La ricerca di un tesoro nascosto è sempre appassionante; l’incanto di una perla preziosa accende la fantasia… Tesoro e perla (Vangelo), scoperti in forma gratuita, rimandano direttamente alla parola di Gesù: “Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Il discorso parabolico di Gesù, che raggruppa sette parabole (Mt 13), si conclude con le tre parabole odierne: il tesoro nascosto (v. 44), la perla preziosa (v. 45-46) e la rete da pesca (v. 47-48).

DOV’È IL TUO TESORO?

Matteo 13,44-52

Questa domenica concludiamo la lettura del capitolo 13 del vangelo di Matteo, il capitolo del terzo discorso di Gesù, in cui presenta il Regno di Dio attraverso sette parabole. Oggi ci presenta le ultime tre, raccontate agli apostoli: il tesoro nascosto, il mercante di perle e la rete che raccoglie ogni genere di pesci. Le prime due sono simili e ci parlano della gioia di chi ha scoperto il Regno. La terza, invece, è simile a quella del grano e della zizzania di domenica scorsa, cioè sulla convivenza del bene e del male.

Questa terza parabola, come quella del grano e della zizzania, evoca la “fine del mondo”, cioè della nostra vita, come il momento supremo di verifica della sua autenticità, smascherando la falsità di coloro che “chiamano bene il male e male il bene, tenebre la luce e luce le tenebre, amaro il dolce e dolce l’amaro” (Isaia 5,20).
È interessante notare che proprio il pesce è diventato uno dei primi simboli cristiani allusivi a Cristo perché nelle cinque lettere del suo nome in greco (ictus) i cristiani hanno visto l’acronimo di “Jesùs Christòs Theoù Uiòs Sotèr”, “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”.

1. CHI sono i ricercatori di tesori e di perle

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo”.

Le storie di tesori sono sempre accattivanti, sia oggi come al tempo di Gesù. In una terra spesso teatro di guerre, era comune nascondere le proprie ricchezze all’arrivo di un nemico, sotterrandole nel campo o nel suolo della casa, prima di scappare, sperando di poter ricuperarle dopo, cosa che non sempre accadeva. Capita ancora oggi che gli archeologi trovano dei “tesorucci” di monete durante gli scavi. Ebbene questo povero contadino della parabola è uno dei fortunati che, per un colpo di fortuna, trova la grande occasione della sua vita e non la lascia scappare: vende tutti i suoi beni per comprare quel campo, pieno di gioia! “La gioia è il primo tesoro che il tesoro regala” (Ermes Ronchi).

Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, vavende tutti i suoi averi e la compra”.

In oriente le perle erano considerate la cosa più preziosa, come per noi i diamanti. Erano il simbolo della bellezza, per cui “Peninnà ”, “Perla” era anche un nome dato alle ragazze (vedi 1Samuele 1,2). Il mercante della parabola era alla ricerca di queste perle e quando trova una di grande valore non esita a vendere anche lui tutti i suoi averi per acquistarla.

Entrambi, il povero contadino e il ricco mercante, hanno lo stesso comportamento: trovano, vanno, vendono tutto e comprano. Ma mentre il contadino trova il tesoro per un colpo di fortuna, il mercante trova la perla dopo averla lungamente cercata.

Noi siamo questi ricercatori di tesori e di perle, di ricchezza e di bellezza, di perfezione e di infinito. La nostra vita è un campo seminato di tesori nascosti sotto i nostri piedi, ma il fango ci impedisce di vederli. La nostra vita è un bazar di perle, ma troppo impolverate per percepire il loro splendore. E capita pure di sacrificare tutto, la vita e l’anima, abbagliati da un falso, per ritrovarsi poi con un pugno di mosche in mano.

2. COSA sono il tesoro e la perla?

Cos’è quel tesoro o quella perla? Per Salomone è la Sapienza (prima lettura). Per il Salmista è la Legge, la Torah (salmo 118). Per San Paolo è la vocazione cristiana (seconda lettura). Per Gesù è il Regno. Ma potremmo riflettere sulle due parabole ampliandone le prospettive.

Il tesoro è Cristo, prima di tutto. Per lui gli apostoli hanno abbandonato tutto, e così fecero tanti altri dopo di loro. Paolo ha ritenuto tutto quanto della spazzatura in confronto con Cristo (Filippesi 3,8). Tanti cristiani sono pronti a dare addirittura la propria vita per non perderlo. Ma ci sono anche quelli che non hanno scoperto in lui questo tesoro, come il giovane ricco che si è allontanato triste. Come Giuda che l’ha venduto per trenta monete. E tanti cristiani che difatti non l’avevano mai incontrato e l’hanno scambiato per qualche paccottiglia.

Anche noi siamo quel tesoro e quella perla che Cristo ha trovato nel campo o nel mercato del mondo. Ecco perché Cristo ci ha riscattati “non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro… ma con il suo sangue prezioso” (1Pietro 1,18-19).

Sono perle le persone che ci stanno accanto, nascoste dietro i loro difetti, scontrosità e conchiglie.

3. DOVE trovare il tesoro?

Dove e come trovare il tesoro o la perla? Non c’è bisogno di andare lontano, di traversare mari e monti, di scalare il cielo o scendere negli abissi… (Deuteronomio 30,11-14). Ma lasciate che ve lo dica con un racconto chassidico (il chassidismo è un movimento spirituale ebraico): la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia.

Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l’ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripeté per la terza volta, Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin lì dal suo lontano paese. Il capitano scoppiò a ridere: “E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch’io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l’altra metà Jekel!”. E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro…
C’è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare: là dove tu ti trovi da te!
(da Martin Buber, Il cammino dell’uomo)

P. Manuel Joao Pereira, comboniano
Castel d’Azzano (Verona) luglio 2023

Le parabole del regno
Così Gesù rivela l’amore di Dio

1Re 3,5.7-12; Salmo 118/119; Romani 8,28-30; Matteo 13,44-52

Il filo conduttore di questa domenica è il tema del “tesoro” e della “perla”. Gesù si serve di queste due immagini per descrivere il bene unico ed incomparabile del regno di Dio. Il Regno viene così paragonato alla scoperta di un tesoro nascosto e alla ricerca di un mercante per entrare in possesso di una perla preziosa. L’accento viene messo non tanto sulla “perla” o sul “tesoro”, ma piuttosto sulla concreta situazione di coloro che, improvvisamente e senza alcun loro merito, ne fanno la scoperta. Tale situazione sembra quella degli ascoltatori di Gesù, ed, in qualche modo, sarebbe anche la nostra di fronte alla proclamazione della Buona Novella di salvezza. Infatti, Gesù, la sua parola e i suoi insegnamenti coincidono con il “tesoro” trovato e con la “perla” di inestimabile valore.

Queste due piccole parabole, che ci vengono presentate nel vangelo di oggi, hanno una struttura quasi uguale. Esse si aprono con una formula introduttiva, a cui segue il momento solenne della scoperta eccezionale e quello della decisione radicale di vendere tutto, per comperare quel campo o la perla. La scoperta del Regno pone assolutamente l’uomo dinanzi ad una scelta precisa. Tanto è importante la scoperta, tanto deve essere decisiva la scelta. Nei due casi, viene sottolineato il contrasto gigante tra l’unico “tesoro” (trovato nel campo) o l’unica “perla” (trovata dal mercante) e “tutti gli averi” venduti per impossessarsi di quello che si è trovato. E’ per dirci che di fronte al regno dei cieli, tutto diviene come invalido e si disprezza; tutto si vende, e da tutto ci si distacca: cioè si supera ogni difficoltà, pur di averlo.

Quindi il regno di Dio è un tutto di fronte al quale occorre essere disposti a sacrificare tutto il resto, a relativizzarlo, a ridimensionarlo, ad avvertirne i limiti e a subordinarlo alla dottrina evangelica. L’ingresso nel Regno passa necessariamente attraverso una fase di rottura, di rinuncia e di abbandono. Tuttavia, il sacrificio richiesto non è fine a se stesso, ma deve sfociare nella gioia del possesso del “tesoro” o della “perla” preziosa. Infatti, la gioia costituisce il punto focale delle nostre due parabole, e la rinuncia ne è soltanto la condizione per il possesso pieno e totale di questo unico bene che appaga le esigenze più profonde del cuore umano. Il discepolo del Regno o di Cristo non è quindi uno che tende assolutamente al sacrificio e alla rinuncia sterili, ma è uno che tende alla gioia di possedere quella realtà piena e duratura per il quale vale la pena lasciare tutto. E perciò egli è disposto a pagare il relativo prezzo.

Il discorso di Gesù nel brano evangelico odierno si chiude con un ultimo racconto parabolico riguardante una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni e buttano via i cattivi. L’orientamento di questa parabola, come in quella di domenica scorsa del buon grano e della zizzania, si ha nel commento che segue immediatamente: “Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni…”.

Viene in questo modo precisato il compito attuale della Chiesa: gettare la rete per riempirla di ogni specie di pesci. La separazione, che spetta a Dio, si farà al giudizio finale. Dunque siamo tutti oggetto della gratuita e misericordiosa salvezza da parte di un Dio paziente che ci accompagna fino al momento in cui si realizzerà il discernimento finale e definitivo. Si tratta di un avvertimento per non abbandonarci a delle false sicurezze.

In breve, dobbiamo rimanere sempre discepoli che sanno ricercare o verificare la loro “sapienza”, come Salomone, nell’adesione attiva e perseverante al loro unico “tesoro” e alla loro “perla” di inestimabile valore, cioè alla volontà di Dio, rivelata definitivamente dal suo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore e Maestro.
Don Joseph Ndoum

Gesù Cristo, tesoro da scoprire, amare e condividere

1Re 3,5.7-12; Salmo 118; Romani 8,28-30; Matteo 13,44-52

Riflessioni
La ricerca di un tesoro nascosto è sempre appassionante; l’incanto di una perla preziosa accende la fantasia… Tesoro e perla (Vangelo), scoperti in forma gratuita, rimandano direttamente alla parola di Gesù: “Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Il discorso parabolico di Gesù, che raggruppa sette parabole (Mt 13), si conclude con le tre parabole odierne: il tesoro nascosto (v. 44), la perla preziosa (v. 45-46) e la rete da pesca (v. 47-48). Il tesoro e la perla si ricollegano idealmente alle parabole (anteriori) del seminatore, del granellino di senape e del lievito; mentre la zizzania e la rete hanno una dinamica simile tra loro.

Le sette immagini sono vie didattiche, usate da Gesù per introdurre i suoi discepoli alla comprensione della realtà misteriosa del Regno di Dio, o Regno dei cieli. Tutte e sette inducono ad una scelta di valore: il discepolo deve optare; l’oggetto di tale opzione è Gesù stesso, perché è Lui la pienezza Regno. Il tesoro è Dio che si manifesta nella vita, azioni e parole di Gesù. Il Regno è il progetto, il sogno di Dio che si manifesta nella vita di Gesù. Egli è il seme buono, la Parola che il Padre semina nel campo del mondo, con la capacità di trasformarlo dal di dentro, per la forza intrinseca del granellino di senape e del pizzico di lievito. Egli è il tesoro nascosto e la perla preziosa da ricercare e da preferire a qualsiasi altro valore, facendo spazio a Lui, solo a Lui, evitando così il pericolo di essere buttati via come la zizzania e i pesci cattivi (v. 48).

Con l’immagine del tesoro e della perla Gesù si allaccia alle tradizioni, favole e romanzi di molti popoli riguardo alla ricerca leggendaria e pazzesca di tesori e di perle. Guardando il Vangelo e la tradizione cristiana, il Regno dei cieli è molteplice nella realtà e nelle espressioni: per Gesù il Regno dei cieli è anzitutto Dio stesso amato, goduto e annunciato. Il Regno è la bellezza della grazia divina, che ci rende conformi all’immagine del Figlio (II lettura); è la missione da portare ai popoli che ancora non conoscono Cristo; è la fedeltà all’amore familiare; è la vocazione di consacrazione; è un progetto di bene da realizzare; è la sapienza del cuore che Salomone chiede e ottiene da Dio (I lettura), quale dono più importante di una vita lunga, della ricchezza o della vittoria sui nemici

Per Gesù scoprire il “tesoro” è scoprire il senso della vita; è scoprire che Lui stesso da tale senso. Per questo valore supremo, per Gesù Cristo, i martiri hanno dato la vita, i missionari lasciano la famiglia e la patria, il cristiano rinuncia a tante cose. Con gioia e determinazione! (v. 44). Le parabole sottolineano il momento della scoperta del tesoro e della perla: “pieni di gioia”. Scegliere Gesù e la strada delle Beatitudini, vuol dire scegliere la strada che ci fa gustare pienamente la vita. Perché nell’incontro con Gesù e il suo Vangelo “nasce e rinasce la gioia”. (*) Pensare che essere cristiano/a è “un regalo-un tesoro” significa concepire la fede non come una rinuncia o un carico di doveri, ma come un’energia vitale, che trasforma la vita in un rapporto costruttivo e gioioso con la natura, con gli altri, con Dio. Questo è il tesoro che Dio ci offre, è questo il vero senso della vita.

In una parola, il tesoro è Cristo, dono totalmente gratuito; il Regno nella sua pienezza è Gesù Cristo stesso, conosciuto, amato, annunciato. Il Papa S. Paolo VI ce ne ha lasciato una viva testimonianza nella appassionata omelia missionaria del 29 novembre 1970, davanti a due milioni di persone nel “Quezon Circle” di Manila: «Guai a me se non predicassi il Vangelo! (1Cor 9,16). Gesù è il Cristo, Figlio del Dio vivo. Egli è il Maestro dell’umanità, e il Redentore. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita. Egli è l’uomo del dolore e della speranza... Io non finirei più di parlare di Lui. Egli è la luce, è la verità, anzi egli è ‘la via, la verità, la vita’ (Gv 14,6). Egli è il pane, la fonte d’acqua viva per la nostra fame e per la nostra sete, egli è il pastore, la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il nostro fratello... A tutti io lo annunzio: Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega. Egli è il re del nuovo mondo. Egli è il segreto della storia. Egli è la chiave dei nostri destini. Egli è il mediatore, il ponte fra la terra e il cielo; Egli è il Figlio dell’uomo, perché Egli è il Figlio di Dio, eterno, infinito; è il figlio di Maria... Gesù Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annunzio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra, e per tutti i secoli dei secoli» (cfr. Liturgia delle Ore, II lettura, Dom. XIII T. O.). Anche oggi, Gesù Cristo è il tema primario della vita cristiana, dell’annuncio missionario, perché la maggior parte della famiglia umana non Lo conosce ancora. Per questo occorre un maggior numero di testimoni e annunciatori!

Parola del Papa

(*) “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”.
Papa Francesco
Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (2013) n. 1

P. Romeo Ballan, MCCJ

Gesù nel tesoro nascosto ci dà la certezza della felicità
Matteo 13, 44-55

Un contadino e un mercante trovano tesori. Accade a uno che, per caso, senza averlo programmato, tra rovi e sassi, su un campo non suo, resta folgorato dalla scoperta e dalla gioia. Accade a uno che invece, da intenditore appassionato e determinato, gira il mondo dietro il suo sogno.

Due modalità che sembrano contraddirsi, ma il Vangelo è liberante: l’incontro con Dio non sopporta statistiche, è possibile a tutti trovarlo o essere trovati da lui, sorpresi da una luce sulla via di Damasco, oppure da un Dio innamorato di normalità, che passa, come dice Teresa d’Avila, “fra le pentole della cucina”, che è nel tuo campo di ogni giorno, là dove vivi e lavori e ami, come un contadino paziente. Tesoro e perla: nomi bellissimi che Gesù sceglie per dire la rivoluzione felice portata nella vita dal Vangelo. La fede è una forza vitale che ti cambia la vita. E la fa danzare.

«Trovato il tesoro, l’uomo pieno di gioia va, vende tutti i suoi averi e compra quel campo». La gioia è il primo tesoro che il tesoro regala, è il movente che fa camminare, correre, volare: per cui vendere tutti gli averi non porta con sé nessun sentore di rinuncia (Gesù non chiede mai sacrifici quando parla del Regno), sembra piuttosto lo straripare di un futuro nuovo, di una gioiosa speranza.

Niente di quello di prima viene buttato via. Il contadino e il mercante vendono tutto, ma per guadagnare tutto. Lasciano molto, ma per avere di più. Non perdono niente, lo investono. Così sono i cristiani: scelgono e scegliendo bene guadagnano. Non sono più buoni degli altri, ma più ricchi: hanno investito in un tesoro di speranza, di luce, di cuore.

I discepoli non hanno tutte le soluzioni in tasca, ma cercano. Lo stesso credere è un verbo dinamico, bisogna sempre muoversi, sempre cercare, proiettarsi, pescare; lavorare il campo, scoprire sempre, camminare sempre, tirar fuori dal tesoro cose nuove e cose antiche. Mi piace accostare a queste parabole un episodio accaduto a uno studente di teologia, all’esame di pastorale. L’ultima domanda del professore lo spiazza: «come spiegheresti a un bambino di sei anni perché tu vai dietro a Cristo e al Vangelo?». Lo studente cerca risposte nell’alta teologia, usa paroloni, cita documenti, ma capisce che si sta incartando. Alla fine il professore fa: «digli così: lo faccio per essere felice!». È la promessa ultima delle due parabole del tesoro e della perla, che fanno fiorire la vita.

Anche in giorni disillusi come i nostri, il Vangelo osa annunciare tesori. Osa dire che l’esito della storia sarà buono, comunque buono, nonostante tutto buono. Perché Qualcuno prepara tesori per noi, semina perle nel mare dell’esistenza.
Ermes Ronchi

Il tesoro di Gesù Cristo e del Regno 
Enzo Bianchi

Il vangelo di questa domenica ci presenta le ultime parabole raccolte da Matteo nel capitolo tredicesimo, detto appunto “discorso parabolico”. Come nelle precedenti parabole, Gesù non fa ricorso a idee astratte ma consegna delle immagini, affinché gli ascoltatori accolgano facilmente la parola, la conservino nel cuore e, ricordandola, la attualizzino nel loro quotidiano. Queste immagini mirano ancora una volta a far comprendere la dinamica del regno dei cieli, il modo in cui Dio può regnare ed effettivamente regna in quanti sono capaci di ritornare a lui, di convertirsi e di aderire alla buona notizia portata da Gesù Cristo.

Delle tre parabole odierne le prime due sono inseparabili, mentre la terza, a livello tematico, sembra una ripresa della parabola del buon grano e della zizzania (cf. Mt 13,24-30.36-43). Gesù dice innanzitutto: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo”. C’è un tesoro nascosto, dunque a lungo ignorato e sotterrato in un campo, certamente per proteggerlo da eventuali rapine: se però è stato nascosto, è per essere ritrovato al tempo opportuno. Il contadino che possiede quel campo disseppellisce il tesoro e, colto da grande stupore, agisce come un uomo accorto: subito nasconde nuovamente il tesoro, poi mette in vendita tutto ciò che possiede, valutato molto poco rispetto al tesoro scoperto. Con il denaro ricavato può dunque comprare quel campo, così da diventare proprietario anche di quel tesoro preziosissimo.

La parabola è semplice, comprensibilissima, perché “l’altra cosa” significata dal tesoro è proprio il regno dei cieli, l’unica realtà che giustifica la vendita di tutto ciò che si ha per poter prendere parte ad esso, come Gesù afferma più avanti, rivolto a un giovane ricco: “Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni, seguimi!” (Mt 19,21). Allo stesso modo, qui Gesù rivela all’ascoltatore di allora, così come a noi oggi, che il regno di Dio è il tesoro che non ha prezzo e proprio per questo al fine di acquisirlo occorre spogliarsi di tutti gli averi, le ricchezze, le proprietà. Se infatti queste sono una presenza nella vita dell’essere umano e regnano su di lui, impediscono proprio a Dio di regnare (cf. Mt 6,24: “Non potete servire Dio e Mammona, l’idolo della ricchezza!”).

D’altronde, già nel discorso della montagna Gesù aveva avvertito con chiarezza: “Non accumulate tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore” (Mt 6,19-21). Chi vuole seguire Gesù e prendere parte al Regno veniente, deve spogliarsi di tutto ciò che ha, di ciò che nella vita umana è assicurazione e garanzia. Questo lo si può fare se si comprende il mistero del regno dei cieli affidato proprio ai discepoli (cf. Mt 13,11) e se si resta consapevoli di portare questo tesoro in vasi di creta, mostrando così che esso viene da Dio e non da noi stessi (cf. 2Cor 4,7).

Qualcosa di analogo accade anche a un mercante, che nell’esercizio del suo mestiere un giorno scopre una perla di grandissimo valore. Da mercante qual è, si esercita anche alla ricerca di perle preziose, ma pure lui è sorpreso e stupito quando trova questa perla unica. Come fare per possederla? Vende tutti i suoi averi e la compra, perché ai suoi occhi essa ha un valore inestimabile: vale la pane vendere tutto, sacrificare tutto per questa realtà scoperta e valutata come incomparabile. Entrambe le parabole hanno come veri protagonisti gli oggetti, il tesoro e la perla, che si impadroniscono dei due uomini, li afferrano e causano le loro azioni. Nello stesso tempo, per l’appunto, entrambe mettono l’accento sulle azioni, cioè sulla risposta umana di fronte al dono incommensurabile del regno dei cieli.

Sì, siamo di fronte al radicalismo evangelico di Gesù, che ci chiede di spogliarci per accogliere il Regno. E si faccia attenzione: non si tratta di spogliarsi solo all’inizio della sequela, una volta per tutte, ma di rinnovare ogni giorno questa rinuncia, in situazioni diverse e in diverse tappe della vita. Durante il cammino della vita, infatti, anche se all’inizio ci siamo spogliati di ciò che avevamo, riceviamo ancora tante cose e ne acquistiamo di altre. Quella dell’avere, la libido possidendi, è una minaccia che sempre si oppone alla signoria del regno di Dio sulla nostra vita. Per questo con molta sapienza un padre del deserto, abba Pambo, ammoniva: “Dobbiamo esercitarci a spogliarci di ciò che abbiamo fino alla morte, quando ci sarà chiesto di dire ‘amen’ allo spogliarci della nostra stessa vita”.

Questa esigenza radicale ci fa paura, forse oggi più che mai, immersi come siamo nella società del benessere; ma se comprendiamo il dono del Regno, la gioia della buona notizia che è il Vangelo, allora diventa possibile viverla, proprio in virtù della grazia che ci attira e ci fa compiere ciò che non vorremmo e non saremmo capaci di realizzare con le sole nostre forze. Allora potremo dire, insieme all’Apostolo Paolo: “A causa di Cristo … ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui” (Fil 3,7-9). E tutto questo – non va dimenticato – può essere compiuto solo animati dalla gioia, quella di cui Gesù ci parla esplicitamente a proposito del contadino. Chi segue Gesù, dunque, non dice: “Ho lasciato”, ma: “Ho trovato un tesoro”; e non umilia nessuno, non si sente migliore degli altri, ma è semplicemente nella gioia per aver trovato il tesoro. In ultima analisi, infatti, la misura dell’essere discepolo di Gesù è l’appartenenza a lui, non il distacco dalle cose (che se mai ne è una conseguenza): una vera sequela si fa spinti dalla gioia!

La terza parabola narra di “una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così”, spiega Gesù, “sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”. C’è un tempo per pescare e un tempo per valutare le diverse qualità di pesci finiti nella rete. Vi sono pesci buoni e pesci cattivi, come nella comunità cristiana, composta di uomini e donne “pescati” attraverso l’annuncio del Vangelo (cf. Mt 4,19) e riuniti in una comunità che non può essere soltanto di puri e giusti. Ma verrà il giorno del giudizio, e allora vi sarà il discernimento: sarà l’ora della separazione tra quelli che parteciperanno in pienezza al Regno e quelli che, avendo scelto la morte, la gusteranno…

Questa immagine ci spaventa e non vorremmo trovarla tra le parole di Gesù: facciamo fatica a pensarla come Vangelo, come buona notizia. Ma mediante quest’ultima parabola Gesù vuole darci un avvertimento: egli non destina nessuno alla morte eterna, ma mette in guardia, perché sa che il giudizio dovrà esserci. Sarà nella misericordia ma ci sarà, come confessiamo nel Credo: “Il Signore Gesù Cristo … verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo Regno non avrà fine”. D’altronde, rifiutare il dono del Regno non può equivalere ad accoglierlo: è dono, è grazia, è amore!

A conclusione del lungo discorso, Matteo registra un dialogo tra Gesù e i suoi discepoli:
Avete compreso tutte queste cose?
Gli risposero: “Sì”.
Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.

Chi comprende queste parabole di Gesù è come uno scriba che, diventato discepolo di Gesù, possiede un grande tesoro: il tesoro della sapienza (cf. Sap 8,17-18; Pr 2,1-6), tesoro inestimabile e inesauribile (cf. Sap 7,14). Se un discepolo è consapevole di questo tesoro, per dono di Dio può estrarre da esso cose nuove e cose antiche, perché riconosce in ogni parola dell’Antico e del Nuovo Testamento “Gesù Cristo, Sapienza di Dio” (1Cor 1,24). “In Cristo”, infatti, “sono nascosti tutti i tesori della sapienza di Dio” (Col 2,3). Si tratta semplicemente di ribadire questo, di esserne convinti, di non stancarsi di attingere a questo tesoro giorno dopo giorno. È infatti al tesoro di Gesù Cristo, al tesoro che è Gesù Cristo, che ci riconduce ogni nostra ricerca: più passa il tempo, più ci rendiamo conto che è sempre a lui che ritorniamo per confrontare i nostri piccoli passi nell’acquisizione della sapienza. È lui la sua parola, il suo sentire, il suo vivere in noi che potenzia ogni nostro cammino. È lui che sempre di nuovo dice al nostro cuore: “Va’ al largo (cf. Lc 5,4), non stancarti di cercare (cf. Mt 7,7), apri i tuoi orizzonti, perché io sono sempre con te (cf. Mt 28,20)!”.


Gerrit Dou (su disegno di Rembrandt), Parabola del tesoro nascosto, 1630 circa, olio su legno, 70,5 x 90 cm, Museo di Belle Arti di Budapest

La tavola affiancata al vangelo di questa domenica rappresenta uno degli episodi narrati da Gesù: il ritrovamento del tesoro nel campo. L’opera è stata compiuta negli anni in cui Rembrandt è all’apice della sua carriera artistica tanto da aver aperto una bottega nella sua città natale di Leyda a partire dal 1625. In questa bottega, al suo fianco, lavorerà Gerrit Dou al quale è attribuibile gran parte della tavola. Di certo sono di mano di Dou gli oggetti che compongono il tesoro e la pianta finemente dettagliata in basso a sinistra (negli ovali azzurri tratteggiati). La scelta della composizione del soggetto della parabola è certamente di Rembrandt che sovraintendeva a tutte le commissioni che arrivavano in bottega.

La composizione del quadro è giocata sul passaggio dalla zona in piena ombra di destra all’ampio e luminoso orizzonte a sinistra. L’occhio è guidato da una serie di linee che costruiscono la composizione. Alcune segnano proprio il passaggio ombra-luce (in rosso), altre invece aprono verso l’orizzonte (in verde). La linea formata dal manico della pala utilizzata dall’uomo porta il nostro sguardo verso la torre campanaria di una chiesa in basso nella vallata, a indicare la fede che guida la vita, in questo caso viene evocato il suono delle campane che segna il ritmo della campagna.

L’elemento principale della tavola è nello sguardo dell’uomo. Non è rivolto verso il tesoro bramandolo, non è rivolto nemmeno verso i due contadini in basso (nel cerchio bianco tratteggiato) come possibili rivali nella conquista del tesoro, ma è rivolto verso qualcosa che è al di là del quadro, che noi non possiamo cogliere, ma solo immaginare.

Questo è il significato della parabola che Gesù narra: il Regno di Dio, ciò che è al di là dell’ampio orizzonte alle spalle dell’uomo, è il vero senso di questa rappresentazione. Pur avendo una fortuna ai suoi piedi, quest’uomo riporta l’osservatore all’essenzialità del messaggio: cercare il Regno. Come esprime fratel Enzo nel suo commento: “Chi segue Gesù, dunque, non dice: Ho lasciato, ma: Ho trovato un tesoro; non si sente migliore degli altri, ma è semplicemente nella gioia per aver trovato il tesoro. La misura dell’essere discepolo di Gesù è l’appartenenza a lui, non il distacco dalle cose (che se mai ne è una conseguenza): una vera sequela si fa spinti dalla gioia!”

a cura di fratel Elia
http://www.monasterodibose.it

L’insperato del Vangelo
Antonio Savone

Avete compreso tutte queste cose?
 È la domanda che affiora sulle labbra di Gesù nell’intimità della casa dove vede radunati attorno a sé i suoi discepoli. Di fronte a loro Gesù apre il suo cuore invitandoli a prendere coscienza della fortuna che è loro capitata nell’averlo incontrato.

Avete compreso? domanda Gesù. In realtà il verbo significa molto di più: siete capaci di stabilire connessioni nuove – finora insospettate – nella vostra vita? Siete in grado di gustare – ecco la sapienza di cui fa richiesta Salomone: questa, infatti, non è legata a una capacità intellettiva ma alla possibilità di sentire il sapore delle cose – ciò di cui siete protagonisti? Come a dire: vi rendete conto?

Intravvedere connessioni nuove gustando la vita: ecco il senso della vita cristiana che arriva a mettere in gioco tutto pur di non perdere questa occasione, questa opportunità. Come di fronte a un tesoro, come di fronte a una perla di grande valore.

Tesoro prezioso, infatti, fare esperienza di un Padre che porta scritto il mio nome sul palmo della sua mano. Perla di grande valore sapere che Dio ti si è fatto vicino e che davanti ai suoi occhi io valgo il dono del Figlio suo. Questa è la vita eterna – la vita piena, dirà Gesù nel vangelo di Gv –: conoscere te e colui che hai mandato. Il senso della vita: sapere di fronte a quale Dio stai.

Tesoro prezioso sapere che la mia vita è disseminata di possibilità nuove, perla di grande valore accogliere un Dio di fronte al quale io non sono mai equiparabile al male compiuto ma al bene che ancora posso far fiorire.

Tesoro prezioso sapere che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. Perla di grande valore sapere che da sempre sono conosciuto da Dio e chiamato a diventare conforme all’immagine del Figlio suo. Io, come il Figlio Gesù.

Tesoro prezioso, perla di grande valore riconoscere che anche la mia vita è raggiunta da un e-vangelo, da questa lieta notizia.

Avete compreso tutte queste cose?
Una domanda che travalicando i tempi raggiunge anche noi e ci fa misurare come annaspiamo, balbettiamo. Linguaggio poco conosciuto, infatti, quello del cristianesimo (solo il cristianesimo o non addirittura la vita stessa?) come scoperta di un tesoro e motivo di gioia. Abbiamo talmente posto l’accento su un cristianesimo di rinunce che abbiamo finito per perdere di vista la grazia di avere incontrato il vangelo. Continuiamo a proporre gesti da compiere senza mai introdurre le persone nella grazia che rappresenta l’incontro con il Signore Gesù.

Un cristianesimo per dovere che finisce per produrre uomini e donne rassegnati, mai attraversati da un brivido o da una passione. Ciò che rivela, infatti, la preziosità di una esperienza o di una persona incontrata è la gioia che suscita in noi. Che cosa c’è di prezioso nella mia vita?

Eccoci allora confrontati con due figure che con il loro modo di agire ci fanno comprendere cosa significa per la loro esistenza la scoperta di cui fanno esperienza. Due uomini che nel loro lavoro quotidiano – uno fa il contadino, l’altro il mercante – trovano qualcosa di insperato. Due uomini anzitutto capaci di attenzione, di consapevolezza. Per nessun altro merito trovano quel che trovano. Voce del verbo accorgersi. Si accorgono, infatti, di un qualcosa che è in mezzo ad altre cose. Non diverso doveva essere quel campo da tutti gli altri. Quanti tesori disseminati in quei campi comuni che sono le nostre esistenze! Mancano, però, occhi capaci di attenzione. Non così per quei due uomini. E così osano anche a costo di essere ridicolizzati. È la gioia provata dalla scoperta che mette in moto questi due. È la gioia di una esperienza che fa scegliere e, se è il caso, rinunciare. La gioia, l’unico metro per misurare la validità di una scelta. E la gioia, si sa, la si legge nel volto.

Un tesoro da scoprire, una perla da trovare. Come a dire: non va inventato, ma solo riconosciuto. C’è già. Per questo è necessario fare nostra la preghiera di Salomone: dammi un cuore docile, capace cioè di lasciarsi istruire. Il dono della sapienza: che consiste appunto nel conciliare ciò che a prima vista appare inconciliabile, nel riconoscere che il regno di Dio è in mezzo a noi, nello scoprire che anche in quel campo incolto che a volte può apparire la mia vita, c’è nascosto qualcosa di prezioso. Dio viene, è già all’opera, anche qui, anche ora. Ciò che manca è la capacità di riconoscerlo, il dono del discernimento.

Sapienza è riconoscere la preziosità di questo tempo visitato da Dio aprendosi alla sorpresa di una rete che raccoglie un po’ di tutto e perciò va onorata la gradualità evitando l’impazienza degli zelanti.
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Un commento su “XVII Domenica del Tempo ordinario (A) Commento”
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Matteo 13,44-52

Si conclude la lettura del c. 13 di Matteo con il terzo discorso di Gesù, il discorso sul regno di Dio. Le ultime tre parabole sono: il tesoro nascosto, il mercante che trova la perla, la rete da pesca. Contro le tentazioni ricorrenti nella comunità ed esposte nelle parabole precedenti, l’evangelista rimanda alla fedeltà alla prima beatitudine (Mt 5,3), quella che permette al Regno di essere già una realtà (“di essi è il Regno dei Cieli”) e all’uomo di raggiungere la pienezza della felicità (“beati”). L’azione di vendere quel che si ha non è finalizzata ad una perdita, ma permette l’acquisto di un tesoro nascosto… la perla di grande valore che causa gioia (per la gioia di lui… v. traduzione letterale).

Gesù non parla mai di sacrifici per il Regno, ma al contrario di gioia (mentre il termine sacrificio nel vangelo di Matteo appare solo due volte come atto contrario alla volontà di Dio, Mt 9,13; 12,7, la gioia ricorre ben sei volte (Mt 2,10; 13,20.44; 25,21.23; 28,8). Il Regno non diventa realtà a forza di penosi sforzi da parte degli uomini, ma per un crescendo di gioia per la grandezza della scoperta fatta, che ridimensiona tutto quel che essi credevano che prima avesse valore. Nella lettera ai Filippesi, Paolo, dopo aver elencato tutti i motivi che prima di conoscere Gesù credeva fonte di vanto, come la rigida osservanza religiosa, la fedeltà alla Legge, così conclude: “quello che era per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui, ho lasciato perdere tutte queste cose che considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in Lui” (Fil 3,7-9).

Mentre l’accoglienza delle beatitudini causa una pienezza di gioia, il rifiuto è fonte di tristezza, come nel caso del giovane ricco invitato da Gesù a raggiungere la piena maturità diventando vero padrone dei beni che credeva di possedere ma che in realtà, erano essi a possedere lui. Rifiutata la proposta di Gesù, il giovane se ne andò, triste; e la tristezza, sottolinea l’evangelista è causata dall’abbondanza dei beni: possedeva infatti molte ricchezze” (Mt 19,22). Quando si trova il grande tesoro la gioia fa sì che non si pensi più a quel che si è lasciato. Il rischio lo corrono coloro che hanno lasciato senza però trovare nulla come è il caso di Pietro che così si lamenta: “Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa dunque ne avremo?” (Mt 19,27). La gioia non consiste nel lasciare tutto, ma nel trovare tutto. Pietro e gli altri discepoli hanno lasciato tutto (Mt 4,18-22), ma sono ancora dominati dall’ambizione, dalla supremazia (Mt 18,1) e non hanno ancora compreso la beatitudine della povertà.

47 Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48 Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49 Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.

Le immagini usate sono simili a quelle della parabola del grano e della zizzania. Anche qui non c’è un giudizio, ma una constatazione. I pesci vengono scartati in quanto marci, putridi perché senza vita come già espresso per l’albero buono e l’albero marcio (saprà = marci; v. anche in Mt 7,17-18 e in 12,33). La fornace ardente indica la completa distruzione di quel che è già senza vita (pesci marci). Pianto e stridore di denti immagini di fallimento e sconfitta totale.

Gesù ha più volte parlato di un amore incondizionato da parte del Padre (Mt 5,43-48), ma questa offerta d’amore diventa operativa ed efficace nell’individuo solo se accolta e trasformata in altrettanto amore per gli altri. Chi rifiuta d’amare si chiude alla vita e marcisce. Il sopraggiungere della morte fisica trova un corpo senza vita. È quello che nell’Apocalisse viene definita seconda morte (Ap 20,14; 21,8) e che Giuda nella sua lettera definisce come alberi morti due volte perché senza frutto e sradicati (Giuda 12).

51 Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». 52 Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Al termine delle sette parabole del Regno raccolte e strutturate dall’evangelista, questi giustifica il proprio lavoro. Nel comportamento di uno scriba divenuto discepolo c’è probabilmente il ritratto dell’autore del vangelo (caratteristica del vangelo di Matteo sarà proprio quella di riferirsi costantemente all’AT per illuminarlo con l’insegnamento di Gesù). La dichiarazione di Gesù è sorprendente e ironica. Lo scriba era il maestro per eccellenza, colui che insegnava agli altri. Se vuol comprendere la nuova realtà del Regno il maestro deve diventare scolaro e mettersi di nuovo ad apprendere. Tutta la sua scienza non gli è sufficiente per riuscire a comprendere la novità portata da Gesù. Per questo Gesù sottolinea che dal tesoro si estraggono prima le cose nuove (kainà = cose nuove) e poi le antiche (palaiá =cose antiche). C’è la proposta di una priorità (prima le cose nuove) tra il messaggio di Gesù che fonda direttamente la Nuova Alleanza e quello di Mosè, mediatore dell’Antica Alleanza. Il messaggio di Gesù ha la precedenza sull’antico che ha validità, per noi cristiani, solo in ciò che è conforme all’insegnamento del Cristo.

Riflessioni…

  • Senza similitudini, la ragione segna il passo: la verità, tutta intera, le sfugge e sposta orizzonti, specie quella Altra, anticipazione di età dell’avvenire: del tempo ultimo che sarà e forse anche di quello penultimo.
  • Il Regno dei Cieli è simile… E, oltre l’evidenza abbagliante ed imperiosa, la similitudine diviene appagante, propria dell’uomo che si accosta e dinamico vede e vive la vita del Regno. Per il quale vale la pena…
  • rischiare tutto, vendere tutto per porlo in cima ai valori, per assegnargli il giusto prezzo e porlo alla luce, in vista, nel Campo del mondo, perché sia ammirato, e alla fine compreso, partecipato, come tesoro, fonte sicura e inesauribile di vita per sé e per i compagni di vita viandanti alla ricerca di beni preziosi e vitali.
  • Va pertanto cercato, scoperto, acquistato, e poi mostrato e vissuto: è una situazione di vita che dona significati ad esistenze nel tempo ed oltre il tempo. Anche una perla è simile… Una perla di gran valore, che riflette luce di vita. Anche per essa vale la pena vagliare ogni possibilità, per andare oltre ognuna e sperare solo in essa: è il valore del Regno che si propone come unica possibilità di autentica umanità, fondamento e generatore di altri valori: giustizia, eguaglianza, libertà, dignità.
  • Il dinamismo del Regno va anche verso le fasi penultime ed ultime della sua attuazione. Valutazioni e processi di significazioni, tutto diventa oggetto di stima: gli sforzi di ricerca, gli impegni di adesione, rinunce e conquiste per comprendere, per far parte e vivere del Regno dei Cieli. Incondizionati gli inviti ed accoglienze, totalizzanti le scelte, umanizzanti le adesioni a proposte divine per sperimentare i momenti del Regno.
  • Per rivivere la pienezza della gioia quando si lascia tutto da parte, quando si pone a lato ogni sicurezza. E si veste le vesti della povertà di Francesco, ormai ricchi di eredità duratura, ormai beati per il possesso di tesori e perle di unico valore, sicuri di aver ritrovato e acquisito valori perenni.
  • Tutto appare nuovo, perché liberante, perché dono e risposta di Dio e dell’uomo: le similitudini svelano inviti reconditi, eterni desideri divini di salvezza, oltre norme ed antichi precetti.
  • Va’, vendi quanto possiedi e compra il Nuovo tesoro; vendi e compra la perla, perché preziosa. Sono le proposte per il Nuovo Regno, che segnerà la singolare storia di Dio, oltre quella del tempo del grano misto a zizzania, e dei cesti colmi di pesci buoni e cattivi. Un Regno esclusivo è il traguardo di percorsi accidentati e tortuosi, superamento di mali intrecciati nella storia degli uomini.

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