«Lazzaro, vieni fuori!». In contesto di quarantena sono parole impressionanti... l’attesa di poter uscire dalle nostre case è forse parossistica, e fa un certo effetto ascoltare il testo di Ezechiele dire: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri». Può essere un caso questa coincidenza fra la liturgia e il dramma planetario in corso? (...)
Giovanni 11,1-45
Il vangelo della V (e ultima) domenica di Quaresima ha come suo protagonista Lazzaro, dopo la samaritana e il cieco nato delle due precedenti domeniche. Si tratta della terza catechesi battesimale, sulla VITA, dopo quelle sull’acqua e sulla luce. Questo vangelo ci racconta la risurrezione di Lazzaro di Betania, fratello di Marta e Maria e amico di Gesù. È il settimo “segno” (miracolo) del vangelo di Giovanni, il più portentoso, che fa da cerniera tra la prima e la seconda parte del suo vangelo. La Pasqua è ormai vicina, e siamo invitati a meditare su questo grande segno, profezia della morte e della risurrezione di Gesù.
Vi invito a rileggere personalmente tutto il capitolo undicesimo di Giovanni e la sua continuazione naturale, fino a 12,11, nell’intento di cogliere un po’ della ricchezza del suo messaggio. E, inoltre, per ricordarci come tutto va a finire: i capi che decidono di uccidere Gesù e Lazzaro.
Mi limito a condividere con voi una riflessione sul pianto di Gesù.
Il prezzo di una amicizia
Questa pagina del vangelo ci rivela la profonda umanità di Gesù. Uomo come noi, egli aveva degli amici e coltivava le amicizie. La casa di Lazzaro, Marta e Maria, nel villaggio di Betania, alle porte di Gerusalemme, era per lui – uno senza fissa dimora – un’oasi di pace e di riposo. Lì si sentiva a casa sua, in famiglia. “Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro”. In forza di questa amicizia, quando Lazzaro si ammalò, le due sorelle gli mandarono a dire: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”. Ma l’Amico non se affrettò! Si mise in cammino al terzo giorno, non per guarire, ma per risuscitare: “Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. Gli apostoli gli ricordarono, giustamente, che in Giudea egli era un ricercato. A dire il vero, Gesù potrebbe avere guarito l’amico anche da lontano, come fece con il servo del centurione (Luca 7). Ma l’amicizia richiede la vicinanza fisica, e così Gesù rischia la sua vita per Lazzaro. Infatti, questa mossa gli sarà fatale.
L’incontro con Marta, prima, e con Maria, dopo, è commovente. Entrambe, velatamente e con tristezza, rimproverano Gesù per il suo ritardo: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Davanti a Marta Gesù riesce a controllare l’emozione, ma quando vede piangere Maria crolla: si commuove profondamente e davanti alla tomba dell’amico, scoppia in pianto, a singhiozzo, in modo tale che i presenti esclamano: “Guarda come lo amava!”. Il suo è un pianto di amore e di tristezza, ma non di rassegnazione. Anzi, le sue sono lacrime di rabbia davanti alla morte, la più tremenda delle ingiustizie, che Dio non voleva per i suoi figli (Sapienza 2,24). Infatti, poco dopo, ancora col viso bagnato dalle lacrime, egli URLA: “Lazzaro, vieni fuori!”. Il verbo greco qui usato da Giovanni è molto raro nella Bibbia in greco. Si trova solo otto volte, di cui sei in Giovanni, ed è lo stesso verbo usato per quelli che, qualche giorno dopo, urlano per chiedere la crocifissione di Gesù.
Una comunità di fratelli e sorelle
Ci riconosciamo in questo racconto? Questa situazione l’abbiamo vissuta tante volte. Guardate che qui si parla di tre persone che sono fratelli e sorelle. Non si parla di sposi e di figli. Questa anomalia dovrebbe farci riflettere. Non si tratta tanto di una singola famiglia quanto del rapporto di fratellanza nella comunità cristiana, tutti fratelli e sorelle (Giovanni 15,15). Lazzaro è ciascuno e ciascuna di noi nella nostra fragilità, particolarmente davanti alla morte. Marta e Maria siamo noi, quando piangiamo “con quelli che sono nel pianto” (Romani 12,15). Cosa fa Gesù? Piange con noi! Dio piange con noi! Ed è l’unico che, adesso in Gesù, può piangere veramente con noi perché, come Dio, conosce fino in fondo il nostro dolore.
Se ci sono delle coppe in cielo che raccolgono le preghiere dei santi (Apocalisse 5,8), oso pensare che ci siano pure quelle che raccolgono le nostre lacrime. Nessuna sarà versata invano! Dice il Salmista, infatti, “le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?” (Salmo 56). “Tutti i dolori degli uomini, per Dio, sono sacri” (Papa Francesco, 14.10.2020).
Nella Bibbia, un fiume di lacrime
Il pianto abbonda nella Sacra Scrittura. Un fiume di lacrime la percorre. La sua sorgente nasce negli occhi dei nostri primogenitori Adamo ed Eva, spesso presentati in pianto nelle pitture, dopo essere stati espulsi dal paradiso. È un lungo fiume che cresce e ingrossa fino a diventare un fiume in piena nei Salmi. Il Messia era supposto prosciugare questo fiume (Isaia 25,8). Gesù, invece, disattende questa speranza. Anzi, fa diventare il pianto una beatitudine. Egli, uomo come noi, piange pure lui e alimenta questo fiume (Ebrei 5,7), orientandolo però verso il cuore del Padre. “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno” (Apocalisse 21,4).
Conclusione?
Sarà che Dio si è incarnato per piangere con noi? Si chiede David Maria Turoldo: “Ma tu non avevi lacrime / a noi invece era dato / piangere. / Questo forse ti sospinse fra noi?”.
Sarà che questo vangelo ci invita ad un cambio di mentalità nei riguardi di Dio? Ad un “passaggio dal Dio dei “miracoli facili” al Dio che “singhiozza con te”” (don Angelo Casati)?
“Da quel 14 di nisan dell’anno 30 d.C., ormai non possiamo più dire, quando il dolore ci attanaglia: “Signore, se tu fossi stato qui…”. Perché ormai lui è sempre qui: non deve “venire”, perché non se n’è mai andato e non ha mai smesso di restare qui – come aveva promesso – “tutti i giorni”, non ha mai cessato di amarci, sta piangendo con noi, ha già cominciato a risuscitarci” (mons. Francesco Lambiasi).
P. Manuel João
Castel d’Azzano (Verona), marzo 2023
Missionari per la vita
Ez 37,12-14; Sl 129; Rom 8,8-11; Gv 11,1-45
Riflessioni
La vita è il tema comune delle letture di questa V domenica di Quaresima: la vita che vince i sepolcri, come profetizza Ezechiele (I lettura); la vita che ci viene data per mezzo dello Spirito che abita in noi, come insegna San Paolo (II lettura); la vita nuova che è Gesù stesso (Vangelo): “Io sono la risurrezione e la vita” (v. 25). C’è un crescendo tematico verso la Pasqua, aumentano i segni: acqua, luce, vita… Con saggia pedagogia, la Chiesa accompagna i fedeli verso la Pasqua, istruendoli con catechesi battesimali, adatte ai catecumeni che si preparano a ricevere il Battesimo, e ai fedeli battezzati che ne rinnoveranno le promesse. Nella III domenica di Quaresima il simbolo era l’acqua, nel dialogo tra Gesù e la Samaritana; domenica scorsa il tema centrale era la luce, nella guarigione del cieco nato; oggi il segno è la vita, con la risurrezione di Lazzaro. I tre segni vanno accompagnati da insistenti affermazioni di Gesù circa la sua identità e la sua missione, con parole che rimandano all’auto-definizione che Dio fece a Mosè nell’Esodo: “Io-Sono” (Es 3,14). Gesù fa sua questa definizione divina affermando: Io sono il Messia, Io sono la luce del mondo, Io sono la vita.
In queste tre domeniche sono molteplici i riferimenti al sacramento del Battesimo, sia nelle letture bibliche che in altri testi liturgici (antifone, orazioni, prefazio…). Nelle giovani Chiese missionarie, ma non solo, la notte di Pasqua assume una particolare solennità proprio per il conferimento dei sacramenti dell’iniziazione cristiana a numerosi catecumeni, adulti e giovani. Sono feste che riempiono il cuore e la vita dei missionari, dei pastori delle Chiese locali e delle comunità cristiane.
La risurrezione di Lazzaro si trova a metà del Vangelo di Giovanni (al capitolo XI su 21), ma soprattutto ne è il centro tematico: si può considerare forse la più alta manifestazione di Gesù come “vero Dio e vero uomo”.
- È vero uomo, pervaso da forti sentimenti: è amico di Lazzaro e delle sorelle di Betania, si turba, si commuove profondamente, scoppia in pianto, prega intensamente il Padre, grida a gran voce… Con le sue lacrime Gesù dà ragione alle nostre lacrime per la morte dei nostri cari. La fede non è incompatibile con le lacrime; tutti piangono, Gesù compreso… Questo Vangelo non vieta le lacrime, le asciuga, non toglie il dolore ma lo consola e lo condivide, non elimina la morte ma davanti alla morte canta la vita.
- Ed è vero Dio: ne dimostra l’amore e la potenza ridando vita all’amico morto, perché la gente creda che Egli è mandato dal Padre (v. 42). Così, lo strepitoso miracolo mette in evidenza tre valori che vanno insieme: amore, fede e vita. Perché: “la vita è vita soltanto là dove c’è amore” (Gandhi).
Le sorelle Marta e Maria fanno leva sull’amicizia: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”. Gesù si reca a Betania attratto proprio dall’amicizia con quella famiglia. E Gesù porta la soluzione anche al male estremo che è la morte: “Io sono la risurrezione e la vita” (v. 25). Gesù non dice sarò, ma sono. Adesso, non in un vago futuro.
Nella sua realtà divino-umana, Gesù realizza la sua missione come vicinanza, facendosi, come il samaritano, prossimo a chi soffre (cfr. Lc 10,34), portando soluzione ai problemi. Anche per chi è morto e puzza. Ma è necessario andare incontro al Salvatore che si avvicina, come lo fecero le due sorelle Marta e Maria (v. 20.29), con cuore aperto. Solo da tale incontro si realizza la salvezza. Perché solo “con il Signore è la misericordia e grande con lui la redenzione” (Salmo responsoriale). Anche in questo caso ci sono reazioni opposte. Da un lato, le suppliche fiduciose delle sorelle che ottengono il miracolo strepitoso del ritorno in vita di Lazzaro per cui molti giudei credono in Gesù (v. 45); dall’altro, perfino davanti a tale evidenza, i nemici di Gesù si chiudono sempre più, decidono di ucciderlo (Gv 11,46-53) e deliberano di uccidere anche Lazzaro (Gv 12,10).
Gesù non è venuto per darci una vita rachitica, impoverita, mediocre, sottosviluppata… ma perché abbiamo vita in abbondanza (cfr. Gv 10,10). Una vita per il presente e per il futuro! Il progetto primigenio e permanente di Dio è la vita: “La gloria di Dio è l’uomo vivente”, cioè che l’uomo viva (S. Ireneo). “Non siamo sulla terra per custodire un museo, ma per coltivare un giardino pieno di fiori e di vita” (S. Giovanni XXIII). “La prima sfida è la sfida della vita. La vita è il primo dono che Dio ci ha fatto, è la prima ricchezza di cui l’uomo può godere. E lo Stato ha come suo compito primario proprio la tutela e la promozione della vita umana” (S. Giovanni Paolo II).
La Chiesa annunzia il Vangelo della Vita. In un mondo duramente segnato da morti ingiuste, precoci e innocenti, ogni cristiano - e ancor più il missionario - è chiamato a fare una scelta chiara e definitiva per la vita: vita da accogliere, promuovere, difendere, annunciare, scoprirne i piccoli segni di presenza, proteggerne i germogli, portarla alla pienezza… I grandi temi della Quaresima (acqua, luce, vita…) sono doni da vivere, condividere e comunicare ad altri. Siamo tutti chiamati ad essere missionari per la vita!
Parola del Papa
“Mettere il Mistero pasquale al centro della vita significa sentire compassione per le piaghe di Cristo crocifisso presenti nelle tante vittime innocenti delle guerre, dei soprusi contro la vita, dal nascituro fino all’anziano, delle molteplici forme di violenza, dei disastri ambientali, dell’iniqua distribuzione dei beni della terra, del traffico di esseri umani in tutte le sue forme e della sete sfrenata di guadagno, che è una forma di idolatria. Anche oggi è importante richiamare gli uomini e le donne di buona volontà alla condivisione dei propri beni con i più bisognosi attraverso l’elemosina, come forma di partecipazione personale all’edificazione di un mondo più equo. La condivisione nella carità rende l’uomo più umano; l’accumulare rischia di abbrutirlo, chiudendolo nel proprio egoismo. Possiamo e dobbiamo spingerci anche oltre, considerando le dimensioni strutturali dell’economia… con l’obiettivo di contribuire a delineare un’economia più giusta e inclusiva di quella attuale”.
Papa Francesco
Messaggio per la Quaresima 2020
P. Romeo Ballan, MCCJ
Una parola
che cambia tutto dal di dentro
Gv 11,1-45
«Lazzaro, vieni fuori!». In contesto di quarantena sono parole impressionanti... l’attesa di poter uscire dalle nostre case è forse parossistica, e fa un certo effetto ascoltare il testo di Ezechiele dire: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri». Può essere un caso questa coincidenza fra la liturgia e il dramma planetario in corso?
Vedremo Gesù portare avanti una strana strategia, nella quale tarda intenzionalmente nel soccorrere il suo amico Lazzaro e fa strani discorsi ai suoi discepoli e a Marta, la sorella del defunto, suscitando sconcerto e dissenso intorno a sé. Ma a un dato momento Gesù rende grazie al Padre, proprio nell’istante della rimozione della pietra sepolcrale, quando si stava concretizzando quanto paventato da Marta: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni».
Quindi mentre il fetore si spande, Gesù rende grazie. Di cosa? Di poter compiere la sua missione, quella di parlare con un morto e riportarlo alla vita, proprio laddove nessuno lo può più avvicinare. Parlare alla parte più povera, maleodorante, inguardabile, impresentabile dell’uomo, e amarlo lì dove nessuno è amabile. Dove solo Dio può entrare. Dove solo Cristo ha la forza di rigenerare.
Ma c’è un aspetto ulteriore: quel che ha potere di tirare fuori dal sepolcro è un grido fatto «a gran voce». Questo urlo è la voce di Cristo, che va oltre la pietra, oltre il fetore, oltre le strategie, e raggiunge Lazzaro, l’amico di Cristo. Quello che ci tirerà fuori dalle nostre quarantene non sarà un Decreto del Governo, ma una parola che entra nel nostro cuore, quella parola che cambia tutto dal di dentro.
Se quella parola entra nel profondo dell’uomo, si diventa liberi davvero, anche se si resta reclusi. Se usciremo dalle nostre novelle “tombe” senza una parola nel cuore, resteremo dei sepolcri imbiancati; è questa la grande occasione di questo tempo: essere liberati dal di dentro. La porta per uscire non è quella di casa, ma quella del cuore. È lì la pietra da togliere.
[L’Osservatorio Romano]
I neuroni specchio di Gesù
Gv 11, 1-45
Anche Gesù aveva i neuroni specchio. E gli funzionavano da Dio, a quanto pare. Come quando stava di fronte alla tomba dell’amico Lazzaro: Maria piange, piangono i Giudei venuti con lei e Gesù, vedendoli piangere così, scoppia in lacrime anche lui. Sono entrati in funzione i neuroni specchio, una classe di neuroni che si attivano selettivamente sia quando si compie un’azione (con la mano o con la bocca) sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri (in particolare se implicati con noi).
Quando Gesù osserva Maria piangere si attivano, nel suo cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando è lui a provare quella stessa emozione e a compiere quella stessa azione, “rispecchiando” ciò che avviene nella mente di Maria. E quindi si commuove.
Noi siamo fatti così: quando osserviamo negli altri una manifestazione di tristezza (o di un altro sentimento) si attivano per un meccanismo empatico circuiti neurali simili a quelli che modulano le espressioni delle emozioni. Siamo fatti per condividere le emozioni e il vissuto di chi ci sta accanto, dalla gioia al dolore, con tutto ciò che ci può stare in mezzo. E anche Gesù, che era uomo fino in fondo, era fatto così.
Fin qui nulla di straordinario, però. Ciò che stupiva di Gesù è come riusciva a condividere le emozioni degli altri e fino a quanto riusciva a farsi carico del loro vissuto. «Guarda come lo amava!», esclamano i Giudei vedendolo piangere per l’amico Lazzaro. È vero uomo, quindi si commuove perché condivide il dolore di Maria; è vero Dio, quindi lo fa fino in fondo, con un totale coinvolgimento di sé.
“Come” Gesù amava Lazzaro? Condividendo fino in fondo il dramma della sua morte, implicandosi totalmente in quel dolore, uscendo da sé per stare col corpo, col sangue, con l’anima e con la divinità lì dove stavano gli altri. Ed è per questo che Gesù convince: perché è così uomo da rivelare di essere Dio.
Se anche noi vogliamo testimoniare la buona notizia dell’amicizia e della paternità di Dio, dobbiamo fare come Gesù: vivere fino in fondo la nostra umanità come ha fatto lui, fino al punto di fare esclamare a chi ci incontra «Guarda come ama! Guarda come riesce a starmi accanto! Guarda come comprende ciò che sto vivendo!».
Dobbiamo tornare, come Chiesa, a stare accanto al dolore di chi soffre, dobbiamo piangere con chi piange e gioire con chi è felice. Dobbiamo farlo col corpo e con le emozioni, con le lacrime e coi sorrisi, col tempo speso fianco a fianco di chi ne ha bisogno. E dobbiamo farlo in maniera straordinaria. Anche noi, come Gesù, abbiamo i neuroni specchio. Abbiamo anche il suo Spirito, che ci permette di farli funzionare da Dio. È così che possiamo realmente amare come Gesù.
[Alberto Ravagnani – L’Osservatore Romano]
La frontiera della morte vista in una nuova luce
Ez 37,12-14; Sl 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45
Il ciclo delle letture quaresimali dell’evangelista Giovanni si chiude col racconto dell’ultimo segno compiuto da Gesù a Betania, alle porte di Gerusalemme: la risurrezione del suo amico Lazzaro. Gesù è venuto per tutti, non ha discriminato nessuno; eppure aveva degli amici e il sentimento umano dell’amicizia.
C’era una casa a Betania, dove il Maestro poteva rifugiarsi e godere la compagnia di alcuni intimi: Lazzaro, Maria e Marta. Un’ amicizia tanto profonda da non aver bisogno di troppe parole: “Signore, ecco, il tuo amico è malato”, Una notizia sufficiente per fare Gesù imboccare la strada che conduce al villaggio ben noto. La stessa amicizia autorizza Marta, dopo la morte del fratello, di adottare un linguaggio di discreto rimprovero e lamento a Gesù che arriva quando Lazzaro è già sepolto, perché morto da quattro giorni: “Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”.
Gesù è arrivato troppo tardi nonostante che le sorelle lo avessero informato sulla malattia dell’amico, Col suo ritardo egli ha dato l’impressione di aver trascurata la richiesta della famiglia di Lazzaro. Poi Maria aggiunge, con una punta di audacia: “Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te lo concederà”. Una frase in cui il sentimento umano nei confronti dell’amico è intrecciato di stupefacenti certezza e fede. Quasi a dire: “E siccome godi di un rapporto privilegiato ed unico con Dio, la tua presenza non può che trasformare la nostra situazione di lutto in festa.
Maria è quindi certa che Gesù è l’uomo di Dio, la cui preghiera è efficace. Gesù la rassicura con una promessa: “Tuo fratello risorgerà”. Marta fraintende riferendosi alla risurrezione escatologica, Gesù allora si auto presenta con una formula solenne che costituisce il vertice del quarto vangelo: “Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”. Gesù fa uscire dalla condizione di morte e comunica la vita piena. Però, l’unico modo per beneficiare di questa promessa è “credere”. E la donna si affretta a assicurare il Maestro: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”.. Marta, attraverso lo sguardo di fede, riconosce la vera identità dell’amico Gesù. E fa la professione di fede cristologia più alta ed esplicita di tutto il vangelo giovanneo.
Bisogna ricordare che quando Gesù venne informato che il suo amico era malato, egli esclamò: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Dove l’avete posto? Si informa Gesù, Signore, vieni a vedere…E mentre si avvia al sepolcro, “Gesù scoppiò in pianto”. È l’artefice divino che piange di fronte al proprio capolavoro che ha scelto la degradazione e la morte dal momento che ha rifiutato l’amore gratuito e si è sottratto alla sovranità del proprio Creatore.
Un Dio che piange la morte dell’amico, che non si vergogna di apparire coso umano e assai vicino alle nostre angosce. Anche quelle lacrime sono un grande miracolo. Neppure Cristo è d’accordo con la morte. La sua reazione emotiva di fronte alla morte rivela certo il suo amore per Lazzaro, ma anche lo mostra in pieno, personalmente, nell’esperienza scandalosa della morte. Da un Dio che ama in quel modo “tanto umano”, c’è da aspettarsi di tutto in favore dell’uomo. La conclusione della narrazione ci dice: “Gesù gridò a gran voce: Lazzaro, vieni fuori. Il morto uscì con i piedi e le mani avvolte in bende, e il volto coperto da un sudario”. La risurrezione di Lazzaro è solo un segno anticipatore della vera e definitiva vittoria sulla morte. Il grido imperioso di Gesù è rivolto a ciascuno di noi.
Egli non si rassegna ai nostri sepolcri, alla nostra coabitazione con il peccato e la morte. Lui ci chiama fuori dalle prigioni che ci rinchiudono in una vita fittizia, fuggente, fondata sull’effimero, considerando la trasgressione una virtù, ecc… Chi muore nel peccato muore di una morte ben più terribile di quella che colse Lazzaro. Chi rinuncia al peccato la morte diventa nulla, anche se muore fisicamente. Chi si affida nel Signore, col Signore risorgerà.
Don Joseph Ndoum