Non potete servire Dio e la ricchezza dice Gesù. Sembrerebbe invece che si possa fare piuttosto facilmente. Si serve Dio con una appartenenza formale, conveniente ed esibita, e si serve la ricchezza divenendone addirittura schiavi. (...)
Non potete servire Dio e la ricchezza dice Gesù. Sembrerebbe invece che si possa fare piuttosto facilmente. Si serve Dio con una appartenenza formale, conveniente ed esibita, e si serve la ricchezza divenendone addirittura schiavi.
Gesù porta alla luce del sole ciò che noi volentieri nascondiamo, il rapporto tra la vita cristiana e l’economia, un rapporto molto delicato, necessario, che se diventa un vincolo, un giogo, a poco a poco ci ruba l’anima, anestetizza la fede, e ci rende meno umani.
Quando san Francesco d’Assisi accettò il dono della sua vocazione, iniziò gettando i denari a terra davanti al padre. Un gesto straordinario, bellissimo, cristiano, che dovrebbe essere di tutti noi; egli spezzò un giogo, si liberò da una dipendenza, ricollocò il denaro al posto giusto, cioè nell’ordine dei mezzi.
Le ricchezze non sono un fine, ma uno strumento nelle mani degli uomini. Troppo spesso sono diventate uno strumento ingiusto perché l’uomo se ne è servito per dominare gli altri uomini e assoggettare interi popoli al controllo di alcune elite. Anche nella Chiesa la storia ci insegna che non pochi si sono allontanati dalla fede, perché hanno ricevuto una cattiva testimonianza nell’uso del denaro e delle ricchezze.
Gesù invita i suoi discepoli a essere “scaltri” nell’uso delle ricchezze. Chiede a ognuno di noi un diverso rapporto con le economie sia sul piano individuale che in quello comunitario. Il vangelo che per sua natura è anche una Buona Notizia sociale, ci ricorda che il corretto uso del denaro, della ricchezza, è quello di farne uno strumento di liberazione e di riconciliazione tra i popoli. Grazie a Dio il progresso culturale delle scienze economiche sta favorendo una sempre maggiore presa di coscienza, circa il bisogno di una più equa distribuzione delle ricchezze del pianeta. Alcune organizzazioni internazionali e alcune nazioni più sviluppate stanno lottando per nuovi equilibri sociali, ma la battaglia è ancora molto lunga e difficile.
Denaro sporco, potere, carriera, corruzione, lobbismo, clericalismo stanno dalla stessa parte e vanno in giro cercando chi divorare. Gesù ci dice che per vivere e annunciare il vangelo, liberi da ogni integralismo e da ogni dipendenza economica, bisogna con Lui “mettersi in cammino verso Gerusalemme”.
Non è solo importante, ma è necessario che ciascuno di noi salga a Gerusalemme, che non è la città delle banche centrali, ma la città che uccide i profeti, accogliendo la drammatica e magnifica proposta di vita del Signore, pronti a pagare un prezzo molto alto, con la serenità che il Suo giogo è dolce e il Suo carico leggero. Solo il Dio di Gesù Cristo ci insegna ad amare senza confini, senza limiti, senza integralismi e sempre gratuitamente.
[Francesco Pesce – L’Osservatore Romano]
La condivisione toglie alle ricchezze il ‘veleno’ di disonestà
Amos 8,4-7; Salmo 112; 1Timoteo 2,1-8; Luca 16,1-13
Riflessioni
L’evangelista Luca ha spesso un giudizio critico verso il denaro, le ricchezze, l’accumulazione dei beni… Vari brani del Vangelo di queste domeniche estive ne danno prova: le parabole del ricco stolto, l’amministratore infedele, il ricco epulone e altri. Per Luca, evangelista sensibile alla situazione dei poveri e dei meno abbienti, il denaro ha spesso una connotazione di ambiguità, sospetto, disonestà, ingiustizia, pericolosità, poca trasparenza... Il monito è sempre valido e attuale, anche oggi, di fronte alle molteplici forme di arricchimento indebito: speculazione, usura, giochi finanziari, tangenti, corruzione, riciclaggio di denaro sporco (Luca lo chiama disonesto, v. 9.11) per droga, mafia, sequestri…
Fin dai primi secoli, la tradizione cristiana ha recepito questo messaggio circa il valore, l’uso e la pericolosità delle ricchezze. La parola di alcuni Padri della Chiesa è eloquente e sferzante. S. Basilio scrive: “Non sei tu un ladro quando consideri come tue le ricchezze di questo mondo, ricchezze che ti sono state consegnate solo affinché tu le amministrassi?”. E S. Ambrogio: “Non dobbiamo considerare ricchezza ciò che non possiamo portare con noi. Perché ciò che dobbiamo lasciare in questo mondo non ci appartiene, è degli altri”. S. Giovanni Crisostomo ha un ampio e provocatorio insegnamento in materia, che si può riassumere così: “Il ricco o è ladro o è figlio di ladri”. Si può non condividere alcune espressioni, ma è da persone sagge confrontarsi onestamente con esse.
Le abitudini del denaro ingiusto e disonesto sono antiche quanto l’umanità. Il profeta Amos (I lettura), nel secolo VIII prima di Cristo, in un’epoca di splendore del regno di Israele, denuncia con toni di fuoco coloro che si arricchiscono sulla pelle dei poveri e degli umili (v. 4), fino a “comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali” (v. 6); sono smaniosi di fare soldi con le solite astuzie mercantili: giocando sui tempi e falsando le misure e le bilance (v. 5). Mille anni dopo, gli fa eco S. Basilio contro gli usurai del suo tempo: “Tu sfrutti la miseria, ricavi denaro dalle lacrime, tu strangoli colui che è nudo, schiacci l’affamato”. (*)
L’amministratore di cui parla Gesù nella parabola (Vangelo) è infedele e scaltro. È infedele, perché ha abusato della fiducia del padrone, ne ha sperperato gli averi, meritandosi il licenziamento (v. 1-2). Ha prevaricato, è stato disonesto e corrotto. Sulla cattiva gestione dei beni del padrone il giudizio è e resta negativo; anche se nella seconda parte della parabola l’amministratore, con sorpresa, viene lodato. La lode che il suo padrone gli riserva (v. 8) e gli spunti che ne ricava Gesù riguardano solo il modo scaltro come lui se la cava, cercandosi amici per il suo futuro incerto. Egli sa trasformare il denaro da mezzo di sfruttamento in occasione di condivisione; la sua scaltrezza consiste nell’usare il denaro per farsi degli amici. “Potremmo dire, il malfattore diventa benefattore” (E. Ronchi). La parabola insegna
a farsi degli amici, a circondarsi di affetti, costruirsi attorno relazioni vere e profonde, utili per il futuro.
La prassi è diversa ai nostri giorni. La Bibbia di Gerusalemme, al v. 16,8 di Luca, spiega che, secondo l’uso allora tollerato in Palestina, gli amministratori - che non erano pagati - avevano diritto di rifarsi incassando una percentuale sui prestiti maggiorati concessi ai debitori dei loro padroni. Il beneficio personale degli amministratori consisteva appunto nella differenza fra il prestito reale e la ricevuta maggiorata. Lo scaltro amministratore della parabola non toglie al padrone la quantità reale che gli spetta; semplicemente riduce la ricevuta del debitore alla quota reale, rinuncia alla parte di interesse che gli spetterebbe, favorendo gli eventuali futuri amici, che, in tal modo, pagheranno al padrone solo il debito netto, senza interessi né usure. La scaltrezza dell’amministratore, che anche Gesù elogia, consiste nel saper rinunciare a un interesse economico immediato, per puntare sul beneficio di amici per il futuro. C’è qui un invito a investire non tanto sulle cose che periscono, ma sui valori che permangono. Per Gesù tali valori sono anzitutto due: la condivisione dei beni con i poveri in vista delle dimore eterne (v. 9) e la libertà di fronte alle cose che schiavizzano il cuore (v. 13).
È forte qui l’invito all’apertura del cuore, alla sensibilità verso gli altri. Questa apertura, afferma S. Paolo (II lettura), si ispira nel Cuore di “Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (v. 3-4). Proprio tutti: lo ripete quattro volte (v. 1.2.4.6), per sottolineare il progetto generoso di Dio (v. 4), l’opera di Cristo (v. 6), la dimensione universale della preghiera del cristiano (v. 1-2.8), chiamato ad essere ovunque messaggero di Cristo (v. 7).
Parola del Papa
(*) La Santa Madre Teresa di Calcutta “si è chinata sulle persone sfinite, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva loro dato; ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! - della povertà creata da loro stessi”.
Papa Francesco
Omelia nella canonizzazione della Beata Teresa di Calcutta, 4.9.2016
P. Romeo Ballan, MCCJ
La scelta di servire Dio o mammona
Am 8,4-7; Salmo 112; 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13
La parabola dell’amministratore scaltro, riferita solo nel vangelo di Luca, dà il tono alla liturgia della parola di questa domenica. Questa parabola sorprendente, in cui viene fatto l’elogio di un uomo disonesto, è preparata dalle parole del profeta Amos (vissuto otto secoli prima di Cristo), nella prima lettura, che denuncia le manovre di molti ricchi che controllano il mercato del grano in Israele. Il profeta descrive le ingiustizie compiute da questi disonesti, che mentre osservano con pignoleria le prescrizioni puramente esteriori della Legge, erano poi capaci di vendere un povero al prezzo di “un paio di sandali”. Ma Dio, per mezzo del profeta, si presenta come difensore dei diritti del povero.
Nella seconda lettura l’apostolo Paolo scrive al suo discepolo Timoteo, con le raccomandazioni sulla preghiera: occorre pregare sempre, tutti per tutti. Questo è lo specifico della preghiera della cristiana: essa deve sempre avere un’apertura universale, poiché Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini.
Nel vangelo, si tratta indubbiamente di una parabola imbarazzante, però che raccomanda la virtù della prudenza ed è seguita da consigli ai discepoli sull’uso sapiente delle ricchezze. Questa storia di una truffa, operata da un amministratore scaltro ed infedele, che riduce notevolmente l’ammontare dei debitori del suo padrone (venti per cento per il grossista di grano, e cinquanta per quello dell’olio), e che poi viene elogiato dal padrone, suscita degli interrogativi. Com’è possibile lodare un comportamento disonesto? Il “padrone ricco” delle parabole spesso è Dio stesso, e l’amministratore rappresenta, ogni uomo, ciascuno di noi.
L’approvazione del Signore va all’amministratore astuto, certo; tuttavia la lode non riguarda la sua disonestà, bensì la scaltrezza di cui ha dato prova. Egli rappresenta senz’altro i “figli delle tenebre”, ma è il suo agire che viene proposto come modello ai “figli della luce”. Gesù non pronuncia un giudizio morale sulla condotta truffaldina, ma apprezza l’intraprendenza del suo furfante. La lezione riguarda anche ognuno di noi, poiché risulta difficile di avere sempre i registri a posto. Per poco che Dio ci dia un’occhiata, c’è da tremare.
L’amministratore astuto è chiamato phronimos (saggio) perché ha saputo prendere una decisione coraggiosa, lucida e rapida per cavarsi fuori da una situazione drammatica e per assicurarsi il futuro. lì si trova il punto focale della parabola, la lezione di fondo. Infatti Gesù annuncia che il regno di Dio è vicino. Chi vuole prendervi parte deve fare come l’amministratore della parabola, cioè, senza dilazioni e ripensamenti, approfittare della situazione presente ed agire di conseguenza per assicurarsi il destino futuro. L’urgenza del regno di Dio comporta una decisione immediata e pratica di fronte alle parole ed azioni di Gesù. L’amministratore infedele trova un varco che gli permette di uscire dalla sua situazione difficile attraverso una scoperta decisiva: la scoperta degli altri. Finora non si era accorto veramente della loro “esistenza”; pensava solo a sé a ai propri interessi. Adesso scopre la propria identità nel suo “essere per” i prossimi; e la propria salvezza passa attraverso questa apertura al prossimo.
Per quanto riguarda l’uso delle ricchezze, la proposta principale è quella di farsi amici i poveri con la condivisione dei beni materiali (di cui siamo solo amministratori e non proprietari) per essere accolti nella vita eterna. Non è consentita l’autogestione. Questi sono provvisori ed appartengono ad altri. E’ il poco del tempo presente rispetto alla felicità eterna. “Nessuno può servire a due padroni…”. Bisogna scegliere tra Dio e mammona (le ricchezze). La ricchezza personalizzata, in chi la considera come fondamento della vita, crea l’illusione della (falsa) sicurezza. Gesù vuole avvertici circa il rischio di fare una valutazione falsa dei beni materiali.
Don Joseph Ndoum
Simbolo o Idolo.
Il denaro nel Vangelo di Luca
Il denaro ha un ruolo importante nella vita degli uomini. Parlarne suscita sempre interesse e perplessità. Il « boom » economico, frutto dei passi da gigante compiuti grazie alle scoperte scientifiche, ai progressi tecnologici e industriali ed allo sviluppo degli scambi economici e finanziari, ha largamente contribuito al miglioramento della qualità della vita umana. Nonostante ciò, esso ha originato nuove problematiche che si pongono come sfide al mondo moderno. Il benessere non va necessariamente di pari passo con lo stare bene. La globalizzazione della società dovrebbe servire alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Purtroppo, la mondializzazione del mercato ha assunto un ritmo che non soltanto favorisce la crescita delle disuguaglianze sociali, ma in più, semina germi distruttori del tessuto sociale, familiare, culturale e religioso.
Nel mio paese, la Repubblica Democratica del Congo, così come in quasi tutti i paesi del Terzo mondo, la povertà ha raggiunto un livello drammatico che non può lasciare indifferente il pastore e il teologo, tanto più ogni qual volta è possibile vedere le conseguenze del marasma socioeconomico nella vita e nella missione della Chiesa. In Occidente, così come in varie parte del Pianeta, ci troviamo immersi in una cultura consumista e di profitto a tutti i costi che riduce l'uomo ad uno strumento al servizio di interessi finanziari. Siamo testimoni e vittime di un sistema economico che vuole che tutto sia organizzato in base al modello ed al diritto imposti dalle grandi potenze e dalle organizzazioni finanziarie.
Il modo in cui « la religione dell'economia e del denaro » domina la società impone un cambiamento di mentalità, di comportamento e di strutture. Inoltre, esso fa appello alla verità intima di tutti coloro che si dichiarano credenti. A ognuno di noi viene posta una domanda fondamentale: Chi è il tuo Dio? In chi, e in che cosa, hai fiducia? Il nostro rapporto con il denaro, vale a dire il nostro modo di acquisirlo e l'uso che ne facciamo, traduce il nostro rapporto con Dio, la nostra visione dell’uomo e della vita in società. Prima d'essere di natura economica, quindi, il problema posto dalla nostra gestione del denaro e dei beni del Creato è in primis di natura religiosa e etica.
Pur riconoscendo la complessità delle questioni economiche e delle sfide del mondo attuale, che richiedono competenze specifiche, uno studio biblico sul denaro resta utile per alimentare la riflessione teologica e per rischiarare le scelte di vita personali e sociali in vista dell’instaurazione del Regno di Dio. Una corretta conoscenza dei valori, nei quali tutti i Battezzati debbono impegnare la loro libera responsabilità, è per essi e per la loro coscienza un quesito sul senso della vita. La saggezza evangelica interpella la funzione del denaro che cercano di avere o che possiedono, il senso della rinuncia e della gratuità, la loro battaglia per la giustizia, l’inventiva della loro carità e, in fin dei conti, l'autenticità della propria conversione al Vangelo e della propria adesione al Regno di Dio.
L'ingiustizia consiste in rapporti viziati con Dio e in relazioni di fratellanza compromesse. Laddove c’è ingiustizia, v'è il culto di un altro dio. L'ingiustizia rivela una sacralizzazione, una deificazione di qualcosa. Il denaro, che in questo caso diviene «Mamona», è il più astuto e il più pericoloso degli idoli; la sua potenza separa l'uomo idolatra da Dio, spingendolo a perdere fiducia in Lui e allontandolo dagli altri, l'idolatria del denaro mette in pericolo di morte l'idolatra stesso, gli altri e la comunità dove egli vive.
Gesù ha parlato più spesso del denaro sulla strada di Gerusalemme. Secondo l'autore del terzo Vangelo, il pericolo dell'idolatria del denaro occupa una posizione centrale nel nostro cammino di fede. Coloro che rifiutano di cedere alla tentazione di idolatrare il denaro, entreranno con Gesù nella Nuova Gerusalemme. La porta del Regno di Dio non è chiusa a priori per nessuno. La salvezza viene offerta a tutti.
Gesù manda i suoi discepoli ad annunziare il suo Regno. Ne saranno capaci soltanto se, come Lui, mettono la loro fede nella potenza che viene dall’Alto e non sul potere di «Mamona» (9,16.23-25; 10,17-20). Senza rinuncia, gratuità, libertà, umiltà e misericordia, non potranno trasmettere la vita, offrire la salvezza. Chiamato ad esercitare lo stesso ministero di Gesù, il discepolo deve vivere come «figlio di Dio». Il vero discepolo di Gesù, il «giusto» lavora affinché il Regno di Dio si avvicini agli uomini per suo tramite, col potere del Figlio di Dio e come figlio di Dio.
Mgr Jean Basile Mavungu Koto