Un messaggio inaudito, sconvolgente, al di là di ogni logica! Eppure Gesù ce lo propone  -anzi lo comanda!-  nel Vangelo di oggi: “Amate i vostri nemici... fate del bene... benedite... pregate per coloro che vi maltrattano” (v. 27-28). Il comando è unico  -amare e perdonare il nemico-  che Gesù sottolinea con quattro verbi sinonimi.

Novità cristiana -e missionaria- del perdono al nemico

1Samuele  26,2.7-9.12-13.22-23; Salmo  102; 1Corinzi  15,45-49; Luca  6,27-38

Riflessioni
Un messaggio inaudito, sconvolgente, al di là di ogni logica! Eppure Gesù ce lo propone  -anzi lo comanda!-  nel Vangelo di oggi: “Amate i vostri nemici... fate del bene... benedite... pregate per coloro che vi maltrattano” (v. 27-28). Il comando è unico  -amare e perdonare il nemico-  che Gesù sottolinea con quattro verbi sinonimi. Questi comandi di Gesù nel suo discorso inaugurale non nascono da teorie, sono elementi autobiografici, momenti della vita di Gesù: Egli ha sperimentato l’amore e il perdono al nemico. Per questo ce ne ha dato anzitutto l’esempio, oltre all’invito a imitarlo. Basti pensare a Gesù che sulla croce prega il Padre per i suoi crocifissori: “Padre, perdonali...” (Lc 23,34). Gesù continua a farci scoprire il suo autoritratto. Aveva iniziato nel discorso programmatico delle Beatitudini (Vangelo di domenica scorsa), parlando di sé stesso: povero, perseguitato... Oggi Egli sviluppa lo stesso tema, mettendo in evidenza fino a che punto ha amato  -e bisogna amare-  i nemici.

Un messaggio impossibile, improponibile? Assolutamente sì, se non ci fossero l’esempio di Cristo, l’aiuto della sua grazia e la testimonianza di cristiani  -più numerosi di quanto si conosca-  che sono stati capaci di perdonare e di rispondere al male con il bene. Siamo di fronte ad una novità qualitativa del Vangelo, che supera i contenuti delle altre religioni. Infatti l’amore del nemico e il perdono non si riscontrano presso le culture dei popoli; sono autentiche novità missionarie del Vangelo. Il gesto di Davide che risparmia la vita del re Saul (I lettura) è certamente magnanimo, ma si limita a non fare del male al nemico. Gesù ci invita ad andare oltre: amate... fate del bene a coloro che vi odiano (v. 27). Va sottolineato il motivo per cui Davide compie il suo gesto di clemenza: rispettare il “consacrato del Signore” (v. 9.23). Ogni persona è immagine di Dio, anche se deturpata. Quindi, va rispettata!

Il messaggio di Gesù sull’amore e il perdono al nemico rivela il volto autentico di Dio: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (v. 36). Sono parole da leggersi in parallelo con quelle di Matteo: “Siate perfetti, come il Padre...” (Mt 5,48). Però con una differenza e novità importanti: Matteo si rivolge ad un pubblico di giudeo-cristiani che avevano esperienza della legge e del suo compimento ‘perfetto’. Luca invece parla a persone provenienti dal mondo pagano e sceglie il termine ‘misericordia’ per designare il volto di Dio: Padre “ricco di misericordia” (Ef 2,4).

Gesù ha opposto un rifiuto totale, energico, alla violenza! Di qualunque tipo! Insegna a risolvere i conflitti con i metodi pacifici, nonviolenti: i metodi di Dio, amante della vita e della pace. Gesù non comanda di sentire ‘simpatia’ per chi ci fa del male, e neppure di ‘dimenticare’: due atteggiamenti psicologici ed emotivi che non dipendono da un atto di volontà. Il suo messaggio va oltre. Raccomanda il dialogo a varie istanze e non esclude neppure legittime sanzioni (Mt 18,15-17). Indica soprattutto cammini nuovi, quali il perdono e la preghiera: “pregate per coloro che vi maltrattano” (v. 28-30).

Con la preghiera l’uomo entra nel mondo di Dio, sintonizza con il modo di pensare e di agire di Dio; capisce che il Padre misericordioso non rifiuta mai nessuno e perdona tutti, sempre. “Perdonare” vuol dire “iper-donare”, donare di più, in eccedenza: cosa propria di Dio e di chi vive come Lui. L’uomo impara da Dio a perdonare e riceve da Lui la forza per farlo. Amare e perdonare il nemico sarebbero valori improponibili, se fossimo lasciati a noi stessi. Occorre un supplemento di energia, che solo Dio ci può dare. Perdonare è un dono che purifica il cuore e libera dall’aggressività; perdonare è una grazia che Dio dà a chi gliela chiede; perdonare è possibile per chi ha fatto prima l’esperienza dell’amore gratuito e universale di Dio. (*)  Lo dimostra la vita di tanti personaggi legati alla storia missionaria.

- A cominciare dal primo martire della Chiesa: il diacono Santo Stefano, a Gerusalemme, sottoposto a una grandinata di sassi, pregava in ginocchio per i suoi assassini (At 7,60).

- Agli inizi dell’evangelizzazione del Giappone, il gesuita S. Paolo Miki, mentre moriva crocifisso assieme a 25 compagni sulla collina di Nagasaki (1597), dichiarò: “Io volentieri perdono all’imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano”.

- S. Giuseppina Bakhita, africana del Sudan, venduta cinque volte come schiava, alla fine della vita (1947) affermava di non aver mai conservato rancore verso quelli che le avevano fatto del male.

- La B. Clementina Anuarite, giovane suora congolese (24 anni), ebbe la forza di dire al capo dei ribelli ‘simba’ che la stava uccidendo (Isiro, 1964): “Io ti perdono”.

-La B. Leonella Sgorbati, italiana di 66 anni, missionaria della Consolata in Somalia, colpita a morte (2006) mentre andava a lavorare in ospedale, ripeté tre volte: “Perdono, perdono, perdono”.

- Ricordiamo tutti il gesto di perdono di S. Giovanni Paolo II verso il suo aggressore, Alì Agcà (1981).

Questi testimoni  -ma anche tanti altri meno conosciuti-  hanno scoperto la vetta delle Beatitudini: la forza, la gioia di perdonare!

Parola del Papa
(*)  “Dare e perdonare è tentare di riprodurre nella nostra vita un piccolo riflesso della perfezione di Dio, che dona e perdona in modo sovrabbondante. Per questo motivo nel Vangelo di Luca troviamo: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso…, perdonate e sarete perdonati» (6,36-37)… La misura che usiamo per comprendere e perdonare verrà applicata a noi per perdonarci… Gesù non dice ‘Beati quelli che programmano vendetta’, ma chiama beati coloro che perdonano e lo fanno «settanta volte sette» (Mt 18,22). Occorre pensare che tutti noi siamo un esercito di perdonati... Guardare e agire con misericordia, questo è santità”.
Papa Francesco
Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate (19.3.2018) n. 81-82

P. Romeo Ballan, MCCJ

Il comandamento difficile: “Amate i vostri nemici”

Le esigenze formulate da Gesù nel discorso della montagna sono così radicali, che non cessano di sconcertarci. Oggi, soprattutto, l’amore per i nemici imbarazza notevolmente. Gesù condanna ogni violenza? Le sue parole vietano la rivoluzione, la lotta di classe? A questo proposito c’è stato e c’è chi in nome del vangelo approva la violenza e chi la condanna. Il contrasto non si sanerà mai, finché chi condanna la violenza non crede veramente alla legge dell’amore, impegnandosi a servire il prossimo nei suoi diritti più fondamentali, con disinteresse, verità e giustizia. La pace proposta dal vangelo non può essere giustificazione per il nostro disimpegno o per le nostre viltà; ci sono situazioni di ingiustizia che devono far indignare e operare efficacemente per la loro soluzione. Poi Gesù ci dice anche altre cose. Egli vuole che amiamo tutti; non soltanto coloro che egli ci ha scelto come amici o che una simpatia naturale ci rende amabili, ma anche i più estranei, antipatici e ostili.

Anche le persone cattive hanno i loro affetti. Per fino i dittatori più spietati. Ciò non significa che essi abbiano un progetto amorevole. Mentre è proprio questo quello che noi cristiani dobbiamo avere, lo stesso progetto di Gesù sulle persone, che ci fa diventare prossimi a tutti gli uomini. Gesù ha eliminato la categoria del nemico, tanto cara ai filosofi e agli scienziati della politica. Il vangelo è rivoluzione della pace. Perciò, ognuno di noi è chiamato ad evangelizzare e auto educare la sua capacità di amare, perché l’amore come la fede deve essere coltivato. L’amore di Dio deve attraversare il nostro cuore e mettervi radici profonde. Dio non ci ha amati forse, nonostante i nostri peccati? Il suo amore raggiunge noi peccatori, e l’amore cristiano raggiunge anche i nemici.

1Samuele 26,2.7-9.12-113.22-23; Salmo 102; 1Cor 15,45-49; Luca 6,27-38

Il filo conduttore della liturgia della parola di questa domenica è dato dal Vangelo di Luca, dove Gesù esorta i suoi discepoli ad amare i nemici ed a fare il bene a quelli che li odiano. Questo tema è anticipato nella prima lettura, che riporta un episodio della storia di Israele in cui l'invito «amate i vostri nemici» è vissuto in modo esemplare. Il re Saul era invidioso del giovane Davide, cui andava la simpatia del popolo, e il re decise di ucciderlo. Scese in campo con tremila uomini per dargli la caccia, ma le circostanze si svolsero in modo che fu piuttosto Davide ad avere l'occasione propizia di eliminare una volta per sempre il suo persecutore, il re Saul. Ma lo risparmierà, o anzi gli offrì la sua amicizia. Più che l'amore per il nemico, il testo biblico mette in evidenza la «giustizia» di Davide, nel senso biblico di fedeltà a Dio e di lealtà nei rapporti umani. Anche egli, colpevole di adulterio ed omicidio, farà esperienza della magnanimità e della misericordia di Dio.

Il discorso di Gesù nel Vangelo fa seguito alla serie delle quattro beatitudini e dei quattro «guai» di domenica scorsa. Egli traccia per i suoi seguaci un programma di vita che fa perno sull'amore dei nemici: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano».

L'amore, quindi, si concretizza nel fare del bene, nel benedire e pregare. Un atteggiamento diametralmente opposto a quello dei nemici, che vogliono e fanno il male, un salto di qualità. Gesù non invita a subire passivamente il sopruso, ma a rispondere in modo attivo con un gesto paradossale che nasce dall'amore che ha la sua fonte e il suo modello nell'amore del Padre misericordioso.

L'importante è non rassegnarsi a che il nemico rimanga tale ma credere che l'amore è più forte dell'odio e ritenere che «la regola d'oro» per l'amore del prossimo è: «l’amore; che volete gli uomini facciano a vuoi, anche voi fatelo a loro».
Don Joseph Ndoum

Luca 6,27-38
Il Signore elimina il concetto di nemico

Gesù ha appena proiettato nel cielo della pianura umana il sogno e la rivolta del Vangelo. Ora pronuncia il primo dei suoi “amate”. Amate i vostri nemici . Lo farai subito, senza aspettare; non per rispondere ma per anticipare; non perché così vanno le cose, ma per cambiarle. La sapienza umana però contesta Gesù: amare i nemici è impossibile.

E Gesù contesta la sapienza umana: amatevi altrimenti vi distruggerete. Perché la notte non si sconfigge con altra tenebra; l’odio non si batte con altro odio sulle bilance della storia. Gesù vuole eliminare il concetto stesso di nemico. Tutti attorno a noi, tutto dentro di noi dice: fuggi da Caino, allontanalo, rendilo innocuo. Poi viene Gesù e ci sorprende: avvicinatevi ai vostri nemici, e capovolge la paura in custodia amorosa, perché la paura non libera dal male.

E indica otto gradini dell’amore, attraverso l’incalzare di verbi concreti: quattro rivolti a tutti: amate, fate, benedite, pregate; e quattro indirizzati al singolo, a me: offri, non rifiutare, da’, non chiedere indietro. Amore fattivo quello di Gesù, amore di mani, di tuniche, di prestiti, di verbi concreti, perché amore vero non c’è senza un fare.

Offri l’altra guancia, abbassa le difese, sii disarmato, non incutere paura, mostra che non hai nulla da difendere, neppure te stesso, e l’altro capirà l’assurdo di esserti nemico. Offri l’altra guancia altrimenti a vincere sarà sempre il più forte, il più armato, e violento, e crudele. Fallo, non per passività morbosa, ma prendendo tu l’iniziativa, riallacciando la relazione, facendo tu il primo passo, perdonando, ricominciando, creando fiducia. «A chi ti strappa la veste non rifiutare neanche la tunica», incalza il maestro, rivolgendosi a chi, magari, non possiede altro che quello. Come a dire: da’ tutto quello che hai. La salvezza viene dal basso! Chi si fa povero salverà il mondo con Gesù (R. Virgili). Via altissima. Il maestro non convoca eroi nel suo Regno, né atleti chiamati a imprese impossibili. E infatti ecco il regalo di questo Vangelo: come volete che gli uomini facciano a voi così anche voi fate a loro. Ciò che desiderate per voi fatelo voi agli altri: prodigiosa contrazione della legge, ultima istanza del comandamento è il tuo desiderio. Il mondo che desideri, costruiscilo. «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo» (Gandhi).

Ciò che desideri per te, ciò che ti tiene in vita e ti fa felice, questo tu darai al tuo compagno di strada, oltre l’eterna illusione del pareggio del dare e dell’avere. È il cammino buona della umana perfezione. Legge che allarga il cuore, misura pigiata, colma e traboccante, che versa gioia nel grembo della vita.
Ermes Ronchi

La “differenza cristiana”

Alla proclamazione delle beatitudini, nel vangelo secondo Luca come in quello secondo Matteo, segue da parte di Gesù un discorso indirizzato a quella folla che era venuta ad ascoltarlo quando era disceso con i Dodici dalla montagna (cf. Lc 6,17). In Luca questo insegnamento è più breve e ha una tonalità diversa. In esso non è più registrato il confronto, anche polemico, con la tradizione degli scribi di Israele, ma emerge piuttosto la “differenza cristiana”che i discepoli di Gesù devono saper vivere e mostrare rispetto alle genti, ai pagani in mezzo ai quali si collocano le comunità alle quali è rivolto il vangelo.

“A voi che ascoltate, io dico…”. Sono le prime parole di Gesù, che introducono una domanda, un comando, un’esigenza fondamentale: “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano”. Certo, queste parole sono collegate alla quarta beatitudine indirizzata ai discepoli perseguitati (cf. Lc 6,22-23), ma appaiono rivolte a ogni ascoltatore che vuole diventare discepolo di Gesù. L’amore dei nemici non è dunque soltanto un invito a un’estrema estensione del comandamento dell’amore del prossimo (cf. Lv 19,18; Lc 10,27), ma è un’esigenza prima, fondamentale, che appare paradossale e scandalosa. I primi commentatori del vangelo con ragione hanno giudicato questo comando di Gesù una novità rispetto a ogni etica e sapienza umana, e gli stessi figli di Israele hanno sempre testimoniato che con tale esigenza Gesù andava oltre la Torah.

Per questo dobbiamo chiederci: è possibile per noi umani amare il nemico, chi ci fa del male, chi ci odia e vuole ucciderci? Se anche Dio, secondo la testimonianza delle Scritture dell’antica alleanza, odia i suoi nemici, i malvagi, si vendica contro di loro (cf. Dt 7,1-6; 25,19; Sal 5,5-6; 139,19-22; ecc.) e chiede ai credenti in lui di odiare i peccatori e di pregare contro di loro, potrà forse un discepolo di Gesù vivere un amore verso chi gli fa del male? Diamo troppo per scontato che questo sia possibile, mentre dovremmo interrogarci seriamente e discernere che un amore simile può solo essere “grazia”, dono del Signore Gesù Cristo a chi lo segue. Anche nel nostro vivere quotidiano non è facile relazionarci con chi ci critica e ci calunnia, con chi ci fa soffrire pur senza perseguitarci a causa di Gesù, con chi ci aggredisce e rende la nostra vita difficile, faticosa e triste. Ognuno di noi sa quale lotta deve condurre per non ripagare il male ricevuto e sa come sia quasi impossibile nutrire nel cuore sentimenti di amore per chi si mostra nemico, anche se non ci si vendica nei suoi confronti.

Con questo comando, che lui stesso ha vissuto fino alla fine sulla croce chiedendo a Dio di perdonare i suoi assassini (cf. Lc 23,34), Gesù chiede ciò che solo per grazia è possibile e, significativamente, è sempre Luca a testimoniare che con questo sentimento dell’amore verso i nemici è morto il primo testimone di Gesù, Stefano, il quale ha chiesto a Gesù suo Signore di non imputare ai suoi persecutori la morte violenta che riceveva da loro (cf. Lc 7,60). Gesù dunque qui rompe con la tradizione e innova nell’indicare il comportamento del discepolo, della discepola: ecco la giustizia che va oltre quella di scribi e farisei (cf. Mt 5,20), ecco la fatica del Vangelo, ecco – direbbe Paolo – “la parola della croce” (1Cor 1,18). Amare (verbo agapáo) il nemico significa andare verso l’altro con gratuità anche se ci osteggia, significa volere il bene dell’altro anche se è colui che ci fa del male, significa fare il bene, avere cura dell’altro amandolo come se stessi. E Gesù fornisce degli esempi, indica anche dei comportamenti esteriori da assumere, espressi alla seconda persona singolare: non fare resistenza a chi ti colpisce e neppure a chi ti ruba il mantello; dona a chi tende la mano, chiunque sia, conosciuto o sconosciuto, buono o cattivo, e non sentirti mai creditore di ciò che ti è stato sottratto. Ciò non significa però assumere una passività, una resa di fronte a chi ci fa il male, e Gesù stesso ce ne ha dato l’esempio quando, percosso sulla guancia dalla guardia del sommo sacerdote, ha obiettato: “Se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23).

A questo punto Gesù formula la “regola d’oro”, che riporta il discorso alla seconda persona plurale: “Come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”. Regola formalizzata in positivo, nella quale la reciprocità non è invocata come diritto e tanto meno come pretesa, ma come dovere verso l’altro misurato sul proprio desiderio: “fare agli altri ciò che desidero sia fatto a me”. Pochi anni prima del ministero di Gesù rabbi Hillel affermava: “Ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo al tuo prossimo”. Ma Gesù conferisce a tale istanza una forma positiva, chiedendo di fare tutto il bene possibile al prossimo, fino al nemico.

Solo così, amando gli altri senza reciprocità, facendo del bene senza calcolare un vantaggio e donando con disinteresse senza aspettare la restituzione, si vive la “differenza cristiana”. In questo comportamento c’è il conformarsi del discepolo al Dio di Gesù Cristo, quel Dio che Gesù ha narrato come amoroso, capace di prendersi cura dei giusti e dei peccatori, dei credenti e degli ingrati. Se Dio non condiziona il suo amore alla reciprocità, al ricevere una risposta, ma dona, ama, ha cura di ogni creatura, anche il cristiano dovrebbe comportarsi in questo modo nel suo cammino verso il Regno, in mezzo all’umanità di cui fa parte.

Dopo aver ribadito il comandamento dell’amore dei nemici, Gesù fa una promessa: ci sarà “una ricompensa (misthós) grande” nei cieli ma già ora in terra, qui, i discepoli diventano figli di Dio perché si adempie in loro il principio “tale Padre, tale figlio”. Imitare Dio, fino a essere suoi figli e figlie: sembra una follia, una possibilità incredibile, eppure questa è la promessa di Gesù, il Figlio di Dio che ci chiama a diventare figli di Dio. Se nella Torah il Signore chiedeva ai figli di Israele in alleanza con lui: “Siate santi, perché io sono Santo” (Lv 19,2), e questo significava essere distinti, differenti rispetto alla mondanità, in Gesù questo monito diventa: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”. Nella tradizione delle parole di Gesù secondo Matteo il comando risuona: “Siate perfetti (téleioi) come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48). Qui invece ciò che viene messo in evidenza è la misericordia di Dio; d’altronde, già secondo i profeti, la santità di Dio era misericordia, si mostrava nella misericordia (cf. Os 6,6; 11,8-9). La misericordia, l’amore viscerale e gratuito del Signore che è “compassionevole e misericordioso” (Es 34,6), deve diventare anche l’amore concreto e quotidiano del discepolo di Gesù verso gli altri, amore illustrato da due sentenze negative e due positive.

Innanzitutto: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati”, perché nessuno può prendere il posto di Dio quale giudice delle azioni umane e di quanti ne sono responsabili. Si faccia attenzione e si comprenda: Gesù non ci chiede di non discernere le azioni, i fatti e i comportamenti, perché senza questo giudizio (verbo kríno) non si potrebbe distinguere il bene dal male, ma ci chiede di non giudicare le persone. Una persona, infatti, è più grande delle azioni malvagie che compie, perché non possiamo mai conoscere l’altro pienamente, non possiamo misurare fino in fondo la sua responsabilità. Il cristiano esamina e giudica tutto con le sue facoltà umane illuminate dalla luce dello Spirito santo, ma si arresta di fronte al mistero dell’altro e non pretende di poterlo giudicare: a Dio solo spetta il giudizio, che va rimesso a lui con timore e tremore, riconoscendo sempre che ciascuno di noi è peccatore, è debitore verso gli altri, solidale con i peccatori, bisognoso come tutti della misericordia di Dio.

Al discepolo spetta dunque – ecco le affermazioni in positivo – di perdonare e donare: per-donare è fare il dono per eccellenza, essendo il perdono il dono dei doni. Ancora una volta le parole di Gesù negano ogni possibile reciprocità tra noi umani: solo da Dio possiamo aspettarci la reciprocità! Il dono è l’azione di Dio e deve essere l’azione dei cristiani verso gli altri uomini e donne. Allora, nel giorno del giudizio, quel giudizio che compete solo a Dio, chi ha donato con abbondanza riceverà dal Signore un dono abbondante, come una misura di grano che è pigiata, colma e traboccante. L’abbondanza del donare oggi misura l’abbondanza del dono di Dio domani. La “differenza cristiana” è a caro prezzo ma, per grazia del Signore, è possibile.
Enzo Bianchi
http://www.monasterodibose.it