Il figlio del fuoco. Erede di quei sanniti che umiliarono i romani facendoli passare sotto le Forche Caudine, non riuscì a debellare l'irascibilità del suo carattere, ma non smise mai di combatterla, con tutte le sue forze
Civitanova d. Sannio (IS)
Pakwach (Uganda)
P. Antonio Fiorante è, insieme con P. Silvio Dal Maso e P. Giuseppe Santi. una delle tre vittime comboniane degli ultimi giorni del regime di Amin. Non vi furono testimoni della barbara uccisione dei due Padri di Pakwach, ma il fatto che nel pomeriggio essi avevano avuto visite dai soldati di Amin e che furono uccisi con armi da fuoco che solo i militari potevano possedere, indica in alcuni di questi gli autori dell'assassinio. Sui motivi precisi che hanno indotto ad uccidere due missionari. dopo aver ottenuto tutto ciò che chiedevano in denaro, benzina e macchine, si può soltanto fare delle ipotesi: rapacità, stizza, arbitrio o odio contro la fede?
Queste supposizioni, e in particolare il motivo religioso, sembrano essere confermate dalle voci che corrono tra la gente di Pakwach.
P. Antonio Fiorante morì a 53 anni. Era nato a Civitanova del Sannio, provincia di Campobasso (ora Isernia). Terminate le elementari entrò nella Scuola Apostolica di Sulmona (nel 1937) e poi a Brescia.
Nel 1942 entrò in noviziato a Firenze, che completò sotto P. Stefano Patroni con la professione religiosa il 7 ottobre 1944. Per la seconda e terza liceo fu a Rebbio, dove si trovava lo Scolasticato alla fine della guerra. Per la teologia fu a Verona e a Venegono Superiore. Fu ordinato sacerdote dal Card. Schuster nel Duomo di Milano il 3 giugno 1950.
Giovane sacerdote, gli fu chiesto di aiutare come “propagandista” (predicazione, Giornate missionarie, ministero) a Crema e a Brescia, in attesa del permesso governativo per entrare nel Sudano Giunto il permesso, con una conoscenza elementare dell'inglese, nel quale tuttavia si destreggiava, partiva per il Bahr el Ghazal nel febbraio 1954. Imparò bene il giur e un po' il denka e per quasi otto anni fu successivamente coadiutore a Kayango, Gordhiim e Mbili; in quest'ultima stazione ebbe bisogno anche di un po' di lingua ndogo.
Nel novembre 1962 fu tra i primi espulsi, su semplice notifica della polizia che il permesso di residenza scadeva entro quindici giorni. Di lui, P. Bono che lo ebbe compagno «per alcuni mesi a Mboro per lo studio dello Ndogo» dice: «Fu sempre un uomo disponibile alla volontà dei Superiori, zelante e schivo di ogni forma di apparenza; allegro, amava trovarsi in compagnia dei Confratelli, sempre generoso e pronto ad aiutare tutti; aveva il cuore distaccato dai beni della terra ed aiutava volentieri i poveri e i sofferenti».
Dopo circa un anno come «propagandista» a Sulmona, chiese ed ottenne di partire per l'Uganda; per l'affinità della lingua alur col denka e il giur, la scelta cadde nella zona alur della diocesi di Arua. Fu dapprima coadiutore ad Angal per due anni, poi fu incaricato di aprire la nuova stazione di Parombo, smembrata dalla stessa Angal, ma più vicina al lago Alberto. Come tutti gli inizi, ci fu un periodo assai duro, aggravato dal clima assai più afoso e umido del resto della zona collinosa degli Alur. Mentre attendeva alla comunità cristiana - e si compiaceva di avere normalmente 200 catecumeni in missione, di fronte ai 20-30 cui era abituato nel Bahr el Ghazal - si diede da fare per trovare i mezzi materiali per la costruzione della chiesa, che fu eseguita sotto la direzione di Fratel Andrea Ferrari e poi decorata dalle pitture di Fratel Fanti. Negli ultimi anni si preoccupò pure di fornire di una chiesa decente la zona di Panyimur sul lago Alberto.
Sia Parombo che Pakwach erano parrocchie immense e difficili sotto molti aspetti, tanto da mettere a dura prova la fibra fisica e morale del missionario. P. Fiorante seppe avere pazienza, forza, costanza e molto zelo. Curò la formazione dei catechisti, istituì ovunque i consigli dei laici, diede impulso alla devozione mariana specialmente con la Crociata del Rosario, si profuse nella carità verso i poveri.
Nel 1976 fu trasferito come Superiore e parroco a Pakwach. Qui chiuse la sua giornata terrena in circostanze oscure, che potrebbero rivelarsi caratterizzate dalle note del martirio, la tarda sera del 3 maggio. Nella vita di P. Fiorante, passata in una ombra deliberata, non mancarono le sofferenze e i contrasti. La trepidazione davanti agli impegni dei voti e degli ordini sacri fu sospettata come crisi di vocazione; il desiderio di una macchina fotografica in missione fu giudicata mancanza di povertà; la sua franchezza nelle discussioni fu tacciata di ostinazione e stranezza. Ciononostante tutti notarono il suo costante sorriso, il suo amore alla compagnia dei confratelli, il suo impegno nel ministero, la sua disponibilità per tutti. La sua unica aspirazione era l'apostolato e fu accontentato. Scriveva dopo le sue ultime vacanze, durante le quali aveva visitato i fratelli in Canada: «Sono felice di essere qui. L'Italia è bella, bello è anche il Canada, ma per noi l'Africa, senza voler offendere nessuno, è più bella. Sarà forse una nostra malattia, ma non possiamo parlare diversamente: non cambierei l'Africa né con l'Italia, né con il Canada». Negli ultimi mesi scriveva: «Voi (a Civitanova del Sannio) celebrerete il Bicentenario della venuta delle reliquie di S. Felice a Civitanova: noi invece celebreremo nello stesso anno e precisamente il 17 febbraio 1979 il Centenario dell'arrivo del primo Missionario, P. Lourdel, in terra ugandese. Non abbiamo né pavimento, né organi o altro da restaurare, perché molte chiese sono di paglia e fango. Ci siamo impegnati invece con un programma di restaurazione spirituale: rinnovare la fede nel cuore dei cristiani e accenderla in coloro che sono ancora pagani... Da parte nostra cerchiamo di seminare più che possiamo: qualche cosa germoglierà».
Forse non pensava che il seme che deve morire perché il chicco di grano germogli e fiorisca, questa volta era lui.
LE DUE VITTIME DI PAKWACH
Breve relazione sulla morte dei Padri Antonio Fiorante e Silvio Dal Maso
(Scritta da P. R. Dellagiacoma su indicazioni di P. Dall'Amico, 14.5.1979)
Sr. Paola, della comunità delle Suore di Maria Immacolata di Pakwach, ha riferito ad Angal quanto segue.
Giovedì 3 maggio verso le 4 pomeridiane dei soldati si presentarono in missione a Pakwach e chiesero benzina. Il Padre fece presente che non ce n'era più e allora vollero controllare i magazzini. Trovarono della nafta e rotolarono il fusto verso la strada principale.
Alla sera verso le 21-21.30 le Suore sentirono abbaiare i cani e gente che parlava ad alta voce nella casa dei missionarii. Non si mossero. Subito dopo si presentò qualcuno al cancello delle suore, cercarono di aprire il lucchetto e poi si allontanarono senza forzarlo, dicendo in swahili che sarebbero tornati.
Venerdì 4 maggio la signora Teresa, incaricata dei catecumeni e Sr. Paola, la superiora delle suore, trovarono la chiesa chiusa ancora alle 7 circa. Si portarono alla casa dei missionari e trovarono la porta d'ingresso spalancata, e così pure tutte le porte interne. Entrate nella stanza di P. Fiorante trovarono il Padre supino a terra, nudo, con una corda legata (non stretta) al collo, e una ferita all'orecchio e una sulla tempia opposta (una pallottola entrata dall'orecchio e uscita dall'altra parte). La faccia era nera, senza segni di sangue fuori. Sulla schiena vi erano anche segni di colpi, presumibilmente era stato colpito con scarponi o fucile, il ventre gonfio. Non vi erano altri segni di battiture. La corda era legata ad una gamba del letto.
P. Silvio era sdraiato a terra, con la faccia rivolta in alto, coperto solo di una canottiera o maglietta. Gli avevano legato i piedi insieme con uno spago. Aveva una ferita (di arma da fuoco) che attraversava il collo da un lato all'altro; aveva perso molto sangue e non aveva altre ferite. Nella mano sinistra stringeva il rosario.
La casa era svaligiata, bottiglie di birra vuote per terra.
Vista la scena la Suora fece uscire la donna, rivestì alla meglio i padri. Subito si adunò altra gente; 4 soldati locali tennero la gente lontana dalla casa. Cercarono altri soldati locali (sfuggiti dalle varie caserme e a casa loro). Decisero di seppellirli ad Angal dove c'erano ancora i missionari e le suore. Cercarono benzina e verso le 11 antimeridiane con una Land Rover dei soldati e un pick-up, misero i 2 cadaveri su due materassi sul pick-up, vi salì qualche soldato armato, mentre altri soldati armati di scorta salirono sulla Land Rrover con le suore.
Arrivarono ad Angal verso mezzogiorno e un quarto. P. Bono era a dir messa fuori e li accolse P. Dall'Amico. I 2 cadaveri furono portati davanti all'altare in chiesa sui materassi, le Suore Pie Madri li lavarono, fasciarono le ferite. Nel frattempo scavarono un'unica fossa dove furono deposte le 2 bare una vicina all'altra. Fr. Magistrelli preparò 2 casse da morto. Dopo il suono del tamburo incominciò ad arrivare la gente che incominciò a pregare. Alle ore 17 concelebrazione con Mons. Paolo Jalcebo e i Padri Dall'Amico, Bono, Negrini che era lì da Orussi per caso. Ci saranno state circa 500 persone. Portati a spalla dalla gente furono sepolti, finendo verso le 18.30.
Sr. Paola e la sua compagna restarono ad Angal, lasciando Pakwach vuota. La bara di P. Silvio era lunga 2 metri, quella di P. Fiorante 1.80. Furono seppelliti vicino alla tomba di Fr. Cò.
Il sabato P. Dall'Amico e Fr. GiIli e alcune suore si portarono in Zaire. Rimasero Mons. Jalcebo, P. Bono, Fr. Magistrelli e 3 Pie Madri.