Radici e contesto storico in cui Daniele Comboni ha vissuto e operato.
(Articolo pubblicato sull'Osservatore Romano)
1. Il fatto del risveglio missionario nel secolo XIX dopo la Rivoluzione Francese
L’Ottocento si caratterizza nella storia ecclesiastica per la sua dinamica missionaria progressiva. In esso troviamo forti figure ecclesiali di fondatori e fondatrici missionarie che hanno dato alla Chiesa un rinnovato vigore apostolico. Si tratta di un vero movimento missionario che percorre le vie della geografia ecclesiale del tempo. Nella sua storia possiamo segnalare alcuni elementi che cooperano alla sua formazione come un crescente movimento di rinnovamento cristiano e di reazione di fronte alla mentalità della cultura illuminista del tempo. Cresce anche la coscienza dell'urgenza dell'attività missionaria come imperativo della "Caritas Cordis Christi", e non come una dimensione di filantropia illuminista. Questa crescente coscienza si traduce in iniziative concrete apriranno nuovi canali all'attività missionaria. In questa prospettiva bisogna inquadrare la nascita delle associazioni. opere missionarie e la fondazione di istituti missionari. La storia della missione dell'Africa Centrale, la figura di Daniele Comboni e le sue fondazioni missionarie fanno parte integrante di questo contesto e di questo Movimento missionario.
Le radici di questo movimento missionario si riscontrano in un movimento spirituale molto vicino alla Compagnia di Gesù e ad alcune correnti di spiritualità allacciate alla scuola di spiritualità francese che, a partire dal secolo XVII, accentua la dimensione del Mistero dell'Incarnazione. La società cristiana aveva vissuto lungo "il secolo dei lumi" momenti notevoli di decadenza nello spirito missionario. Tra i fattori di tale decadenza ne troviamo alcuni di provenienza esterna ed altri all'interno della Chiesa. Tra quelli esterni bisogna annoverare l'ostilità anticattolica del nascente imperialismo inglese e olandese. La "Pace di Parigi" del 1763, che mette fine alla "Guerra dei Sette Anni" della Prussia e Inghilterra contro l'Austria e la Francia, assegna all'Inghilterra parte delle Antille, del Canada, della Luisiana e dell'India, e all'Olanda il dominio su Ceylon e l'arcipelago della Sonda con la sua capitale, Batavia, nell'Isola di Giava. Questo fatto frena l'attività missionaria cattolica in quei territori con l'espulsione dei missionari e la chiusura delle missioni. Anche la pesante politica regalista delle corti borboniche e le vertenze del Patronato portoghese nell'India e in Oriente con Roma rallentarono la vita missionaria della Chiesa. I fattori più specificamente interni alla Chiesa furono la questione dei "riti cinesi e malabarici", con la decisione negativa su questa questione presa da Benedetto XIV nel 1742, e che si risolverà solamente nel 1939. Le controversie tra i missionari per questo motivo; la crisi religiosa europea che provoca una diminuzione di vocazioni e una decadenza in molti ordini religiosi; la mentalità razionalista propria dell'Illuminismo, che si infiltra in molti ambienti ecclesiastici; la visione ristretta del concetto e della prassi della salvezza, promossa da una mentalità giansenista che predominava in non pochi ambienti ecclesiastici: influirono negativamente sull’attività missionaria. Come colpo di grazia decisivo inferto all'attività missionaria, intervenne l'espulsione dei Gesuiti dai Territori portoghesi, francesi e spagnoli e la successiva soppressione della Compagnia di Gesù avvenuta nel 1773. La Rivoluzione Francese, da parte sua, paralizza l'invio di missionari per più di venti anni. Agli inizi del secolo XIX i missionari in terre di missione si vedevano ridotti a non più di trecento, includendo quelli che lavoravano nel Nordamerica e nei paesi protestanti dell'Europa, che in quei tempi dipendevano ecclesiasticamente dal Dicastero di Propaganda Fide.
Solo a partire dal pontificato di Gregorio XVI si può parlare di una ripresa dell’attività missionaria effettiva. Prima di arrivare a questa fase, la Santa Sede era passata attraverso una tappa di martirio. Pio VI e Pio VII erano stati trascinati prigionieri in Francia dal Direttorio e da Napoleone. Il Dicastero di Propaganda Fide era stato soppresso da un decreto emanato dal Direttorio il 15 marzo del 1798, come un "éstablissement fort inutile". Napoleone ne permise una relativa e condizionata attività. La vita del Dicastero missionario, nonostante la sua riorganizzazione per opera di Pio VII nel 1817, presenta aspetti di languidezza durante i pontificati di Pio VII, preoccupato dei problemi riguardanti la ripresa spirituale d'un'Europa in processo di scristianizzazione, e di Leone XII e Pio VIII che si imbatterono nel problema delle indipendenze ispano-americane. Per tutto ciò si dovrà arrivare al pontificato di Gregorio XVI per trovarci con un'attività più diretta da parte della Santa Sede a favore delle missioni.
Eppure, in quei anni faticosi non si era spenta del tutto l'apertura apostolica della Chiesa. Anzi, quegli avvenimenti furono l'occasione per rafforzare quell'"humus" da cui nacque poi una molteplicità di iniziative di rinnovamento cristiano e di presenza missionaria.
2. Fattori che aiutarono il risveglio missionario
I fattori che favorirono questo risveglio sono vari. In primo luogo il fervore religioso di un pontificato che era appena uscito dalle prove della Rivoluzione Francese. In secondo luogo, l'emozione religiosa suscitata dalla letteratura romantica. Ricordiamo in questo senso l'impatto che causavano le "Lettres édifiantes" con i loro racconti missionari o anche opere come "Le Génie du Christianisme" del Visconte di Chateaubriand.
Altri fattori che aiutarono questo risveglio missionario furono una forte corrente di restaurazione, anche in ambito religioso, come pure l'interesse, per tutto ciò che sapeva di esotico o di storia antica, caratteristico del romanticismo. Paolina Jaricot concepì l'idea delle collette a favore delle missioni dopo aver ascoltato la lettura delle Lettres édificantes nell'Associazione di preghiere per la salvezza degli infedeli di Lione, e nel 1822 fondava l'Opera della Propagazione della Fede. In quello stesso anno il Consiglio dell'Opera cominciò a pubblicare estratti di lettere di missionari sotto il titolo di "Nouvelles reçues des Missions", rimpiazzate a partire nel 1825 dagli "Annales de la Propagation de la Foi".
Un altro fattore influente è il profondo vincolo che unisce il movimento romantico di conversioni con il pensiero missionario. Convertiti come Ratisbonne e Libermann, i propulsori del Movimento di Oxford, Wiseman e Newman, dimostreranno una comprensione particolare della missione a favore dei non-cristiani. Sorge pure adesso una feconda letteratura missionaria. Esistono in questo periodo circa 300 riviste missionarie. Lo storico protestante G. Warnek segnala anche la diffusione delle idee politico-liberali e del pensiero umanista che proclamava i diritti universali dell'uomo. Senza dubbio questo aspetto influì sulla sensibilità di molti ambienti di fronte agli appelli dei missionari a favore dei popoli emarginati e nella lotta contro la schiavitù.
Queste idee facilitarono la diffusione dell'ideale missionario. Un esempio del loro influsso si può riscontrare nella lotta antischiavista. Le denunce di grandi missionari come i protestani Livingstone e Stanley, e fra i cattolici Madre Javouhey, Libermann, Marion de Bresillac, Massaia, l'Associazione Pro Nigris di Colonia, Comboni, Lavigerie ed altri troveranno un terreno di feconda accoglienza in questi ambienti. La lotta contro la schiavitù nasce in Inghilterra verso la metà del secolo XVIII negli ambienti pietisti anglicani e nelle correnti filantropiche inglesi. Tale lotta avrà anche come effetto l'inizio di un'attività missionaria.
Così l'Istituto dei Missionari del "Sacro Cuore di Maria", fondato dal P. Libermann, che più tardi si fonderà con i missionari della Congregazione dello Spirito Santo e darà origine all'attuale Istituto Missionario dei PP Spiritani, sorse come un'iniziativa missionaria tra gli schiavi neri delle colonie francesi. Altrettanto si può dire dell'iniziativa missionaria che dagli Stati Uniti comincia in Africa occidentale per opera di Mons. Barron. Sarà poi continuata dai missionari del Libermann e dai missionari di Lione di Mons. Bresillac. Qualcosa di simile era successo anteriormente per le iniziative missionarie della Madre Javonhey e delle sue Suore della Congregazione di S. Giuseppe di Cluny, nel Senegal e nelle colonie francesi dell'America. Le opere del riscatto degli schiavi di don Nicola Olivieri, don Nicola Mazza e di P. Ludovico da Casoria, continuate in parte dall'attività di Daniele Comboni e dai suoi missionari, e la stessa esperienza iniziale del Lavigerie, affondano le loro radici nella lotta contro la schiavitù.
Un altro elemento che influirà in questa rinascita dell'attività missionaria, specialmente in Africa, furono le esplorazioni e l'espansione coloniale che ne seguì: tutto ciò contribuì a stabilire un nuovo tipo di relazioni giuridiche tra le potenze europee e questi nuovi popoli.
Le invenzioni della rivoluzione industriale, come lo sviluppo delle ferrovie, le navi a vapore, la posta organizzata e il telegrafo, la medicina e perfino l'alimentazione e i cambiamenti nella maniera di vestire, renderanno più facili i contatti tra i popoli e meno faticosi i viaggi e la vita missionaria. Basti pensare alla grande differenza tra le prime spedizioni missionarie del Comboni in Africa Centrale alla metà del secolo e le ultime verso la fine della sua vita. Nei suoi primi viaggi doveva attraversare il deserto che separava l'Egitto dal Sudan a dorso di cammello, impiegando novanta giorni. Negli ultimi anni della sua vita, meno di venti anni dopo, poteva realizzare lo stesso viaggio fino a Suakim, nel Mar Rosso, con un vapore, o in ferrovia fino a Berber, già in territorio sudanese, in un paio di settimane. Tutti questi contatti favorivano le relazioni culturali e spirituali che univano il mondo non cristiano e aiutavano a costruire dei ponti che facilitavano la diffusione del Vangelo. Le nuove conquiste della tecnica e del progresso, unitamente al dominio coloniale che alcune nazioni europee impiantarono nell'ultimo quarto del secolo, furono le "Nuove vie consolari" e una specie di nuova "pax romana" che senza dubbio favorirono l'attività missionaria. Lo stesso fatto della diffusione della stampa e la creazione d'un moderno sistema postale aiutò la diffusione delle notizie circa l'attività missionaria. Una relazione, per esempio, del Comboni a volte la troviamo pubblicata solo un mese dopo la sua elaborazione nel Sudan, in vari paesi europei nello spazio di pochi mesi. Questo era semplicemente impensabile un secolo prima.
3. L'Africa e i contatti e le relazioni con l'Europa
Fino alla metà del secolo XIX l'Africa continuava ad essere per gli europei un grande enigma. Le carte geografiche dell'epoca contenevano alcune indicazioni circa le sue coste, ma se ne riempiva la parte interna con delle iscrizioni quasi sempre frutto di fantasia. Nell'antichità c'era stato qualche tentativo di penetrazione nel cuore del continente; ma solo a partire dalla metà del secolo XV l'Europa cominciò ad interessarsi dell'Africa con l'espansione portoghese lungo le coste atlantiche, seguita da alcune esplorazioni da parte di altri paesi europei. Ma questi esploratori non passarono più in là delle coste. Una serie di fattori avevano reso impossibili maggiori contatti.
- Fattori di tipo geografico
La configurazione geografica dell'Africa rendeva inaccessibile e pericolosa la penetrazione interna del Continente. I venti alisei trascinavano le navi verso le coste americane. La configurazione geografica del continente si poteva paragonare a un piatto rovesciato, come lo descriveva l'esploratore Speke, per cui le sue coste normalmente sono rappresentate diritte, continue, lisce, con pochi golfi naturali, con rare penisole e luoghi che rendessero possibile l'ancoraggio delle navi, senza grandi porti naturali riparati e profondi, necessari perché una civiltà possa estendersi. I pochi grandi fiumi lungo i 30.500 Km delle coste africane frequentemente non facilitano la navigazione fluviale dovuto alla loro configurazione.
Nell'interno del continente non esistevano vie di comunicazione. Il "piatto rovesciato" di cui parla Speke, era formato da catene di montagne al centro, grandi altipiani che, improvvisamente, sboccavano su paurosi precipizi, o su estese vallate, o andavano a finire in luoghi sbarrati o in desolanti deserti, o interminabili paludi attraversate lentamente da fiumi nel loro scorrere verso il mare come vene ricoperte di erbe e di fango. A questo si aggiunga il clima letale, per cui era quasi impossibile pensare a fondazioni stabili. La conoscenza di luoghi e persone si arrestava sempre alla superficie.
Il litorale nord restava "proibitivo" a causa di corsari berberi e turchi. Il contatto che gli europei erano riusciti a stabilire lungo le coste occidentali, si limitò allo scambio di prodotti con le tribù rivierasche e restava subordinato alla tratta degli schiavi. Questa ignominia, costituisce uno dei condizionamenti più determinanti: perché le scorribande degli schiavisti arabi musulmani o di altre tribù arabizzate, e quelle degli europei, causarono la migrazione di molte tribù verso l'interno del continente e il rifiuto da parte delle popolazioni indigene dell'interno a trattare con arabi ed europei.
- Fattori di tipo economico-politico
Le invasioni arabe e la susseguente espansione dell'Islamismo nell'Africa settentrionale preclude questa zona ai contatti europei. Il Mediterraneo, da "mare nostrum", diventa una frontiera ostile. L'Africa interiore, dovuto a questo "muro" di separazione, si vide privata durante secoli del flusso di idee che avrebbero potuto aiutarla a progredire. Anche se a partire dal secolo XV si registra un cambiamento notevole dovuto ai tentativi delle potenze europee di penetrare nel continente da settentrione per esplorare le coste occidentali, l’intento serio di penetrazione delle stesse nel continente avverrà soltanto nell’800.
Tutti questi fattori hanno ritardato un contatto autenticamente positivo tra l'Africa e l'Europa e hanno reso sterili fin dagli inizi alcune iniziative missionarie lungo le coste. Solo quando tali fattori saranno eliminati, e lo saranno solo in parte nel secolo XIX, si potrà parlare di una nuova tappa nella storia dell'evangelizzazione.
- Fattori di una mentalità razziale
L'Africa non solo rimase un continente chiuso e ostile per la sua configurazione geografica, ma rimase tale anche per altri drammi. L'europeo interpreta a modo suo i condizionamenti suindicati. Questa interpretazione si riflette chiaramente nell'idea che l'europeo illuminista si fa del nero africano, come si può riscontrare dalla lettura della voce "nero" nei dizionari dei secoli XVIII e XIX.
Un altro esempio di tale mentalità lo troviamo nel tipo di lettura del passo biblico relativo alla maledizione lanciata da Noé sul figlio Cam (cf. Genesi 9, 24-26), e che in quest'epoca si applica con superficialità alla razza nero-africana. Un fenomeno ignominioso aiuta allo sviluppo di tale mentalità: il commercio degli schiavi occidentale (da aggiungere a quella orientale o araba) che si sviluppò progressivamente a partire dal sec. XV fino a raggiungere dimensioni gigantesche a partire dal secolo XVII, quando si giunge al massimo sviluppo delle grandi piantagioni di canna da zucchero, di cotone, di tabacco, che esigevano un'enorme quantità di mano d'opera. Il trattato di Utrecht del 1713, che mise fine alla guerra di successione spagnola, concesse all'Inghilterra il monopolio della tratta, che doveva fornire all'America cinquemila schiavi all'anno. Il porto di Liverpool diventava grande emporio di questo vergognoso commercio.
La spietata caccia al nero-africano, la condizione e il trattamento inumano riservato agli schiavi sono conosciuti attraverso i resoconti di numerosi testimoni dell'epoca. Alcuni autori giunsero perfino a giustificare moralmente la tratta. Questa mentalità continuò in molti autori del mondo cattolico fino a buona parte del secolo XIX. Lo riconosceva il Vescovo di Savannah, negli Stati Uniti, Verot, durante il Concilio Vaticano I.
Nel campo laico questa mentalità permissiva era doppiamente radicata. Grandi figure dell'Illuminismo l'avevano addirittura teorizzata. Basti ricordare l'idea del Montesquieu sul nero, che coincide perfettamente con l'idea condannata dal Vescovo di Savannah già riportata, o anche l'atteggiamento di Voltaire riguardo alla schiavitù, il quale ricavava vantaggi personali dalla tratta. Ancora più razzista si dimostra Louis de Secondat Montesquieu, nella sua opera «L’Esprit de lois», dove giustifica la schiavitù dei popoli dell’Africa. Da parte sua Hegel, nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia pubblicate poco dopo la sua morte (1831), dedica alcuni paragrafi all’Africa e sostiene in essi tesi inaccettabili di esplicita posizione razzista e discriminatoria.
Nel mondo protestante si era diffusa, già a partire da Lutero e Calvino, una mentalità teologica "segregazionista" nel campo della salvezza e dell'evangelizzazione (si pensi alla dottrina sulla predestinazione), che sarà abitualmente applicata durante l'esercizio della tratta degli schiavi. Sullo sfondo di questa mentalità, più diffusa di quanto si possa immaginare, si proietta una concezione che credeva l'esistenza di popoli maledetti per i quali si considerava inutile l'evangelizzazione. Si basava sulla già citata errata interpretazione di Genesi 9, 24-26. Non pochi l’identificavano con i popoli di razza nera. L'idea si fa strada durante il periodo della tratta schiavista, anche per giustificare ciò che si sta facendo. Per questo già sul finire del secolo XVII il "Dictionnaire Theologique" di Bergier si vede obbligato a respingere tale interpretazione. Questa mentalità, che si va imponendo nei secoli XVIII e XIX, fu favorita anche dal disincanto delle teorie del "buon selvaggio" dell'Illuminismo. A ciò cooperano i viaggi degli europei che entrarono a contatto con questi popoli. I protagonisti del Movimento missionario, soprattutto Libermann e Comboni, lotteranno instancabilmente contro questa mentalità, con riferimenti espliciti e argomenti solidi contro di essa nei loro scritti fondamentali.
Davanti alla situazione di degrado umano in cui versavano molti popoli africani, alcuni credono che soltanto l’introduzione di una nuova civiltà, quella cristiana e commerciale europea potrà rigenerarlo. Sono sintomatiche a questo proposito alcune frasi, come quelle del celebre missionario ed esploratore presbiteriano David Livingstone (1813 - 1873) che in una conferenza, affermava: "Ritorno in Africa per aprire una breccia al commercio e al cristianesimo" (Cf. D. LIVINGSTONE, Missionary Travels and Experiences in South Africa, 1857, p. 226). Ma il commercio legittimo che, secondo Livingstone, avrebbe dovuto sopprimere la tratta degli schiavi e portare all'Africa i benefici della civiltà, non si svolse come egli immaginava. Nel 1890 il romanziere inglese Joseph Conrad, dal barcone col quale risale il fiume Congo, descrive ancora il continente africano come un pianeta sconosciuto, regno di una "nera e incomprensibile forza bruta". Perciò i padroni bianchi si imbattono con una "eredità maledetta che devono sottomettere a costo di profonde angustie e duro lavoro".
Questa visione, che prima giustificava la tratta degli schiavi, adesso pretende giustificare lo sfruttamento economico e la dominazione coloniale del continente e della razza nera. Nel scolo XIX si nota una dissociazione progressiva tra l'assurda lettura e interpretazione di Genesi 9, 24-26 e le sue applicazioni alla tratta, in nome d'una filantropia dalle radici illuministe, la quale pretende di fabbricare una fraternità umana laica. Ma in fondo in fondo durante l'epoca coloniale perdura sempre la stessa mentalità con la pretesa di giustificare tale commercio. Il Movimento missionario scopre proprio nella razza nera "la parte più povera e abbandonata dell'umanità", e dedicherà ad essa le sue migliori energie come annuncio di quel Vangelo, che è fonte di un'autentica dignità e ispiratore d'una lotta ad oltranza, nel seno della società europea, contro quella mentalità razzista.
- Il fattore della tratta europea degli schiavi
Il quarto gran fattore che impedì un autentico incontro del mondo occidentale cristiano con l'Africa e con l'azione missionaria, fu la tratta europea degli schiavi o"tratta atlantica". Questo traffico fece fallire quasi tutti i tentativi di sviluppare un'altro tipo di commercio in Africa e impedì un'effettiva presenza missionaria. Finché il movimento antischiavista e gli orientamenti dell'economia non provocarono un cambiamento con l'abolizione della schiavitù e la proibizione della tratta, non fu possibile un'effettiva presenza missionaria.
4. Tappe nei contatti tra l'Europa e l'Africa nel secolo XIX
La carità cristiana aveva messo la sua attenzione sul continente africano molto prima che se ne interessassero quelli che cercavano in Africa interessi commerciali e coloniali. Basterebbe ricordare i casi dell'Etiopia, del Mozambico, del Kenya, del Regno di Monomotapa, dell'Angola - Congo e del Golfo del Benin e della Guinea. Spesso i missionari furono anche veri e propri esploratori. Le loro esperienze più tardi si intrecceranno con i sentieri degli esploratori, degli agenti commerciali e, finalmente, con le bandiere coloniali europee, turche e arabe. Durante il secolo XIX, l'attività missionaria presenta un denominatore comune, sul cui fondo emergono e prendono consistenza personalità e istituzioni. Bisogna quindi segnalare i vari momenti nei quali si articolano i contatti africani di esploratori, commercianti e politici.
- La prima tappa: l'esplorazione geografica e commerciale dell'Africa da parte dell'Europa
Il primo momento si può collocare dalla metà del secolo XVII alla prima metà del secolo XIX. Durante questo periodo i viaggi, soprattutto di esplorazione, non danno risultati positivi o, addirittura, finiscono tragicamente con la morte degli esploratori. Raro il caso del medico chirurgo e botanico scozzese Mungo Park, che muore nel 1785 sul fiume Niger, da lui scoperto (Cf. MUNGO PARK, The Journal of a mission to the interior of Africa in the year 1805, London 1815. (Nostra trad. dall’originale inglese). Venti anni prima un altro scozzese, James Bruce, raggiungeva il lago Tana. Ed anche A. Gordon (1793 - 1926), pure lui scozzese, partendo da Tripoli attraversava il Sahara, percorrendo ben 650 Km, fino ad arrivare a Timbuctù il 18 Agosto del 1826. Era il primo europeo che vi era giunto. "I primi e basilari problemi della conoscenza del continente africano si avviavano verso una soluzione ed eccitavano il desiderio di spedizioni ognor più concrete e temerarie ... La serie di esploratori pionieri si va arricchendo con decine e centinaia di nomi: Clapperton e Lander scoprono il Lago Chad nel 1822 - 1825, e in seguito il Langer nel 1830 percorrerà il corso inferiore del Niger; Caillé arriverà a Timbuktù partendo dalla costa senegalese e attraverserà poi, lui per primo, l'occidente verso il Marocco (1827). Il Barth tra il 1850 e 1855 visita tutte le regioni del Chad, da Adomava e dal Barghini e da Bonn, scoprendo che il fiume Benné è un'affluente del Niger" (Così G. HARDY, Vue générale de l’histoire d’Afrique, Paris 1937, p. 102. (Nostra trad. all’italiano). Le sue note "Reisen und Entdeckungen in Nord - und Central Afrika, en den Fahren 1849 bis", sono un esempio di precisione e di bellezza descrittiva. È questa la tappa in cui la curiosità geografica trova in Africa un "autentico laboratorio geografico" (G. HARDY, op. cit., p. 92). È questa la tappa della fondazione delle grandi società geografiche, che sosterranno molte di questa spedizioni e daranno vita a molte riviste geografiche appoggiate dai Governi.
- La seconda tappa dell'esplorazione
Dopo il 1848 cominciano "i quattro decenni più splendidi dell'esplorazione africana" (F. JAEGER, Afrika, Leipzig 1928, p. 7). Heinrich Barth, Eduard Vogel, Gustav Nachtigale, Schwienfurth, Gerhard Rohlfs, Livingstone, Stanley e altri faranno conoscere in Europa abbondanti dati geografici e antropologici fino allora sconosciuti per gli occidentali. L'antica Associazione Africana inglese si converte in "Reale Società Geografica", sovvenzionata dal Governo britannico. Questa invierà in Africa, diretto al lago Tanganika, Burton e Speke nel 1858 poi Speke e Grant al lago Vittoria - Nyassa e alle sorgenti del Nilo nel 1862 - 1864. Sarà pure per mezzo di questa Società che Livingstone troverà appoggio e finanziamento per la sua spedizione che doveva esplorare la zona dello Zambesi nel 1859 - 1864, e che portò alla scoperta del lago Nassa (Per quanto riguarda l’African Association e il suo fondatore, Sir Joseph Banks (1735-1820), cf. HOME, Sir Joseph Banks and the Royal Society, London 1822). E così, in meno di un secolo, lo "spirito di curiosità geografica" aveva arricchito la mappa dell'Africa di elementi più precisi.
Parallelamente a questo movimento di esplorazione si porta avanti un altro movimento: quello dell'occupazione dei territori esplorati, che già fin dal 1880 può considerarsi come un periodo caratteristico. Comincia una specie di "ruée politique" (La frase è di G. HARDY, op. cit., p. 102. (Nostra trad. all’italiano). che sarebbe sboccata poi nella spartizione dell'Africa tra le potenze coloniali europee (H. DUBOIS, Le Répertoire Africain, Roma 1932, p. 15: «L’Afrique noire n’est plus qu’une mosaïque des Colonies»).
- La spartizione coloniale
Si suole segnalare il viaggio di Stanley in Africa dopo il suo primo incontro con Livingstone come un viaggio con implicazioni coloniali. Stanley attraversa il continente dallo Zanzibar fino allo sbocco del fiume Congo. Tornato in Europa ebbe un'intervista col rappresentante del re Leopoldo del Belgio, che dette come risultato l'inizio di quella spartizione coloniale del continente africano, che si consumerà definitivamente a partire del famoso Congresso di Berlino (1884 - 1885).
Fino a questo momento, molti esploratori credevano che fosse possibile la " rigenerazione" della razza nera e della sua incorporazione nel mondo della cultura occidentale attraverso l'evangelizzazione e il commercio come allora si diceva. Le tribù si sarebbero riunite in federazioni, da qui sarebbero scaturiti lo sviluppo, il commercio e le nuove nazioni africane. Tale era la visione della prima filantropia del secolo XIX. Ma l’orientamento dell'economia occidentale portò in Africa gli interessi di compagnie e di governi europei che fino allora non avevano preso seriamente in considerazione una politica di espansione coloniale in quel continente; fino a quel momento, tutt'al più, i governi si vigilavano mutuamente e cercavano zone costiere d'influenza. Adesso gli interessi economici orientavano in nuova direzione anche gli interventi politici.
I fattori che precipitarono la spartizione del continente furono l'improvvisa entrata in scena di quelle potenze che fino allora non avevano avuto in Africa nessuna classe di interessi, la nuova "entente" europea dopo la guerra franco - prussiana del 1870 e l'apparire di due nuove potenze economiche sullo scenario europeo: il Belgio e la Germania di Bismark. Queste nuove potenze combinarono l'equilibrio della bilancia di poteri e provocarono un rapido e quasi violento movimento nel quale tutte le potenze europee si precipitarono a reclamare una qualche sovranità economica e politica in Africa. Si giunse così al Congresso di Berlino. Le ambizioni di Leopoldo II del Belgio prima e quelle di Bismark poi furono i fattori che determinarono l'improvvisa spartizione.
Tale suddivisione, nelle sue origini, fu essenzialmente una proiezione della politica europea su territorio africano. Nel 1879 solo una piccola parte del continente era sotto dominio europeo. Nel 1900 tutto il continente diviso in quaranta unità politiche, con sei eccezioni delle quali quattro avevano più carattere nominale che reale, era passato completamente sotto la dominazione europea. La Conferenza di Berlino (15 Novembre 1884 - 26 Febbraio 1885), fu solamente l'atto conclusivo d'un precedente dibattito internazionale. In questo contesto di fattori determinanti e di tappe successive, è necessario inquadrare il Movimento missionario e la sua presenza evangelizzatrice in Africa.
5. Il Movimento missionario a favore dei popoli nero - africani
La prima attenzione del Movimento missionario sugli albori del secolo XIX fu verso il Nordamerica. Un secondo polo di speciale attenzione fu per il Medio ed Estremo Oriente. L'Oceania e l'Africa avrebbero chiamato l'attenzione in un terzo momento. Fu la sensibilità caratteristica di codesto Movimento verso "i più poveri e abbandonati" ciò che lo spingerà verso il mondo nero - africano. Questa attenzione prende il via in quei luoghi dove alcuni missionari hanno l'opportunità di venire a conoscenza di situazioni di vera prostrazione in cui giacevano i figli di questi popoli, dovuta soprattutto alla schiavitù. Ci troviamo anche nell'epoca in cui il movimento abolizionista della schiavitù sta trionfando in Inghilterra, e le idee vanno penetrando negli ambienti francesi (già nel 1835 gli schiavi dell'isola Maurizio ottengono la libertà). Il 3 Dicembre del 1839 Gregorio XVI aveva pubblicato la "In Supremo Apostolatus". In questo ambiente alcuni sacerdoti missionari manifestano una preoccupazione fondamentale: quella della liberazione integrale degli schiavi. La loro predilezione apostolica, nata dal motto paolino, sintetizzato da loro in parole come: "l'amore di Cristo ci spinge verso i più poveri e abbandonati", si dirige verso di loro.
Ci veniamo così a trovare con una prima missione africana diretta agli schiavi neri e sostenuta dai missionari, provenienti in maggior parte dai nuovi Istituti missionari che vanno nascendo come frutto di un più ampio Movimento missionario. I casi più significativi in questa prima tappa sono quelli delle Suore della Madre Javouhey in Africa occidentale, e i missionari del P. Libermann. Seguono altre provenienti dalla Francia, dagli Stati Uniti, dal Belgio, l’Inghilterra, dall’Impero Austro – Ungarico, la Germania e l’Italia, dove spicca il caso di Daniele Comboni. Il movimento missionario genera un arcobaleno di presenze che toccheranno tutti i punti del continente africano, indipendentemente dalle presenze coloniali, e spesso anche prima. Tale movimento darà origine a una crescente articolazione di spazi ecclesiali strettamente dipendenti da ognuna delle varie matrici missionarie che si svilupperanno fino a convertirsi, a poco a poco, soprattutto già nel nostro secolo XX alla vigilia del Vaticano II, nelle cosiddette "Chiese particolari".
L’esperienza dei fondatori missionari ha un denominatore comune: una determinata presenza di Gesù Cristo nelle loro vite, una passione per la Chiesa e un amore senza limiti per le persone più emarginate. Questa triplice dimensione li porta a lavorare senza risparmio di fatiche per la diffusione del Vangelo con lo scopo della rigenerazione cristiana dei popoli dell'Africa. Presentano piani, che troviamo più o meno sviluppati da quello della Madre Javouhey (1779 - 1851), fino a quello del P. Libermann (1802 - 1852), dal Massaja, dal Comboni (1831 - 1881), o del Lavigerie (1825 - 1892), si esprimono con frasi come queste: "Faire travailler[pour l’Afrique] à son propre redemption" (Libermann), o "Salvare l'Africa con l'Africa" "Rigenerazione dell’Africa" (Comboni).
In questo orizzonte emerge chiaramente la differenza tra filantropia umanitaria e l'attività missionaria. Questi fondatori cercarono sempre "l'uomo africano" e manifestarono un'enorme fiducia nella possibilità di autentica liberazione, basata nella libertà portata da Cristo, come lo proclamano i "Piani" a cui abbiamo accennato sopra. La fonte comune di tale fiducia è rappresentata sempre dalla loro fede cristiana e dall'esperienza di quella "Caritas Cordis Christi", della quale tutti essi si sentono apostoli. Daniele Comboni, uno di questi apostoli e profeti spicca senz’altro in questa storia missionaria e per questo la Chiesa lo proclama santo.
P. Fidel González Fernández mccj