La sua gente affrontava il leone con la sola lancia, quando questi minacciava il gregge. Egli sfidò chi opprimeva i suoi fedeli con le mani. Rimase con i suoi fino alla morte


? (Sudan)
Wau (Sudan)

In poco più di mezzo secolo il Sudan veniva a trovarsi nell’occhio del ciclone per la seconda volta.
La prima ebbe inizio nel 1882, ad un anno esatto dalla morte di san Daniele Comboni. Un leader musulmano proclamatosi “Mahdi” (l’atteso) scatenò una specie di guerra santa contro il dominio turco-egiziano che deteneva il potere in Sudan.

Nessuna guarnigione militare poté resistere alla ferocia dei seguaci del Mahdi. Il generale Gordon tentò di fermarli mentre assalivano Khartoum, ma venne ucciso e il suo esercito massacrato (1885).
Alcuni tra i missionari e le suore, morirono durante la prigionia presso Ondurmàn. Altri, una quindicina, sopravvissero a una lunga prigionia che ebbe termine quando le orde del Mahdi, morto nel frattempo, vennero sgominate dal generale Kitchener nel 1898.

I missionari comboniani intanto, non erano rimasti oziosi. Negli istituti di Verona e del Cairo si tenevano pronti a penetrare per la seconda volta nel cuore dell’Africa. Dal Sudan del nord passarono alla parte meridionale del paese fino a raggiungere i grandi laghi dell’Uganda. Era un vecchio sogno del Comboni che si realizzava.

Intanto si arrivò al 1955, l’anno in cui si verificò nel Sudan meridionale un ammutinamento dell’esercito contro i comandanti arabi. Infatti il Sudan meridionale, abitato da neri, non vedeva di buon occhio la parte nord del paese, popolata in prevalenza da arabi, gli antichi schiavisti. Le truppe inglesi aerotrasportate sedarono la rivolta e giustiziarono 342 sudisti. Gli inglesi concessero l’indipendenza al paese nel 1956, lasciando che la lotta tra nord e sud si facesse più palese e aspra.

L’anno dopo infatti, il governo sudanese, di ispirazione musulmana, nazionalizzò tutte le scuole cattoliche e protestanti, la domenica cessò di essere giorno festivo per i cristiani, dovendo cedere il posto al venerdì (giorno festivo per i musulmani), i missionari non potevano più battezzare i minorenni, né distribuire medicine, né uscire dalla missione senza uno speciale permesso della polizia. Molti cristiani subirono torture e vessazioni allo scopo di far rinnegare la fede in Cristo per abbracciare quella musulmana.
I missionari diventavano ogni giorno più testimoni scomodi per gli arabi, per cui furono espulsi alla spicciolata, finché si arrivò al 1964, anno in cui ci fu la cacciata di tutti: padri, fratelli e suore, circa 300.

Padre Barnaba Deng era un missionario comboniani della tribù denka, ordinato sacerdote a Milano dal cardinal Montini (il futuro Papa Paolo VI) nel 1962. Alcuni anni prima aveva lasciato il Sudan meridionale, sua patria, ed era giunto in Italia per compiervi gli studi teologici.

“Ti lasciamo come una pecora in mezzo ai lupi – gli dissero i missionari salendo sul camion militare che li avrebbe portati all’aeroporto – ma non perderti d’animo: il Signore no ti abbandonerà mai. Sta’ sempre unito al vescovo mons. Ireneo, egli ti guiderà”.

Da fiero denka qual era, il coraggio non gli mancava di sicuro. Gli uomini della sua tribù erano abituati ad affrontare il leone con la sola lancia, battendosi corpo a corpo. Lui no sarebbe stato da meno col nuovo nemico della religione cristiana.

La tragedia cominciò un mattino quando una guardia voleva uccidere una donna accusata di aver dato da mangiare ad alcuni guerriglieri.
“Non potete uccidere questa donna, non ha fatto niente di male” intervenne padre Barnaba.

Per tutta risposta il soldato percosse villanamente la malcapitata. Padre Barnaba non ci vide più: improvvisamente si sentì ribollire il sangue nelle vene e si gettò sopra l’arabo colpendolo con un pugno al mento.

Le grida del militare richiamarono altri soldati, e padre Barnaba dovette battere in ritirata dileguandosi tra le piante della foresta. Così per quindici giorni padre Barnaba si aggirò nella palude per sfuggire alla caccia dei soldati. Era stanco, affamato e ogni tanto la febbre malarica faceva capolino. Durante la notte andava di capanna in capanna per questuare qualche pezzo di polenta.

Nel frattempo mons. Ireneo Dud si dava d’attorno per ottenere dalle autorità arabe un lasciapassare per il suo missionario. Esse si mostrarono gentili dicendo che il padre poteva recarsi dal suo vescovo quando voleva; nessuno gli avrebbe torto un capello. La notizia volò nella palude e, qualche giorno più tardi, si vide il missionario magro e affaticato entrare in episcopio, a Wau.
“Ormai siamo ridotti solo a tre sacerdoti – gli disse il vescovo – ma è meglio che tu te ne vada. Ti manderò a Khartoum, là potrai stare tranquillo e riposarti un po’”.

Ma a Khartoum non arrivò mai. Dopo una settimana le autorità militari informarono che padre Barnaba era morto “in un incidente”.
Alcuni cristiani coraggiosi si inoltrarono nella savana che circondava la caserma e con orrore s’imbatterono nel corpo del missionario. Portava ancora sul volto i segni delle torture subite e il petto appariva squarciato da una scarica di mitra.
Di fronte all’evidenza dei fatti le autorità si limitarono ad ammettere: “È stato fucilato per errore; lo credevamo un altro”. Era il 23 agosto 1963.
Un mese prima, un altro sacerdote sudanese, padre Arcangelo Alì del clero secolare, aveva fatto la stessa fine nella missione di Rumbek.
Così la giovane chiesa sudanese fecondava le sue radici nel sangue dei martiri.

Wau (Sudan) 2 agosto 1965 - anni 29