«La solennità del Sacratissimo Corpo e Sangue di Cristo, che stiamo per celebrare, è un invito a dare un posto centrale all’Eucaristia nella vostra vita… è un’opportunità particolare per ravvivare la nostra fede nella reale presenza del Signore nell’Eucaristia. La celebrazione della Santa Messa, l’adorazione eucaristica e le processioni per le strade delle città e dei paesi siano la testimonianza della nostra venerazione e dell’adesione a Cristo che ci dà il Suo Corpo e il Suo Sangue, per nutrirci del Suo amore e renderci partecipi della Sua vita nella gloria del Padre.». Lo ha detto il 19 giugno 2019 il Papa salutando al termine dell’udienza generale i gruppi di fedeli presenti in piazza San Pietro.

Il segno dell'alleanza tra Dio e il suo popolo

Gn 14,18-20; Salmo 109; 1Cor 11,23-26; Lc 9-11-17

La festa del S.S. Corpo e Sangue di Cristo o la festa del Corpus Domini celebra il modo straordinario escogitato da Gesù per rimanere con noi. Infatti ogni uomo sente il bisogno di incontrare Dio, e il Signore ha voluto rendersi per sempre presente a noi nell’Eucaristia.

La prima lettura ci presenta un personaggio misterioso, vissuto al tempo di Abramo: Melkisedeck, re e sacerdote, che precede i sacerdoti della tribù di Levi e della famiglia di Aronne. A lui Abramo portò in offerta per un sacrificio il pane e il vino, e ne ebbe in ricambio la benedizione. La menzione di questo misterioso personaggio, re e sacerdote, si trova anche in un antico salmo (109) in cui si celebra l’intronizzazione regale del re davidico a Gerusalemme, sul Sion. Alla fine del Salmo si porta l’oracolo profetico che legittima il nuovo re: “il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melkisedeck”. Il sacerdote Melkisedek era considerato dal popolo ebraico come figura dell’atteso Messia, e quindi è stato considerato dai primi cristiani come figura del Signore Gesù. Egli, in quanto discendente della tribù di Giuda, non poteva essere sacerdote secondo l’ordine di Aronne. Ma, in quanto Messia re, è quel sacerdote che rimane per sempre in forza del giuramento di Dio. In questa prospettiva, l’offerta del pane e del vino da parte di Melkisedek può prefigurare  il gesto di Gesù che nella cena di addio benedice il pane e il vino, identificandoli con il suo corpo donato e il suo sangue versato.

La seconda lettura ci presenta il primo racconto scritto sull’istituzione dell’Eucaristia, verso la metà degli anni 50. In questa tradizione, c’è un invito ripetuto due volte: “Fate questo in memoria di me”. Fare qualcosa “in memoria” non è semplicemente ripetere e neppure ricordare qualche cosa o qualcuno, ma vuol dire soprattutto rendere presente l’evento salvifico per prendervi parte.

Il brano evangelico di Luca racconta la moltiplicazione dei pani che  ha un duplice legame con l’Eucaristia. Il primo è suggerito in modo discreto dall’accostamento che l’evangelista invita  a fare tra la situazione di Gesù in mezzo alla folla mentre “il giorno ormai incominciava a reclinare” e quella dei discepoli di Emmaus che invitano il misterioso pellegrino a fermarsi “perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Il secondo richiamo eucaristico è il gesto finale di Gesù: “Allora egli prese i cinque pani e due pesci, e levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla”. Questi gesti anticipano quelli che Gesù compirà nella cena finale con i discepoli per celebrare la sua morte come donazione estrema a servizio permanente nella comunità. L’invito di Gesù “dategli voi stessi da mangiare “impegna i discepoli a prolungare a sua accoglienza. Questo compito è suggerito anche dal fatto che alla fine  raccolgono dodici ceste dei pezzi avanzati.

Tutta la Chiesa che si fonda sui Dodici è impegnata ad accogliere la folla bisognosa della Parola di Dio e di cure per poter spartire insieme il pane che rimane sempre un dono generoso di Dio.

La celebrazione permanente dell’ Eucaristia, facendo memoria di Cristo, dovrebbe  ravvivare ed alimentare l’attenzione e la sollecitudine dei cristiani verso chi ha bisogno  di accoglienza e cura. L’Eucaristia è quindi il centro che ci unifica.
Don Joseph Ndoum

E’ dall’Eucaristia che nasce la missione

La processione del Corpus Domini ci ricorda che è dall’Eucaristia che nasce la missione, la forza di annunciare a tutti che nello spezzare del pane si compie quel riconoscimento della fede che ci pone in relazione profonda con Gesù risorto. La celebrazione eucaristica, infatti, è annuncio e testimonianza viva di questo mistero della fede che, accolto, diventa fonte di una gioia tale da non poterla tenere chiusa in se stessi. Così Paolo dirà ai Corinzi: «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga» (1Cor 1,23-36).

L’annuncio della Pasqua non è un evento solo celebrato e accolto nella fede, ma è una vera e propria esperienza del Risorto nella comunione piena con lui e la sua comunità. Per cui ne nasce l’impegno di fare della propria vita un’eucaristia vivente e di rinnovare il mondo a misura di Eucaristia. Dobbiamo superare l’idea che la missione viene dopo l’Eucaristia.

L’Eucaristia è l’atto missionario più fecondo che la Chiesa immette nella storia dell’umanità, perché attualizza la salvezza pasquale di Cristo nel tempo e nell’oggi della vita delle persone e del mondo. Ciò che nasce è conseguenza di questo evento missionario ed investe di sé e della sua forza propulsiva e sconvolgente tutta l’esistenza del credente e della comunità. I problemi della vita di ogni giorno sono tanti e complessi. Basti pensare all’emergenza del lavoro, alle difficoltà di tante famiglie, alle malattie e alle miserie morali e materiali che affliggono molti, le mille contraddizioni di un mondo globalizzato, dove i deboli, gli anziani, i poveri e i piccoli sono spesso discriminati e abbandonati a se stessi.

Come sperare in un mondo ed un’umanità nuova?

Mai viene meno la speranza del credente in Cristo perché Egli ha voluto rimanere con noi nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, iscrivendo così in questa presenza sacrificale e conviviale le promesse di una umanità rinnovata nell’amore. Le processioni per le vie delle città intendono rendere visibile a tutti che l’Eucaristia è sacramento per la vita del mondo e va dunque portato a tutti. Qui nasce la spinta missionaria di cui la nostra Chiesa oggi ha più bisogno.

Nessuno può fare a meno del pane che è Cristo, pena l’infelicità della vita e il non senso del proprio futuro. «Spezzavano il pane nelle loro case», ci dicono gli Atti degli Apostoli presentando la prima comunità di Gerusalemme: quel modello di Chiesa ci invita anche ad andare in ogni casa e in ogni ambiente, per portare quel pane di vita che è la Parola di Dio e la carità. I rifiuti, le indecisioni e le perplessità che possono esserci di fronte a questo impegno missionario scompaiono dal nostro cuore di pastori e fedeli se sappiamo ascoltare l’appello che si alza dalla vita di tante famiglie, anziani e giovani che di quel pane hanno bisogno, anche se sembra che ne possano fare a meno.

Le nostre comunità superino l’autoreferenzialità e si immergano con coraggio nel fiume della missione, sorretti dalla certezza che lo Spirito Santo predilige chi si fida della sua forza e va dove lui ispira e guida, per le strade della città dell’uomo, là dove più complesse e difficili sono le condizioni di vita e più arida è la fede.
Erminio Villa

“Fame di Dio: Sì! – Fame di pane: No!”

Genesi 14,18-20; Salmo 109; 1Corinzi 11,23-26; Luca 9,11-17

Riflessioni
Il mistero di Dio, nelle sue diverse manifestazioni (Trinità, Incarnazione, Pasqua, Eucaristia…), ci viene dato come dono da contemplare, amare, vivere, annunciare. La Chiesa accoglie questi doni, come lo dice bene San Paolo riguardo all’Eucaristia (II lettura): egli trasmette alla comunità di Corinto quello che a sua volta ha “ricevuto dal Signore”, circa il sacramento del pane e del vino, istituito dal “Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito” (v. 23). L’Eucaristia è oblazione totale di Cristo per la vita del mondo; è messaggio da annunziare “finché Egli venga” (v. 26); è presenza reale di Cristo sotto il segno del pane e del vino, prefigurato nell’offerta di Melchidesech (I lettura).

La Chiesa vive dell'Eucaristia”. L’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa celebra l’Eucaristia. Fin dal giorno di Pentecoste, il Sacramento eucaristico continua a scandire le giornate della Chiesa, “riempiendole di fiduciosa speranza”, afferma Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia (n. 1). La moltitudine seguiva Gesù in zone deserte (Vangelo); così oggi la gente ha un bisogno irrinunciabile di saziarsi del pane che alimenta il corpo, ma anche del pane della Parola di Dio e del Pane eucaristico. Nel progetto di Dio non si può separare una fame dall’altra: ognuno ha bisogno e diritto di saziarle ambedue. Da questa duplice necessità nasce l’imperativo di una missione globale, intesa come servizio all’uomo e come annuncio del Vangelo.

L’Eucaristia è il dono divino perché tutta la famiglia umana abbia vita in abbondanza; è il dono nuovo e definitivo che Cristo affida alla Chiesa pellegrina e missionaria nel deserto del mondo. L’Eucaristia è stimolo a vivere lacomunione fraterna, l’incontro ecumenico, l’attività missionaria in modo generoso e creativo, “perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra” (Prefazio). La persona e la comunità che fanno l’esperienza di Cristo nell’Eucaristia si sentono motivate a condividere con altri il dono ricevuto: la missione nasce dall’Eucaristia e riporta ad essa.

Ricordo con emozione l’incontro di Giovanni Paolo II con un milione di poveri a Villa El Salvador, nella periferia di Lima (Perù) la mattina del 5 febbraio 1985. Nella sua omelia sul vangelo della moltiplicazione dei pani, il Papa aveva sottolineato con forza le parole di Gesù: “Voi stessi date loro da mangiare” (v. 13). Gesù non risolve da solo questo miracolo; lo apre allacorresponsabilità dei discepoli.Alla fine dell’incontro, parlando a braccio, il Papa fece una sintesi del messaggio cristiano e della missione della Chiesa: “Fame di Dio: Sì! – Fame di pane: No!” Il desiderio, la fame, la sete di Dio vanno sempre coltivati, al primo posto. Ma nel nome di questo stesso Dio, deve essere debellata la fame di pane che uccide le persone. Lo stesso vale per ogni altra fame: fame di istruzione, di salute, famiglia, lavoro, perdono, riconciliazione, amore, incluso l’amore coniugale. ……..(*) Questo è il progetto cristiano per la trasformazione del mondo. Unprogetto ‘rivoluzionario!’ Questo programma acquista nuovo vigore se lo contempliamo davanti al Cuore di Cristo, la cui festa celebreremo venerdì.

Le 12 ceste avanzate: non solo dice che tutti sono saziati. Dire ‘12’ significa dire tutti i popoli; pensare cioè ad un mondo dove nessuno rimane senza pane e senza dignità. Ma le 12 ceste avanzate mostrano anche uno sguardo sul futuro. Raccontano il senso di un progetto sul mondo. Non un mondo in balia delle emergenze, ma un mondo che prepara il futuro, prevede e crea le condizioni perché non ci siano disparità, disuguaglianze, ingiustizie programmate” (R. Vinco). 

Il nostro villaggio globale non può che avere un banchetto globale, al quale tutti i popoli hanno uguale diritto di prendere parte; una mensa dalla quale nessuno deve essere escluso o discriminato. Da sempre, è questo il progetto del Padre comune di tutta la famiglia umana (cfr Is 25,6-9). È questo il sogno che Egli affida alla comunità dei credenti che hanno il “dovere-diritto” di celebrare l’Eucaristia, facendo memoria della morte e risurrezione del Cristo. È questo il banchetto al quale sono invitati tutti i popoli, animati dall’unico Spirito.

Tutti i membri della famiglia umana hanno diritto di mangiare a sazietà, con dignità, in fraternità. Significativamente, Gesù ordinò di farli “sedere a gruppi” (v. 14-15). Perché solo gli schiavi sono condannati a mangiare in piedi e in fretta. Farli sedere, invece, vuol dire trattarli tutti da persone; come figli in casa, con la dignità di gente libera. L’atto del mangiare acquista così il suo pieno valore come atto umano e umanizzante, perché sedere e mangiare in gruppo è segno di comunione.

Parola del Papa

(*)“Il cammino comunitario di preghiera raggiunge il suo culmine nella partecipazione comune all’Eucaristia, soprattutto nel contesto del riposo domenicale. Gesù bussa alla porta della famiglia per condividere con essa la Cena eucaristica (cfr Ap3,20). Là, gli sposi possono sempre sigillare l’alleanza pasquale che li ha uniti e che riflette l’Alleanza che Dio ha sigillato con l’umanità sulla Croce… Così si notano i legami profondi che esistono tra la vita coniugale e l’Eucaristia. Il nutrimento dell’Eucaristia è forza e stimolo per vivere ogni giorno l’alleanza matrimoniale come «Chiesa domestica»”.
Papa Francesco
Esortazione apostolica“AmorisLaetitia” (2016), n. 318

 P. Romeo Ballan, MCCJ

Un cenacolo dorato e sbarrato
al dolore del mondo

Gesù parlava alle folle del regno di Dio e guariva quanti avevano bisogno di cure. Questo è il nostro compito di battezzati; non c’è bisogno di aggiungere altro, anzi altro è spesso zavorra inutile e dannosa. Questo è anche il cenacolo quotidiano dove Gesù si fa presente. L’eucaristia è una maniera di vivere, non un rituale.

Dobbiamo tutti sempre stare molto attenti al rischio di ridurre l’eucaristia a una devozione privata, quasi intimistica, in un cenacolo chiuso, dorato, incensato e sbarrato al dolore del mondo. Congedare la folla, magari con qualche buona scusa è uno scandalo intollerabile; il cristiano e in particolare il sacerdote, uomo della eucaristia, sta in mezzo alla folla in ogni situazione, nei villaggi, nelle campagne e anche nel deserto; non la lascia mai sola e sempre la nutre con la fede nel pane della vita. Anche noi come Gesù dobbiamo ogni giorno diventare pane e vino per quelli che incontriamo e dobbiamo farci mangiare senza opporre nessuna difesa, senza mettere nessuna barriera.

La folla si deve nutrire di noi, del nostro tempo, dei nostri spazi, delle nostre cose, perché niente è nostro ma tutto ci è stato affidato per la salvezza del mondo. È vero che tante volte abbiamo solo pochi pani e pochi pesci, questo però non ci deve spaventare o diventare un ipocrita alibi; affidiamo al Signore la nostra pochezza e le nostre paure e il Signore ancora una volta compirà il miracolo del pane per tutti.

La presenza di Gesù eucaristia, è un oggi di amore; portiamo nel mondo questo pane che è quotidiano, cioè quella carità semplice, silenziosa, lontana dai riflettori che è il lievito più efficace di questo pane.

Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Vorrei pregare il Signore che mi aiuti ad avere sempre molta cura e dedizione per queste dodici ceste. Serviranno a quelli che oggi mancano. Sono coloro che sono perseguitati a causa proprio della fede in questo pane; coloro che erano con noi ma sono andati via scandalizzati dalla nostra testimonianza negativa; coloro che ancora non conoscono Gesù, e anche coloro ai quali abbiamo impedito di venire e a volte anche mandato via con durezza di cuore, perché abbiamo confuso la legge con il vangelo, e così il pane è diventato una pietra.

La Chiesa vive, celebra l’eucaristia nell’Attesa del Suo ritorno. Forse il Signore ritornerà quando non mancherà neanche uno attorno alla Sua mensa. Così prego, così spero, così amo.
Francesco Pesce – L’Osservatore Romano