Giovedì 19 dicembre 2024
Lo scorso luglio, papa Francesco ha eretto la nuova diocesi di Bentiu, scorporando parte del territorio della diocesi di Malakal. La mia nomina come primo vescovo di questa diocesi è stata un dono e una sorpresa. In agosto sono andato a prendere possesso della diocesi di Bentiu e celebrare l’Eucaristia con la popolazione.
Il territorio è molto vasto. Copre una superficie di quasi 38 mila km2. La popolazione conta circa 1 milione 130 mila persone appartenenti alle due etnie – dinka e Nuer – le cui relazioni non sono facili. I cattolici sono 450 mila, mentre i protestanti circa 350 mila. Il resto della popolazione segue la propria religione tradizionale. C’è anche una piccola ma significativa presenza di mussulmani.
Le parrocchie sono sette, tutte con una superficie molto e con un numero molto grande di cappelle. Dopo l’ordinazione sacerdotale di due giovani preti, il 10 novembre scorso, i preti diocesani sono ora nove. Nella diocesi abbiamo una comunità di missionari comboniani, che segue la parrocchia di Leer, e tre frati cappuccini che seguono la parrocchia di Rubkona.
Questa parte di popolazione è certamente tra le più emarginate e povere del paese. Il territorio è molto isolato e difficile da raggiungere. Non ci sono strade praticabili e per molti mesi dell’anno ci si arriva solo in aereo. La città di Bentiu è stata devastata dalla guerra civile che è durata dal 2013 al 2019.
Rubkona ospita il più grande campo di sfollati del paese: oltre 130 mila persone, costrette a vivere totalmente dipendenti dall’aiuto umanitario. Questo campo era nato a causa della violenza contro i civili perpetrata durante il conflitto. Dopo l’accordo di pace e la creazione del governo di unità nazionale nel 2019, la gente è rimasta nel campo sia a causa della povertà che di inondazioni. Il Nilo ha, infatti, esondato, allagando più della metà del territorio, sommergendo villaggi e terreni coltivabili. L’Acnur riporta che il 90% della popolazione ha abbandonato i propri villaggi per trovare rifugio in terreni più elevati e asciutti. In diocesi c’è anche la presenza di circa 70 mila rifugiati sudanesi, soprattutto di etnia Nuba, nei campi di Yida e Jamjang. C’è tanta miseria e la popolazione vive in una condizione di vulnerabilità molto grave.
A questo si aggiunge la crisi ecologica, che è sempre legata a una crisi di umanità. Infatti, lo sviluppo economico slegato dall’etica non riduce le disuguaglianze, ma le aumenta, insieme a evidenti ingiustizie. Infatti, il petrolio che è qui estratto non ha portato benessere alla popolazione. È stato fonte di arricchimento personale per la classe dirigente, ha alimentato la violenza nel paese e nelle aree dove c’è, e continua a fungere da motore principale della competizione tra le élite all'interno del sistema politico del paese. La produzione di petrolio ha avuto un impatto negativo sull’ambiente, a causa delle perdite di sostanze tossiche che oggi, con l’inondazione, inquinano le fonti d’acqua alle quali la popolazione attinge, non senza effetti negativi sulla salute. È uno sviluppo che ha dato priorità al profitto di alcuni gruppi, a scapito del bene comune, cioè la protezione dei più deboli, la promozione della pace e una vita più dignitosa per tutti.
Si avvicina il Natale. Mi sembra che la ricorrenza e il senso di questa celebrazione portino con sé un messaggio profetico molto forte per l’uomo di oggi, come anche per la Chiesa, la cui missione deve essere incarnata nei problemi reali, quelli cioè che tolgono vita.
I Padri della Chiesa ci ricordano che, nell’incarnazione, «Dio divenne uomo affinché l’uomo diventasse Dio». L’uomo, per quanto ci provi, che sia attraverso il potere o la scienza o la tecnologia, non può diventare Dio. Questi sforzi non lo portano ad altro che ad alienarsi e a perdere la propria umanità. Il Dio-fatto-uomo ci divinizza come uomini nella comunione con lui. Quindi, non ci nega di essere persone umane, ma ci guarisce dal modo dominante del nostro essere uomini: un modo che sta producendo orrori come la guerra in Medio Oriente e tanti altri pezzetti di guerre, di miserie, di ingiustizie che compongono un mondo dal volto sfigurato e disumano.
Gesù bambino ci fa vedere il vero volto di chi siamo: pellegrini che cercano la somiglianza con Dio, la comunione con Lui e i fratelli e sorelle. Gesù chiede tutto e non solo una parte: chiede tutto ciò di cui c’è bisogno perché il Suo sogno prenda forma. Soltanto chi non pensa a sé vive responsabilmente, ossia vive realmente. Solamente la Chiesa che non esiste per la propria autocelebrazione o preservazione, ma per il popolo povero di Dio, è veramente Chiesa. Questo è il cammino inaugurato dal Natale che ci apre a percorsi e prospettive nuove.
Possiate avere un cammino di nuova vita!
Padre Christian Carlassare, mccj
Vescovo di Bentiu e Amministratore Apostolico di Rumbek (Sud Sudan)