Lunedì 10 settembre 2018
Ieri è iniziata l’Assemblea intercapitolare dei Missionari Comboniani a Roma. Il Superiore Generale, Padre Tesfaye Tadesse Gebresilasie, ha presieduto la Messa di apertura. Saranno tre settimane (9-29 settembre) di riflessione, condivisione e incontro. Partecipano i provinciali e delegati delle circoscrizioni, i membri della Direzione Generale e alcuni invitati.
L’obiettivo dell’Assemblea intercapitolare è principalmente quello di verificare quanto si è fatto nell’implementazione del Capitolo Generale del 2015. Ogni provincia ha preparato una relazione, che però non sarà letta in aula: resterà a disposizione di chi fosse interessato a consultarla. Le presentazioni saranno invece del Consiglio generale, dei segretariati e dei servizi generali e dei continenti.
I superiori di circoscrizione si incontreranno per continenti con i membri del Consiglio Generale.
Omelia di P. Tesfaye Tadesse
nella Messa di apertura dell’Assemblea intercapitolare
Roma, 9 settembre 2018
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
Il vangelo di oggi ci presenta Gesù in movimento e in visita a Decàpoli, un territorio di dieci città, detto pagano o non giudeo/non semitico, della Palestina. Come si vede già nel capitolo 5 di Marco, la gente di Decàpoli aveva chiesto a Gesù di andare via dalla città dopo il miracolo della guarigione di un indemoniato da cui Gesù ha cacciato via una legione di spiriti impuri mandandoli sui porci. Gesù è di ritorno di nuovo in questa zona. Gesù visita le nostre terre e viene nella nostra vita senza stancarsi e non ha confini perché vuole incontrarci e salvarci. Dalle letture della parola di Dio di oggi, vorrei prendere tre punti per la nostra preghiera.
Il primo riguarda la fede della gente che troviamo nel vangelo di oggi: “Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano”. La gente è solidale e vive il dramma della persona che è sorda e ha difficoltà a parlare, è una comunità che fa causa comune, come dice san Daniele Comboni: visto che l’ammalato non parla, la gente gli dà voce, “portarono l’ammalato e pregarono” (paràkaleô, supplicarono con insistenza). Non essendo Ebrei, è probabile che non conoscessero quello che abbiamo ascoltato nella prima lettura; “Ecco il vostro Dio, Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto” o il canto del Salmo che abbiamo recitato: “Il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri”. Invece questa gente ha fatto esperienza di un miracolo fatto da Gesù nella sua città e sa bene che lui fa i miracoli non solo in mezzo agli ebrei ma anche fra i non ebrei e gli stranieri. Quando accade il miracolo, Gesù “comandò loro di non dirlo a nessuno”. Ma più lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!». Chiediamo la grazia di essere sempre di più persone di fede, che gridano verso Dio e presentano la situazione di bisogno e ringraziano per i miracoli di ogni giorno pieni di stupore e gioia, perché Dio salva. Così, anche noi missionari, nelle difficoltà dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, dei nostri popoli, preghiamo affinché possiamo essere sempre di più persone di fede, che gridano verso il Signore e cantando ringraziano, gustando la presenza salvatrice e consolatrice del Signore che è con noi.
Il secondo punto, si riferisce a quello che ha fatto Gesù, il miracolo della guarigione e, soprattutto, punta su come Gesù ha operato la guarigione: “Lo prese in disparte, lontano dalla folla”. Gesù incontra l’ammalato individualmente, portandolo in disparte, lo tratta con la dignità di una persona che ha bisogno di essere trattata nella discrezione. La sua malattia, il suo disagio non è una realtà per il consumo pubblico, né per notizie sensazionali, ma è una realtà di incontro e di liberazione che esige la discrezione. Neanche Gesù vuole pubblicità per i miracoli che fa. Gesù chiede l’intervento del Padre suo dall’alto, “guardando quindi verso il cielo”, fa il miracolo e dopo raccomanda il silenzio, dice di non parlare di questo miracolo: non voglio pubblicità, quello che mi interessa è la tua guarigione e la tua liberazione. La gente ha portato l’ammalato a Gesù, ma poi Gesù dice grazie, però adesso tocca a noi due, Gesù rispetta il povero, l’ammalato, il peccatore, trattandolo individualmente. Io ricordo le suore di Madre Teresa, le Missionarie della Carità, che sulla porta di una delle loro case, ad Addis Abeba, avevano un avviso: “qui non si può fotografare, il povero e l’ammalato hanno un dignità che va rispettata… L’incontro con Gesù è bello: lo Spirito del Signore arriva a toccare lo spirito di quell'uomo. Gesù delicatamente tocca le nostre ferite con l’olio dello Spirito di Dio, e “gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua”, con molta creatività; prima ci fa capaci di ascoltare, così quando riusciremo a parlare avremo la capacità di ascoltare la nostra voce e le parole che vengono da Dio e dagli altri. Emise un respiro e gli disse: «Effatà», cioè «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Sì, apriti per ascoltare, apriti per parlare, apriti per stare in relazione. Voglio che tu parli, comunichi e ti esprima correttamente. Quando Gesù ci guarisce, siamo veramente guariti come persone e come società e comunichiamo e ci relazioniamo nel modo corretto, giusto. Chiediamo la grazia di lasciarci toccare, guarire e riabilitare correttamente e che possiamo essere strumenti e testimoni nel cammino di riabilitazione, guarigione e liberazione dei nostri fratelli e sorelle, sia come individui che come società.
Il terzo punto è preso da quello che ci insegna San Giacomo: “Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali… Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?”. Giacomo esorta i suoi ascoltatori a trattare tutti allo stesso modo. Sempre, siamo tentati di dare priorità e di privilegiare il ricco, il forte e il famoso, a volte pensando che così ci tratterà bene o un domani ci farà un favore. Il povero non diventa automaticamente uomo di grande fede o di vita morale straordinaria soltanto perché è povero ma, non avendo ricchezza, è aperto a Dio e ai doni del Signore. Come sappiamo la ricchezza e la povertà sono la vera base di molti tipi di discriminazione.
Qual è il mio atteggiamento verso i poveri?
Il nostro Santo Padre e Fondatore diceva a Khartoum nella sua omelia dell’il 11 maggio 1873 “Assicuratevi che l'anima mia vi corrisponde un amore illimitato per tutti i tempi e per tutte le persone. Il ricco e il povero, il sano e l'infermo, il giovane e il vecchio, il padrone e il servo avranno sempre eguale accesso al mio cuore. Io prendo a far causa comune con ognuno di voi” (Scritti 3158-59).
Oggi, secondo il calendario liturgico, è la data dedicata a san Pietro Claver, patrono del nostro Istituto ed esempio dell’apostolato tra gli Afrodiscendenti, che si trovano nel continente americano. Papa Francesco, il nostro avvocato dei poveri di oggi, a Cartagena, in Colombia, durante la sua ultima visita, ha detto che san Pietro Claver sapeva che “il linguaggio della carità e della misericordia era capito da tutti”. Infatti, “la carità aiuta a comprendere la verità e la verità esige gesti di carità. Le due cose non possono essere separate, vanno assieme”; così è diventato servo dei suoi fratelli schiavizzati. Siamo invitati a fare l’opzione per gli impoveriti, per i sofferenti e gli emarginati delle nostre società.