La terza domenica di Avvento è chiamata “domenica Gaudete”, dalla prima parola che apre la celebrazione: “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi. Il Signore è vicino!” (antifona d’ingresso, cf. Fil 4,4-5). Nell’ambiente penitenziale che caratterizza il tempo di Avvento, questa domenica ci porta un invito speciale alla gioia. (...)

Avvento, la stagione della gioia

E noi che cosa dobbiamo fare?
Luca 3,10-18

La terza domenica di Avvento è chiamata “domenica Gaudete”, dalla prima parola che apre la celebrazione: “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi. Il Signore è vicino!” (antifona d’ingresso, cf. Fil 4,4-5). Nell’ambiente penitenziale che caratterizza il tempo di Avvento, questa domenica ci porta un invito speciale alla gioia.

Il cammino di Avvento è un percorso guidato. La liturgia ci propone tre guide: il profeta Isaia, Giovanni Battista e la Vergine Maria. Sono tre “pedagoghi” che si alternano man mano che ci avviciniamo al Natale. Isaia è il profeta messianico per eccellenza, perché annuncia l’arrivo del Messia. È colui che alimenta l’attesa e la speranza. Giovanni Battista, invece, ci chiama alla conversione per prepararci all’arrivo del Messia. Infine, la Vergine Maria ci insegna come accoglierlo: concependolo nel nostro cuore.

La liturgia pone al centro della seconda e della terza domenica di Avvento la figura di Giovanni Battista, secondo la narrazione di San Luca, il vangelo che ci guiderà durante questo anno liturgico “C”. Giovanni fa riecheggiare nel deserto il grido del profeta Isaia: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore!” (Luca 3,1-6, seconda domenica). Il brano del Vangelo di questa terza domenica ci presenta la reazione delle folle alla sua predicazione: “Che cosa dobbiamo fare?”

Vorrei sviluppare la mia riflessione attorno a due parole che racchiudono il messaggio di questa domenica: Gioia e ConversioneA prima vista, gioia e conversione possono sembrare distanti, ma, riflettendoci, scopriamo che si armonizzano perfettamente. La gioia scaturisce dalla conversione (come mostrano le parabole della misericordia in Luca 15) e, allo stesso tempo, la conversione nasce dalla gioia (come accade nella storia di Zaccheo, in Luca 19,8).

La GIOIA che dà sapore alla vita!

Questa terza domenica – come dicevamo – si caratterizza per un forte, convinto e deciso invito a gioire, perché il Signore è vicino. Nella prima lettura, il profeta Sofonia esorta con insistenza il popolo di Dio a gioire: “Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!… Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente”.

Anche noi abbiamo un estremo bisogno di essere rincuorati, soprattutto in un contesto segnato da un pessimismo generalizzato riguardo al futuro.

Il Salmo responsoriale riprende un testo di Isaia che ci invita a esprimere la gioia nel canto: “Canta ed esulta, perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.” Nella seconda lettura, San Paolo rilancia con forza l’invito alla gioia: “Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti… Il Signore è vicino!”

Se ci guardiamo attorno, c’è ben poco di cui rallegrarsi, intrappolati come siamo in una rete sempre più intricata di problemi e minacce alla vita. Qual è la gioia del cristiano? Non certo una gioia spensierata o chiassosa. Questo tipo di gioia è superficiale ed effimera, spesso nasconde un vuoto interiore e agisce come un soporifero. La gioia del cristiano, invece, nasce da un’esperienza unica: la vicinanza di Dio, il sentirsi amati, il sapere che il Signore è in mezzo a noi. “Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore” (1 Giovanni 4,16). E “se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Romani 8,31).

In conclusione, l’Avvento è un tempo propizio per riscoprire la sorgente dell’acqua fresca e zampillante della gioia che scaturisce dal cuore di Dio.

La CONVERSIONE che fa fiorire la gioia

Ma cosa dire di Giovanni Battista? Possiamo considerarlo un testimone della gioia? L’austerità della sua persona e la severità del suo messaggio non sembrano associarsi immediatamente all’immagine di un messaggero di gioia. Tuttavia, la figura di Giovanni non è affatto estranea alla gioia. Anzi! Egli è un evangelizzatore, cioè un portatore di buone, gioiose notizie. San Luca riassume la sua predicazione affermando: “Giovanni evangelizzava il popolo” (Luca 3,18).

Giovanni è stato il primo “evangelizzato” dall’arrivo del Messia, ancora nel grembo di sua madre. Elisabetta, sua madre, dice infatti durante la visita di Maria: “Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo” (Luca 1,44). Giovanni stesso dichiarerà di essere l’amico dello sposo che “esulta di gioia alla voce dello sposo”, e concluderà: “Ora questa mia gioia è piena” (Giovanni 3,29).

L’austerità e la schiettezza di Giovanni rendono il suo messaggio ancora più credibile. Infatti, le folle, toccate dal suo insegnamento, gli domandano: “Che cosa dobbiamo fare?”. Perfino pubblicani e soldati si avvicinano a lui per farsi battezzare, chiedendo: “E noi, che cosa dobbiamo fare?”.

La risposta del profeta ci sorprende per due ragioni. Innanzitutto, Giovanni non propone richieste di carattere “religioso”, come recarsi al Tempio, pregare o offrire sacrifici. Egli invita invece a praticare azioni di giustizia sociale, condivisione e rispetto per le persone. Inoltre, sorprende perché non chiede ai pubblicani e ai soldati di abbandonare il loro mestiere, ma di svolgerlo con onestà.

Spesso interpretiamo la conversione alla maniera di Paolo, come la famosa “caduta da cavallo”. Il Signore, invece, si adegua al nostro passo, cammina accanto a noi e, con pazienza, ci educa a un cambiamento nei nostri stili di vita. Non adotta (di solito!) la strategia del “o la va o la spacca”. Egli conosce bene la nostra fragilità e la nostra paura delle maniere forti. In fondo, siamo come uccellini infreddoliti in una giornata d’inverno, desiderosi di un po’ di conforto e di una carezza, ma troppo impauriti per accogliere la mano tesa di Dio verso di noi.

Fai attenzione tu Signore, a non chiederci troppo, a non pretendere troppo, a non credere troppo in noi!… Fai attenzione con me Signore, sii calmo e dolce, sii paziente con me, e con il mio cuore ancora troppo impaurito” (Alessandro Deho’).

P. Manuel João Pereira Correia, mccj

Per un Natale di misericordia, condiviso e missionario

Sofonia  3,14-17; Salmo:  Is 12,2-6; Filippesi  4,4-7; Luca  3,10-18

Riflessioni
A prima vista, siamo davanti a due messaggi contrastanti: l’insistente invito alla gioia (I e II lettura), e l’esigente appello a un cambio di vita, alla conversione (Vangelo). Il contrasto è solo apparente, come si può cogliere dai testi di oggi. Anzi, gioia e conversione vanno insieme, perché il Signore è la radice di ambedue: la conversione al Signore genera gioia e fraternità.

Il linguaggio di Giovanni Battista (Vangelo) è duro, sembra antiquato, inaccettabile oggi: osa dare ammonizioni severe alle forze dell’ordine, agli esattori delle tasse, a tutti… Chiama ogni categoria di persone a cambiare il modo di vivere. Giovanni si era mostrato nel deserto, sulle sponde del fiume Giordano, “predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” (Lc 3,3). L’evangelista Luca riferisce, senza sconti, il linguaggio duro del Precursore, che scuote i suoi uditori, chiamandoli “razza di vipere”: li invita a fare “frutti degni della conversione”, a dare buoni frutti, per non finire gettati nel fuoco (Lc 3,7-9). Cos’è questa conversione? Quali i frutti?

Domenica scorsa l’appello alla conversione riguardava anzitutto il ritorno a Dio (si può parlare di una dimensione verticale della conversione), disponendo il cuore ad accogliere la Sua salvezza. Oggi Giovanni dà indicazioni precise e concrete per una conversione che tocca direttamente i rapporti con gli altri (dimensione orizzontale). Luca riferisce di tre gruppi di persone che, toccate dalla furia profetica del Precursore, gli chiedono: “Che cosa dobbiamo fare?” (v. 10.12.14). È una domanda cara a Luca, il quale la ripete in altri racconti di conversioni: le folle a Pentecoste, il carceriere di Filippi, Paolo stesso sulla via di Damasco (cfr. Atti 2,37; 16,30; 22,10). La domanda indica una disponibilità al cambio di vita: è l’atteggiamento fondamentale in ogni conversione e, al tempo stesso, è l’appello ad un’altra persona che ci aiuti a rispondere a Dio. Tale persona, abitualmente, la chiamiamo accompagnante, missionario: sia esso prete, laico, suora, maestro, catechista...

I tre gruppi di persone che vanno dal Battista sono: le folle (persone non sempre ben definite), i pubblicani (gli esattori delle tasse, quindi gli odiati collaborazionisti con l’impero straniero), i soldati (persone avvezze ai modi duri). Sono categorie considerate spesso come irrecuperabili... Il Battista non li teme, li accoglie e dà loro risposte attinenti e concrete, tutte riguardanti i rapporti con gli altri, con il prossimo: condivisione di vestiti e di cibo (v. 11), giustizia nei rapporti con gli altri (v. 13), rispetto e misericordia per tutti (v. 14). Si tratta di rapporti basati sul quinto e settimo comandamento. La novità cristiana consiste nel guardare gli altri dalla postazione di colui che lava loro i piedi, come Gesù; dall’impegno preferenziale di chi opera a favore dei più deboli e bisognosi.

Il Battista va oltre la sua predicazione e la sua persona, puntando sull’intervento qualitativo dello Spirito Santo (v. 16), che sarà effuso come battesimo di fuoco nella Pentecoste (Atti 2). Allora lo Spirito farà nuove tutte le cose, rinnoverà soprattutto il cuore delle persone e unirà popoli diversi nell’unico linguaggio dell’amore. Allora sarà possibile comprendere che la conversione a Cristo esige giustizia e compassione verso tutti, comporta la condivisione con chiunque è nel bisogno. In questo modo Giovanni  -modello per i missionari-  “evangelizzava il popolo” (v. 18). Oggi il missionario, per fedeltà a Cristo, è chiamato ad annunciare misericordia, speranza, solidarietà. Giovanni Battista non chiede un cambiamento sul piano religioso (preghiere, digiuni…), ma un cambio sul piano etico: essere solidali, giusti, onesti, rispettosi degli altri, umani, amabili.
L’adesione personale a Cristo e l’annuncio del suo Vangelo comportano sempre la gioia, come risulta dagli insistenti inviti di Sofonia e di San Paolo (I e II lettura), e di altri testi liturgici. Anzitutto, perché Dio esulta di gioia per noi, ci rinnova con il suo amore, fa festa con noi e si rallegra per noi con grida di gioia. Perciò il profeta grida: “Non temere, non lasciarti cadere le braccia”, perché il Signore è un salvatore potente (v. 16-18). Paolo torna con insistenza sul motivo della gioia del credente: perché il Signore è vicino, è presente (v. 4-5). Non c’è motivo di angustiarsi, perché possiamo sempre ricorrere a Lui nella preghiera, che rafforza la nostra gioia (v. 5-7).

La gioia del Natale è vera solo se è condivisa con gesti concreti a favore di chi soffre. Ecco un esempio attuale fra tanti altri. In un paese di campagna, una famiglia di “marocchini” (musulmani), è stata colpita da una duplice disgrazia (la morte della mamma e di un bambino). Il parroco non ha esitato ad invitare i fedeli ad una sottoscrizione economica a beneficio di quella famiglia (papà e altri figli orfani). È una iniziativa concreta, immediata, efficace, in vista di un Natale condiviso, vero, missionario. Solo così c’è Natale cristiano! Nel cuore dei fedeli che aderiscono a iniziative di questo genere rinasce davvero Gesù. Soltanto così, la fede si rafforza e si diffonde! Celebrare il Natale vuol dire scoprire che il verbo necessario per fare una umanità nuova è ‘dare’, condividere: non c’è amore più grande che dare la vita…; c’è più gioia nel dare che nel ricevere… Sono parole del Bambino Gesù che nasce a Betlemme, dono del Padre, che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio… Perché il mondo, salvato dalla misericordia del Padre, abbia vita in abbondanza!

P. Romeo Ballan, MCCJ

Annunciare la speranza in un mondo cupo e triste

Sof 3,14-18; Salmo Is 12,2-6; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18

La prima parola della liturgia odierna, offertaci dal Messale è “Gaudete” (Rallegratevi). Perciò nella tradizione liturgica, la terza Domenica di Avvento ha un carattere gioioso che si riflette soprattutto nelle prime due letture e nel Cantico di Isaia. Il Vangelo invece, con il suo insistente appello alla conversione, sembra distaccarsi da questo tema.

Nella prima lettura, c’è un ripetuto invito del profeta Sofonia: “Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme”. Ci collochiamo in un momento difficile per il popolo di Dio e l’oracolo del profeta invita a nutrire i sentimenti opposti. Infatti, il motivo di questo accumulo di appelli alla gioia e all’esultanza è il rapporto vitale con il Signore che si rivela ancora una volta fedele all’alleanza.

La ragione ancora più profonda di questo invito alla serena fiducia è: “Il Signore tuo Dio in mezzo a te ed è un Salvatore potente”. La presenza di Dio nella comunità dell’alleanza è garanzia di salvezza. Noi sappiamo che la presenza di Dio in mezzo agli uomini (Emmanuele, “Dio con noi”) ha raggiunto la sua pienezza a Betlemme, ed è questa vicenda che si trova alla base di noi cristiani oggi. A questa immagine si sovrappone quella dello sposo che rinnova il suo impegno di amore: “Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore”. Attraverso Gesù, Dio rinnova per sempre il legame di amore con la comunità dei salvati.

Il tema della gioia si prolunga nell’invito di Paolo ai cristiani di Filippi a vivere nella gioia del Signore: una gioia che è logica conseguenza per ogni uomo che diventa discepolo di Cristo. Non si tratta di un atteggiamento superficiale e passeggero, ma di una pace interiore. L’unica condizione è quella di restare aperti all’iniziativa di Dio.

Quest’apertura si manifesta con la preghiera che può attuarsi in tutte le situazione della vita e in forme diverse: “Fate presenti a Dio le vostre richieste  con preghiere, suppliche e ringraziamenti”. Questa preghiera, intesa come relazione vitale e permanente con Dio, è la fonte della pace e della gioia, doni di Dio.

Per quanto riguarda il Vangelo, il profeta del deserto Giovanni, che predica un battesimo di conversione, assume i tratti di un maestro che traccia un itinerario praticabile per ogni categoria di persone. Egli risponde alla domanda tipica di chi vuole intraprendere un nuovo orientamento di vita. Infatti le persone che si presentano a lui gli chiedono: “Che cosa dobbiamo fare?”, una domanda che riguarda un cambiamento profondo di condotta. Giovanni risponde, ricalcando i temi classici del messaggio profetico: “praticate la giustizia e la misericordia”. Cioè il cammino verso Dio passa attraverso il prossimo. Ciascuno rimanga al proprio posto, continui a fare ciò che ha fatto finora, ma in un altro modo, in maniera diversa: il Signore va accolto nella vita normale, nei lavori feriali, non attraverso cose eccezionali... Conta soprattutto la fedeltà nel quotidiano. In fin dei conti, si tratta di andare incontro al Cristo restando al proprio posto: il mutamento non è nelle cose o situazioni esteriori, ma deve verificarsi “dentro” di noi.
Don Joseph Ndoum

III Domenica dell’Avvento (C) Lectio

La gioia della conversione

La terza Domenica d’avvento è chiamata domenica Gaudete a partire dalle parole dell’antifona di ingresso: rallegratevi sempre nel Signore (Gaudete in Domino semper). La gioia, l’esultanza, l’allegria sono il lessico che colora e domina le letture di questa Domenica che già comincia a vedere l’alba della venuta del Signore. La gioia è legata alla presenza del Signore, ha la sua origine nella relazione con il Signore e si manifesta in un comportamento conseguente. Per il testo del vangelo la conversione stessa, per quanto a caro prezzo, è azione di gioia, è frutto di gioia e produce gioia perché è possibile a tutti. La missione di Giovanni è “preparare le vie del Signore dando al popolo la conoscenza della salvezza nel perdono dei peccati grazie alle viscere di misericordia di Dio” (Lc 1,76-79). Giovanni annuncia il vangelo, che è il Veniente, proprio nel presentare vie concrete di salvezza.

“…le folle interrogavano Giovanni, dicendo: “Che cosa dobbiamo fare?”

Giovanni davanti a questa domanda chiede di assumere un comportamento nuovo all’interno dell’oggi della propria vita, tale da preparare alla venuta del Signore. Giovanni ha davanti tre gruppi di persone e chiede al primo gruppo di condividere vesti e cibo con chi è nel bisogno, perché privo di essi. Quello che devono fare è imparare a vedere il bisogno dell’altro e a rispondere a ciò con il dono, la condivisione e la spartizione di ciò che si ha, conservando per sé solo il necessario.
La risposta data agli altri due gruppi ha una costante: si pone loro un limite nella loro professione. Ai primi si chiede di non esigere al di là del dovuto; ai secondi di non abusare del potere posto nelle loro mani per arricchirsi. L’espressione della conversione per i pubblicani è l’essere onesti e non pretendere dagli altri più di quello che è fissato. Ecco c’è un limite da porre: non pretendere quello che l’altro non può darmi perché non può, non ci riesce, non ce la fa. Ai soldati si chiede di non abusare della propria condizione di forza e di potere per arricchirsi. Di non fare ricorso alla violenza per avere dei guadagni. Come la condivisione richiede l’intelligenza del bisogno altrui, come il non esigere richiede l’intelligenza del limite delle proprie pretese, limite rappresentato dall’altro, così il non abusare richiede l’intelligenza della vulnerabilità propria e altrui. Questa intelligenza è la capacità di sopportare le nostre debolezze, le nostre fragilità e riconoscere le capacità che abbiamo di essere violenti.

Le risposte di Giovanni sembrano banali, cose da poco, ma Luca sottolinea come la conversione passa attraverso i piccoli gesti del quotidiano e proprio quel quotidiano si impregna di salvezza rendendo possibile al Regno di Dio di prendere spazio. I gesti della quotidianità possono avere un valore salvifico, possono avere un sapore evangelico. Tra l’altro è stranissimo che agli esattori e ai soldati, il cui lavoro stesso li faceva considerare pubblici peccatori o collaboratori dei romani, Giovanni non chieda di cambiare mestiere, ma di viverlo in modo nuovo. Basta un gesto semplice, un bicchiere di acqua fresca dirà Gesù, per entrare nella salvezza che è saper dare un volto nuovo alle piccole cose che viviamo, saper ridipingere il nostro quotidiano della luce del Vangelo, ma occorre cambiare mentalità e cuore perché solo allora anche le piccole cose diventano diverse. Giovanni, accogliendo le loro domande e cercando una risposta non astratta, non generica ma inserita in quella vita (perché a essa fosse possibile quella conversione necessaria per prepararsi alla venuta del Signore), comunica loro quanto siano preziosi per Dio, proclama che a Dio interessano. Per questo il messaggio di Giovanni è felice annuncio e prepara quello di Gesù, perché annuncia una presenza e una venuta di Dio nel nostro oggi, dove siamo, in questo amore sconfinato del Padre per la nostra vita tanto da farne la dimora per il Figlio.

“Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali”.

Giovanni può avere una parola autorevole su quello che c’è da fare, perché nella sua carne si è inscritto quel limite che ora insegna agli altri. Dinanzi all’attesa del popolo circa il Messia, Giovanni sa stare al suo posto. Non usa della sua autorevolezza per sedurre, per affascinare, per manipolare, per impadronirsi delle persone. Non si sostituisce al Veniente, non occupa tutto lo spazio, non cattura lo sguardo su di sé ma lo orienta altrove, al Veniente. La sua gioia è tutta qui. Giovanni e le folle si avvicinano nella comune attesa del Veniente, ma Giovanni le libera da sé. Il suo amore libera l’altro dalla dipendenza e sottomissione a sé e lo apre a quell’incontro con il Signore nella gioia semplice di sapersi strumento e semplicemente amico che gode della gioia dell’altro, delle nozze tra Dio e l’uomo che si compiono nella venuta di Gesù: “Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l`amico dello sposo, che è presente e l`ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. 30 Egli deve crescere e io invece diminuire”.

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Monastero Santa Maria Maddalena
Sorelle Povere di Santa Chiara