L'episodio della Trasfigurazione di Gesù si trova al centro di questa seconda domenica di quaresima. E' per portarci a riflettere sul destino di trasfigurazione a cui siamo tutti chiamati. Il racconto della Trasfigurazione di Gesù è la seconda rivelazione della sua identità filiale. La prima è avvenuta in occasione del suo battesimo.

Dio si rivela all’uomo per attirarlo a sé

Gn 15,5-12.17-18; Salmo 26; Fil 3,17 - 4,1; Lc 9,28-36

L'episodio della Trasfigurazione di Gesù si trova al centro di questa seconda domenica di quaresima. E' per portarci a riflettere sul destino di trasfigurazione a cui siamo tutti chiamati. Il racconto della Trasfigurazione di Gesù è la seconda rivelazione della sua identità filiale. La prima è avvenuta in occasione del suo battesimo. In tutti e due gli eventi, la voce del Padre presenta Gesù come suo Figlio. La novità (rispetto alla teofania del battesimo) di questa seconda ed ultima volta che il Padre parla è l'appellativo "eletto" e l'invito all'ascolto del Figlio.

E' Dio Padre in persona che offre la propria garanzia: Gesù è il profeta che devono ascoltare. L'appellativo "eletto" è ripreso dalla presentazione del servo del Signore che ha il compito non solo di liberare i figli di Israele, ma anche di essere luce delle nazioni. La Trasfigurazione è il punto d'arrivo dell'universo. Il volto di Gesù, bellezza di Dio e compimento del suo disegno di salvezza, è il nostro vero volto, nel quale, per il quale e in vista del quale siamo stati fatti (Col 1, 15). In lui tutto raggiunge il suo fine e si ricongiunge al suo principio. Il racconto della Trasfigurazione segna una svolta decisiva sia nel cammino di Gesù, che va verso Gerusalemme, sia in quello dei discepoli, ai quali il Padre mostra il mistero del Figlio.

In effetti, la presenza di fianco a Gesù dei due personaggi emblematici dell'Antico Testamento, Elia (il Padre dei profeti) e Mosè (il mediatore della Legge), ha una valenza molto significativa. La Legge e i profeti parlano di lui, compimento di ogni promessa di Dio. E la comparsa di Mosè ed Elia accanto a lui conferma che il tempo dell'attesa e della promessa è compiuto. Perciò, al termine resta solo Gesù: basta solo lui come dottore della Legge perfetta e definitiva, e come compimento di tutte le Profezie. Quindi, la scena conclusiva mette in risalto il ruolo mediatore unico di Gesù riguardante la parola rivelatrice di Dio. Questo messaggio è particolarmente importante per i tre personaggi e per i loro compagni.

Si tratta di seguire un Messia che adesso vedono avvolto nello splendore della gloria, trasfigurato, ma che tra poco vedranno deriso, umiliato, sfigurato e condannato a morte. Mosè ed Elia parlavano di questa sofferenza e di questa morte vicina, e confortavano Gesù. La voce del Padre sembra anche un incoraggiamento, in previsione della passione. Il Padre invocato a gran clamore durante la notte di Getsemani a non risponderà, perché aveva già risposto a Thabor. D'altra parte, poiché gli apostoli dovevano vederlo posto tra le mani dei nemici, fosse stato bene che l'avessero visto prima nella gloria della trasfigurazione. Quindi adesso, tutte le precauzioni sono prese, e Gesù può andare al suo destino. La sua trasfigurazione è preludio alla sua risurrezione. Pietro vorrebbe eternizzare questo momento privilegiato. Interpreta la visione come un segnale di riposo definitivo, mentre essa costituisce un punto di partenza, un invito a camminare e a riprendere coraggio. Associando alcuni discepoli alla Trasfigurazione, Gesù vuole farci capire che anche i nostri corpi sono chiamati ad un destino di trasfigurazione definitiva e di vita in Dio.

"Faremo tre tende". La tenda richiama la dimora di Dio tra gli uomini. In realtà tre sono i modi con cui Dio dimora tra noi: la Legge (Mosè) che ci àncora al passato, la promessa (Elia) che ci attira al futuro, e l'umanità di Gesù, presenza in cui si compie tutto il passato e termina tutto il futuro. Questa è la tenda definitiva di Dio tra gli uomini. Il principio della nostra trasfigurazione è l'ascolto di Gesù. Non c'è altra rivelazione da cercare. L'ascolto di lui ci rende come lui, figli di Dio, partecipi della sua vita. Senza la sua trasfigurazione neanche avremmo immaginato la gloria cui siamo destinati "E' bello per noi essere qui", dice Pietro. Infatti, è bello essere con Gesù trasfigurato. Qui raggiungiamo ciò per cui siamo fatti, e ci sentiamo a casa. Altrove è brutto e non possiamo stare. In Gesù trasfigurato, infatti, tutta la creazione raggiunge quella bellezza che Dio aveva aggiudicata fin dal principio. La viviamo più direttamente col nostro battesimo. La trasfigurazione corrisponde quindi alla vita nuova che il battesimo ci conferisce.
Don Joseph Ndoum

 Il volto del Trasfigurato non vuole volti sfigurati

Genesi 15,5-12.17-18; Salmo 26; Filippesi 3,17-4,1; Luca 9,28-36

Riflessioni
Contemplare il volto! L’antifona d’ingresso offre una chiave di lettura del Vangelo della Trasfigurazione e di altri testi biblici e liturgici di questa domenica: “Cercate il suo volto. Il tuo volto io cerco, o Signore. Non nascondermi il tuo volto”. Una risposta a questa insistente supplica arriva da un monte, dove Gesù si trasfigurò davanti a tre discepoli prescelti: “il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (v. 29). La Trasfigurazione che i tre evangelisti sinottici ci narrano è un passaggio misterioso, difficile da interpretare, perché presenta un’esperienza ai confini dell’umano e del divino; usa un linguaggio simbolico, che ritroviamo nella Bibbia ogni volta che si parla di manifestazioni di Dio: monte, nuvola, luce, voce... Per i tre discepoli fu un’esperienza forte, entusiasmante: È bello per noi stare qui, esclama Pietro.

Gli evangelisti insistono sullo splendore luminoso che manifesta esternamente l’identità di Gesù; infatti la luce è segno del mondo di Dio, della gioia, della festa. Qui la luce non viene da fuori, ma emana dal di dentro della persona di Gesù. A ragione, Luca sottolinea che Gesù “salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto” (v. 28-29). È dal rapporto con il Padre che Gesù esce dinamicamente trasformato: la piena identificazione con il Padre risplende sul suo volto. La preghiera trasforma, ti cambia la vita, ti aiuta a guardare la realtà in modo diverso, con gli occhi della fede. In quella esperienza sul monte i discepoli intuiscono che il volto di Gesù rivela il volto di Dio, che quell’uomo Gesù è davvero il Messia. Lo capiranno pienamente dopo che Egli sarà risorto (cfr. Mt 17,9), quando anche i discepoli saranno radicalmente trasformati: allora lo comprenderanno e lo annunceranno ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15).

Il cammino di trasformazione interiore è lo stesso per Gesù, per il discepolo e l’apostolo: la preghiera, vissuta come ascolto-dialogo di fede e di umile abbandono a Dio, ha la capacità di trasformare la vita del cristiano e del missionario. Infatti, la preghiera è l’esperienza fondante della missione. Tale è stata anche l’esperienza di Pietro, sicuro di non essere andato “dietro a favole artificiosamente inventate”, essendo stato uno dei tre “testimoni oculari… mentre eravamo con Lui sul santo monte” (2Pt 1,16.18). In mezzo a confusione e paura (v. 33.34), Pietro avrebbe voluto evitare quel misterioso “esodo”  -quello strano passaggio da portare a compimento a Gerusalemme-  di cui parlavano Mosè ed Elia con Gesù (v. 31); avrebbe voluto fermare nel tempo quella stupenda visione del Regno (v. 33) come una perenne “festa delle capanne” (Zc 14,16-18). “Ascoltatelo!” disse la voce dalla nube (v. 36). Ascoltare, contemplare, in silenzio… È il primo atteggiamento da coltivare in presenza del sacro, di Dio, dell’Eucaristia, dei santi…

Pietro ha dovuto uscire dai suoi schemi mentali  -puramente umani-  per entrare nel modo di pensare di Dio (Mt 16,23). Lo stesso avvenne per Abramo (I lettura), del quale la seconda domenica di Quaresima ci presenta sempre una delle vicende emblematiche (la chiamata, il figlio Isacco, l’alleanza). Ad Abramo  -anziano, senza terra e senza figli-  Dio promette una terra e una discendenza, ma gli chiede in cambio l’assoluta adesione del cuore, la fedeltà all’alleanza (v. 18). Abramo capisce che il fatto di credere non è un’azione periferica, marginale, ma comporta lo spostamento del baricentro della propria vita su Dio. Per la fede, come spiega S. Paolo (II lettura), abbiamo la forza di rimanere “saldi nel Signore” (v. 4,1) anche nelle prove, non comportandoci “da nemici della croce di Cristo” (v. 18), ma da amici che Lo aspettano “come salvatore” (v. 20).

Il volto trasfigurato e affascinante di Gesù è un preludio della sua realtà post-pasquale e definitiva; la stessa che è promessa anche a noi. Su questa vocazione alla vita e alla gloria si fonda la dignità di ogni persona umana, che per nessun motivo dovrebbe soffrire deturpazione. Purtroppo, anche oggi, in tutti i Paesi, il volto di Gesù è spesso deturpato in tanti volti umani, come afferma il documento dei Vescovi latinoamericani a Puebla (Messico, 1979): volti di bambini malati, abbandonati, sfruttati; volti di giovani disorientati e sfruttati; volti di indigeni e di afroamericani emarginati; volti di campesinos abbandonati e sfruttati; volti di operai mal retribuiti, disoccupati, licenziati; volti di anziani emarginati dalla società familiare e civile (n. 31-43). E la lista potrebbe continuare con le situazioni che ognuno conosce nel proprio ambiente. Sono altrettanti appelli pressanti alla coscienza dei responsabili delle nazioni e ai missionari del Vangelo di Gesù. Missione è restituire e garantire dignità e sorriso ai volti deturpati e sfigurati.

Parola del Papa
«Proprio seminando per il bene altrui partecipiamo alla magnanimità di Dio…  Seminare il bene per gli altri ci libera dalle anguste logiche del tornaconto personale e conferisce al nostro agire il respiro ampio della gratuità, inserendoci nel meraviglioso orizzonte dei benevoli disegni di Dio. La Parola di Dio allarga ed eleva ancora di più il nostro sguardo: ci annuncia che la mietitura più vera è quella escatologica, quella dell’ultimo giorno, del giorno senza tramonto. Il frutto compiuto della nostra vita e delle nostre azioni è il “frutto per la vita eterna” (Gv 4,36), che sarà il nostro “tesoro nei cieli” (Lc 12,33; 18,22). Gesù stesso usa l’immagine del seme che muore nella terra e fruttifica per esprimere il mistero della sua morte e risurrezione (cfr. Gv 12,24)… Questa speranza è la grande luce che Cristo risorto porta nel mondo».

Papa Francesco
Messaggio per la Quaresima del 2022, n. 1

P. Romeo Ballan, MCCJ

Mistero di trasformazione
di Francesco Cosentino

Lungo il cammino verso Gerusalemme, dove sarà consegnato e verrà messo a morte, Gesù invita Pietro, Giacomo e Giovanni a una sosta sul Monte Tabor. Egli vuole sollevare il loro cuore, gravato dal peso di aver saputo e compreso che il Messia sarà giudicato come un malfattore e messo a morte. Come reggere l’impatto di questo avvicinarsi di tenebre, di quell’ora in cui si farà buio su tutta la terra? Gesù offre ai suoi amici una lettura diversa del cammino, un punto di osservazione straripante di luce: si trasfigura davanti a loro e diviene “candido” e “sfolgorante”. È un anticipo della Pasqua, di quella luce splendente che di prima mattina rotola in modo prepotente la pietra di ogni sepolcro e di ogni morte. A questo punto, Pietro, Giacomo e Giovanni, che «erano oppressi dal sonno» finalmente si «svegliarono»: erano ciechi, incapaci di cogliere il senso luminoso di tutto il cammino, ma ora finalmente possono guardare al di là del buio del momento, verso un orizzonte infinito di luce. Passano, cioè, dalla notte della morte alla luce della Pasqua. Così, il Vangelo della Trasfigurazione, mentre anticipa la Pasqua, è anche un’eco del Natale: la luce viene nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.

In questa domenica celebriamo e contempliamo un mistero di trasformazione che ricorda alla nostra vita due grandi verità; la prima è che la luce del Signore continua a brillare anche quando attraversiamo la notte dello smarrimento, dell’angoscia, della paura o del dolore e queste esperienze di morte sono lentamente trasformate dall’agire amorevole e silenzioso di Dio verso di noi; la seconda, è che la nostra destinazione finale è essere trasformati e trasfigurati in Cristo e, perciò, le tenebre del male, della violenza e della morte non hanno l’ultima parola su di noi. Il presente che viviamo, perciò, dalla prospettiva del Monte e cioè dall’alto della visuale di Dio, non rimane prigioniero della paura di soccombere, ma può essere visto a partire dalla promessa futura: siamo fin d’ora risorti con Cristo e saremo completamente trasfigurati in Lui. Che cosa mi è richiesto? Il brano del Vangelo sottolinea tre tappe: fare una pausa per salire sul monte, svegliarmi dal sonno e lasciarmi trasformare dal Signore.

E così, oltre a uno sguardo sulla vita, questa domenica ci offre un itinerario quaresimale. In questo tempo, ci farà bene recuperare il gusto di fermarci, di fare delle “soste” salutari e luminose in mezzo ai ritmi frenetici di ogni giorno, così da poter “salire sul Monte”, là dove il cielo splendente dell’amore di Dio può toccare la fragilità della terra di cui siamo impastati; se i nostri occhi sono schiacciati da un sonno pesante, come fu per i tre apostoli, proprio la Quaresima è “il tempo favorevole” per risvegliarci al Vangelo e guardare la vita a partire da Dio e dalla Sua Parola; e, infine, più che essere preoccupato di cambiare qualcosa come se la conversione fosse opera dei miei sforzi e dei miei digiuni, lasciarmi trasfigurare dal Signore. La fede non impone alla mia vita il violento imperativo “devi cambiare”, ma, al contrario, mi rivolge il dolce invito “lasciati trasformare”.
Francesco Cosentino

Invertire la rotta

Dove possiamo trovare una mèta sicura, che ci fa sentire persone libere, soddisfatte e felici e soprattutto capaci di rapporti veri, durevoli, basati sul volersi bene? Come invertire la rotta?

È importante, nel viaggio della vita, chiedersi se la direzione intrapresa ci porta verso la piena realizzazione della nostra identità, mossa dal vento della verità, per arrivare alla terra della libertà. Sono percorribili tre strade per condividere il nostro tempo, il capitale più prezioso che abbiamo a disposizione in diversi ambienti. La via del piacere è spiegata da Freud, che considera questo principio il meccanismo regolatore delle pulsioni biologiche. Il bisogno di soddisfarle crea una situazione di equilibrio nell’organismo. Un piatto gustoso ci procura piacere. Pure drogarsi o fumare una sigaretta può procurare un momentaneo piacere. Ma a quali conseguenze vado incontro se continuo ad usare sostanze nocive per la mia salute? Forse devo cercare qualcos’altro… La via del bene utile. Per guarire sono utili le medicine amare come le operazioni chirurgiche: questo corrisponde al “principio di realtà”. Gesù parlava delle due vie: una larga che conduce alla perdizione, l’altra stretta che conduce alla salvezza… Il piacere immediato ci fa restare nella fase infantile, la vetta del bene autentico si riferisce ad un valore superiore alla gratificazione del momento. Certo ci sono beni di piacere che non hanno connotazione negativa (come il mangiare sano, l’attività fisica, un buon sonno…).

La strada più impegnativa ma più appagante è quella del bene onesto. Ciò comporta il riconoscimento di alcuni valori che risvegliano il senso della propria coscienza profonda, ispirati dalla scoperta della dimensione trascendente. Come la sete è la prova più certa dell’esistenza dell’acqua, così in noi c’è un “desiderio di bere” che si appaga non solo con l’acqua, ma con la capacità di ardere, in modo insistente e duraturo, finché non si trova risposta. Il bene onesto ci permette di uscire dalla ridotta circonferenza dei nostri interessi personali per abbracciare il grande cerchio dell’umanità e del mondo intero. Se, ad esempio, durante una gita in montagna faccio pulizia in una zona di pic-nic lasciata in disordine, è perché il bene onesto mi ispira di raccogliere e mettere nel primo cestino che si trova i rifiuti rimasti in giro. Questa azione evidentemente non procura un piacere e non è nemmeno utile, perché non si è pagati per questo, ma procura un senso di pace e di armonia che ci fa camminare più leggeri. Come ha affermato Albert Einstein: “Una vita che miri principalmente a soddisfare i desideri personali conduce, prima o poi, a un’amara delusione”. Ecco perché l’Amore di Dio dovrebbe ispirare ogni azione: questa è la rotta dell’autentica e duratura felicità!
Don Erminio Villa