Mercoledì 12 febbraio 2025
Un gruppo di miliziani ha attaccato un gruppo di villaggi nella provincia di Ituri, seminando morte e distruzione. Inoltre, afferma padre Marcelo Oliveira, missionario comboniano: «La città di Goma è ancora in uno stato di conflitto tra l’esercito congolese e l’M23. Sono state uccise oltre 2.000 persone e ci sono migliaia di feriti. Gli ospedali sono affollati e anche i campi profughi sono stati attaccati».
Case bruciate, esecuzioni sommarie. La violenza continua a imperversare in Congo. L’ennesimo eccidio si è consumato nella provincia di Ituri: almeno 35 persone sono rimaste uccise. Ma il bilancio potrebbe essere molto più grave. Il capo del gruppo di villaggi attaccati nel territorio di Djugu, Jean Vianney, ha dichiarato alla Reuters che miliziani del Codeco hanno tirato fuori le persone dalle loro case, uccidendole.
«Abbiamo contato più di 35 morti e le ricerche sono in corso. Ci sono persone ferite, molte sono morte bruciate nelle loro case» ha affermato. Il leader della società civile locale Jules Tsuba ha dichiarato che sono stati contati finora 49 corpi e che le ricerche sono in corso. Il Codeco è una delle miriadi di milizie che combattono per la terra e le risorse nel Congo orientale. In passato è stato accusato dalle Nazioni Unite di attacchi contro altre comunità, tra cui i pastori Hema, che potrebbero costituire crimini di guerra e crimini contro l'umanità. La maggior parte dei residenti nel territorio di Djugu sono Hema. «Le vittime appartengono alla comunità Hema», ha detto Vianney, aggiungendo che i soldati congolesi e le forze di peacekeeping delle Nazioni Unite di stanza a circa 3 chilometri (1,86 miglia) non sono intervenuti.
Dopo due giorni di calma relativa, gli scontri sono ripresi nell'est, nella provincia del Sud Kivu. Lo hanno riferito fonti di sicurezza locale, precisando che i combattenti dell'M23 hanno sferzato un attacco all'alba con i loro alleati ruandesi, contro le posizioni congolesi nella provincia del Sud Kivu. I combattimenti sono ripresi nei pressi della località di Ihusi, a circa 70 chilometri dal capoluogo di provincia Bukavu e a 40 dal suo aeroporto, secondo le fonti di sicurezza, mentre diversi testimoni locali hanno riferito di "forti spari". La ripresa degli scontri non è un segnale incoraggiante mentre sono in corso tentativi diplomatici per fermare la grave crisi in corso in Nord e Sud Kivu. Secondo dichiarazioni e valutazioni concordanti, nel mirino dell'M23 ci sarebbe anche Bukavu, e un'avanzata progressiva verso la capitale Kinshasa, quale obiettivo finale.
Altrettanto drammatica continua a essere la situazione nella provincia del Nord Kivu che sta affrontando una terribile crisi umanitaria, due settimane dopo l’occupazione della capitale provinciale di Goma da parte del gruppo ribelle M23, sostenuto dal Ruanda. «La città di Goma è ancora in uno stato di conflitto tra l'esercito congolese e l'M23. Sono state uccise oltre 2.000 persone e ci sono migliaia di feriti. Gli ospedali sono affollati e anche i campi profughi sono stati attaccati», afferma Padre Marcelo Oliveira, missionario comboniano portoghese, in un messaggio inviato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS). «L'obiettivo dell’M23 è conquistare la città di Goma» perché quest’ultima «svolge un ruolo importante nella vita del Paese», aggiunge. Durante i combattimenti, molti prigionieri sono fuggiti dall'ala maschile del carcere centrale. Tragicamente, molti di questi evasi hanno attaccato l'ala femminile, violentando più di cento detenute. «Molte donne e bambini sono stati uccisi. Nel caos, alcuni prigionieri hanno anche dato fuoco alle strutture e molti non sono riusciti a sfuggire alle fiamme», racconta il sacerdote.
C'è il rischio che le forze dell’M23 avanzino verso il Sud Kivu. Padre Marcelo sottolinea che attualmente è quasi impossibile portare aiuti di emergenza alla popolazione: «L'aeroporto è chiuso, la torre di controllo è stata vandalizzata, l'hardware è stato rubato. Supponiamo che possano esserci ancora ordigni inesplosi, quindi dovrà essere fatto un attento sopralluogo per verificare se sia possibile riaprirlo, poiché è l'unico mezzo per far arrivare aiuti umanitari in città».
Avvenire
Il cardinale Ambongo:
crisi «senza precedenti» nella Repubblica Democratica del Congo
Sono ore di attesa cariche di tensione quelle che si stanno vivendo nell’est della Repubblica Democratica del Congo, scosso dalle violenze degli scontri che oppongono i ribelli dell’M23, sostenuti dal Rwanda, alle forze congolesi. Un «cessate-il-fuoco immediato e incondizionato» da attuare entro cinque giorni è stato chiesto sabato dai leader dell’Africa meridionale e orientale che, temendo una conflagrazione regionale, hanno organizzato un vertice congiunto in Tanzania, con la partecipazione del presidente congolese Félix Tshishekedi — collegato in videoconferenza — e di quello rwandese, Paul Kagame. Il risultato del summit, accolto con favore dall’Unione europea, ha riaffermato al contempo l’impegno a sostenere il Paese africano nella «ricerca di preservare la propria indipendenza, sovranità e integrità territoriale», non dimenticando una terra già devastata negli ultimi trent’anni dai ricorrenti combattimenti nelle province del Nord e del Sud Kivu. Proprio a tale prolungata sofferenza delle popolazioni locali ha fatto riferimento ieri il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, nella messa per la pace e in ricordo delle vittime nei territori del Kivu, celebrata nella capitale congolese: «La nazione è in pericolo», ha subito avvertito.
La città di Goma, il capoluogo del Nord Kivu, è stata conquistata dall’M23 e dalle truppe di Kigali all’inizio di febbraio dopo combattimenti che secondo l’Onu hanno causato almeno 2.900 morti, con oltre 658.000 sfollati negli ultimi tre mesi — di cui più di 282.000 sono bambini, riferisce l’Unicef — mentre il conflitto si sta estendendo nel Sud Kivu. Secondo fonti locali e di sicurezza, sabato si sono registrati scontri a circa sessanta chilometri dal capoluogo Bukavu, i cui residenti hanno già iniziato ad abbandonare la città, mentre nella giornata di ieri la linea del fronte è stata più quieta. Nella sua omelia, il cardinale Ambongo Besungu ha parlato di crisi umanitaria e di sicurezza «senza precedenti», esprimendo dolore e «indignazione» per l’«orribile spettacolo macabro» a cui si sta assistendo. L’invito ai fedeli è stato a pregare per le vittime, per i feriti, per quanti interessati dal conflitto e «per il ritorno della pace», implorando «il Signore di toccare il cuore di tutti i protagonisti, perché diventino artigiani di una pace vera e duratura» nella nazione e nella regione dei Grandi Laghi. Proprio l’esortazione affinché «tutti accolgano l’appello di Dio» alla pace è stata più volte rimarcata dal porporato, che ha spinto ad «andare in profondità» riguardo ai motivi e ai mali che «ci dividono e ci mettono gli uni contro gli altri».
Riferendosi al fallimento delle precedenti iniziative di riconciliazione, l’arcivescovo di Kinshasa non ha taciuto le complessità delle cause di questi conflitti: «rivendicazioni identitarie», «appetiti economici», «ambizioni espansionistiche di alcuni dei nostri vicini» che, ha aggiunto, «sostenuti dalle multinazionali, stanno subappaltando complicità interne e tutto questo sotto lo sguardo impotente della comunità internazionale». Da anni, ha evidenziato, «denunciamo» tale realtà, ricordando che la Repubblica Democratica del Congo «rimarrà una e indivisibile». Di qui una esortazione ad «abbandonare ogni interesse egoistico per costruire la pace», uscendo da disperazione e miseria. Dal cardinale è arrivata anche la sollecitazione ad «accogliere» l’appello lanciato dalle Chiese cattolica e protestante alle parti in guerra per abbandonare le armi e cercare «soluzioni alle loro rivendicazioni attraverso il dialogo». L’auspicio, nel quadro del «patto sociale per la pace e la buona convivenza» proposto, è stato che le parti accettino di «sedersi attorno allo stesso tavolo» e che si segua «la strada della cooperazione transfrontaliera con tutti i Paesi limitrofi per interessi vantaggiosi per tutti, senza danneggiare nessuno». Invocato quindi uno sforzo ulteriore dalla comunità internazionale per «avere il coraggio di andare oltre le semplici dichiarazioni e usare tutta la propria influenza» in modo da fermare le violenze. La pace, quindi, va vista come quell’«ideale comune» che punta a ricostruire l’unità e la coesione, perché «se vogliamo salvare il Congo» non si può perdere «altro tempo».
Giada Aquilino - L'Osservatore Romano