Giovedì 23 luglio 2020
Il primo giugno ho ricevuto la nomina a vicario generale della diocesi di Malakal. A leggere questi paroloni sembra che sia una gran posizione. E invece è solo un servizio che mi è stato chiesto in un momento di particolare bisogno per questa Chiesa diocesana dove ho operato per vari anni della mia vita missionaria. È un servizio a tempo poiché la nomina è solo per tre anni. Un buon modo per dispormi a dare il mio contributo e poi lasciare continuare ad altri.
UNA LETTERA DALLA MISSIONE DEL SUD SUDAN
di Padre Christian Carlassare
Malakal, 9 luglio 2020
IX Anniversario del Sud Sudan indipendente
Carissimi,
Il primo giugno ho ricevuto la nomina a vicario generale della diocesi di Malakal. A leggere questi paroloni sembra che sia una gran posizione. E invece è solo un servizio che mi è stato chiesto in un momento di particolare bisogno per questa Chiesa diocesana dove ho operato per vari anni della mia vita missionaria. È un servizio a tempo poiché la nomina è solo per tre anni. Un buon modo per dispormi a dare il mio contributo e poi lasciare continuare ad altri.
La prima sfida incontrata è quella che ha messo in allarme tutto il mondo compreso il Sud Sudan: l’epidemia di covid-19. In Sud Sudan i casi accertati in questo momento sono più di duemila e cinquanta i morti. In realtà non si sa quanto il virus abbia contagiato la popolazione. Quello che si nota fino ad adesso è che i sintomi nelle persone malate sono stati piuttosto lievi e che le persone morte avevano patologie pregresse. Il governo ha posto varie restrizioni tra cui la chiusura delle scuole e il divieto di celebrare le liturgie con il popolo. Ma per le strade la vita sembra continuare come se niente fosse. D’altronde la popolazione non può permettersi di rimanere a casa senza cercare di guadagnarsi il pane quotidiano. Un’altra delle restrizioni è quella dei viaggi interni nel paese che si possono fare solo dopo aver rispettato la quarantena. Il centro diagnostico (solo uno in tutto il paese) non riesce a fare i tamponi a tutti i possibili contatti e chi vuole accertare la propria negatività prima di viaggiare. Per questa ragione tra varie peripezie sono riuscito a raggiungere la sede della diocesi solo il 17 giugno scorso.
Queste prime settimane mi sono servite soprattutto per guardarmi intorno e ascoltare quanto il vescovo, mons. Stephen Nyodho, si aspetta da me. Lui è originario di Malakal, ordinato prete nel 2005, è stato consacrato vescovo l’anno scorso dopo che la diocesi era senza vescovo per ben 10 anni. Questo fatto ha influito negativamente sulla vita pastorale della diocesi. Ma a dare il colpo di grazia è stato il conflitto iniziato nel 2013. Malakal è stata contesa e attaccata ripetutamente sia dalle forze dell’opposizione che da quelle del governo poiché è il capoluogo di una regione ricca di petrolio. La popolazione è stata dispersa. La città è stata saccheggiata in tal modo da non lasciare intatte se non poche strutture. Il conflitto si è risolto con l’accordo del 2019 avvenuto in seguito all’invito del papa in cui, dopo un ritiro spirituale, si era chinato a baciare i piedi dei principali responsabili di questo paese. Ma la città rimane devastata e per ricostruirla c’è bisogno di ingenti risorse. E quello che è più triste è testimoniare quanto la popolazione sia divisa secondo le proprie linee etniche. Se prima del conflitto la città contava circa 200 mila abitanti, dove più della metà erano Scilluk, seguiti dai Nuer e poi dai Dinka, ora la città è occupata da poche migliaia di abitanti appartenenti ad una sola tribù. I Nuer sono tornati nei territori della loro tribù dove si sentono più sicuri. Mentre gli Scilluk sono sfollati sul lato sinistro del fiume Nilo. Molti sono rifugiati in Sudan. Altri vivono in vari campi di protezione dei civili tra cui 30.000 nel campo dell’ONU allestito qualche chilometro a nord di Malakal. Allora ricostruire significa prima di tutto infondere speranza e fiducia, creare spazi di riconciliazione e comunione, scommettere in una possibile convivenza pacifica. Questo è il desiderio della gente che non vuole altro che vivere dignitosamente.
“Oggi la missione evangelizzatrice della Chiesa prende il nome di riconciliazione” aveva detto, qualche anno fa, il sinodo dell’Africa. Sono parole che si fanno carne qui in Sud Sudan dove è necessario che ciascuno si converta e riconosca la dignità di ogni singola persona, che uno è povero quanto l’altro e che non ci si può approfittare prendendo il poco che l’altro ha, negandone la vita stessa. L’unica via per avere una società più umana è quella di vivere la solidarietà dei poveri.
Dopo poco più di una settimana a Malakal, ho subito un brutto furto. In mia assenza qualcuno ha forzato la porta della mia stanza che era ben chiusa con un lucchetto. Ha usato il mio zaino per riempirlo di quanto poteva: computer, pannello solare, torcia, vestiti, scarpe… e se ne è andato lasciandomi con i miei libri di preghiera e poco più. Mi ha alleggerito di tante cose che pensavo utili al mio lavoro ma che forse non erano necessarie. Ma mi sono proprio sentito abbattuto dal fatto che in quello zaino tenevo i miei documenti, passaporto compreso, e il disco fisso dove tenevo tutto il materiale su cui avevo lavorato negli ultimi 15 anni. In questura per la denuncia un ufficiale giudiziario mi ha detto: “Mi dispiace, abuna. Avremmo dovuto accoglierti in ben altro modo ma…”. Si è fermato a quel ma e non so cosa volesse dire. Ho cercato però di darmi una risposta. Ho pensato a quanto la popolazione di Malakal abbia sofferto durante il conflitto perdendo tutto quanto aveva per vivere. Chi è vivo ringrazia Dio pur senza niente tra le mani. Come posso allora lamentarmi? Non era forse giusto condividere, almeno in parte, la sorte delle persone che sono venuto a servire? Il Signore risorto davvero dà la forza per rialzarci e ripartire.
Mi sono rimesso al lavoro facendomi prestare un computer dall’ufficio della Caritas diocesana. Ho iniziato a formulare alcuni programmi. Le prime necessità sono quelle di recuperare alcune strutture importanti: le due case parrocchiali, una casa di accoglienza, il centro pastorale per i catechisti. In futuro non appena la popolazione sarà ritornata in città penseremo agli asili e le scuole. Ma la necessità più grande è quella di organizzare un’assemblea diocesana dove preti, religiosi, catechisti e agenti pastorali possano parteciparvi. L’intenzione è quella di definire alcuni programmi e un piano pastorale unitario che coinvolga tutti. Al momento le parrocchie riaperte sono quindici disseminate in un territorio vasto quanto mezza Italia. Alcune regioni sono raggiungibili solo in aereo a causa delle paludi che diventano una barriera impenetrabile per molti mesi dell’anno. In questo contesto anche un semplice incontro diventa un’impresa, ma penso che sia necessario organizzarlo costi quel che costi. Lavorare in sinergia e collaborazione è un valore irrinunciabile. I frutti si raccoglieranno a suo tempo.
Nei mesi che mi stanno davanti avrò la responsabilità di ristabilire e coordinare i vari uffici diocesani. Stiamo già recuperando un fabbricato per questo scopo. Purtroppo il costo dei materiali da costruzione è altissimo perché sono difficilmente reperibili. Un sacco di cemento per esempio costa circa 40 Euro a Malakal. L’ufficio Caritas è già operativo grazie all’impegno di suor Elena Balatti e un buon team di persone del posto. In passato la Caritas diocesana ha risposto all’emergenza degli sfollati provvedendo aiuti alimentari, in futuro cercherà di creare sviluppo nelle comunità attraverso progetti agricoli, di pesca o altre attività. Anche l’ufficio Giustizia e Pace è già attivo promuovendo attività di sensibilizzazione, incontro e riconciliazione fra i diversi gruppi. Si tratta ora di ristabilire l’ufficio della pastorale, l’ufficio della comunicazione con l’impegno della radio diocesana. Speriamo possa riprendere le sue attività già a settembre. Vorremmo anche istituire l’ufficio per la promozione della donna e quello per i giovani considerato il fatto che questi ultimi rappresentano i due terzi della popolazione. C’è bisogno di un ufficio che segua le scuole della Chiesa perché ci siano programmi comuni così come un ufficio della salute che promuova educazione sanitaria e dispensari in ogni parrocchia.
E per realizzare tutto questo c’è la necessità di una solida amministrazione. Tutto questo è piuttosto nuovo per me. Posso contare solo sulla mia esperienza in parrocchia a Fangak e quella legata ai servizi svolti per i comboniani. Spero di riuscire a coinvolgere tutti per un modello di Chiesa che parta dal basso, dalla gente, dalle sue potenzialità e secondo la sua misura e bisogni. La risorsa più bella della Chiesa sono i cristiani stessi con la loro fede che diventa vita e può trasformare la società che ci sta attorno. Nei miei anni in parrocchia ho trovato la collaborazione di tante persone che hanno fatto della Chiesa la loro famiglia vivendo un percorso di fede meraviglioso. Conto che l’esperienza in diocesi sia in qualche misura simile.
Ringrazio anche tutti voi per la vostra amicizia e sostegno in questa opera attraverso le vostre diverse iniziative. So che questo momento è difficile per tutti, ma sono convinto che non frenerà il bisogno di solidarietà che unisce tutti. Non lasciamoci spaventare. “Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, niente e nessuno potrà mai separarci dall'amore di Dio” (Rom 8:35-38).
Oggi si celebra in Sud Sudan il nono anniversario dell’indipendenza dal Sudan. È purtroppo una festa vissuta ancora con tanta mestizia a causa delle ferite del conflitto, ma anche con tanta speranza. Ricordiamo oggi il Sud Sudan nella nostra preghiera.
Padre Christian Carlassare
Missionario Comboniano