Al Cairo, dove si trovava dal 1986, p. Paolo Adamini era chiamato “l’angelo dei poveri”. Nella missione di Sakakini confluivano migliaia di profughi provenienti dal Sudan, gente rassegnata a una vita di stenti e di miseria, senza permesso di soggiorno, senza lavoro, senza casa, senza assistenza medica… Si era sparsa la voce che alla missione dei Comboniani c’era un vecchio missionario che teneva le porte sempre aperte, conosceva perfettamente la loro lingua e riusciva trovare un posto per tutti. E ne approfittavano.
P. Paolo, finché la salute glielo concesse, era colui che teneva la borsa, una borsa sempre vuota che gli altri confratelli si sforzavano di rifornire in modo che la sua carità fosse come una sorgente perenne che ristorava tutti. Egli stesso, sollecitava amici, parenti, conoscenti per quel benedetto “pieno” che segnava sempre rosso.
Quelle rare volte in cui non poteva dare niente perché non c’era proprio più niente, distribuiva un sorriso, un incoraggiamento, una buona parola. A chi gli faceva osservare che la comunità era già fortemente indebitata per questa sua generosità, egli rispondeva: ‘Questa povera gente non ha proprio niente. Il Signore saprà lui farci trovare i soldi per pagare i debiti’.
Durante il giorno passava da un ufficio all’altro per sbrigare pratiche e sollecitare permessi per i “suoi sudanesi” con i quali ormai aveva fatto causa comune.
Poi c’erano i più di 500 ragazzi della scuola che, a turno, frequentavano le lezioni. P. Paolo si prestava per la scuola di arabo, inglese e francese. Al pomeriggio c’erano gli adulti e alla sera i giovani.
Una vocazione africana
P. Paolo Adamini è nato a Sonico, Brescia, il 25 dicembre 1911. Da ragazzo frequentava la chiesa come chierichetto e, nella scuola, prometteva bene tanto che il suo parroco pensò di indirizzarlo al seminario diocesano vedendo in quel ragazzino la stoffa di un futuro sacerdote.
“Ma il Signore mi aveva destinato all’Africa. Ecco i segni: quando ero in quarta elementare ebbi grandi lodi dalla maestra perché avevo scritto che il Nilo era il fiume più lungo dell’Africa e che era pieno di coccodrilli. Quando avevo 12 anni, mi recai per la prima volta all’Aprica dove avevo parecchi parenti e, arrivatovi, all’entrata del paese, invece di leggere APRICA ho letto AFRICA, e ciò mi diede un colpo al cuore. E in noviziato un connovizio scrisse che camminavo come un cammello. Perfino il severissimo p. Bombieri si mise a ridere… Questo indica che tutto nella mia vita indicava che ero destinato all’Africa?”.
Nel seminario “San Cristo” a Brescia, di tanto in tanto i missionari comboniani si recavano a parlare ai seminaristi. Uno dei più assidui era p. Domenico Spazian che, alla domenica, andava a celebrare la messa e a tenere l’omelia, “omelie lunghe che duravano anche due ore, ma per noi era un piacere immenso perché raccontava tante storie di Africa. Fu proprio lui a farmi venire il desiderio di entrare tra i Comboniani perché ero sicuro di andare in missione”.
Infatti, dopo la seconda liceo - nel 1930 – il nostro giovane lasciò il seminario di Brescia ed entrò nel noviziato di Venegono Superiore.
Uomo del dialogo
Al Collegio Comboni di Khartoum dove fu inviato, p. Adamini fu insegnante di matematica e di inglese. “Mi trovavo quasi meglio con i ragazzi musulmani che non con i cristiani”, ha scritto. La sua attività non si esauriva solamente nella scuola, ma andava anche fuori per quel poco di ministero che allora era possibile fare.
Dal 1953 al 1971 il Padre ha coperto l’incarico di Vicario delegato di mons. Agostino Baroni. Anzi è stato anche suo segretario personale e, con lui, è stato testimone del passaggio del Sudan da nazione soggetta all’Inghilterra a Paese libero e indipendente (1956). Vide l’afflusso dei sudanesi del Sud verso il Nord particolarmente dopo l’espulsione dei missionari dal Sudan meridionale nel 1964. La guerriglia al Sud fece riversare tanti cristiani e pagani al Nord contribuendo in questo modo a trasformare la capitale Khartoum da una città prettamente musulmana in una città a forte presenza cristiana.
Nel 1971 p. Adamini fu inviato in Libano e vi è rimasto fino al 1986. Curò la stampa di un vangelo in lingua araba e di libri di preghiere in modo che la gente potesse rivolgersi a Dio con un linguaggio comprensibile. Fece pubblicare in arabo una biografia originale di Comboni, diretta sopratutto ai giovani.
Durante gli anni della guerra civile, anche la casa dei comboniani in Libano fu colpita dalle bombe, e la città fu quasi distrutta. P. Paolo e gli altri confratelli rischiarono ripetutamente la vita, ma non abbandonarono il posto.
Fu anche messo al muro, tuttavia, rimase al suo posto fino al 1986 quando la casa fu venduta ad una congregazione di suore libanesi. Solo allora andò al Cairo per iniziare il suo apostolato tra i poveri e i profughi provenienti dal Sudan.
Dopo una lunga malattia, amorosamente assistito dalle suore comboniane e dai suoi profughi, morì e rimase in Egitto quale seme di evangelizzazione e di promozione umana tra i poveri.
(P. Lorenzo Gaiga)