Il Pastore del capitolo 10 di Giovanni «cammina davanti» alle pecore, ed esse «lo seguono perché conoscono la sua voce». Quando si contempla il passaggio di un gregge non si vede mai arrivare per primo il pastore, semmai i cani che lo aiutano, poi il gregge, e da ultimo il pastore. La strategia descritta da Gesù non è normale. È la Sua...
UNA PORTA APERTA VERSO LA LIBERTÀ E LA VITA!
Giovanni 10,1-10
Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo...
io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
DOVE ANDIAMO ADESSO?
Siamo alla quarta domenica di Pasqua, la cosiddetta domenica del Buon Pastore, a metà percorso del tempo pasquale di cinquanta giorni. Dopo le tre domeniche delle apparizioni del Risorto, ora rischiamo di perdere di vista il filo conduttore del nostro cammino. Mi pare utile ricordare che andiamo verso l'Ascensione del Signore e la Pentecoste, culmine del percorso pasquale. Le letture domenicali intendono prepararci a queste due grandi feste. Lo fanno attraverso tre temi, partendo da tre scritti del Nuovo Testamento:
1. nella prima lettura, il tema della CHIESA, con la lettura del libro degli Atti degli apostoli: ripercorreremo i primi passi della Chiesa, guidata dallo Spirito Santo;
2. nella seconda lettura, il tema della VITA CRISTIANA, con la lettura della prima lettera di S. Pietro: su come vivere da cristiani in un mondo ostile;
3. nel vangelo, una grande catechesi sulla persona di GESÙ, attraverso alcuni brani del vangelo di Giovanni.
Cerchiamo di non perdere di vista l'unità e l'armonia delle letture che la liturgia ci propone per queste domeniche.
IN VERITÀ, IN VERITÀ IO VI DICO!
Il vangelo di oggi inizia con questa introduzione di Gesù: "In verità, in verità vi dico!"; o meglio: "Amen, amen, io vi dico". È una affermazione che dovrebbe destare la nostra attenzione. Si tratta di una espressione che introduce una rivelazione, a cui il credente risponde con il suo assenso: Amen!
Tale locuzione introduce le parole di Gesù in 49 passi nei vangeli sinottici (Marco, Matteo e Luca) e in 25 passi del vangelo di Giovani.
Prepariamoci a dire il nostro AMEN con le labbra e con il cuore!
IO SONO LA PORTA!
"In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore". Dopo le prime affermazioni nei versetti 1-5, ci attenderemmo che Gesù dicesse: Io sono il pastore delle pecore! e tutto sarebbe stato chiaro subito. Il tema di Dio Pastore del suo popolo è ben presente nella Scrittura (nei salmi e nei profeti: vedi Geremia 23,1-6; Ezechiele 34,1-31; Isaia 40,10). Quindi, si aspettava che il Messia fosse il Grande Pastore. Invece, nello stile enigmatico proprio del vangelo di Giovanni, Gesù dice: "Io sono la porta delle pecore"! Solo in un secondo momento dirà: "Io sono il buon pastore" (versetti 11-18). Ci chiediamo perché.
In realtà, per poter seguire il Pastore, le "pecore" dovevano essere liberate dai recinti che le mantenevano in cattività! Il primo recinto in cui eravamo prigionieri era quello della morte. Cristo con la sua morte e risurrezione ha spalancato le porte degli inferi ed è diventato la Porta verso la vita. E Cristo vuole assumere questo ruolo di essere porta per proteggere il suo gregge, ma soprattutto per garantire la sua libertà di movimento: "Se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo". Egli vigila sul suo popolo perché leggi o istituzioni non trasformino il suo "ovile" in luogo di cattività o un domicilio di libertà vigilata, perché lui è venuto perché abbiamo la vita e l'abbiamo in abbondanza. Potremmo chiederci come viviamo, nella Chiesa, la libertà e il senso di responsabilità che Dio vuole per i suoi figli. Ed ancora, se gestiamo i nostri rapporti nella libertà, con la porta del cuore aperta per accogliere, sì, ma senza imprigionare nessuno.
IL SIGNORE È IL MIO PASTORE!... DAVVERO?
Il salmo di risposta alla prima lettura è il salmo 22, forse il più conosciuto ed amato del Salterio (la raccolta dei 150 salmi): "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla". Una buona occasione per pregarlo, gustandolo. Ma potremmo chiederci quanto esso sia veritiero nella nostra vita. Non capiterà a noi di recitare con la vita una parodia di questo salmo? Come quel drogato di Harlem (New York) che aveva scritto sul muro della sua cella:
«L'eroina è il mio pastore, / ne avrò sempre bisogno. / Mi conduce ad una dolce demenza, / distrugge la mia anima. / Mi conduce sulla strada dell'inferno / per amore del suo nome. / Sì, anche se camminassi / nella valle dell'ombra della morte, /non temerei alcun male / perché la droga è con me, / la mia siringa e il mio ago mi portano conforto».
Talvolta ci sono delle "droghe" che ci tengono incatenati. E ci sono tanti "ladri e briganti" che pretendono di essere pastori. Sono tante le sirene capaci di sedurci perdutamente, se non siamo ben attaccati, come Ulisse, all'albero maestro della croce!
PASTORI E GREGGE
Le immagini del vangelo di oggi, pastore e pecore, gregge ed ovile, tanto care ai primi cristiani (basta vedere le raffigurazioni di Cristo Buon Pastore nelle catacombe), oggi ci sono piuttosto estranee e poco simpatiche. E con certa ragione, per l'uso che ne è stato fatto in passato, un uso massificante e strumentale, da pastori senza "l'odore delle pecore" (Papa Francesco). Altro che pastori che chiamano ciascuno e ciascuna per nome, che camminano davanti al loro gregge, disposti a sacrificare la vita! Non sono lontani i tempi in cui si scriveva: “La Chiesa per sua natura è una società ineguale, cioè una società formata da due categorie di persone: i pastori e il gregge … Solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità … la moltitudine ha solo il dovere di lasciarsi condurre e di seguire i suoi pastori come docile gregge” (Pio X, Vehementer nos). Malgrado gli sforzi per cambiare la mentalità (dei pastori e del gregge!), il clericalismo stenta a morire.
Oggi, Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, siamo invitati a pregare, con più assiduità e più convinzione, il Padrone della messe perché ci dia dei pastori con i sentimenti di Cristo Buon Pastore!
P. Manuel João, comboniano
Castel d'Azzano (Verona)
Una voce che chiama per nome
Gv 10,1-10
Il Pastore del capitolo 10 di Giovanni «cammina davanti» alle pecore, ed esse «lo seguono perché conoscono la sua voce». Quando si contempla il passaggio di un gregge non si vede mai arrivare per primo il pastore, semmai i cani che lo aiutano, poi il gregge, e da ultimo il pastore. La strategia descritta da Gesù non è normale. È la Sua...
Questo custode non pasce costringendo ma attirando. Il suo strumento di guida è la voce: «Le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori». Questo spiega in parte perché ci può essere stato il fallimento di un modo impositivo di proporre la fede: non attirare, ma incalzare, spingere, costringere. Purtroppo, finché questa educazione alla fede autoritativa corrispondeva a un forte apparato strutturale poteva persino sembrare utile.
Ma oggi questo apparato crolla — questo non è una grazia in realtà? — e non ha più alcun impatto. È successo, storicamente e culturalmente, quel che diceva Gesù: «Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Non di rado abbiamo ricevuto la lamentela per l’incapacità ecclesiale di parlare al cuore delle persone. Molti si sono allontanati perché si sentivano estranei. Ma cosa vuol dire non parlare da estranei? Significa saper chiamare le pecore «ciascuna per nome».
Abbiamo usato parole spesso “mondane” dimenticando la forza della Parola di Dio, che sa appellare intimamente ogni uomo come nessun’altra parola saprà mai fare. Sappiamo cosa ci tirerà veramente fuori dal lockdown del covid-19: una parola che arriva al cuore e fa uscire e trovare pascolo. Una voce che chiama per nome perché conosce l’uomo come nessuno lo ha mai conosciuto.
Il suo stile è lineare: «Entra dalla porta», non da un’altra parte. La sua opera è liberante, tira fuori dal recinto e fa trovare pascolo. Il suo frutto è generoso: non chiede, non depaupera, non uccide, come fa la menzogna, ma dà la vita «in abbondanza». Perché usare altre parole?
[Fabio Rosini – L’Osservatore Romano]
Il buon pastore li precede con l’esempio
Le pecore seguono l’esempio,
non i lunghi discorsi
At 2,14.36-41; Salmo 22; 1Pt 2,20-25; Gv 10,1-10
L’immagine di Gesù, “il buon pastore”, caratterizza la quarta domenica di Pasqua. È una immagine che affonda le sue radici nella tradizione biblica, dove l’azione di Dio e dei suoi inviati viene trascritta nel linguaggio pastorizio. Nell’Antico Testamento questa metafora dice l’intensità delle attenzioni e delle cure che Jahve riserva al suo popolo e, corrispondentemente, esprime l’esperienza di Israele, che vive la propria storia nella fiduciosa consapevolezza della vicinanza, della sollecitudine e della permanente assistenza o protezione di Jahve. La ripresa operata da Gesù di questa simbolica ne consacra la rilevanza nell’uso cristiano. Gesù la riferisce direttamente alla propria missione, per indicare l’amore sconfinato di Dio per gli uomini, soprattutto per i peccatori. Egli è venuto per “radunare le pecore perdute della casa d’Israele”.
L’immagine del pastore lumeggia quindi l’iniziativa di Dio che si manifesta in Gesù. Questa simbologia culmina nell’autopresentazione di Gesù come “il buon pastore”. Egli si identifica col “buon pastore” che dà la vita per le pecore. L’intima comunione di vita con il suo gregge, la dedizione totale e l’impegno senza riserve a favore delle pecore ne contraddicono l’opera. In questa prospettiva, Gesù appare il grande pastore delle pecore, il supremo pastore, cioè il pastore e custode delle anime.
L’immagine del pastore nella letteratura neotestamentaria ed ecclesiale è utilizzata anche per parlare dell’opera dei capi della comunità e per dire della missione loro affidata, come pure delle disposizioni necessarie per sua corretta attuazione. Sulla figura di Cristo, “il buon pastore”, devono plasmare il loro comportamento e la vita della comunità. Il termine “pastore” aveva allora un significato pieno per la storia e la cultura del popolo eletto.
Ciò che è molto interessante è il rapporto tra pecore e pastore. E per capirlo bene bisogna collocare la scena nell’ambiente palestinese. Nel recinto sono alloggiati diversi greggi appartenenti agli svariati pastori che, per la notte, affidano le proprie pecore alla sorveglianza di un guardiano. Al mattino si presentano questi vari pastori, e ciascuno chiama le proprie pecore che escono fuori e lo seguono. Pur confuse e mescolate insieme, le pecore riconoscono unicamente l’appello del proprio pastore. Non vanno dietro a un altro. È la voce che permette il riconoscimento. Questo particolare costituisce la chiave di lettura del vangelo di Gesù buon pastore.
La voce di Gesù si fa sentire e si manifesta nel vangelo. Gesù buon pastore si occupa, non solo di un gregge, ma soprattutto delle singole pecore. Chiama le sue pecore una per una, e col proprio nome. È questo rapporto personale ed intimo che lo caratterizza come il vero, buono e supremo pastore. La sua voce è unica ed inconfondibile. Qui appare il tema della nostra unicità dinnanzi a Gesù. Ognuno di noi è unico con un’esistenza originale, irripetibile e insostituibile. Se uno non si realizza, egli priva gli altri di qualche cosa che soltanto lui è in grado di produrre. Inoltre, l’appello è un perentorio segnale di risveglio. Quando ti senti interpellato personalmente dal Signore, non chiudere il cuore. La risposta alla sua voce si dà subito, alla maniera delle pecore che riconoscono la voce del proprio pastore e lo seguono senza perdere il tempo. Così dovrebbe presentarsi il vero rapporto dei discepoli con il loro Maestro.
Gesù si autopresenta con un’altra formula originale. “Io sono la porta delle pecore”. Viene sottolineato qui il ruolo mediatore unico di Gesù. Egli è la via che consente all’accesso e all’incontro con Dio. Questa domenica è anche “Giornata mondiale delle vocazioni”, per ricordare a tutti che il gregge di Cristo ha bisogno dei pastori per prolungare il suo compito di Buon Pastore. I ragazzi e in giovani in particolare sono interpellati, in questo tempo di crisi grave delle vocazioni sacerdotali e religiose. Il Signore ci chiama anche noi tutti, ogni giorno, al suo servizio e a quello dei fratelli. Occorre chiedergli in questa circostanza di suscitare nei cuori dei giovani il desiderio di donazione personale al servizio della Chiesa. E per tutti, bisogna chiedergli la grazia di una vita cristiana sempre più coerente.
Don Joseph Ndoum
Il Buon Pastore
chiama altri a divenire pastori buoni
Atti 2,14.36-41; Salmo 22; 1Pietro 2,20-25; Giovanni 10,1-10
Riflessioni
La quarta domenica di Pasqua è la “Domenica del Buon Pastore”, dato il brano odierno del Vangelo. Il Buon Pastore è una delle prime immagini usate dai cristiani nelle catacombe per rappresentare Gesù Cristo, molti secoli prima dell’immagine della croce e del crocifisso. La ragione di tale antichità risiede nella ricchezza biblica dell’immagine del pastore già nel Primo Testamento (cfr. Esodo, Ezechiele, Salmi…). Gesù si è identificato con il pastore: Io sono il buon pastore. L’evangelista Giovanni lo presenta con abbondanza di espressioni che indicano la relazione vitale tra il pastore e le pecore: entrare-uscire, aprire, chiamare-ascoltare, condurre, camminare-seguire, conoscere, pascolare… Fino all’identificazione di Gesù con la ‘porta’ (v. 7.9): porta di salvezza, che vuol dire ‘vita in abbondanza’ (v. 9.10). Infatti Gesù si autodefinisce il buon pastore che “offre la vita per le pecore” (v. 11). Da notare che il testo greco usa un sinonimo: il pastore ‘bello’ (v. 11.14), cioè il pastore ideale, buono, perfetto, che unisce in sé la perfezione estetica ed etica.
Egli offre la sua vita per tutti: ha anche altre pecore da attirare, fino a formare un solo gregge con un solo pastore (v. 16). Egli non rinuncia a nessuna pecora, anche se sono lontane o non lo conoscono: tutte devono entrare per la porta che è Lui stesso, perché è l’unico Salvatore. La missione della Chiesa si muove su questi parametri di oblazione e di universalità: vita offerta per tutti, il cammino verso l’unico gregge, la vita in abbondanza… Anche se il gregge è numeroso, nessuno è perduto nell’anonimato, nessuno è in più, anzi i rapporti sono intimi e personali: il pastore conosce le pecore, “chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori” (v. 3).
Gesù parla di un pastore che non sfrutta le pecore ma le aiuta a vivere ‘in abbondanza’; Egli critica duramente il comportamento dei capi religiosi del Tempio. In quel contesto Gesù mette l’accento per ben due volte sul fatto che il pastore conduce le pecore ‘fuori’ dal recinto (v. 3-4). Cioè fuori dall’atrio-recinto del Tempio. Perché Gesù si è trovato davanti ad una religione che non rendeva libere le persone, ma schiave: schiave di regole e leggi, schiave del potere religioso di scribi, farisei e sacerdoti, che Gesù chiama ‘mercanti del tempio’. Gesù non vuole sfruttatori, ghetti e divisioni. Gesù non è contro il tempio in sé stesso, ma lo vuole libero da ogni tipo di ‘mercanti’. Solo così il tempio continua a essere luogo importante per incontrare Dio, ascoltare la Sua Parola, celebrare l’Eucaristia, pregare insieme il Padre… Il tutto per ricevere luce e forza per poi uscire e incontrare Dio nella storia, nella vita quotidiana, nel lavoro, la famiglia, la malattia, il divertimento…, Per seminare ovunque gioia e speranza.
Gesù si oppone a quel potere che attraverso la religione disumanizzava le persone. Il Dio di Gesù Cristo non vuole donne e uomini schiavi ma liberi, autonomi, responsabili; gioiosi di “adorare il Padre in Spirito e verità” (Gv 4,23); pronti nel far comunione con gli altri, generosi nel servire i più bisognosi. In questo nuovo stile di vita, inaugurato da Gesù, si capisce l’altra bella immagine con cui Gesù si presenta: “Io sono la porta” (v. 7.9). La porta della vita nuova: attraverso di Lui si entra in un nuovo stile di rapporti con Dio, con sé stessi, con gli altri, la cultura e la politica, il cosmo, e perfino la vita eterna… Gesù è la porta che ci regala la possibilità di gustare veramente la vita. Egli afferma decisamente: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (v.10). Al centro del suo Vangelo Gesù mette la vita; prima ancora del peccato. Egli è venuto per darci la vita, per insegnarci a vivere: amandoci gli uni altri come Lui stesso ci ha amato.
L’amore appassionato con cui il buon pastore offre la sua vita per le pecore è descritto nelle letture: nella predicazione di Pietro il giorno di Pentecoste (I lettura), con l’invito alla conversione, al battesimo e ad accogliere il dono dello Spirito Santo (v. 38); così anche nella lettera dello stesso Pietro (II lettura), calcata sul quarto carme del Servo (Is 53). Cristo patì per noi, lasciandoci un esempio da seguire (v. 21); ci ha guariti con le sue piaghe. La famiglia umana, dispersa ed errante a causa del peccato, ha incontrato salvezza e unità in Cristo pastore e custode della vita di tutti (v. 25).
Seguire le orme del Buon Pastore è l’invito e l’obiettivo che si propone l’odierna Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: il Signore continua a chiamare anche altri a condividere il suo destino e la sua missione per la vita dell’intera famiglia umana. Anche a rischio della vita, come nel caso frequente dei ‘missionari martiri’. Nel messaggio per l’odierna Giornata, Papa Francesco invita i chiamati, a confidare sempre nel Dio che ci chiama, perché Egli è presente e ci accompagna anche nella buia notte di tempesta. (*)
La vocazione di speciale consacrazione (sacerdozio, vita consacrata, vita missionaria, servizi laicali…), trova solidità, gioia e libertà interiore (Gv 10,9) nell’esperienza personale del sentirsi amato e chiamato da Qualcuno che esiste prima di te. È un’esperienza fondante, che il teologo protestante Karl Barth, superando l’idealismo cartesiano, esprime così: “Cogitor, ergo sum” (sono pensato, quindi esisto). Il Salmo 22 esprime, con linguaggio di alta poesia, la sicurezza e la tranquillità interiore di chi pone la sua fiducia piena nel Signore, Buon Pastore (Salmo responsoriale). Papa Francesco esprime questa sicurezza in termini vitali e vocazionali: “Sono amato, dunque esisto; sono perdonato, quindi rinasco a vita nuova” (Misericordia et misera, n. 16). È questo il cammino per una vocazione sicura, radicale, duratura.
Parola del Papa
(*) “Ogni vocazione nasce da quello sguardo amorevole con cui il Signore ci è venuto incontro, magari proprio mentre la nostra barca era in preda alla tempesta. Più che una nostra scelta, la vocazione è la risposta alla chiamata gratuita del Signore; perciò, riusciremo a scoprirla e abbracciarla quando il nostro cuore si aprirà alla gratitudine e saprà cogliere il passaggio di Dio nella nostra vita… Il Signore sa che una scelta fondamentale di vita – come quella di sposarsi o consacrarsi in modo speciale al suo servizio – richiede coraggio. Egli conosce le domande, i dubbi e le difficoltà che agitano la barca del nostro cuore, e perciò ci rassicura: «Non avere paura, io sono con te!» Egli ci viene incontro e ci accompagna, anche quando il mare è in tempesta”.
Papa Francesco
Messaggio per la 57ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni (2020)
P. Romeo Ballan, MCCJ