Era in lista d’attesa, ma grazie all’Africa, ad una donna musulmana e alle suore da lui fondate, il Beato Daniele Comboni ha imboccato “deciso” l’ultimo tratto che lo porterà all’onore degli altari.
Ma veniamo ai fatti: Ospedale di Khartoum (Sudan), 12 novembre 1997. Giunge LUBNA ABDEL AZIZ, una donna musulmana in procinto di dare alla luce il suo quinto figlio. Sarà necessario un cesareo. Durante l’intervento Lubna si aggrava, una emorragia inarrestabile mette in serio pericolo la sua vita. I medici, dopo aver tentato il tutto, si arrendono. Non le suore comboniane che prestano servizio in quell’ospedale. Chiamano le infermiere, radunano i parenti della donna e dopo aver messo un’immagine del Comboni sotto il suo cuscino vanno tutti in cappella, cristiani e musulmani, a pregare insieme l’Unico Dio perché, per intercessione di Comboni, risparmi la vita di Lubna. Il giorno successivo la donna comincia a migliorare tra lo stupore di tutti i medici, cristiani e musulmani.
La notizia della guarigione “impossibile” ha preso il largo e in questi anni ha affrontato tutto l’iter necessario per essere riconosciuta come miracolo e aprire la strada al riconoscimento della santità di Comboni.
Questa è una buona notizia per l’Africa, la terra per cui lui ha scommesso tutto, anche la vita, quasi lamentandosi di averne appena una, perché se fossero state mille, tutte le avrebbe donate a questo continente dimenticato da tutti, ma non da Dio.
Una buona notizia perché Comboni è riuscito, proprio in Sudan, a far pregare insieme cristiani e musulmani. Questo di per sé è già un gran miracolo.
(Suor Elisa Kidané - Raggio 12.2002)
LUBNA ABDEL AZIZ, nata a Khartoum (Sudan) nel 1965, di anni 36 al tempo dei fatti, di professione casalinga, di nazionalità sudanese e di religione musulmana, residente a Khartoum. Sposata nel 1986 a Khedir El Mubarak, mamma di 5 figli.
I FATTI
Lubna Abdel Aziz, di 36 anni, è al suo quinto parto, tutti per taglio cesareo. È ricoverata al "St. Mary’s Maternity Hospital", una clinica della chiesa cattolica, gestita dalle Suore Comboniane a Khartoum (Sudan).
Il cesareo è stato effettuato alle 7.30 dell’11 novembre 1997 dal dott. Tadros Samaan Tadros, medico ostetrico ginecologo, con studi di specializzazione in Inghilterra e molti anni di pratica. Viene alla luce un maschietto di 5 libbre. L’intervento inizialmente si è svolto normalmente; si è poi complicato per una grave emorragia e uno shock, fino a portare la paziente in fin di vita. Durante l’operazione, racconta il dott. Tadros, notammo che c’era una situazione patologica della placenta che si presentava "previa e accreta", profondamente aderente alla parete muscolare dell’utero, particolarmente a sinistra. Si decide di lasciarla dove era. L’intervento si conclude e la paziente si riprende dall’anestesia.
Alle 12.00, compare una nuova emorragia, con abbassamento della pressione arteriosa e indebolimento del polso. Vengono somministrate 2 unità di sangue, liquidi per via endovenosa e corticosteroidi. Si impone una difficile alternativa: lasciare che la paziente muoia o procedere a un altro intervento chirurgico. "Per me avevamo fatto tutto il possibile" confessa il dott. Tadros, "non restava altro da fare che pregare". La prognosi non lasciava spazio alla speranza.
Alle 14.00, la paziente viene portata di nuovo in sala operatoria per un’isterectomia, in anestesia generale con Ketalar, e le viene somministrato altro sangue. Rimosso l’utero, si ha una nuova, grave emorragia. Il polso si fa impercettibile e non si registra la pressione arteriosa. Dopo l’intervento, la donna viene posta nell’unità di cure intensive, con trasfusione e liquidi per via endovenosa.
Alle 17.30 la donna perde abbondantemente sangue dalla ferita addominale: il sangue non si coagula e i medici emettono la diagnosi di afibrinogenemia. Si cerca sangue fresco e fibrinogeno, ma non si trovano né 1’uno né l’altro negli ospedali pubblici e privati delle "tre città" che compongono Khartoum. Viene somministrato il sangue che si riesce a trovare, anche se non è fresco e pertanto non contiene i fattori di coagulazione necessari; alcune unità non sono neanche controllate per l’AIDS e l’epatite. Ad un certo punto, il marito della donna riesce a trovare, non si sa dove, 2 fiale di fibrinogeno che vengono somministrate, ma buona parte va perduta per l’ostruzione dell’agocannula.
L’addome della paziente si distende in modo evidente e la donna entra in stato di shock (polso filiforme, pressione arteriosa non misurabile, oliguria). "A questo punto, noi suore" scrive Suor Bianca Benatelli "abbiamo messo sotto il cuscino della paziente l’immagine del Beato Daniele Comboni, affidandola a Lui. I parenti ne sono testimoni". "Come superiora della comunità" dice Suor Bianca Garascia "ho preso la decisione di iniziare una novena di preghiere al Beato Daniele Comboni per la guarigione della signore Lubna. Ho telefonato anche a Suor Nunzia (Inganni, superiora provinciale delle missionarie comboniane nel Nord Sudan, ndr) per metterla al corrente della situazione e chiederle che le suore della sua comunità si unissero alla novena di preghiere al Comboni perché la donna non morisse. Alle 19.00, riunitasi la comunità per la preghiera dei vespri, tutte insieme abbiamo supplicato: "Comboni, intercedi per Lubna. Comboni vieni in suo aiuto, è una sudanese, è una della tua terra amata, intercedi per lei, fa che non muoia". Alle 20.45 dottori e suore si sono ritrovati tutti uniti nella cappella della clinica a pregare per Lubna. Sembrava la fine.
Alle 21.00 il dott. Tadros inserisce un drenaggio nella parete addominale e ne estrae una grande quantità di sangue.
La paziente viene tenuta sotto stretta osservazione dal dott. Salvatore Bessarione Jaia e da Suor Silvana Orlanda La Marra. Le trasfusioni continuano per tutta la notte. "Sembrava che da un momento all’altro se ne andasse" racconta Suor Bianca Benatelli "tanto che, ad un certo momento, ho detto al dottor Salvatore ‘dì al marito che non si stanchi più ad andare in cerca di sangue, così sarà presente, se eventualmente dovesse sopraggiungere la morte’. Ma il dottore mi ha risposto ‘Lascia che vada’. Pregavo. Pregavo Comboni e chiedevo al Signore un aumento di fede. Volevo far capire alla mamma dell’ammalata e all’ammalata stessa (che è rimasta sempre cosciente, tranne nel momento in cui si assopiva e sembrava stesse per morire) chi era Comboni e come dovevamo chiedere la sua intercessione. Avevo un po’ di timore, essendo essi musulmani. Verso la mattina finalmente ho detto: ‘Comboni fu qui in Sudan il secolo scorso. Venne per portare l’Amore del Signore a tutti. Lui amò il Sudan e i Sudanesi. Comboni è morto qui tra questo popolo amato. Ora noi sappiamo che è presso Dio ed è suo amico, quindi nella situazione di chiedere favori… ed è quello che ora noi stiamo facendo’. Hanno acconsentito a quanto avevo detto. Verso le 4,30, la donna sembrava un po’ più sollevata, era serena, il polso era buono, la pressione 70/90. Durante la notte, quando sentiva uscire il sangue dalle ferite diceva ‘il sangue esce, non dirlo a mio marito’. Intanto il marito andava e veniva, sempre in cerca di sangue, la accarezzava e pregava".
"Finita la messa, alle 7.00 , suor Orlanda mi manda a chiamare, - prosegue Suor Bianca - trovo la donna incapace di respirare, il gonfiore dell’emorragia aveva ingrossato enormemente l’addome. La donna supplicava di aiutarla. Perdeva sangue. Noi usiamo garza sterile per cambiare le fasciature. Ma in questo caso usavo solo uno strato di garza sterile. Ho usato del cotone, pulito, ma non sterile. Ho riservato quello sterile per metterlo vicino alla ferita. Era coperta con un grande asciugamano da bagno e sotto c’era il cotone sterile. La paziente continuava a dirmi ‘Per favore tienimi coperta. Non lasciare che mio marito e mia madre vedano tutto questo sangue. Coprimi’ ed io ho fatto così".
Arrivano i dottori. Decidono di operarla di nuovo, visto che non c’era alternativa: sarebbe morta ugualmente. Aprono la cavità peritoneale e la trovano piena di sangue; si nota un punto sanguinante vicino all’arteria uterina di sinistra che viene suturato; l’addome viene ripulito dal sangue e richiuso. Durante l’intervento la donna ha un collasso: polso e pressione non sono misurabili. Alla fine dell’intervento, si manifesta anche un edema polmonare, che un altro anestesista convocato cerca di controllare come può. Concluso l’intervento, la donna viene tenuta sotto stretta osservazione e trattamento.
Il 13 novembre, contro ogni aspettativa, le condizioni generali appaiono buone: la diuresi è soddisfacente, polso e pressione sono normali, i polmoni presentano alcuni rantoli, la donna è lucida e collabora. Il giorno seguente, anche l’intestino riprende la sua normale attività e la donna è decisamente ristabilita.
Viene dimessa il 18 novembre 1997, in buone condizioni !!!
Dalla disperazione del 12 novembre si è passati alla speranza del 13, per poi esplodere nella gioia della recuperata salute il 18 novembre, quando la signora Lubna lascia l’ospedale e se ne torna a casa in buona salute.
IL GIUDIZIO
Il giudizio dei medici e delle infermiere che hanno seguito il caso è concorde:
"La guarigione è stata improvvisa e stupefacente. Non fu certo dovuta alle mie cure. È ‘supra’, dall’alto" (dott. Tadros Samaan Tadros).
"Quando la paziente è stata dimessa non presentava nessuna delle complicazioni delle quali avevo parlato. Credo che sia dovuto all’intervento di Dio se la donna è ancora in vita" (Dott.ssa Diana Mitri Shehata).
"Sono convinta che quel giorno per le preghiere delle suore sia avvenuto un miracolo. Le suore hanno pregato molto. Ho visto l’immagine (del Comboni messa sotto il cuscino, ndr). Le suore, con l’immagine, hanno portato anche un libro del Comboni nella camera della malata. Quando essa si sentì meglio, ho visto questo libro sul suo tavolo. Le suore dicevano a Lubna: ‘Per l’intercessione del Comboni tu sei guarita’. I parenti si mostravano molto riconoscenti. Il caso finì anche sulla stampa locale sotto il titolo Gli angeli della misericordia". (Dott.ssa Jacqueline Milad S. Iskander).
La Consulta Medica della Congregazione dei Santi, ha riconosciuto, l’11 aprile 2002, che la guarigione della signora Lubna Abdel Aziz è stata rapida, completa, scientificamente inspiegabile.
Nel Congresso Peculiare del 6 settembre del 2002 i Consultori Teologi hanno riconosciuto il nesso tra guarigione della signora Lubna e l’invocazione del Beato Daniele Comboni riscontrando nello stesso tempo la preternaturalità della guarigione. Alle medesime conclusioni sono pervenuti i Cardinali e i Vescovi nella Sessione Ordinaria del 15 ottobre 2002.
Il decreto sul miracolo è stato promulgato il 20 dicembre dello stesso anno, alla presenza del S. Padre Giovanni Paolo II.