere le autorità, ora sperimentando Gesù resuscitato, sanno che nessuno può togliere la vita all’uomo.

21 Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”.

L’incarico ricevuto dai discepoli è quello di prolungare la missione di Gesù per essere manifestazione visibile dell’amore del Padre; per questo Gesù comunica loro la sua stessa capacità di amare.

22 Detto questo soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo.

Il verbo “soffiò”= enephiúsēsen da =emphiusáō è lo stesso usato dall’autore del Libro della Genesi nel racconto della creazione del primo uomo: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,7 LXX). Gesù aveva detto: “è lo Spirito che dà la vita… le parole che io vi ho detto sono Spirito e sono vita” (6,63). Questa, per Giovanni evangelista, è la Pentecoste di At 2,1.

La pienezza di vita che Gesù risuscitato possiede viene trasmessa ai suoi. Il dono dello Spirito effettua come una nuova creazione. Questo soffio è lo spirito vitale che permette all’uomo di diventare un essere vivente (Sap 15,11), dotato di un principio di vita che è la partecipazione alla vita stessa di Dio e che ogni creatura deve accogliere sempre di più nella propria vita! L’uomo da corpo animale/materiale (essere animale) è diventato corpo spirituale (essere spirituale) [cfr. 1Cor 15,44], cioè se prima faceva conto principalmente sulla sua umanità ora può far conto sullo stesso Spirito di Gesù. La forza dello Spirito è contenuta nel messaggio, per questo Gesù comunica lo Spirito al momento di inviare gli apostoli a trasmettere agli uomini le parole ricevute dal Padre. Gli uomini devono prendere coscienza sempre di più di questa Presenza per giungere alla pienezza di vita, quella della nuova e definitiva creazione, portata a termine in Gesù.

23 A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.

Questo incarico di Gesù non riguarda solo alcuni della comunità, ma è rivolto a tutti. Compito della comunità è prolungare l’attività di Gesù. Come Gesù non è venuto per giudicare ma per salvare: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.” (3,17); e “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.”(12,47) così compito della comunità non è giudicare gli uomini ma offrire loro una proposta di vita che li conduca alla pienezza. Non si tratta di una “potestà” ma di una “capacità/responsabilità” che si misura dalla sintonia con Gesù per mezzo dello Spirito. Affinché questo sia chiaro l’evangelista fa un attento uso dei termini: non adopera il verbo perdonare (siunghighnōskein) ma condonare/liberare (aphéōntai da aphíēmi), e si riferisce ai peccati e non alle colpe/mancanze degli uomini. [Il termine greco hamartía=peccato riguarda generalmente il passato dell’individuo (cfr. Rm 7,14.17.20.23.25; 1Cor 15,17; Mt 1,21) e non il suo presente e si riferisce a una situazione di ingiustizia (e non ad una colpa occasionale) nella quale l’individuo si trova volontariamente o perché non ha mai conosciuto un’alternativa.

Riflessioni…

  • Si è posato sul Figlio, si è posato su molti discepoli, si posa su ogni uomo, per schiudere la vita, per rinvigorire ogni vita. È lo Spirito di Dio. È l’alito, l’anelito di Colui che si è immischiato nella storia dell’uomo per santificarla: il tempo e lo spazio ristretto, di prima, diventano ora perennità e infinità.
  • Si compie così un tempo, e se ne apre un altro, completamento e continuità: è l’epoca dello Spirito, inanellata a quella del Padre e del Figlio. E qui, ora, siamo anche noi implicati e co-evi di queste epoche, grazie allo Spirito. Siamo pertanto gli uomini dello Spirito, che uniscono le storie precedenti, assetati di verità, in attesa di novità, che lo Spirito attuerà e ricorderà.
  • Siamo come lo sposo che ricorda alla sua sposa un amore che non si spegne, anzi…
    Siamo come l’amico che ricorda fedeltà e lealtà, anche nelle vicende cariche di enigmi. Siamo come chi ricerca verità, instaura autenticità, parla senza ambiguità e senza le finzioni su scene irreali.
  • Ed arriva, come colomba, come fuoco, come pensiero che si eleva e coglie significati e ragioni, come coscienza che rannoda spazi e tempi al sentire interiore, come cuore che pulsa ed ama le bellezze di ogni cosa, di ogni volto. Anche questo è il mistero dell’uomo e di Dio, che oggi si celebra, si glorifica, e ricorda il destino di ogni vivente.
  • È la festa oggi dello Spirito parlante.
    È l’ora della parola a colori. È il giorno di un sogno avverato. Lo Spirito nei tempi dell’inizio si librava sulle acque, traducendo la parola creativa del Padre: ogni cosa fu, allora, come oggi… Il Verbo rimase inespresso nella storia, fino alla Ri-velazione divina: poi si espresse senza più elementi vicari. E parlò di sé, del Padre, riservandosi poi anche di dire dello Spirito, anzi promise di inviarlo. Ed è iniziato oggi il tempo della Parola comune tra gli uomini e Dio, che da oggi potranno intendersi agevolmente.
  • È finita l’epoca di babele, della disunione, dei particolarismi soffocanti, e nasce una nuova grammatica per un linguaggio comune e universale, ove ognuno può riconoscersi, ascoltare e liberamente parlare per intendersi: è la grammatica della vita ove ogni uomo è Soggetto di azioni di vita e può coniugare i verbi fondamentali comuni ad ogni lingua. E su questo nuovo linguaggio potrà posarsi lo Spirito e ricordarne i nuovi termini di giustizia, di libertà, di pace, tensioni perenni di ogni vivente.
  • Vieni, pertanto, Santo Spirito, e manda raggi lucenti che attraversino parole, voci d’amore che ravvivino speranze, inviti che riportino segnali di pace: in Palestina, in Africa, in Occidente e in Oriente.
    Sarà una Tavola di pace, ove la parola ha un senso, il sentimento un valore, il nome sottoscritto un impegno di fedeltà.

http://www.ilfilo.org