Gesù è stato rimproverato di essere un festaiolo un po’ fannullone, che frequentava pure brutta gente: «Ecco un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Lc 7, 34). Gli domandarono anche, perché i suoi discepoli non digiunavano come quelli di Giovanni o i farisei, e Gesù replicò anche Lui con una domanda: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro?» (Mc 2, 19).
Inviti rifiutati, inviti accolti ed inviti traditi
“Tutto è pronto; venite alle nozze!”
Matteo 22,1-14
Sono ormai cinque domeniche che Gesù ci parla con parabole e questa di oggi è la terza rivolta ai capi dei sacerdoti e ai farisei. In realtà, si direbbe trattarsi di due parabole accollate: quella del banchetto aperto a tutti (vv. 1-10) e quella della veste nuziale richiesta a tutti (vv. 11-14).
Ci siamo abituati al genere parabolico usato spesso da Gesù, ma non bisogna dimenticare che dietro l'apparente semplicità del suo messaggio, la parabola richiede da noi un doppio sforzo: la sua comprensione nel contesto culturale-storico-biblico del tempo di Gesù e la sua applicazione alla nostra vita attuale.
1. Una parabola strana ed inverosimile!
Si tratta di una parabola e, quindi, di un racconto simbolico in vista della trasmissione di un messaggio. Ma San Matteo rilegge questa parabola di Gesù in funzione della sua comunità, rendendola complessa ed inverosimile. Per capirlo basta leggere la versione di San Luca, con un'altra intenzione catechetica, dove il messaggio è molto semplice e diretto (vedi Luca 14,15-24, forse ispirata ad un fatto davvero accaduto!).
La nostra parabola di oggi parla di un pranzo preparato da un re per le nozze di suo figlio, quindi una circostanza di festa e di gioia. Ebbene, nel racconto sono introdotti tre elementi anomali che contrastano con l'ambiente di festa: il rifiuto e addirittura la reazione violenta dei primi invitati; l'invio dell'esercito per uccidere gli assassini e bruciare la loro città; e, quando la sala è piena di nuovi invitati, il duro intervento del re al vedere che uno degli invitati non indossava la veste nuziale. Come comprendere la parabola?
Matteo presenta in forma allegorica la storia della salvezza. Non dimentichiamo che Gesù sta parlando ai responsabili religiosi d'Israele. I primi due gruppi di servi rappresentano i profeti inviati al popolo di Dio (prima e dopo l'esilio?). La distruzione della città è una allusione alla distruzione di Gerusalemme (“che uccide i profeti!” Matteo 23,37), prima dai babilonesi nell'anno 587 a.C., e poi dai romani nel 70 d.C. Il terzo gruppo di inviati sono gli apostoli mandati nel mondo per invitare tutti quanti ad entrare nel festino del Regno. L'aggiunta dell'uomo sprovvisto dalla veste nuziale è un avvertimento rivolto alla comunità cristiana.
Qual è il messaggio della parabola? La prima parte rivela la chiamata universale di Dio rivolta adesso a tutti gli uomini, cattivi e buoni, nessuno escluso. Non c'è più un solo popolo eletto e una nazione privilegiata, ma tutti sono chiamati: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Marco 16,15). Così si realizza quanto profetizzato da Isaia: “Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati” (vedi prima lettura, Isaia 25,6-10). La seconda parte, però, sottolinea che non basta accogliere l'invito, bisogna convertirsi, cioè sintonizzarsi con la gioia delle nozze del Figlio del Re ed entrare nella convivialità con tutti i commensali. Concentriamo la nostra attenzione su questo doppio messaggio.
2. Un invito alla festa: Venite alle nozze!
“Ecco, ho preparato il mio pranzo... e tutto è pronto; venite alle nozze!”.
Tutta la Sacra Scrittura potrebbe essere riletta alla luce della parola dell'invito: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Lettera agli Ebrei 1,1-2). Si tratta di un invito alla festa, a gioire, a partecipare alla vita di Dio, alle sue nozze d'amore con l'umanità. Purtroppo, la visione prevalente della vita come sofferenza e sacrificio ha travisato il nostro rapporto con Dio e la pratica della fede.
Non è da stupirsi perciò del triste spettacolo delle nostre chiese vuote, come la sala vuota del banchetto. L'invito non è percepito come una chiamata alla festa. L'Eucaristia è la caparra del banchetto celeste delle nozze dell'Agnello. Il Padre invita, il Figlio festeggia, ma dov'è lo Spirito? Tante volte lo Spirito è lasciato fuori della porta. Ecco perché manca la gioia e l'entusiasmo. Senza lo Spirito non c'è festa! Senza lo Spirito non c'è convivialità. E si vede quando è presente lo Spirito: il viso diventa raggiante, l'allegria della celebrazione contagia, la gente si avvicina perché la festa unisce le persone! Invece spesso si ha l'impressione che la celebrazione sia “un atto di devozione” privato, ognuno con “il suo Dio” consuma il suo pasto per conto suo. Comunichiamo al corpo di Cristo, ma non comunichiamo tra di noi!
Ecco l'urgente conversione della Chiesa: aprire le porte alla novità, alla giovinezza e alla gioia dello Spirito Santo. Allora ogni invitato diventerà un “angelo”, un inviato, un apostolo, un missionario e la sala del banchetto si riempirà!
3. Dov'è la tua veste nuziale?
“Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?”
Cos'è la veste nuziale? Tanti pensano alla rettitudine morale o l'impegno cristiano. Sant'Agostino e San Gregorio Magno dicono che è la carità. Qualcun altro, l'abito del servizio, cioè spogliarsi della propria veste per servire, come ha fatto Cristo per lavare i piedi degli apostoli. Infatti “Cristo spogliò se stesso” e nudo celebrò le sue nozze con l'umanità sulla croce. A me risulta più spontaneo pensare alla veste battesimale. Sembra che nell'antico Oriente il re offriva ai convitati anche l’abito per le nozze. Nella Genesi è Dio stesso che copre la nudità dei nostri progenitori (3,21) e nell'Apocalisse viene data alla sposa (la Chiesa, cioè noi!) “una veste di lino puro e splendente” (19,8).
L'invitato colto senza l'abito nuziale potrebbe essere colui che non accoglie la novità di Cristo, ma si limita a mettere una toppa di panno nuovo su un vestito vecchio (Luca 5,36). In conclusione, l'abito nuziale è Cristo stesso: “Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo” (Galati 3,27). Per questo San Paolo ci esorta: “Rivestitevi del Signore Gesù Cristo” (Rom 13,14).
Per la nostra riflessione personale
Riflettiamo sui nostri rifiuti di fronte ai molteplici inviti e appelli di Dio nella nostra vita. Come partecipiamo al banchetto eucaristico, con o senza lo Spirito, con l'abito nuziale o una veste rattoppata? Siamo pronti ad essere “angeli” dell'invito?
P. Manuel João Pereira, comboniano
Castel d'Azzano (Verona), ottobre 2023
Dio non si arrende:
vuole tutti al suo banchetto!
Isaia 25,6-10; Salmo 22; Filippesi 4,12-14.19-20; Matteo 22,1-14
Riflessioni
Oggi l’invito è per un banchetto di nozze, per una festa, per la vita; non solo per lavorare nella vigna! Dalla vigna del Signore al banchetto dei popoli: dopo tre domeniche con il tema della vigna, oggi il messaggio delle letture bibliche è centrato sul banchetto della vita, al quale Dio invita tutti i popoli. Questo progetto del Padre appare chiaramente già nel Primo Testamento, fin dalla creazione, quando Dio preparava un giardino per i suoi figli e figlie. Il profeta Isaia (I lettura), con un linguaggio apocalittico proiettato al futuro, parla di un banchetto per tutti i popoli: “un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati” (v. 6). Umiliazione, morte, lacrime, schiavitù… saranno cose del passato! È solo un sogno o un’illusione? No! È il progetto del Padre della vita, per tutte le nazioni (v. 7), che si va realizzando gradualmente nel cammino verso il Regno definitivo. Perciò è doveroso rallegrarsi ed esultare per la salvezza che ci viene da Dio (v. 9). Pur in mezzo alle tribolazioni, Egli, che è il Pastore buono, non ci fa mancare nulla: assicura cibo e acqua, prepara una mensa abbondante per tutti (Salmo).
L’icona del banchetto è molto cara e familiare nelle azioni e insegnamenti di Gesù. Egli sapeva far digiuno ed essere austero, ma amava soprattutto stare insieme e far festa. I suoi segni cominciano proprio in una festa di nozze a Cana; accetta i pranzi offerti da Matteo e da Zaccheo, da Simone il lebbroso e dall’amico Lazzaro; le moltiplicazioni dei pani, l’ultima cena, la tavola di Emmaus, la colazione in riva al lago… E poi gli insegnamenti di Gesù sui posti a tavola, il digiuno, la vigilanza delle donzelle per entrare alla festa di nozze, e altri come la parabola odierna del banchetto di nozze per il figlio del re (Vangelo).
Nell’icona del banchetto (immagine e realtà) emerge il progetto del Padre per la vita del mondo. L’invito di Dio non è solo a lavorare nella vigna (vedi le parabole delle domeniche precedenti), ma a entrare con gioia nel banchetto di nozze del Figlio: cioè diventare figli nel Figlio, fratelli e sorelle di tutti, mediante il battesimo; partecipare al banchetto dell’Eucaristia; avere parte attiva nel progetto del Regno e portarne la bella notizia anche ad altri in una condivisione missionaria. Tutto ciò, prima di essere un impegno, è un dono, una dignità, una festa. Essere cristiani, discepoli e missionari del Vangelo è molto più di una disciplina: è motivo di gioia e di speranza, è un servizio al Regno, è vita.
La festa è pronta (v. 8): il Figlio è venuto, è presente. Il piano salvifico di Dio è per tutti i popoli. Il suo Regno ha dimensioni universali, senza restrizioni, come si deduce dalla parabola: il Padre invita tutti, vuole la casa piena con tutte le sue figlie e figli, “cattivi e buoni”, raccolti da tutte le strade del mondo (v. 9-10). Dio ‘invita’ al banchetto di nozze, ma ci lascia liberi di dire sì o no: tocca a noi fare una scelta di responsabilità; ne va della nostra felicità. Dio è sensibile al rifiuto dei primi invitati, ma non si scoraggia. “Il piano di Dio non viene sospeso, l’offerta non si spegne, anzi risuona con più intensità per degli strani personaggi che l’ebreo si sarebbe ben guardato dal far accedere alla sua mensa purificata e ritualmente ineccepibile. È tutto un mondo di poveri, di sofferenti, di emarginati dispersi per le strade del mondo. Alla tronfia autosufficienza di coloro che si sentivano depositari dell’elezione e della salvezza… subentra la nuova comunità delle Beatitudini” (G. Ravasi). Dio non si arrende davanti ai nostri rifiuti, nella Sua ‘fantasia’ cerca nuove vie.
Per far parte della comunità delle Beatitudini, occorre, però, l’abito nuziale (v. 12). Un’esigenza che sembra in contrasto con l’ampiezza e la fretta di quel reclutamento generale… Potrebbe trattarsi di un’altra parabola narrata da Gesù in un contesto differente. In ogni caso, il messaggio è coerente con la libertà personale e la disponibilità di ciascuno di fronte alla chiamata di Dio. Per entrare alla festa sarà necessario indossare “l’abito nuziale” (v. 11-12): non si tratta di un distintivo esterno ma interiore. Sono condizioni irrinunciabili: deporre le abitudini dell’uomo vecchio, rinnovarsi nello spirito e rivestire l’uomo nuovo (Ef 4,22-24), secondo l’esortazione di San Paolo (II lettura). Egli si fida ormai totalmente di Dio: “tutto posso in colui che mi dà la forza” (v. 13).
L’abito nuziale è Cristo, è Lui l’uomo nuovo: “Rivestitevi del Signore Gesù Cristo”, esorta ancora Paolo (Rom 13,14). S. Gregorio Magno commenta: “La carità è la veste nuziale, perché il nostro Redentore ne era rivestito quando venne per unire a sé come sposa la sua Chiesa. È l’amore di Dio che spinse il Figlio unigenito ad unire a sé gli eletti”. È un messaggio che illumina l’impegno di ogni cristiano e di ogni comunità in questo ottobre missionario. Siamo noi i servi, che il Padre manda oggi per le strade del mondo ad annunciare il Vangelo di Gesù, perché tutti i membri della famiglia umana diventino commensali del banchetto della vita nuova, in Cristo. (*) I cristiani siamo “battezzati-inviati”, chiamati a essere missionari: cioè, “tessitori di fraternità”, lieti di essere anelli della catena di trasmissione del Vangelo.
Parola del Papa
(*) “La missione è risposta, libera e consapevole, alla chiamata di Dio. Ma questa chiamata possiamo percepirla solo quando viviamo un rapporto personale di amore con Gesù vivo nella sua Chiesa. Chiediamoci: siamo pronti ad accogliere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare la chiamata alla missione, sia nella via del matrimonio, sia in quella della verginità consacrata o del sacerdozio ordinato, e comunque nella vita ordinaria di tutti i giorni?... Come Maria, la madre di Gesù, siamo pronti ad essere senza riserve al servizio della volontà di Dio (cfr. Lc 1,38)? Questa disponibilità interiore è molto importante per poter rispondere a Dio: “Eccomi, Signore, manda me” (cfr. Is 6,8). E questo non in astratto, ma nell’oggi della Chiesa e della storia”.
Papa Francesco
Messaggio per Giornata Missionaria Mondiale 2020
P. Romeo Ballan, MCCJ
Lasciarsi conquistare
dalla gioia del Regno
Gesù è stato rimproverato di essere un festaiolo un po’ fannullone, che frequentava pure brutta gente: «Ecco un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Lc 7, 34). Gli domandarono anche, perché i suoi discepoli non digiunavano come quelli di Giovanni o i farisei, e Gesù replicò anche Lui con una domanda: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro?» (Mc 2, 19).
Nella Bibbia tantissime volte si parla di festa. La vita cristiana è una grande festa nunziale che anticipa la gioia perenne del Regno; una festa, dove Dio stesso prepara un grande banchetto per tutti i popoli con cibi prelibati e vini di grande qualità (Isaia 25, 6-8). La fede che cammina verso l’incontro definitivo con il Risorto deve lasciarsi conquistare dalla gioia traboccante del regno di Dio.
Purtroppo a volte nella nostra storia cristiana, hanno prevalso il moralismo, la consuetudine e il dovere e così la sala delle nozze si è trasformata in uno spazio triste e severo dove obbedire a un dio cattivo. Festeggiare non è perdere tempo, ma al contrario vivere giorni veramente preziosi, dove non tutto si deve sempre meritare o comprare ma solo contemplare.
Giorni di festa dove la dignità di ogni invitato non si misura sul valore culturale o peggio ancora economico, ma si accoglie semplicemente come un dono. Giorni di speranza e fiducia, perché chi sa fare festa, ha un futuro, una prospettiva, alza lo sguardo e vede più lontano e più in profondità. La vita anche se spesso non è facile, sempre può essere felice, perché nessuno è escluso, tutti siamo invitati alla festa di nozze e il Signore può riempire di gioia anche la sala del nostro cuore quando rimane desolatamente vuota. La Chiesa è una sala piena di amici dello sposo che sanno fare festa e portare i pesi gli uni degli altri, quando necessario.
Non c’è nessuno che, venuto al banchetto, sia costretto a tornarsene a digiuno. Anzi, ci sono dei pani che sono riservati a chi è rimasto fuori dalla sala. Pensiamo, e preghiamo, per tutti i cristiani che vivono in situazione di persecuzione, e non possono celebrare l’eucaristia; preghiamo per chi non può accostarsi ai sacramenti e attende la misericordia del Signore e della Chiesa, non la durezza della legge; preghiamo per le Chiese in terra di missione, dove il sacerdote arriva una volta al mese; preghiamo per tutti quelli che non hanno mai ricevuto l’invito alla festa, e anche per coloro che si sono allontanati dalla sala, per colpa nostra e delle nostre contraddizioni. Preghiamo perché alla festa di Gesù ci sia veramente un posto per tutti, e nessuno venga escluso.
Ci è richiesta una sola condizione, l’abito adatto alle nozze. L’abito non dobbiamo nemmeno compralo ma ce lo regala Gesù stesso: «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità» (Col 3, 12).
[Francesco Pesce – L’Osservatore Romano]
Dio apre la sua casa
e tutti sono invitati
Isaia 25,6-10; Salmo 22/23; Filippesi 4,12-14.19-20; Matteo 22,1-14
La parabola del banchetto nuziale fa parte della trilogia di parabole rivolte da Gesù ai «principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo» nell’area del tempio di Gerusalemme. Ma essa è un serio appello applicato dall’evangelista ai cristiani della sua comunità, e ora a noi. La narrazione si articola in tre fasi: il duplice invio dei servi da parte del re per far venire gli invitati alle nozze; il rifiuto e la reazione negativa degli invitati i quali maltrattano e addirittura uccidono gli inviati del re; e infine la chiamata di tutti senza distinzioni tra buoni e cattivi, con la menzione che chi non indossava la «veste nuziale» sarebbe stato inesorabilmente estromesso. Il brano si conclude con l'affermazione che: «Molti sono chiamati, ma pochi eletti». Questa frase che chiude la parabola racchiude al proprio interno l’intenzione di essere un serio avvertimento. Riesce difficile ammettere che degli uomini normali possano rifiutare un invito a nozze, non da parte di un individuo qualunque, ma di un re. Tutto era pronto e l'invito era all’ insegna della più assoluta gratuità. Viene richiesta unicamente la presenza, anche a mani vuote. Che banchetto regale è mai questo in cui anche l'invito è differenziato? («Andate ai crocicchi delle strade, e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze»). La convocazione del Signore al banchetto nuziale rimanda alla vita cristiana, il cui ideale non è una morale opprimente, una schiavitù sotto il giogo di un codice, o una condanna, ma è una beatitudine, una festa ed una gioia. «...quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari». Anche noi ci teniamo tanto alle nostre schiavitù quotidiane. I primi invitati rappresentano l'Israele storico e i nuovi chiamati i cristiani. Ma essi corrono il rischio di essere gettati fuori, se non riescono ad attuare la condizione per prendere parte al banchetto escatologico facendo la volontà del Padre. L' abito nuziale indica certo le opere buone e le virtù. Si tratta di un invito a passare dalla situazione di «chiamati» a quella di «eletti». La chiamata di Dio è certo gratuita, come tutti i suoi doni, ma è anche esigente, impegnativa e responsabilizzante. Da parte di Dio l'offerta della salvezza è per «tutti». Sta alla nostra libertà responsabile riconoscerla ed accoglierla. La parabola del banchetto nuziale è quindi una sintesi del disegno salvifico di Dio che ha già tutto predisposto per la grande festa inaugurata da Gesù. Il rischio di essere escluso non dipende dall’ invito, ma dal nostro tipo di risposta.
Don Joseph Ndoum