Sembra che l’esortazione “non abbiate paura” si trovi nella Bibbia 365 volte, come dire: ogni giorno dell’anno possiamo alleggerire il cuore e affrontare le fatiche del vivere ricordando questa Parola di consolazione, fondata sulla certezza che Dio ha cura per ciascuno di noi: qualunque cosa accada, non avere paura, sei nelle Sue mani. (...)

Cosa vale di più?

Matteo 10,26-33

È la paura a ricordarci il valore del nostro esistere proprio quando stiamo per crollare. È la paura a ricordarci che il prezzo del credere non è ascrivibile alle nostre qualità umane. È la paura a ricordarci la preziosità di ogni legame affettivo nonostante le delusioni. I tre inviti a non cedere alla paura da parte di Gesù possono anche essere letti secondo le prospettive opposte: c’è il rovescio della paura che serve per vivere.

L’avvertimento di Gesù ai discepoli inviati in missione ci conduce a temere “avversari” educati e religiosi, travestiti da angelo ma — pericolosamente — nocivi. Infatti la missione che Dio dona a ciascun essere umano è minacciata anzitutto dal nemico più subdolo che si chiama “consenso”. Occorre temere quando ci aspettiamo solo applausi e riconoscimenti, vuol dire che non amiamo la nostra missione ma i suoi risultati. In secondo luogo il discepolo di Gesù non teme la precarietà fisica o materiale, ma la rovina della sua vita. Non siamo solo vita fisica da preservare a tutti i costi, ma siamo spirito incarnato. Perdere qualcosa di noi stessi non vuol dire già perdere tutto: lasciarci rubare la libertà dello spirito in noi sì! La missione che siamo supera i criteri dell’efficienza individuale per camminare con le ali della vita, grazie a noi e — nello stesso tempo — nonostante noi.

Infine la paura che deve inquietare il missionario è quella di considerarsi inadeguato e senza sapore. «Valete più di molti passeri»: il verbo originaleδια, nella forma transitiva, vuol dire “portare attraverso, condurre per”. La missione esprime possibilità di vita piena se non dipende da ciò che è capace di dimostrare agli altri o da ciò che appare, ma se nutre la certezza di essere custodita e accompagnata da un Altro. La missione allora non è un’impresa manageriale dai tratti sensazionali, quanto l’esperienza di uno sguardo gratuito e disinteressato devoluto per la costruzione di un Regno di pace e di amore. Il rovescio della paura è racchiuso proprio qui: vivere senza questa gratuità.
[Roberto Oliva L’Osservatore Romano]

I passeri e i capelli del capo

Matteo 10,26-33

Sembra che l’esortazione “non abbiate paura” si trovi nella Bibbia 365 volte, come dire: ogni giorno dell’anno possiamo alleggerire il cuore e affrontare le fatiche del vivere ricordando questa Parola di consolazione, fondata sulla certezza che Dio ha cura per ciascuno di noi: qualunque cosa accada, non avere paura, sei nelle Sue mani.

È questo il filo rosso del discorso con il quale Gesù manda i suoi apostoli ad annunciare nel mondo il Regno di Dio. Facendosi portatori della Parola, annunciando un Dio Amore, prendendo posizione a favore dei più deboli, orientando i cuori alla verità, praticando la gratuità e il perdono come Lui, di certo incontreranno molte forze ostili e saranno come pecore in mezzo ai lupi; il mondo, infatti, preferisce altre logiche, si affida alla potenza, sposa spesso le mezze verità perché alla luce del sole preferisce la penombra. Un Dio che ama e invita all’amore è, ieri come oggi, elemento di disturbo.

Tuttavia, Gesù vuole rassicurare i suoi apostoli e ciascuno di noi: anche se a volte il male sembra farsi strada in modo invincibile, anche se il Vangelo a volte non fa rumore e sembra restare nascosto nelle pieghe di una storia ancora segnata dalla notte, anche se quando ti impegni nell’amore, nel perdono, nell’accoglienza sembri essere un perdente e pare che non si smuova nulla, tu non avere paura. Il bene e la verità, anche se silenziosamente, si fanno strada da soli. Pur restando apparentemente nascosta, l’opera di Dio trasforma, libera e guarisce, finché sarà gridata sui tetti. E anche se restare al Vangelo costa il martirio, fisico o spirituale che sia, in realtà tu non muori e la parola porta il suo frutto. Di una sola cosa bisogna aver paura, dice Gesù: di ciò che può uccidere la nostra anima, che può spegnerla e farla diventare assuefatta e tiepida. L’apatia, l’accidia, il pessimismo, la rassegnazione, la superficialità, l’egoismo sono i veri nemici dell’anima e della vita.

Dentro le vicende della nostra vita, quando il bene resta nascosto e il male talvolta prevalere, Gesù ci svela la cura di Dio per noi attraverso due immagini: i passeri e i capelli del capo. Neanche un passero cade se il Padre non vuole: non è il richiamo a un Dio capriccioso che decide in modo arbitrario, ma, al contrario, è come dire: anche per la caduta di un passero Dio si coinvolge e davanti a Lui non passa inosservata. Ora — sembra dire Gesù — se è così per i passeri che valgono poco, tanto più questa cura di Dio è rivolta a te: sei un figlio amato e Lui ha contato perfino i capelli del tuo capo: anche quando sono tagliati e cadono a terra, nessuno di essi andrà perduto, perché Dio li ha contati uno per uno: nessuno rimane solo nella notte o a terra per essere caduto: Dio si abbassa per raccoglierci e ci tiene nelle sue mani, qualunque cosa accada.

Se ho un Dio che mi ama così, allora posso camminare con fiducia. Allora, anche mentre cammino in una valle oscura, io non ho paura.
[Francesco Cosentino – L’Osservatore Romano]

Il Cristiano si fida e si affida a Dio

Matteo 10,26-33

Gesù, sul punto di inviare i Dodici in missione, pronuncia un “discorso apostolico”, detto anche “discorso missionario”. Il brano di questa domenica ne fa parte e vi troviamo anzitutto una raccomandazione, ribadita per ben tre volte, che sembra suggerire il tema delle letture di questa domenica: l’invito di non avere paura. Infatti, dice Gesù: “Non temete gli uomini. Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo: Non abbiate dunque timore”. Si tratta di ritrovare le ragioni profonde della fiducia da mantenere e consolidare anche in mezzo alle prove che comportano l’annunzio e la testimonianza del vangelo.

Gli apostoli avevano bisogno di quest’incoraggiamento per proclamare con coraggio la verità del vangelo, poiché la paura paralizza e può portare facilmente al rinnegamento o tradimento. L’annuncio della verità è sempre pericoloso; Gesù insiste allora sul fatto che non si deve avere paura di chi uccide il corpo ma di chi compromette tutto il nostro essere e il nostro destino ultimo.

Questa scelta di coraggiosa e serena fiducia appare anche nella prima lettura tratta dalle “confessioni” o “lamentazioni” di Geremia. Questo brano è strutturato secondo lo schema tradizionale della preghiera di supplica dei salmi. Il profeta non annunzia cose gradevoli. Per questo è bersagliato ed oppresso. Non è tuttavia sfiduciato. Egli affronta le avversità con coraggio, perché sente vicino a sé, al suo fianco, il Signore, al quale affida l’esito della propria vita. Questa pagina autobiografica del profeta Geremia sembra ricordarci che l’uomo giusto è destinato ad incontrare ostacoli e nemici a causa della sua fedeltà a Dio. La preghiera di Geremia si conclude con un breve inno (“Cantate inni al Signore, lodate il Signore, perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori”). Esso è la conferma che la sua invocazione è stata accolta dal Signore. Il caso di Geremia è esemplare. Tutti quanti che oggi ascoltano la sua “confessione” sono implicitamente invitati a riviverne l’esperienza. Al momento della prova possono contare anche loro sul Signore che rimane fedele per sempre.

Occorre comunque tener sempre presente il principio di conformità maestro-discepolo enunciato nel versetto 25: “Un discepolo non è da più del maestro… E’ sufficiente per il discepolo essere come il maestro”. Cioè il discepolo deve seguire ed imitare il modello che è il Cristo rifiuto e perseguitato dagli uomini. La persecuzione è quindi una possibilità sempre attuale. Tuttavia, l’identificazione nel comune destino di sofferenza col maestro, o la partecipazione alla condizione dell’uomo dei dolori, comporta anche la partecipazione alla sua gloria del risorto. Dio non ci dispensa dalla prova, ma ci assicura che il discepolo perseguitato non è abbandonato, ma assistito dalla sollecitudine del Padre. E’ l’unica certezza che il discepolo deve conservare nel crollo di tutte le altre sicurezze. Egli infatti deve stare attento alla provvidenza amorosa di Dio che veglia su di noi: “Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”.

Per un apostolo-discepolo esposto ad ogni sorta di pericoli, niente sorpassa la grazia di questa sicurezza perfetta, di quest’assicurazione che nulla di spiacevole gli può succedere senza il permesso del Padre celeste. Una unica paura e autorizzata all’apostolo o discepolo, quella di Dio, la paura o il timore di offenderLo o di rinnegarLo. Essa comporta la prospettiva della ricompensa al giudizio finale. Si ha l’impressione che l’incontro ultimo tra Dio e l’uomo sarà regolato dalla legge del taglione. Perché mentre Gesù, in altre occasioni, assicura che farà agli uomini esattamente ciò che loro avranno fatto ai propri simili (“Non giudicate, per non essere giudicati”, “Se voi non perdonate, neppure il Padre mio perdonerà a voi”), qui nel brano odierno Egli precisa che si comporterà nei confronti dei discepoli esattamente come loro si saranno comportati, nei suoi confronti, dinanzi agli uomini: se l’avranno rinnegato, Gesù li rinnegherà a sua volta. Se avranno avuto il coraggio di riconoscerlo e confessarLo apertamente, anche Gesù li “riconoscerà”. Si tratta più concretamente per noi oggi di avere il coraggio di segnare il passaggio da un cristianesimo passivo e timido ad un cristianesimo attivo, coraggioso, militante e fraterno. Certo, spesso coraggio e paura vanno a braccetto, tuttavia coraggio è anche avere paura ma andare avanti lo stesso.
Don Joseph Ndoum

“Non abbiate paura!”
Missione è fedeltà d’amore fino al Martirio

Geremia 20,10-13; Salmo 68; Romani 5,12-15; Matteo 10,26-33

Riflessioni
Al centro del ‘discorso missionario’ di Gesù, che invia i suoi discepoli ad annunciare il Regno, vi è la prospettiva vicina e concreta della persecuzione, forse un riflesso dell’esperienza che le prime comunità dei fedeli già stavano soffrendo, all’epoca in cui si scrivevano i Vangeli (Mt 10; Mc 6; Lc 10). Da qui l’insistenza di Matteo (Vangelo) nel ricordare per ben tre volte la parola rassicurante del Maestro: “Non abbiate paura!” (v. 26.28.31). Da sempre, queste parole hanno dato coraggio e hanno sostenuto la fedeltà degli annunciatori del Vangelo e dei martiri di tutti i tempi.

Il superamento della paura e la forza di dare testimonianza si basano:

- sulla destinazione universale del messaggio di Gesù: è per tutti i popoli, è un messaggio da portare alla luce del sole e da annunciare dalle terrazze (v. 27);

- sul santo timore di Dio: il senso profondo della Sua santità e maestà comporta che il primo posto corrisponda sempre e soltanto a Colui che ha la parola definitiva sulla salvezza dell’anima e del corpo (v. 28);

- sulla bontà del Padre che ha cura amorosa anche delle cose piccole, come i passeri, e perfino dei capelli del nostro capo (v. 29-31);

- infine sul bisogno di essere uniti e fedeli a Cristo, per amore, e in Lui essere uniti al Padre (v. 32-33).

Il profeta Geremia (I lettura) sperimentò l’amarezza della calunnia e il terrore della persecuzione (v. 10), ma anche la presenza del Signore al suo fianco “come un prode valoroso” (v. 11), al quale il profeta affida la sua causa (v. 12). Per questo invita a lodare il Signore, “perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori” (v. 13). San Paolo (II lettura) rafforza la speranza dei cristiani di Roma, affermando che il progetto salvifico di Dio a favore di tutta la famiglia umana supera qualunque limite imposto dalla storia e dal peccato dell’uomo. Infatti, “il dono di grazia non è come la caduta”, perché la grazia va ben oltre: “molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in Cristo Gesù si sono riversati in abbondanza su tutti” (v. 15). In forza del mistero pasquale nella morte e risurrezione di Cristo! (*)

Alla luce di tale mistero si possono capire le parole di un profeta del nostro tempo, Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), teologo luterano e martire del nazismo tedesco: “Dio ci ha salvato non in virtù della sua potenza, ma in virtù della sua impotenza”. E ancora: “È la fine! Per me è l'inizio della vita”. Ricordiamo, nel centenario della sua nascita (1920), Papa Giovanni Paolo II, che nel 1978 iniziò il suo pontificato con un chiaro invito a superare la paura: “Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!” Nel nostro tempo la paura è uno dei sentimenti più diffusi; e alcuni uomini politici la alimentano e lo cavalcano abilmente, facendone un uso strumentale ai fini dei loro progetti. “La paura è diventata uno strumento politico...; i nostri timori occulti di fatto ci rendono facilmente manipolabili”, diceva il P. Adolfo Nicolás (+2020), Superiore generale dei gesuiti. Resta poi vero che la paura è sempre una brutta consigliera.

Il superamento della paura e la fedeltà fino al martirio accompagnano sempre la Chiesa in ogni tempo e luogo. C’è una continuità fra i cristiani perseguitati nei primi secoli e le testimonianze di martiri recenti, ugualmente fedeli nell’annuncio del Vangelo e nella denuncia profetica. L’arcivescovo Oscar A. Romero, poco tempo prima di essere assassinato (El Salvador, 1980), dichiarò con decisione alle forze dell’ordine: “In nome di Dio e in nome di questo popolo che soffre, i cui lamenti si innalzano fino al cielo sempre più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi ordino: in nome di Dio, cessi la repressione”. Gesù l’aveva predetto: Perseguiteranno anche voi… Ma non abbiate paura! Io ho vinto il mondo!

Parola del Papa

(*)Non esiste la missione cristiana all’insegna della tranquillità! Le difficoltà e le tribolazioni fanno parte dell’opera di evangelizzazione, e noi siamo chiamati a trovare in esse l’occasione per verificare l’autenticità della nostra fede e del nostro rapporto con Gesù. Dobbiamo considerare queste difficoltà come la possibilità per essere ancora più missionari e per crescere in quella fiducia verso Dio, nostro Padre, che non abbandona i suoi figli nell’ora della tempesta… Per questo, nel Vangelo di oggi, per ben tre volte Gesù rassicura i discepoli dicendo: «Non abbiate paura!»”.
Papa Francesco
Angelus della domenica 25 giugno 2017

P. Romeo Ballan, MCCJ

Nessuno ci ama capello per capello come Dio
Ermes Ronchi

Matteo 10,26-33

Non temete, non abbiate paura, non abbiate timore. Per tre volte Gesù si oppone alla paura, in questo tempo di paura che mangia la vita, «che non passa per decreto-legge» (C.M. Martini), che come suo contrario non ha il coraggio ma la fede. Lo assicura il Maestro, una notte di tempesta: perché avete paura, non avete ancora fede? (Mc 4,40).

Noi non siamo eroi, noi siamo credenti e ciò che opponiamo alla paura è la fede. E Gesù che oggi inanella per noi bellissime immagini di fede: neppure un passero cadrà a terra senza il volere del Padre. Ma allora i passeri cadono per volontà di Dio? È lui che spezza il volo delle creature, di mia madre o di mio figlio? Il Vangelo non dice questo, in verità è scritto altro: neppure un uccellino cadrà “senza il Padre”, al di fuori della sua presenza, e non come superficialmente abbiamo letto “senza che Dio lo voglia”.

Nessuno muore fuori dalle mani di Dio, senza che il Padre non sia coinvolto. Al punto che nel fratello crocifisso è Cristo a essere ancora inchiodato alla stessa croce. Al punto che lo Spirito, alito divino, intreccia il suo respiro con il nostro; e quando un uomo non può respirare perché un altro uomo gli preme il ginocchio sul collo, è lo Spirito, il respiro di Dio, che non può respirare. Dio non spezza ali, le guarisce, le rafforza, le allunga. E noi vorremmo non cadere mai, e voli lunghissimi e sicuri.

Ma ci soccorre una buona notizia, come un grido da rilanciare dai tetti: non abbiate paura, voi valete più di molti passeri, voi avete il nido nelle mani di Dio. Voi valete: che bello questo verbo! Per Dio, io valgo. Valgo più di molti passeri, di più di tutti i fiori del campo, di più di quanto osavo sperare. Finita la paura di non contare, di dover sempre dimostrare qualcosa. Non temere, tu vali di più.

E poi segue la tenerezza di immagini delicate come carezze, che raccontano l’impensato di Dio che fa per me ciò che nessuno ha mai fatto, ciò che nessuno farà mai: ti conta tutti i capelli in capo. Il niente dei capelli: qualcuno mi vuole bene frammento su frammento, fibra su fibra, cellula per cellula. Per chi ama niente dell’amato è insignificante, nessun dettaglio è senza emozione. Anche se la tua vita fosse leggera come quella di un passero, fragile come un capello, tu vali. Perché vivi, sorridi, ami, crei. Non perché produci o hai successo, ma perché esisti, amato nella gratuità come i passeri, amato nella fragilità come i capelli.

Non abbiate paura. Dalle mani di Dio ogni giorno spicchiamo il volo, nelle sue mani il nostro volo terminerà ogni volta; perché niente accade fuori di Lui, perché là dove tu credevi di finire, proprio là inizia il Signore.
[Avvenire]

L’amore che scaccia il timore
Clarisse Sant’Agata 

Dopo il lungo tempo pasquale e le solennità del tempo ordinario, ricominciamo il nostro itinerario settimanale con la Parola dell’evangelo che accompagna ogni domenica il nostro cammino di credenti. Il Vangelo che risuona oggi nella liturgia è la seconda parte del capitolo 10 dell’evangelo di Matteo, dove Gesù chiama a sé i suoi e li invia ad annunciare la buona notizia, dando al loro annuncio un orientamento: “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10, 5-6); alla comunità ebraica infatti è rivolto l’intero vangelo di Matteo.

Non solo però questo, Gesù indica anche il “modo” dell’annuncio: “come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16). A queste indicazioni che dipingono il volto del discepolo, ma che , ancora di più, ci mostrano il volto del Maestro a lungo contemplato nei giorni santi da poco celebrati, segue il nostro brano di oggi che si apre con un invito, che nei versetti successivi diventa per ben tre volte un imperativo: “non temete”. “Non temete poiché non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato” (Mt 10,26); “non temete quelli che uccidono il corpo” (Mt 10,28); “non temete dunque timore: voi valete più di molti passeri!” (Mt 10,31).

E’ descritta una situazione di persecuzione nella quale in gioco c’è la vita; è descritto un mistero che è nascosto, ma che deve manifestarsi e una parola detta all’orecchio che deve essere gridata dai tetti. Un movimento dunque dalle tenebre alla luce che mette in gioco la vita, un mistero di cui si è partecipi davanti al quale il discepolo è chiamato a riconoscere o a rinnegare: “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,32-33). E davanti a questa possibilità l’imperativo di Gesù non è “non mi rinnegate”, ma “non temete”.

Questo stesso imperativo lo ritroviamo all’inizio dell’evangelo di Matteo quando si racconta “come avvenne la nascita di Gesù” (Mt 1,18). E’ l’invito rivolto dall’angelo a Giuseppe che si trova davanti ad un mistero che deve essere svelato e chiede di essere preso con sé perché questo possa avvenire: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria come tua sposa ” (Mt 1,20). Questo stesso invito lo ritroviamo anche alla fine dell’evangelo, quando le donne accorse al sepolcro per congedarsi dal corpo di Gesù, vengono sorprese da un terremoto e dalla visione di un angelo che rotola la pietra davanti al sepolcro, vi si siede sopra e rivolto a loro dice: “Non temete voi, so infatti che cercate Gesù il crocifisso: non è qui, è risorto come ha detto” (Mt 28,5-6). Da quanto abbiamo appena detto con “Non temete” si apre e si chiude l’intero evangelo quasi a dirci che “non temere” è il modo di passare dalle tenebre alla luce, è il modo in cui ciò che è nascosto viene svelato. “Non avere paura” è allora ciò che fa la differenza fra il riconosce e il rinnegare.

Ma come si può non temere quando in gioco c’è la vita? Come pensare di non temere quando il timore della morte costituisce le fibre più profonde della nostra umanità? Forse che l’evangelo ci invita a passare dall’umanità di cui siamo fatti ad una “eroicità” che, oltre a sottoporci ad uno sforzo immenso, ci espone ad una selezione perché non è per tutti? Cosa può voler dire questo “non temere” ripetuto spessissimo nella Scrittura e così tante volte in questi pochi versetti di oggi?

Ci rincuora sapere che con l’invito a non temere si apre ogni chiamata lungo la storia della salvezza. Ci rincuora perché questo vuol dire che di fronte all’immensità dell’Amore di Dio che si curva sulla nostra piccolezza Abramo, Mosè, i patriarchi, Giuseppe e Maria, Pietro e Paolo, tutti hanno avuto paura.

La prima lettera di Giovanni ci aiuta a rispondere alle domande che ci siamo posti testimoniandoci che c’è un solo luogo nel quale il timore si dilegua: l’Amore. Scrive l’apostolo Giovanni: “Nell’Amore non c’è timore anzi, l’Amore compiuto getta via la paura … noi amiamo perché Lui ci ha amato per primo” (1Gv 4, 18-19). Ecco allora come è possibile non temere, o meglio, come è possibile attraversare la paura anche quando c’è in gioco la stessa vita: tenere fisso lo sguardo sull’amore con il quale siamo stati amati. “L’amore getta via la paura”, non l’impegno per il Signore, neanche il desiderio pure autentico di morire con Lui che ha sinceramente abitato il cuore di Pietro quella notte quando ha detto “se anche dovessi morire con te io non ti rinnegherò” senza poi riuscire a mantenere fede a questo desiderio proprio per la paura di perdere la vita.

C’è un Amore che ci genera, che ci fa crescere, che ci fa suoi e ci custodisce anche quando ci viene chiesta la vita: “anche i capelli del vostro capo sono tutti contati” (Mt 10,30). Da questo amore non dobbiamo mai distogliere lo sguardo, pena il rinnegarlo davanti agli uomini. Eppure, la stessa esperienza di Pietro ci dice che c’è almeno una Parola che paradossalmente “non si compie”: “chi e mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”. A colui che lo ha rinnegato per paura di perdere la vita, il Signore affida la sua chiesa, il popolo di coloro che devono imparare a non distogliere lo sguardo dall’amore per non temere.

Ecco la grandezza dell’Amore che non smette di investire sulla nostra umanità povera e spesso impaurita, la grandezza dell’Amore che non ci chiede di diventare eroi, ma di vivere da discepoli. “Non abbiate paura”: imperativo che ci invita a fissare lo sguardo sulla certezza il suo Amore, la sua vita donata è con noi, è per noi. E noi possiamo essere con Lui, possiamo essere suoi: “sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore”.
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