Comincia un nuovo anno della Chiesa (Anno liturgico C). Il colore viola dei paramenti indica che entriamo in un tempo di attesa e di preparazione. Infatti, per quattro settimane, nel raccoglimento e nella conversione interiore, ci prepareremo all'incontro col Signore che viene a Natale.
Avvento
tempo di speranza e di Missione
Geremia 33,14-16; Salmo 24; 1Tessalonicesi 3,12-4,2; Luca 21,25-28.34-36
Riflessioni
Oggi, iniziamo il tempo di Avvento, che significa venuta, attesa, incontro. La buona notizia di Gesù, viene ad illuminare tre situazioni dell’esistenza umana e cristiana: la realtà nella quale viviamo, la risposta della fede, il percorso del cristiano. L’Avvento liturgico ci aiuta a illuminare e vivere l’avvento esistenziale delle attese personali, nelle gioie ed ansie quotidiane, nelle relazioni interpersonali.
1. L’evangelista Luca -che sarà nostro compagno di viaggio nel nuovo ciclo liturgico- usa toni forti (Vangelo) nel presentare la situazione reale dell’umanità “oppressa da tanti mali” (orazione colletta): parla di angoscia, ansia, fragore, morte, paura, sconvolgimenti... (v. 25-26). Sono mali che non si riferiscono direttamente alla fine del mondo, ma alla situazione attuale dell’umanità, con tutte le sue forme di negatività (molteplici attentati, omicidi, violenze di ogni genere, corruzione…, che seminano morti, paure e angosce). La radice di questi mali è il peccato, che inquina tutti i rapporti umani: i rapporti con Dio, con se stessi, gli altri, il cosmo. Immersi nelle varie forme di negatività, alcuni dicono di non credere a nulla, ma poi hanno paura di tutto. L’Avvento ci invita alla speranza: nello sconvolgimento degli astri possiamo leggere la caduta dei sistemi umani di potere, oppressione economica, ideologie, sistemi chiusi che impediscono libertà, incontro, alterità.
2. L’umanità, immersa nel male e nel peccato, è incapace di salvarsi da sola, ha bisogno di un Salvatore che venga da fuori. Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, è il Salvatore che viene. Ha la potenza di Dio per debellare qualunque male del mondo (v. 27). Non vi è infatti alcun male, caos o situazione negativa che sia più forte di Lui. Questa è la bella notizia: la liberazione dal male è possibile, anzi è vicina. Basta guardare a Cristo con fiducia: “Risollevatevi e alzate il capo” (v. 28). Il Signore che viene ha la freschezza del germoglio che spunta (I lettura), della vita che si rinnova, di un mondo nuovo. La venuta del Signore è sempre buona notizia; Egli ha soltanto “promesse di bene” (v. 14) per la nostra esistenza: impegni quotidiani, affetti e relazioni interpersonali.
3. Questo sogno di Dio è possibile ad una condizione (Vangelo): c’è un percorso da fare nella vigilanza e nella preghiera (v. 36), perché il cuore non si appesantisca in dissipazioni e affanni della vita (v. 34); per comportarsi in modo da piacere a Dio (II lettura); per “crescere e sovrabbondare nell’amore vicendevole e verso tutti” (v. 12). I testi liturgici odierni contengono un forte invito alla vigilanza, la preghiera e la speranza, che sono atteggiamenti caratteristici del tempo di Avvento. L’attesa del Signore che salva non resterà un’illusione, sarà appagata. “La vita di ognuno è un’attesa. Il presente non basta a nessuno. In un primo momento pare che ci manchi qualcosa. Più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno: e lo attendiamo” (don Primo Mazzolari).
La Sua venuta -ogni giorno e a Natale, in modo particolare- è sempre una sorpresa grata, sicura, gioiosa.
La liturgia ci fa vivere nell’attesa del Signore Gesù che viene, facendoci rivivere efficacemente la Sua prima venuta nel Natale. È questa, infatti, la forza speciale dei sacramenti della Chiesa, che rendono presenti oggi i misteri cristiani che ebbero luogo nel passato. In questo modo, la storia è pienamente recuperata e diventa storia di salvezza nell’oggi di ogni cristiano. A tale scopo è necessario che l’attesa diventi attenzione al Signore che viene; cioè, preparazione paziente di un cuore ben disposto e purificato, sensibile ai bisogni degli altri, pronto a condividere con altri la propria esperienza di Gesù Salvatore.
Noi cristiani, che già crediamo in Cristo, sappiamo chi è il Salvatore che viene, mentre i non cristiani -che sono ancora la maggior parte dell’umanità (circa due terzi)- attendono ancora il primo annuncio di Cristo Salvatore. Per tale motivo, l’Avvento è un tempo liturgico propizio per rafforzare nei cristiani la gratitudine a Dio per il dono della fede e per risvegliare in essi la coscienza della responsabilità missionaria. Già il Papa Pio XII (*) invitava alla preghiera e all’impegno missionario, specialmente durante l’Avvento, che è il tempo dell’attesa dell’umanità.
Parola del Papa
(*) “Desideriamo che per questa intenzione missionaria si preghi di più e con un più illuminato fervore… Soprattutto pensiamo al tempo d’Avvento, che è quello dell’attesa dell’umanità e delle vie provvidenziali di preparazione alla salvezza… Pregate dunque, pregate di più. Ricordatevi degli immensi bisogni spirituali di tanti popoli ancora così lontani dalla vera fede, oppure così privi di soccorsi per perseverarvi”.
Pio XII
Enciclica Fidei Donum, 21.4.1957
[P. Romeo Balla, mccj]
Una luce nella notte dei nostri dubbi
Ger 33,14-16; Salmo 24; 1 Tes 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36
Comincia un nuovo anno della Chiesa (Anno liturgico C). Il colore viola dei paramenti indica che entriamo in un tempo di attesa e di preparazione. Infatti, per quattro settimane, nel raccoglimento e nella conversione interiore, ci prepareremo all'incontro col Signore che viene a Natale. Attenzione! L'Avvento e il Natale costituiscono “un” tempo: certo, ricco di celebrazioni, ma molto breve. Appena incomincia è già finito! Il suo significato più profondo corre quindi il rischio di non essere compreso adeguatamente e di toccare solo la superficie della nostra vita.
L'esperienza dell'attesa presuppone una venuta, un arrivo, qualcuno che viene e si fa incontrare. In questo senso l'attesa risulta un andare incontro, un tenersi pronti e vigilanti, un dinamismo e un’ansia gioiosa. I testi di questa prima domenica ruotano allora attorno ad un annuncio relativo a questa attesa: «La vostra liberazione è vicina»; da qui sgorgano due esortazioni: «levate il capo» e «vegliate e pregate perché abbiate la forza». L'attesa è dunque orientata verso un evento decisivo, l'arrivo di Qualcuno, di un personaggio importante: è la venuta del Figlio dell'uomo, nel silenzio e nell’’umiltà.
Questo Figlio è Gesù, Signore del mondo e giudice della storia, il "germoglio di giustizia" di cui parla Geremia nella prima lettura, che vuole recare frutti anche ai nostri giorni. Il paradosso di questa attesa sta nel fatto che l'arrivo di «colui che deve venire» pur avendo già avuto luogo nel passato, ci viene tuttavia presentato dalla liturgia in proiezione futura. Come per dire che, da parte nostra, l'evento deve ancora essere vissuto e il Cristo attende ancora di essere accolto.
Certo egli è già venuto, ma siamo noi ad aprirci oggi a questa realtà; accettando oggi un cambiamento radicale di mentalità, un mutamento radicale delle cose, accogliendo cioè oggi il progetto di totale trasformazione del Padre, progetto che si chiama «Regno di Dio» e che misteriosamente è già presente in mezzo a noi. L'Avvento fa intravedere anche la prospettiva della giustizia finale, l'incontro col Cristo giudice. Ed è anche a questo giorno che dobbiamo guardare, è questa l’’ora che dobbiamo attendere.
In ogni caso questi due avvenimenti sono da vedere, senza paura, nell'unica prospettiva dell’evento salvifico unico, in cui Cristo appare come il Liberatore. La salvezza è anche fatica e sofferenza di Cristo per amore nostro: nel cercarci, Cristo si è affaticato, morendo infine sulla croce. Tanti sforzi non possono essere vani. Andiamogli incontro! A pensarci bene, non siamo soli a vivere l'avvento, l'attesa. Questo è tempo di attesa paziente anche da parte di Dio.
Don Joseph Ndoum
Luca 21, 25-28.34-36
Inizia un nuovo anno liturgico e paradossalmente questa pagina del vangelo sembra aver anticipato il tempo della fine: il mondo qui pare sul punto di crollare. È un mondo anzitutto devastato nel suo ritmo naturale. Mai come oggi ci riconosciamo nell’angoscia e nell’ansia per quei segni nel sole, nella luna, nelle stelle, sulla terra e nei mari di cui scrive Luca. In queste parole, però, noi leggiamo i sintomi di ulteriori devastazioni: il nostro è un mondo devastato anche nella sua promessa di vita e di ospitalità, perché ai confini di un’Europa che rivendica le proprie radici cristiane si muore di fame, di sete, di freddo, aspettando una porta aperta indicata da una luce verde, colore della speranza; è un mondo devastato dalla violenza e per di più paralizzato davanti alle storie di piccoli esseri abusati fisicamente, psichicamente e spiritualmente, di donne uccise da uomini pieni di rancore e di frustrazione o costrette al silenzio da regimi patriarcali, di popoli che cercano nella disperazione una possibilità di rinascita lontano dalla terra natale. Forse anche noi, come gli uomini di questo brano, ci sentiamo morire di attesa e di paura.
Tornano allora in mente le parole di Agostino, di fronte al saccheggio di Roma da parte di Alarico, nel 410: questo è un segno della nostra crisi occidentale e delle brame di potere con le quali è stata tessuta. Non si è però limitato a questa diagnosi e, mentre si trovava in Africa, dall’altra parte del Mediterraneo, ricordava che anche in una trama pervertita è però possibile riannodare legami solidali e di cura. È possibile un altro mondo in questo mondo, direbbero le mistiche e i mistici della storia.
È una possibilità che domanda però una rinnovata e coraggiosa cura del proprio cuore. Alleggeriamo il cuore dai pesi dell’egoismo e della competizione spietata tra noi; impariamo a non dissiparlo nelle culture del prestigio sociale; smettiamo di ubriacarlo con idoli che promettono tutto ma in cambio danno solo indifferenza; proviamo a non affannarlo con una quotidianità sequestrata da chi vuole solo vincere e vendere. Allora potremo alzare la testa, come se non ci fosse più bisogno di fare attenzione a dove stiamo mettendo i piedi perché ci fidiamo della strada sulla quale vogliamo camminare insieme.
La preghiera accompagna e sostiene il viaggio perché si offre come preziosa forma di resistenza e di trasgressione nei confronti del male che esiste e che mette angoscia. La preghiera corrode ogni rassegnazione perché sintonizza con la sorgente divina della nostra libertà in un doppio movimento: ci disloca rispetto alle logiche perverse e al senso di impotenza che in esse si respira, e al contempo ci permette di tornare al mondo ferito con la forza rinnovata e inesauribile che viene dall’incontro reale con il Figlio dell’uomo. È così che la vita non ci cade addosso e si lascia avvertire come ancora gravida di novità.
[Lucia Vantini - L'Osservatore Romano]
L’anno liturgico (C)
Comincia con questa prima domenica di Avvento un nuovo “Anno liturgico”, cioè anno in cui si celebra e si rende presente il mistero di Cristo. La chiesa, infatti, celebra nel corso dell’anno l’intero mistero di Cristo: dall’incarnazione alla pentecoste e all’attesa del ritorno del signore. In questa organizzazione cristiana del tempo, non si tratta esclusivamente di una retrospettiva su una salvezza accaduta nel passato; al contrario, il cristiano, redento nel battesimo, cerca costantemente di consolidare la propria salvezza; cerca di rendere presenti, attuali, efficaci ed operanti le grazie della salvezza recata da Cristo.
Inoltre, le celebrazioni dell’anno liturgico guardano anche al futuro; cioè esse hanno una componente escatologica, in quanto attendono il ritorno del Signore per il definitivo compimento della salvezza. La tensione tra presenza del Signore e attesa della sua venuta accompagna quindi la storia dei credenti in Gesù Cristo e caratterizza la nostra spiritualità.
La nostra fede cristiana si realizza e si concretizza allora nell’anno liturgico che fonda e costruisce la vita cristiana. Quando la liturgia viene celebrata, Gesù Cristo, quale Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza, si unisce all’assemblea celebrante in una azione comunitaria che ha per scopo la salvezza dei fedeli e la glorificazione del Padre celeste.
Comboninsieme
I Domenica di Avvento (C)
Lectio
Dal Vangelo secondo Luca (21,25-28.35-36)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.
Alzate il capo e contemplate
Inizia con questa domenica il tempo di Avvento, il tempo in cui rinnoviamo la nostra attesa, ma anche ridestiamo e affiniamo i nostri sensi per cogliere i segni della venuta e della presenza del Signore. La speranza del ritorno del Signore determina l’essere del cristiano e della chiesa, fa stare in un certo modo nella storia e nello spazio. L’avvento ci mette in cammino e dobbiamo alleggerirci di ciò che è d’intralcio in questa corsa. Si tratta di ridestarsi da uno stato di dissipazione e distrazione per ritrovare l’orientamento verso il Signore che viene.
A questo movimento interiore è chiamata anche tutta la comunità cristiana a ritrovare una unificazione: la comunità ritrova unità e orientamento nel convertirsi insieme verso il Signore che viene, non altrove. Il tempo liturgico dell’avvento però non ha una connotazione penitenziale come la quaresima, ma la gioia è la sua colorazione, la sua nota dominante. Il felice annuncio della venuta del Signore suscita una vigile corsa nella comunità cristiana e nella vita del discepolo.
“…risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.
Il cristiano nel giorno del giudizio è rappresentato non prostrato a terra, in adorazione del sovrano che torna avvolto di gloria e splendore, né schiacciato da insicurezza e paura dinanzi al padrone di casa. È uno eretto, nella postura dell’umano liberato e libero che guarda Gesù negli occhi, da fratello, amico, senza paura. Una posizione eretta. Questa immagine dello stare in piedi parla di una liberazione dalle schiavitù che ci fanno stare col capo chinato per entrare in una relazione ben precisa con chi ci vuole guardare negli occhi.
All’interno della relazione di fede in Gesù, della sequela dietro lui, il cristiano è chiamato a crescere nella propria soggettività umana, nel dare forma umana al suo essere uomo, vivendo da persona che “sta in piedi”, risorta e responsabile della vita che gli è data. L’attesa di Colui che viene è l’apprendistato e l’esperienza di questa libertà. Il cristiano dopo una lunga vigilia nella preghiera può accogliere in piedi e a testa alta il Figlio dell’uomo la cui venuta segna la fine di tutte le prove che avrà dovuto patire. La condotta del cristiano non è ispirata dalla paura ma dalla speranza che sa cogliere una parola, una relazione di salvezza dentro ai drammi della vita.
Si parla di raddrizzarsi, di alzare il capo e di stare in piedi; si dice di fare attenzione a sé, di non dormire, di pregare. La finalità dello stare attenti a sé è la resistenza allo stordimento interiore e alla perdita di consapevolezza del tempo che si vive, quindi la lotta contro la dissipazione, distrazione, frammentazione; il non dormire mediante la preghiera ha come finalità di sfuggire a quel che sta per accadere, il che non vuol dire restare al di fuori degli sconvolgimenti storici e cosmici, ma sottrarsi alla perdita d’orientamento che non ci permette di ritrovare il Signore che regna sul nostro oggi sul nostro futuro.
“State attenti a voi stessi”.
Il movimento di “attenzione verso di sé” chiede da un lato di imparare ad ascoltare, quella che Francesco e Chiara chiamano, la “divina ispirazione”; dall’altro lato chiede di imparare a discernere ciò che nel cuore si oppone alla Scrittura, al Vangelo. Così il movimento di rivolgersi a sé, per vedere cosa c’è in noi, è finalizzato al movimento di rivolgersi a Dio che parla perché l’ascolto richiede la consapevolezza di sé. Questo è il primo movimento per tornare a essere responsabili della propria vita. È la premessa perché io decida di fare qualcosa di me sapendo che l’unico potere che ho è quello su me stesso.
C’è un lavoro da fare dentro di noi per risvegliare l’attesa del Signore che viene, impedendo che i cuori si appesantiscano. La dissipazione serve per rimanere tranquilli nella falsità: presi da mille cose non si vede più la realtà nella sua verità anche di pericolo. C’è un affanno nella vita che distoglie il credente dal far maturare, crescere in sé il seme della Parola. Il cuore appesantito è un cuore incapace di ascolto della Parola e dell’altro, dunque di accogliere in sé la voce e il dolore dell’altro e il Vangelo del Signore perché è troppo pieno di sé.
“Vigilate in ogni momento pregando”
La vigilanza si lega alla preghiera come modalità per abitare il tempo nell’attesa, come modalità per riscattare il tempo dalla sua insensatezza. La vigilanza nella preghiera è lotta, esercizio di lucidità su di sé e sulla storia contro la tentazione dell’intontimento e dell’istupidimento, come azione del pensare la propria esistenza con i pensieri di Dio in Cristo. La lucidità su di sé va vissuta nel contempo imparando a guardare sé e gli altri con lo sguardo del Padre in Gesù.
Vivendo alla presenza del Signore nell’oggi, sapendo che in ogni momento ci viene incontro, ci prepariamo a incontrarlo alla sua venuta. Il cammino di alleggerimento richiesto da una vigile corsa richiede allora di restaurare uno spazio vuoto in ciascuno di noi e nella comunità da tutte quelle realtà che lo occupano in maniera abusiva e ci distraggono dall’essenziale, perché ci sia un vuoto in cui può risuonare e farci suoi il Signore che viene.