«Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni». Chi dice “Ecco” attira l’attenzione del proprio interlocutore su una cosa. Intende indicargli un che di evidente e apprezzabile, eppure non scorto; forse per distrazione, superficialità, ovvero perché chi è richiamato all’attenzione è completamente requisito da altre situazioni, pensieri e faccende.
In tutto ciò che esiste è impresso il nome della Trinità!
“Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Matteo 28,16-20
Durante i novanta giorni del periodo quaresimale e pasquale, con al centro la Settimana Santa della Passione-Morte-Risurrezione di Gesù, abbiamo fatto esperienza dell’azione salvifica del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In questa domenica, dopo la Pentecoste, la Chiesa ci invita a contemplare questa azione amorosa delle tre singole persone in Dio nella loro unità e sinergia. “Questa festa è come un’oasi di contemplazione, dopo la pienezza della Pentecoste” (don Angelo Casati).
Nota liturgica
La festa della Santissima Trinità è relativamente recente. È stata introdotta nel calendario liturgico nel XIV secolo (da papa Giovanni XXII, nel 1334) e assegnata alla domenica successiva alla Pentecoste, ritenuta la domenica più adatta, considerando che la Trinità sia stata pienamente rivelata con la discesa dello Spirito Santo. Si tratta di una occasione solenne annuale di meditazione sul mistero centrale della nostra fede.
Va sottolineato che non celebriamo una verità del catechismo, rinchiusa in una formulazione dogmatica, e nemmeno un mistero incomprensibile. Si tratta di una realtà vivente, bella, inimmaginabile, che è al cuore della buona novella del vangelo e che San Giovanni riassume nell’affermazione: “Dio è amore” (1Giovanni 4,8). Sì, la Trinità è un mistero, ma non nel senso che diamo abitualmente a questa parola: una sorta di rompicapo che “mortifica” l’intelligenza. È un “mistero” nel senso etimologico della parola: un segreto, un arcano rivelato da Gesù Cristo e che ci lascia a bocca aperta per il senso di meraviglia!
Infine, la Trinità non è un mistero che va celebrato una volta all’anno, ma è il cuore e la radice della vita cristiana. La celebriamo nell’Eucaristia, strutturata sulla Trinità. Inoltre, è l’espressione massima della vocazione del cristiano, la sua modalità e stile di vita. Il grande Teilhard de Chardin parla di “amouriser le monde”, amorizzare il mondo!
Il percorso verso la fede nella Trinità
Tutti i cristiani professano la fede nella Trinità: “Dio è uno solo in tre Persone”. Non troviamo questa definizione di Dio nella Bibbia e le prime generazioni di cristiani non hanno usato questa parola Trinità. Il primo ad impiegarla (“Trinitas”) è stato Tertulliano, un Padre della Chiesa (+240). La sua non è una invenzione, ovviamente, ma il frutto della sua meditazione sulla Sacra Scrittura. Nel Nuovo o Secondo Testamento non mancano le allusioni a questa verità di fede. La conclusione del vangelo di Matteo che oggi ci presenta la liturgia (Matteo 28,16-20) è la formula trinitaria più esplicita che troviamo nella Scrittura. Un’altra la troviamo nella 2Corinzi 13,14: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.”
L’Antico o Primo Testamento è stato un lento e progressivo cammino di esperienza e di conoscenza di Dio che condusse il popolo d’Israele alla professione di fede in un Dio unico (verso l’epoca dell’esilio). Questa fede la troviamo splendidamente formulata nella prima lettura di oggi:“Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro.” (Deuteronomio 4). Possiamo immaginare quanto potesse essere scandaloso, in questo contesto, che Gesù si proclamasse Figlio di Dio e parlasse della persona dello Spirito Santo. I primi cristiani sono stati davvero audaci al dare inizio alla fede nella Trinità, che sarà chiaramente formulata soltanto nel IV secolo. Solo una convinzione profonda, ricevuta tramite l’insegnamento di Gesù, può averli resi così arditi.
Dall’esterno verso l’intimità di Dio
All’unicità di Dio (monoteismo) può pervenire anche l’intelligenza umana attraverso la filosofia. A tutti è possibile arrivare a questa “esternità” di Dio, attraverso la sua epifania nella creazione. Alla trinità di persone nel Dio unico, invece, ci ha guidati la fede in Gesù, perché “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.” (Giovanni 1,18). Non si tratta però di una conoscenza teorica o di tipo dogmatico, che a poco o a niente serve, ma di una introduzione nella intimità di Dio, una immersione nel mistero immenso e sorprendente di Dio. Scrive Dietrich Bonhoeffer: “Non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’umano!”.
Oggi viviamo proiettati verso il mondo e l’universo, desiderosi – giustamente – di conoscere i misteri del cosmo e della vita. Ma pochi sono interessati ad approfondire il Mistero per eccellenza! Da sempre l’umanità ha cercato di conoscere il “cosmo” che si porta dentro: “conosci te stesso!”. E, malgrado i progressi stupefacenti delle scienze, continuiamo ad essere un enigma per noi stessi. Ebbene, solo la “conoscenza” di Dio e del suo Mistero può rivelare l’uomo a se stesso!
D’altra parte, questo Mistero non sarà forse la chiave di lettura di tutta la realtà? Ha detto Benedetto XVI: “In tutto ciò che esiste è in un certo senso impresso il “nome” della Santissima Trinità, perché tutto l’essere, fino alle ultime particelle, è essere in relazione, e così traspare il Dio-relazione, traspare ultimamente l’Amore creatore” (Angelus 7/6/2009).
La Trinità, esigenza dell’amore
Se, per un verso, il mistero della Trinità è di difficile comprensione, perché urta con la nostra logica, per l’altro potremmo dire che è facile da capire, perché è una esigenza dell’amore stesso. Un Dio una unica persona sarebbe solipsista, come potrebbe essere definito amore? Un amore a due potrebbe diventare un amore di reciprocità, un amore speculare, in cui i due amanti si specchiano l’uno nell’altro. È ancora un amore imperfetto. C’è bisogno di un terzo che incarna la diversità e costringa l’amore a due ad uscire dalla logica della reciprocità per integrare il diverso.
Dio creò l’umanità “a sua immagine e somiglianza” (Genesi 1,26-27), ma l’icona della Trinità non è la coppia, ma la famiglia, ossia la coppia feconda che accoglie “l’altro”, che esce dalla logica speculare. Dio è Famiglia. In questo senso, è preoccupante la tendenza attuale crescente ad escludere il figlio, sia per costrizione sociologica, economica o lavorativa, sia per scelta della coppia stessa. La procreazione dice qualcosa di Dio. La natura porta in sé una impronta trinitaria.
“La forma perfetta di comunione, quella che è il simbolo di ogni comunione, è il ‘tre’. […] Un cristiano deve avere il numero ‘tre’ come numero sacro “La mia fede è ‘tre’, la mia vita è ‘tre'”… Perché la fede non è una cosa e la nostra vita è un’altra. La nostra vita è ‘tre’. Per noi il numero ‘tre’ è la meta, è ciò per cui dobbiamo lottare. La nostra vita diventa una vita povera e incompiuta se non sperimentiamo l’amore del ‘tre’.” (card. José Tolentino de Mendonça).
Il battesimo nella Trinità
Soffermiamoci adesso sul vangelo, che ci presenta l’incontro di Gesù risorto con gli Undici. Si tratta della conclusione del vangelo di San Matteo. Nel suo vangelo Matteo non parla dell’ascensione di Gesù, ma questo monte in Galilea – “il monte che Gesù aveva loro indicato” – ci ricorda il monte Nebo e Mosè (Deuteronomio 34). Gli apostoli non sono più dodici ma undici. Non pensiamo a Giuda, ma a noi. Colui che manca sono io, se non prendo il mio posto tra loro, come discepolo e apostolo.
“Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono”. Dubitarono loro, dubitiamo anche noi, talvolta. Dice un canto di Pentecoste: “Erano poveri uomini come me, come te…”. Adesso che Gesù stava per andarsene, forse si sono chiesti se era valsa la pena aver abbandonato casa, famiglia, lavoro… Come anche noi possiamo domandarci se abbiamo fatto bene a giocare la nostra vita su di Lui! Siamo davvero poveri uomini, malfermi, che abbiamo bisogno di ripetere di continuo: “Accresci in noi la fede!” (Luca 17,6).
“Gesù si avvicinò e disse loro…”. Gesù non si scandalizza dei loro dubbi e dei nostri tentennamenti e rivolge a loro e a noi: una dichiarazione, un mandato e una promessa.
1) Una dichiarazione: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”. Il potere che Satana gli aveva proposto sul monte della tentazione, Gesù lo riceve dalle mani del Padre. Tutto è nelle sue mani, come per dirci: “Non abbiate paura!”.
2. Un mandato: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”. Quattro sono i verbi della missione: ANDARE, senza aspettare che gli altri vengano a te; FARE DISCEPOLI, non proseliti e nemmeno tuoi fan, ma discepoli suoi; BATTEZZARE “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, cioè immergere nell’Amore della Trinità; INSEGNARE, non il tuo pensiero, ma la Sua parola di amore e di servizio.
3. Una promessa: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. È l’ultima parola di Gesù, secondo il vangelo di Matteo. Puoi fidarti. Il Signore è fedele alle sue promesse!
Esercizio quotidiano di preghiera per la settimana:
1. Fare il segno della croce all’inizio della giornata con una particolare consapevolezza di viverla nel nome della Trinità. E alla fine del giorno, prima di abbandonarci al sonno, ripeterlo come immersione nel Mare infinito dell’Amore.
2. Ripetere di frequente, durante la giornata, come respiro del cuore, la dossologia: Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
3. Preghiamo con Santa Caterina da Siena:
Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l’anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce.
P. Manuel João Pereira Correia mccj
Verona, maggio 2024
«Ecco»
Matteo 28, 16-20
«Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni». Chi dice “Ecco” attira l’attenzione del proprio interlocutore su una cosa. Intende indicargli un che di evidente e apprezzabile, eppure non scorto; forse per distrazione, superficialità, ovvero perché chi è richiamato all’attenzione è completamente requisito da altre situazioni, pensieri e faccende.
Il Risorto dice ai suoi «Ecco». Dove attira la loro attenzione? Cosa indica come lampante e tuttavia non considerato? La sua presenza, la sua compagnia. «Dissi: “Eccomi, eccomi” a una nazione che non invocava il mio nome», lamenta il Signore per bocca del profeta Isaia (Is 65, 1). Agli occhi del Risorto, non ci accorgiamo della indubitabile fortuna, del felice destino della sua presenza reale, viva, efficace, vibrante di incomprensibile premura. Calamitati dal passato della Chiesa, o stregati dal suo futuro, non sentiamo l’operosa vicinanza del Vivente nel chiaroscuro dei nostri giorni.
«Io sono con voi tutti i giorni». Sì. In quelli solari, in quelli piovosi e perfino in quelli col cielo bianco che nasconde il sole e non regala la pioggia. Nei sabati pieni di attesa, nelle domeniche del compimento, nei lunedì faticosi, nei venerdì dai misteri dolorosi, nei mercoledì e giovedì che ci trovano in mezzo al guado. Nei giorni vittoriosi, dove l’anima si espande per santità, e in quelli dove si ritrova rattrappita per i peccati. «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni». Non ce ne accorgiamo?
[Giovanni Cesare Pagazzi – L’Osservatore Romano]
Perché Dio ha tanto amato il mondo
Dt 4,32-34.39-40; Salmo 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20
La collocazione della festa dello S. Trinità dopo il grande evento pasquale non intende essere la celebrazione di un particolare mistero cristiano, ma la celebrazione delle radici di tutto; intende riconoscere, per adorare e ringraziare, il protagonista della salvezza: Dio che è Padre, Figlio e Spirito, tre persone in una sola ed identica comunione di vita.
La S. Trinità è un mistero, non nel senso di un enigma, qualcosa di oscuro, un insulto alla ragione. Mistêrion viene da un verbo greco che significa chiudere la bocca. Nella letteratura cristiana il mistero corrisponde ai segreti divini riguardando il disegno eterno della salvezza. Quello che viene sottolineato, non è l’aspetto impenetrabile alla ragione, ma l’aspetto di rivelazione. Il mistero trinitario, appunto, in una prospettiva esistenziale e relazionale, ci rivela il mistero di Dio ad intra, cioè in se stesso, che supera i limiti della ragione umana.
Ogni persona divina rivela se stesso rivelando le altre due: per esempio, il Padre si manifesta quando proclama che Gesù è il Figlio diletto invia su di lui il suo Spirito; o il Figlio si manifesta quando invoca il Padre con il dolce nome di Abba e gli rende lode “esultando nello Spirito”.
I primi cristiani avevano, quindi, scoperto che le tre persone divine erano in pieno amore e comunione, e che avevano preso l’iniziativa di coinvolgere nel loro amore anche le creature umane. Hanno allora lasciato che la Trinità invadesse la loro vita: pensiamo al segno della croce nel nome del Padre... che apre e chiude ogni preghiera; al Gloria al Padre...; o al credo; siamo anche battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Siamo così chiamati a lasciarci coinvolgere dall’ amore delle persone della S. Trinità. Dio – amore, nella sua dimensione trinitaria, si vuole modello delle famiglie e della nostra società umana.
Il cristiano che crede di vivere questo mistero di amore, rigettando ogni egoismo individualistico, ogni ripiegamento su se stesso; deve diventare l’immagine autentica di un Dio che è relazione e comunione di persone.
Come dice Sant’ Agostino, “puoi avere tutto ciò che vuoi. Ma se ti manca l’amore il resto non ti serve a nulla”. Dio ci ha amati per primo inviandoci suo Figlio come fratello, amico e salvatore. Siamo ormai inseriti in questa spirale di amore, quindi dobbiamo amare Dio e i fratelli con lo stesso amore. E’ quest’amore di Dio che infatti fonda l’amore fraterno, il quale a sua volta, come dice Paolo, deve autenticare la fede.
Don Joseph Ndoum
Dalla Trinità alla Missione
Per amore!
Dt 4,32-34.39-40; Sl 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20
Riflessioni
L’amore innerva e anima la vita di Dio e la vita dell’uomo. Per una volta, la matematica qui non funziona: 1+1+1 = 1; non solo 1, ma 1 e 3. Perché il nostro Dio, uno e trino, è amore. E l’amore è condivisione, è unità avvolgente. Infatti, “la carità, dal cuore di Dio attraverso il cuore di Gesù Cristo, si effonde mediante il suo Spirito sul mondo, come amore che tutto rinnova” (Benedetto XVI). Perché “Dio è amore” (1Gv 4,8). Non ci sono parole più sublimi per parlare di Lui. Con la sola mente umana noi conosciamo poco di Dio; ciò che sappiamo di Lui ce l’ha rivelato Gesù. Egli non ha usato concetti o formule, ma ci ha raccontato la Sua esperienza personale e che cosa Dio ha fatto per noi. Ci ha raccontato di un Dio-Papà che ama tutti, perdona chi ha sbagliato, rialza chi è caduto; ci ha raccontato della Sua intimità come Figlio, nella preghiera prolungata e nella sofferenza; della presenza amica dello Spirito consolatore che ci guida e ci dà forza. Per Gesù la Trinità non è un mistero da spiegare ma da incontrare, da abbracciare e vivere.
Con una certa facilità i manuali di catechismo sintetizzano il mistero divino dicendo che “Dio è uno solo in tre Persone”. Con questo è già detto tutto, ma tutto resta ancora da capire, da accogliere con amore e adorare nella contemplazione. Il tema ha un’importanza centrale anche sul fronte missionario. Infatti, con facilità si afferma che tutti i popoli - anche i non cristiani - sanno che Dio esiste, quindi anche i pagani credono in Dio. Questa verità condivisa - pur con differenze e riserve - è la base che rende possibile il dialogo fra le religioni, e in particolare il dialogo fra i cristiani e altri credenti. Sulla base di un Dio unico comune a tutti, è possibile tessere un’intesa fra i popoli, in vista di azioni concordate a favore della pace, in difesa dei diritti umani, per realizzare progetti di sviluppo… Ma questa è soltanto una parte dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, la quale è chiamata a offrire al mondo un messaggio che ha contenuti di novità e obiettivi di maggior portata.
Per il cristiano, infatti, non è sufficiente fondarsi su un Dio unico, e tanto meno lo è per un missionario cosciente della straordinaria rivelazione ricevuta per mezzo di Gesù Cristo; rivelazione che abbraccia tutto il mistero di Dio, nella sua unità e trinità. Il Dio cristiano è uno, unico ma non solitario. Il Vangelo che il missionario porta al mondo, oltre a rafforzare e perfezionare la comprensione del monoteismo, apre all’immenso e sorprendente mistero di Dio, che è comunione di Persone.
«Per penetrare nel mistero di Dio i musulmani hanno il Corano, dal quale ricavano i 99 nomi di Allah; il centesimo rimane indicibile, perché l’uomo non può comprendere tutto di Dio. Gli ebrei scoprono il Signore attraverso gli avvenimenti della loro storia di salvezza, meditata, riscritta e riletta per secoli, prima di essere consegnata, molto tardi, nei libri santi. Per i cristiani il libro che introduce alla scoperta di Dio è Gesù Cristo. Egli ‘è il libro aperto a colpi di lancia’, è il Figlio che, dalla croce, rivela che Dio è Padre e dono d’Amore, Vita, Spirito» (F. Armellini). Infatti, il Dio rivelato da Gesù è soprattutto Dio-amore (cfr. Gv 3,16; 1Gv 4,8). È un Dio unico, ma relazionale, in comunione di Persone. Un Dio che dona se stesso per la vita della famiglia umana.
Tendenzialmente, il Dio delle religioni non cristiane è spesso lontano, vive nel suo mondo, per cui bisogna renderselo propizio con pratiche religiose e sacrifici di ogni genere. Invece, il Dio della Bibbia si rivela a noi soprattutto come Dio misericordioso e pietoso, “ricco di misericordia” (Ef 2,4); un Dio amico e protettore, che ama vivere in relazione, un Dio vicino, presente (I lettura), che si è impegnato a fianco del suo popolo con segni e prodigi (v. 34). Non è un dio geloso o rivale dell’uomo, ma un Dio che vuole che “sia felice tu e i tuoi figli” (v. 40). C’è di più: è un Dio che ci chiama a sé, ci fa suoi figli ed eredi, ci coinvolge nel suo piano, donandoci il suo Spirito (II lettura, v. 16-17).
Questo è il vero volto di Dio che tutti i popoli (Vangelo) hanno il diritto e il bisogno di conoscere dai missionari, secondo il comando di Gesù: Andate, fate discepoli, battezzate, insegnate... (v. 19-20). Per questo, il Concilio afferma: “La Chiesa pellegrinante è missionaria per sua natura, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il progetto di Dio Padre” (Ad Gentes 2). Il dono del Dio vero, uno e trino, è per tutte le nazioni: è una novità che arricchisce tutte le culture, è un tesoro che i cristiani hanno il diritto e il dovere di condividere con tutti. Per amore! Perché la Chiesa non si impone con la forza o con il proselitismo; si propone con amore gratuito e il servizio gioioso. «La Chiesa si sviluppa per ‘attrazione’: come Cristo ‘attira tutti a sé’ con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della Croce, così la Chiesa compie la sua missione» (Benedetto XVI). (*)
Per questa missione, Gesù si è impegnato a essere l’Emmanuele: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni” (v. 20). Egli cammina accanto a ciascuno per le strade del mondo. Con tale certezza, la Chiesa oggi ci fa pregare, perché “diventiamo annunciatori della salvezza offerta a tutti i popoli” (Colletta).
Parola del Papa
(*) «L’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Molti di loro cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma ‘per attrazione’».
Papa Francesco
Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013) n. 14
P. Romeo Ballan, MCCJ
La montagna e il nome di Dio
Commentario a Mt 28, 16-20
Questa domenica dedicata alla Santissima Trinità è, in qualche modo, il punto algido dell’anno liturgico. Al discepolo missionario, che cerca d’identificarsi con Gesù Cristo, è offerta, nell’adorazione e nella contemplazione, un’approssimazione al mistero di Dio, realtà che lui è più intima della propria intimità (Secondo Santo Agostino) e, allo steso tempo, lo supera in tutte le dimensioni. La Chiesa ci fa leggere oggi gli ultimi versetti del vangelo di Matteo, nei quali, quasi per caso, sono nominati il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Vi propongo di meditare brevemente su alcuni concetti che troviamo in questi ultimi versetti di Matteo:
1. Salire sulla montagna
Gesù trova i suoi discepoli su una montagna di Galilea. Sembra un’annotazione geografica senza maggiore importanza, ma non credo che così sia. Tutti noi siamo in qualche senso segnati dalla geografia. Al meno io posso dire che alcune montagne hanno lasciato un chiaro segno nella mia vita personale. Penso, per esempio, ai maestosi pichi del Sinai, che mi hanno aiutato a capire come Mosè ed Elia hanno potuto esperimentare l’ineffabile presenza del Dio (Es 19, 20; 1Re 19,8); penso anche all’imponente Machu Pichu (Peru), dove ho avuto l’impressione di trovarmi al centro della Terra e di entrare in comunione con gli antichi peruviani… Di fatto, per molte religioni e culture, la montagna è il luogo della manifestazione di Dio (teofania). E si può capire, poiché la montagna mi aiuta ad andare oltre a me stesso, uscire dalla routine e la superficialità, cercare il più alto livello di coscienza personale… Ed è precisamente qui, nel più alto livello della mia coscienza, che Dio si manifesta, con una presenza che difficilmente può essere espressa in parole, ma che uno percepisce come molto reale e autentica.
Gesù, da parte sua, andava continuamente sulla montagna, solo o con i discepoli, attingendo, in quanto figlio di Maria, il più alto livello di coscienza e comunione con l’Amore Infinito; e tal esperienza è diventata uno straordinario dono per noi, suoi discepoli e fratelli. Nella sua sequela, anche noi abbiamo bisogno di salire continuamente sulla “montagna” della nostra coscienza, con l’aiuto di un “luogo” che ci inviti a superare la routine, il rumore e la superficialità.
2. Adorazione e dubbio
Davanti a un Gesù che si manifesta nella “montagna”, nella quale s’identifica come Figlio con Dio, i discepoli esperimentano un doppio movimento di adorazione e di dubbio. Da una parte, sentono il bisogno di prostrarsi e riconoscere questa presenza della Divinità nel Maestro e Amico, perché soltanto nell’adorazione noi possiamo avvicinarci al mistero di Dio; le parole non servono e a volte quasi sembrano diventare una “blasfemia”, nel senso che nessuna parola può contenere questa realtà che uno appena riesce a intravedere dalla profondità della coscienza. Per questo, assieme a un senso di gioia e adorazione, i discepoli esperimentano anche lo sconcerto e il dubbio: sono consci che per loro non è possibile attingere a Dio e che tutte le nostre parole e concetti al rispetto sono limitati e, in un certo senso, anche falsi. Tutti i nostri concetti su Dio sono inadeguati e devono essere costantemente corretti, con l’aiuto del dubbio che ci obbliga a non “sederci” e accontentarci con quello già acquisito e apparentemente capito, per andare sempre oltre. Dio ci aspetta sempre più avanti sulla strada della vita e dalla storia.
3. Il nome di Dio
I popoli, le culture e le religioni cercano “a tastoni”, il mistero di Dio, imponendogli diversi nomi secondo le proprie esperienze culturali. Israele, da parte sua, ha sempre preferito rinunciare a imporre un nome a Dio, perché ha capito che Lui è l’innominabile. Quando uno da un nome a una cosa, in qualche modo, ne prende possesso e la manipola. Ma Dio non può essere oggetto di possessione né manipolato. Di fatto, neanche Gesù da un nome a Dio. Quello che Gesù fa è parlare di Dio come Padre, della sua identificazione con Lui come Figlio e dello Spirito che condividono; e manda i discepoli a battezzare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Quando battezziamo, in sintonia con questo mandato, non stiamo imponendo un nome a Dio, ma, nel suo nome, siamo consacrati per diventare parte di questa “famiglia” divina. Noi – e tutta l’umanità- siamo chiamati a entrare in comunione con il mistero divino, fatto di relazioni e di amore.
4. Dio-Comunione
Le religioni più importanti sono arrivate al concetto di un Dio unico, il che è un passo rilevante nella storia dell’umanità. Ma Gesù, dalla “montagna” della sua coscienza, ci insegna che Dio, essendo unico, non è “monolitico” ma plurale; non è “solitario” ma comunitario. Allo stesso modo, noi, creati a immagine di Dio, siamo fatti per vivere in comunione. Nessuno di noi è completo in se stesso, ma ha bisogno degli altri per realizzare l’immagine di Dio Padre-Figlio-Spirito. Quando uno nega un membro della comunità, nega Dio. Adorare Dio è accoglierlo nel santuario della propria coscienza e nella realtà concreta di ogni essere umano, nella sua meravigliosa singolarità e diversità.
P. Antonio Villarino, MCCJ