Voleva battezzare 100.000 pagani. Aveva fatto voto di costruire un lebbrosario. Prima di partire per il Congo disse: "Non tornerò più!"
S. Gallo (Bergamo - Italia)
Rungu (RDCongo)
Era nato a S. Gallo (Bergamo) da una famiglia mantovana profondamente cristiana 1'11 luglio 1922; ed era entrato nel Noviziato di Vengono l'11 settembre 1943, dopo aver compiuto con ottimi risultati la prima classe di teologia nel Seminario di Bergamo. Ci voleva dell’eroismo per lasciare i suoi in quel momento. Suo padre e due fratelli erano militari, e un altro doveva partire per la caserma in quei giorni. A casa lasciava due giovani sorelle con la mamma.
P. Zuccali terminò il Noviziato il 15 agosto 1945 e il 7 ottobre dell'anno successivo emetteva la professione perpetua a Verona. Qui finì gli studi e fu ordinato sacerdote il 31 maggio 1947. Rimase a Verona per altri tre anni, come aiutante nell'Amministrazione Generale; e dopo breve permanenza a Londra partì per Juba (Sudan) nell'aprile del 1951.
Fu destinato alla missione di Isoke, dove restò fino al 1959, prima come coadiutore e poi come Superiore. Si trovò subito con un campo vastissimo; perché la missione contava 8.000 cristiani su 80.000 abitanti. con aumenti di circa 1.500 cristiani all'anno. Approfittando della completa libertà di cui godeva ancora il ministero, P. Zuccali costruì una trentina di cappelle in mattoni. Molte le eresse dirigendo personalmente gli operai.
Aveva una scuola artigiana con un bel gruppo di apprendisti, e vari istruttori. Diede un vigoroso impulso alla conversione degli adulti. Organizzò l'Azione Cattolica anche nei villaggi, impegnandola a dirigere la preghiera nelle cappelle, promuovere la vita cristiana e in particolare ad avviare a soluzione situazioni familiari delicate.
Generoso e gioviale, era instancabile, benché si affaticasse oltre misura. Giunse a fare più di tre mesi consecutivi di safari durante una stagione asciutta. Ma nel 1955 implorava l'invio di un Confratello di più: “A dire il vero ci sentiamo fisicamente stanchi... Siamo ormai macchine senza respiro e guai se ci ammaliamo”. A dargli una tregua non desiderata dovevano venire ben presto le limitazioni governative; e allora sentì tutta l'amarezza di dovere “ingoiare tacendo”, e sorbire l'incomprensione, l'ingratitudine e la malignità.
Nel maggio del 1959 fu trasferito a Torit; e rinnovò la residenza dei missionari e la chiesa. Volle per sé l'onore e il rischio di issare sul culmine della facciata una croce di cemento. Nel 1960 ebbe un incidente che per poco non gli fu fatale. Tornava in moto, sul mezzogiorno, dalla visita ad un villaggio quando all'improvviso la forcella della Guzzi si ruppe, ed egli andò a battere la testa sulle pietre. Rimase fuori dei sensi per alcuni giorni, e solo dopo due settimane fu dichiarato fuori pericolo. Ristabilitosi fu inviato a Khartoum per riposo ed esami medici.
Tornato a Juba fu destinato a Kworijik; e nel mese di ottobre aveva già preso visione del suo lavoro. Rivolse le sue speciali attenzioni alle settecento persone del lebbrosario. Costruì cappelle e organizzò i catechisti. Quando nel 1962 comparve la cosiddetta « legge-capestro» e i pagani si diressero in massa verso la chiesa, in pochi mesi amministrò parecchie migliaia di battesimi.
Espulso dal Sudan portò sempre nel cuore i suoi cristiani sudanesi. Lo confermano anche le ultime righe della lettera scritta da Rungu (RDCongo) il 28 giugno 1964: “Mi assilla il pensiero di tanti miei cristiani lasciati nel Sudan. Mi auguro un giorno non lontano di raggiungerli ancora”.
Nei dodici mesi che restò in Europa non riusciva a star fermo. In Italia fece più di quattrocento conferenze nei collegi, poi partì per la Francia e la Svizzera per apprendere il francese; e ancora molte conferenze e prediche, e poi 1'8 dicembre partenza da Roma per il Congo.
E a Rungu (RDCongo) riprese il solito ritmo di apostolato. Alla fine di maggio aveva quasi finito di girare tutta la vastissima missione. Vi aveva impiegato più di due mesi. Era stato accolto trionfalmente, e aveva già fatto i suoi piani. Ai suoi scriveva: “Sono continuamente in viaggio, il che esige un po' di tribolazione, ma in compenso il bene che si fa è grande. Di salute sto benissimo, e il movimento continuo, accompagnato da qualche digiuno forzato, mi fa bene. Del resto sono cose a cui non penso neppure, perché la salvezza di queste anime mi preoccupa molto di più. Purtroppo vedo che riesco ad aiutarne poche, che moltissime si perdono, e questo mi fa tanta pena. Vorrei che stessero tutti bene, di anima e di corpo”.
Il frutto del suo ministero lo attendeva dalla preghiera. Per questo prima ancora di partire per l'Africa la prima volta si era assicurato le preghiere di parecchi conventi di clausura. A qualche scolaresca aveva affidato la conversione di un villaggio; a tutti chiedeva preghiere.
“Mi raccomando alle preghiere di tutti i buoni... Ho tanto bisogno dell'aiuto della Madonna per fare tutto quel bene che vedo e che dovrei fare”. “Vedo e sento che molte anime buone pregano per il mio apostolato, poiché sono riuscito a condurre a buon termine diverse cose”.
Il 29 maggio 1964 scriveva a delle buone persone: “Avevo domandato a Dio di dare almeno 100.000 battesimi prima di morire, ma credo che ho chiesto molto poco essendo i pagani così numerosi e ben disposti, ed essendo Dio così generoso e desideroso di salvare le anime, ed avendo voi che ne volete convertire e salvare moltissime colle vostre preghiere e sacrifici”. E aggiungeva nel poscritto, cambiando argomento: “In Congo ora ci sono ancora martiri. Ma avviene a 800 chilometri da qui. Qui c'è tranquillità... “.
Solo il Signore sapeva allora che sei mesi dopo i martiri ci sarebbero stati anche altrove e che P. Zuccali sarebbe stato l'ultimo missionario a cadere a Rungu. Ma il suo sacrificio non sarà vano né per i suoi cristiani del Sudan né per il suo gregge del Congo.