La nuova missione africana.
La mattina del 28 ottobre 1887 nella cappella dell’Istituto dei Missionari Comboniani di Verona si è svolta una cerimonia importante e significativa. Dieci giovani, il primo dei quali era un sacerdote di 29 anni, hanno emesso i Voti di povertà, castità e obbedienza nella mani di mons. Sogaro, primo successore di Comboni, diventando, così, religiosi-missionari comboniani. Erano i primi di una lunga serie che ha dato origine alla Congregazione dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù. San Daniele Comboni, morto da sei anni, certamente sorrideva dal cielo e benediceva questi suoi figli.
In questa pagina vogliamo parlare di p. Antonio Maria Roveggio, il sacerdote di 29 anni, che è stato il primo religioso e missionario comboniano. Proveniva da una famiglia di contadini di Cologna Veneta, provincia di Verona e diocesi di Vicenza, dove era nato nel 1858.
Alunno del seminario diocesano di Vicenza, durante la teologia ha conosciuto Comboni e ne è rimasto affascinato. Diventato sacerdote nel 1884, ha chiesto al suo Vescovo di potersi unire ai missionari di Comboni. A questo punto è scoppiata la lotta in famiglia. Scrive lui stesso: “La mia vocazione missionaria fu messa a dura prova dall’insistenza di un sacerdote che mi dissuadeva da quell’impresa. La mia mamma, che pure soffriva al pensiero della mia partenza, mi chiamò in cucina e mi disse: ‘Don Antonio, tu sai quanto ti amo e quanto sia doloroso al mio cuore il dovermi distaccare da te; tuttavia, se il Signore veramente ti chiama per questa via, va’ in nome di Dio e non sia mai vero che io mi opponga alla sua volontà. Sarebbe questo per me un rimorso troppo grave per tutta la vita’”.
Fratello e amico degli ex schiavi
P. Antonio è partito per la missione alla vigilia dell’Immacolata del 1887 ed è finito nell’isola di Gesira, a un’ora dal Cairo, dove i Comboniani avevano raccolto gli ex schiavi fuggiti dal Sudan in preda alla persecuzione del Mahdi. Il Padre è diventato il loro amico e fratello. Non solo si è preoccupato di parlare loro di Gesù Cristo, ma ha trasferito in quell’isola la passione per la terra che aveva ereditato dai suoi genitori, ed è diventato imprenditore, realizzando il Piano di Comboni: “evangelizzazione e promozione umana”.
Ed ecco sorgere piantagioni di cotone e di zucchero, campi di grano, stalle che si riempivano di mucche, tanto da poter vendere latte e formaggio nella vicina Cairo… Gli africani hanno imparato a impastare e cuocere il pane e a costruire case. Una enorme pompa azionata a vapore succhiava l’acqua dal Nilo per irrigare quella terra produttiva…
Con la pratica della vita cristiana, gli ex schiavi hanno imparato anche ad essere uomini liberi, capaci di bastare a se stessi. La spiritualità di p. Roveggio, intanto, si affinava: “Eterno Padre, se ciò piace a voi e se è utile all’anima mia, vi offro e vi consacro la mia vita per il bene dei missionari e delle suore prigionieri del Mahdi affinché voi li preserviate dall’apostasia e da ogni peccato e li liberiate dalla schiavitù”.
Vescovo
Il 21 aprile 1895 p. Roveggio è consacrato vescovo a Verona succedendo a mons. Sogaro che ha dato le dimissioni. Alla vigilia della consacrazione episcopale scrive: “O divino Spirito, venite in me, impossessatevi interamente del mio povero cuore affinché nel mio operare abbia soltanto il fine della gloria del Signore e la salute degli africani per i quali nuovamente mi consacro fino alla morte”.
Con la sconfitta del Mahdi, settembre 1898, si riaprono le porte del Sudan. I tempi sono cambiati e anche i missionari devono modernizzarsi. Mons. Roveggio insieme al primo Superiore generale della Congregazione, p. Angelo Colombaroli, va in Inghilterra e fa costruire dai cantieri Jarrow di Londra un battello dalla chiglia piatta in modo che possa navigare comodamente sul Nilo. In febbraio 1899 il battello, dal nome augurale di Redemptor, è pronto. Monsignore scrive su “La Nigrizia”: “Stiamo organizzando la prima spedizione di missionari che dovranno recarsi nel cuore dell'Africa”. Il 29 dicembre 1999 il battello fa il suo viaggio inaugurale puntando verso Khartoum.
“Dunque, sia il nome del Signore benedetto . Dopo quasi sedici anni di assenza e di esilio, la nostra missione ha potuto riprendere l'opera sua apostolica nella capitale del Sudan”. Con i missionari partono anche le suore per occuparsi della scuola femminile, dell’orfanotrofio e dei dispensari… Comboni rivive in quei missionari che si sono messi sulla scia che lui ha lasciata nel lontano 1858
Il 4 gennaio 1900 Roveggio giunge a Khartoum. Non potendo fermarsi perché la vecchia missione è stata requisita dagli inglesi, va nella vicina Omdurman. Il governatore inglese gli fa sapere che i missionari non possono fermarsi al Nord, ancora percorso da pericolosi sbandati mahdisti. Allora Roveggio delinea il suo “piano”: puntare al Sud verso le tribù già visitate da don Comboni nella sua prima spedizione di quarant’anni prima.
La nuova penetrazione comboniana dell’Africa
È l’alba del 14 dicembre 1900 quando, a bordo del Redemptor, nuovo fiammante, mons. Roveggio e i suoi missionari si avventurano sulle acqua del Nilo. E cominciano a sorgere le nuove missioni tra le fiere tribù degli Scilluk, dei Denka e dei Nuer. Santa Croce, Gondokoro sono nomi che richiamano i missionari di quarant’anni prima. Il nuovo Vescovo cerca le loro tombe per recitarvi una preghiera e deporvi un fiore. E poi avanti ancora. Egli vuole realizzare il disegno di Comboni spingendosi fino ai Grandi Laghi d’Uganda.
Giunto al confine, gli inglesi gli impediscono di proseguire: il territorio non è ancora totalmente sottomesso. Attende invano il permesso da Londra. Non arriva. Arriva, invece, la malaria che riduce il battello a un ospedale galleggiante. Monsignore diventa infermiere dei suoi missionari, finché cadde anche lui vittima di tanti disagi. “O Cuore Sacratissimo di Gesù, io mi chiudo nella piaga del vostro dolcissimo costato e ne do le chiavi alla mia cara madre Maria e la prego di non aprirmi se non per venire a godervi per tutta l’eternità”.
Muore lungo la strada del ritorno. Sono le ore 19.00 del 2 maggio 1902. Le sue spoglie deposte nella sabbia presso Berber, vengono poi messe accanto a quelle di Comboni nella chiesa di Assuan, finché vengono portate a Verona. Aveva chiesto il martirio. Lo ha avuto, anche se non è stato quello di sangue. Comboni era morto a 50 anni, questo suo discepolo prediletto a 43. Le opere di Dio non si misurano con il numero degli anni, ma con l’intensità dell’amore. E di amore, mons. Roveggio, ne ha avuto tanto.
“Dalla mia vita dipende la salute di tante anime; tanto più io sarò santo, tante più ne salverò… Molto fa chi molto ama e molto ottiene chi molto soffre. Davanti alla Madonna di Lourdes ho chiesto la grazia del martirio”, aveva scritto nel suo diario. Oggi la Chiesa ha iniziato il processo di canonizzazione per dichiararlo santo.
(P. Lorenzo Gaiga)