Realizzò la sua vocazione a prezzo di lacrime amarissime: Amò la poesia e i lebbrosi. A undici anni profetizzò il suo martirio.
Varazze (SV - Italia)
Rungu (R.D.Congo)
Era nato a Varazze (Savona) il 14 agosto 1915 da un capitano della marina mercantile; e perciò crebbe sotto l'educazione materna.
Egli stesso dichiarò che la prima idea delle missioni gli venne a undici anni, nella festa della S. Infanzia, e fu suscitata dalla recita della poesia “Il piccolo missionario alla mamma”. E la mamma non ha potuto fare a meno di ricordare, alla notizia della sua morte, il finale di quella poesia:
“Non piangere se un giorno una corona vedessi insanguinata!...
T'avrà fatta il Signor, perché sei buona, d'un martire la madre avventurata”.
Non ho più lacrime
Dopo aver fatto il ginnasio, il liceo e il primo anno di teologia nel seminario di Savona, Lorenzo, superate lunghe e notevoli difficoltà familiari, entrò nel Noviziato di Vengono (VA) il 29 ottobre 1936. L'anno seguente perdette il padre, e sei anni dopo, 1'8 settembre 1943, anche l'unico fratello, perito nell'affondamento della corazzata Roma presso l’isola della Maddalena, ad opera dei tedeschi.
Così la mamma resterà completamente sola: non avrà più nessuno a per di più si troverà sofferente. Lorenzo, sacerdote da tre anni, si precipiterà a Savona con il cuore in tumulto.
«Lorenzo, mi resti solo tu, ora!»
«Mamma… il Signore…», ma non riuscirà a dire altro e ripartirà per l’istituto comboniano.
A me piace Teofano
Padre Lorenzo rideva raramente: un velo di malinconia circondava sempre il so volto.
Alla professione religiosa aggiunse al suo nome quello di Teofano, in onore del beato Teofano Vénard, morto martire nel Tonchino nel 1861. Fu ordinato sacerdote a Verona il 9 giugno 1940.
La guerra lo bloccò in Italia, e per quattordici anni fu assegnato all'insegnamento nelle Scuole Apostoliche di Rebbio (1940-43), Crema (1943-47), Brescia (1947-53) e Trento (1953-54). Nel 1953 ottenne la laurea di magistero presso l'Università Cattolica di Milano, con una tesi sull'arte degli Azande, un popolo meraviglioso dell’Africa centrale… quel popolo che qualche anno più tardi sarebbe diventato il suo.
Dedicò la tesi “a tutti i missionari che hanno scelto o sceglieranno come patria di adozione gli Azande”.
Di là non mi manderanno via
Nel 1955 partì per l’Africa. Nel suo animo si scatenò una lotta tremenda perché la mamma non voleva dargli il permesso di partire e la benedizione. «Il parroco mi condusse a casa, parlò alla mamma, la quale ebbe un collasso e piangendo ripeteva che sarebbe morta alla mia partenza»… La malattia della mamma fece ritardare la partenza di Lorenzo.
Era stato destinato alla Prefettura di Mupoi (Sudan). Partì da Roma sereno e contento; e l'Africa lo riempì subito di rosee speranze.
Da bordo del “Fatima” scriveva: «Il viaggio in aereo mi diede l'impressione di una mano potente, divina, che mi sollevasse e mi deponesse in una terra già a me nota nel pensiero e nell'affetto... A Khartoum celebrai per mio padre. Subito dopo il Fatima ci offriva ospitalità... Abbiamo Gesù con noi. Così possiamo fare la visita e durante il giorno salutarlo... Morale altissimo». E da Mupoi: «Sono contento e godo una serenità di spirito che non mi sarei immaginato... L'Africa mi ha fatto rinascere».
A Mupoi fu incaricato della scuola artigiana, e quindi della Procura, e commentava: «Purtroppo sono procuratore. Avrei desiderato tanto avere la mia cristianità da curare, i miei catecumeni da istruire, i malati da consolare, e tutto quanto significa apostolato da svolgere. Invece, conti e conti... e ogni tanto un po' di malaria... Ma sono contento lo stesso; vivo assaporando giorno per giorno la gioia della mia vocazione». Benché fosse di salute un po' delicata, si adattò bene al suo ufficio. Di animo gentile, sapeva comprendere i desideri dei Confratelli e per quanto gli era possibile accontentava tutti.
Fu proprio l'ufficio di procuratore che gli causò notevoli disturbi di salute, che invano cercò di nascondere per due mesi. In conseguenza, peregrinò da un ospedale all'altro in cerca della natura del male e della cura: Yubu, Li Rangu, Wau, Paulis nel Congo e finalmente Asmara (Eritrea). Chiusa questa parentesi riprese il suo lavoro a Rimenze, dove fu addetto al ministero e alla tipografia che la Prefettura aveva acquistata e di cui egli si era già occupato quando provvisoriamente era rimasto a Mupoi.
Nel 1958 passò a Yambio. Vi restò per tre anni, vivendo per un po' di tempo in compagnia di P. Armani. Gli ultimi due anni di apostolato in terra zande li svolse a Ezo, proprio ai confini del Congo. Là padre Lorenzo esercitò il suo ministero tra i lebbrosi; è commovente la lettera nella quale racconta il suo primo incontro con questi malati.
«Domenica ebbi il primo incontro con i lebbrosi, era un mattino radioso. Una novantina: uomini, donne, giovani d’ambo i sessi… creature, per una buona parte, d’un’età che, sebbene la lebbra tentasse alterare, tuttavia appariva ricca di energie fisiche. Avevo già avuto un incontro con i diseredati della società, anche se questa è primitiva e selvaggia, il giorno di Pasqua quando monsignor Ferrara distribuiva la santa Comunione. In mezzo al numero stragrande di alunni e alunne della nostra scuola di Mupoi, trovarono il loro posto alla mensa di Gesù alcuni lebbrosi che durante le funzioni erano rimasti appartati.
Grande e bella la fede cattolica che offre il Cibo dell’anima senza alcuna restrizione legislativa o imposizione umana! Tutti, nessuno escluso, hanno il loro posto a questa mensa divina: tutti, anche i lebbrosi! Ma fu come una folata che m’investì e mi circondò con un sogghigno beffardo, quasi mi gridasse: “Ecco il frutto dei tuoi peccati”.
Furono minuti di ribellione, di nausea, mentre l’occhio mi si posava su di un giovane chiazzato di giallo nelle ginocchia, negli avambracci che terminavano in due moncherini, mentre osservavo il viso dall’espressione contorta, i suoi stessi occhi che imploravano pietà agli uomini e chiedevano, sereni, rassegnazione al Martire del Golgota.
Mi ricomposi nelle mie sensazioni olfattive dopo che già monsignore era ritornato all’altare e io con lui
Quel giorno mi definii un essere debole, vile, traditore della mia stessa vocazione, tanto lontano dal gesto di san Francesco che baciò il lebbroso. Fu un rimuginare, una lotta intima e cruda, una visione di sconfitta ma, debbo dirlo, anche di rivincita. Dopo tutto, anche il re della foresta, il leone, sulla soglia della capanna di un lebbroso non muove passo; annusa, appunta lo sguardo felino, dà in un gesto di ribrezzo e si ritrae nauseato; quel puzzo gli ripugna… rigetta la preda».
Il giorno più triste
Nel 1963 fu espulso dal Sudan insieme agli altri missionari, e quello per lui fu il giorno più triste della sua vita. Non valsero la gioia e gli abbracci di sua madre a confortarlo per cui, dopo qualche mese di permanenza in Italia, chiese di andare nel Congo.
Partì con il primo gruppo di comboniani diretti a Rungu. Trovò la cristianità che desiderava; e da Rungu non si è fatto “mandar via”. Anzi proprio per salvare il suo gregge offrì spontaneamente, insieme ai suoi Confratelli e agli altri missionari, la propria vita.
Qualche mese dopo, la mamma riceveva una lunga lettera di una suora belga:
«Salzinnes 7 maggio 1965
Carissima sig.ra Piazza, carissima mamma del nostro caro padre Lorenzo, il fratello Carlo Mosca vi spedirà questa lettera, io non vi ho scritto perché non conosco il vostro indirizzo e perché non so se avete qualcuno che traduce il francese; ma ora so che fratel Carlo lo potrà fare.
Casa signora, il buon Dio vi ha chiesto un terribile sacrificio prendendovi vostro figlio; io ebbi la grande grazia di conoscerlo da vicino e di lavorare con lui per un anno: era un santo sacerdote, un santo missionario, un santo fratello per me e per tutti. Grazie a lui e ai suoi compagni, i padri Antonio ed Evaristo e il fratel Carlo, la nostra missione di Rungu ha progredito in un anno più che non l’avesse fatto in molti anni. Questi santi missionari hanno veramente cambiato il volto della missione. Il padre Lorenzo, particolarmente, aveva un enorme influsso sull’ambiente della scuola. I maestri e le maestre gli erano molto attaccati, e gli scolari e le scolare avevano tanta confidenza in lui. Molti gli sono obbligati per aver trovato il vero cammino dell’amore di Dio e aver conservato la loro purezza di fanciulli in grazia.
Io stessa, cara mamma, ho potuto apprezzare la semplicità e il fervore del so cuore, durante le nostre conversazioni. Sia per le guide e per le esploratrici di cui ci occupiamo insieme, sia per me stessa e i bisogni della mia anima, l’ho trovato sempre perfetto.
Alla fine di giugno del 1964, avevamo fatto un campeggio con le guide, a 25 chilometri da Rungu, a Nangazizi; forse ve l’avrà anche scritto. Allora siamo vissuti molto vicini l’un l’altro, mangiando alla stessa tavola: che bei giorni!...
Dal 20 agosto, quando i ribelli sono arrivati a Rungu, è venuto presso di noi tutti i giorni per avere notizie e confortarci…
Il primo giorno in cui arrivarono i ribelli, venne a trovarmi nella sacrestia per dirmi: “Suor Marie Bernarde, in alto i cuori, sursum corda!”
Poi siamo scappati tutti, missionari e suore, nel bosco dove ci si sentiva più sicuri.
Il 28 novembre noi quattro suore ci siamo ricongiunte ai missionari, dai quali eravamo separate. La domenica 29 il padre Lorenzo ha celebrato la messa per noi e per qualche abitante del villaggio…
Il 30 novembre, prima di uscire dal bosco per la prima volta, mi confessai da lui: egli mi parlò della confidenza con parle convinte che non dimenticherò mai.
Il 1° dicembre dovemmo arrenderci. Io lo seguivo sul sentiero che andava alla missione: gli richiamai le sue stesse parole sulla confidenza in Dio. Egli mi guardò profondamente, come sapeva fare, senza dire una parola: sono sicura che il suo sacrificio era compiuto...
Mamma, io vi abbraccio con tutto il cuore, come voi potreste abbracciarlo, e vi assicuro che mai una volta io penso al caro e santo padre Lorenzo senza pensare a voi».
p. Lorenzo Gaiga