Martedì 14 agosto 2018
Una dozzina di missionari comboniani, ordinati sacerdoti nel 1968, si sono incontrati dal 3 al 6 luglio 2018 presso la casa generalizia a Roma. Al termine del loro incontro si sono scambiati una lettera per riassumere e fare memoria di quanto è emerso dal loro scambio di ricordi, pensieri ed emozioni. Per farli giungere ai confratelli comboniani pubblichiamo qui la stessa lettera, divulgata a nome del gruppo da P. Gian Paolo Pezzi, che può essere interpretata come il loro piccolo contributo al cammino della Famiglia e dell’Istituto che li ha accolto, formato ed inviato alla missione di Cristo e del Comboni.
Lettera da quelli del ’68 alla nostra Congregazione
Ci siamo incontrati a Roma (Casa EUR) per tre giorni (3-6 Luglio, 2018) per rivedere insieme ciò che Dio ha fatto nella nostra vita sacerdotale, ora ormai al suo 50° anno. Eravamo in 12[1] dai 44 iniziali. Alcuni sono già partiti per la casa del Padre[2], altri hanno cambiato la loro scelta di vita[3], altri per vari motivi non sono potuti venire, come il gruppo del Portogallo che hanno deciso di celebrare l’anniversario nella loro patria. Questa lettera vuole raccogliere ed esprimere i sentimenti e quanto abbiamo condiviso noi 12, raccontandoci i 50 anni vissuti per la missione. Un opuscolo riassumerà i 50 anni di servizio sacerdotale tra gli Mccj di tutto il gruppo.
Riuniti a Roma nella Comunità della Curia, riconsiderando e condividendo i doni e carismi (e sono tanti!) che Dio ci ha dato lungo questi 50 anni, abbiamo ringraziato Dio che nella sua infinita misericordia ci ha accompagnato, sostenuto e assistito nel cammino della vita. I doni spirituali che abbiamo ricevuto, hanno costruito la nostra identità profonda e mostrano i campi in cui abbiamo svolto il nostro servizio come ministri dell’amore di Dio. Con l’Apostolo Giacomo, abbiamo riconosciuto che se abbiamo fatto qualcosa di bene, lo dobbiamo a Lui da cui proviene ogni dono perfetto (Gc 1, 17). E’ Lui che ci ha sostenuto nelle difficoltà e debolezze, che ci ha consolato quando eravamo nella desolazione e nel fallimento (2 Cor 1, 4). Ora più che mai possiamo dire per esperienza vissuta: Abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio, e Dio dimora in lui (1 Gv 4, 16). Questa è, in fondo, l’essenza del messaggio di Gesù, e questa è stata e deve essere la forza ispiratrice di ogni nostra opera.
Insieme, abbiamo ringraziato anche la Congregazione e i confratelli che ci hanno aiutato, e accompagnato nei momenti difficili e con noi hanno condiviso le gioie e i buoni risultati. Più che mai possiamo ora proclamare l’amore di Dio e consolare con tale consolazione i nostri fratelli e sorelle perché anch’essi abbiano a gustare ‘quanto è buono il Signore’ (S. 33, 9). Nelle grotte vaticane, durante l’Eucaristia, abbiamo quindi potuto ripetere con Paolo: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione (Fil. 4, 7-8).
Riguardando ai 50 anni passati, anche noi con il salmista sperimentiamo la provvisorietà della vita terrena: Ecco, di pochi palmi hai fatto i miei giorni, è un nulla per te la durata della mia vita. Sì, è solo un soffio ogni uomo che vive. Sì, è come un'ombra l'uomo che passa (Sal 39, 6-7), per questo con il salmista ripetiamo: Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore (Sal 89, 12). Il cuore sapiente, nel linguaggio biblico, è il cuore di colui che sa discernere la presenza di Dio negli eventi della vita e della storia umana. E’ il cuore di chi sa leggere il tutto dal punto di vista di Dio, perché ogni cosa coopera al bene di coloro che amano Dio (Rom 8, 28), anche i peccati, ci diciamo con Sant’Agostino.
La nostra è la generazione che seguì la devastante seconda guerra mondiale, tempo di sofferenza, fatica, e ricostruzione dalle immense rovine da essa causate. Tempo, anche di scontro ideologico fra le varie tendenze di destra e di sinistra, di cambiamenti sociali e politici enormi (il post-colonialismo e caduta del marxismo, per citarne un paio). Ma anche, con il Vaticano II, tempo di un rinnovamento profondo della Chiesa allora iniziato e non ancora pienamente realizzato nonostante siano passati più di 50 anni. Il Concilio, per la prima volta, aprì la Chiesa alla sfida della modernità (e non per una condanna come il Syllabus – 1864 di Pio IX), e alla pluralità delle religioni, contemplate nella prospettiva del piano salvifico di Dio. E’ il tempo in cui è iniziata per l’umanità tutta l’era della globalizzazione, in cui anche la nostra Congregazione comboniana è entrata ed è chiamata a parteciparvi in pieno, non più centrata solo sul Comboni storico (con le limitazioni del suo tempo), ma sull’ispirazione del Comboni profeta, l’uomo che al suo tempo nella luce dello Spirito Santo aprì la Chiesa a nuovi orizzonti. La domanda che ci siamo posti è sempre: che farebbe il Comboni se vivesse ora, con tutta la ricchezza di riflessione teologica e la varietà di movimenti ecclesiali sviluppatisi nel post-Concilio?
Partendo da tale esperienza storica, abbiamo pensato che fosse nostro dovere di “ormai anziani” passare in eredità alle nuove generazioni parte della sapienza spirituale che abbiamo maturato in questi 50 anni e così propiziare che la nostra Congregazione possa allargare le sue tende (Is. 54, 2-3) e approfondire il suo carisma profetico. Nel nostro incontro abbiamo riassunto tale sapienza spirituale in alcuni punti.
1. Animazione missionaria. Pare, a volte, che questa attività si limiti ad un ‘appello vocazionale’, a chiedere aiuti per ‘le missioni all’estero’, a farsi amici e benefattori personali. Meno presente è un respiro più ampio di animazione della comunità ecclesiale e della Chiesa locale per fare crescere attorno alle nostre comunità dei gruppi (di tutti i generi) animati dal carisma comboniano e capaci di attività positiva e creativa nel campo della missione, e di una presenza e di un impegno esplicito nella promozione della Giustizia, Pace e Integrità del Creato.
2. Dialogo interreligioso. E’ questa la vera novità e ricchezza del Concilio Vaticano II. Per la prima volta nella sua storia, la Chiesa si è rivolta al di fuori di se stessa e ha preso in considerazione l’umanità tutta, che in grandissima parte cammina fuori del suo ambito. Per la prima volta, la Chiesa ha pronunciato una parola di salvezza per questa umanità intera e preso coscienza che essa vive nella luce del Verbo creativo di Dio che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Il Concilio Vaticano II ha liberato il cammino dell’evangelizzazione da ogni atteggiamento “tribalistico” (anche religioso), proselitistico, impregnato di negativismo verso il diverso e il lontano. Il Concilio Vaticano II, e dopo di esso la comunità ecclesiale, ci spinge con urgenza ad un ‘dialogo’ vero e profondo con le altre religioni e la realtà umana che ci circonda. Dove ci poniamo noi, missionari comboniani, a questo riguardo? Dov’è il Comboni profetico nella nostra azione di evangelizzatori? Ci pare che la strada che ci sta davanti da percorrere in questo campo sia ancora molto lunga.
3. Continuità di impegni. Le situazioni concrete e le richieste hanno portato, e portano, i comboniani, e noi fra loro, a determinati impegni specifici a volte di una professionalità ben definita che sembrano frutto del caso, ma che si rivelano poi provvidenziali. Molte iniziative vengono quindi incominciate da confratelli con una visione ampia e profonda della realtà umana ed ecclesiale. Per loro natura, sono iniziative di ampio respiro che esigono continuità nel tempo. Non dovrebbero essere interrotte, magari da chi arriva senza troppo informarsi, pensando che occorra incominciare tutto da capo, secondo le proprie idee personali. Così le iniziative finiscono con il morire nel turbine dei cambiamenti. Sentiamo il bisogno, sapendo che il cambio nel nostro caso non è dovuto a scelte spontanee ma alla necessità generazionale, di chiedere ai responsabili di fare scelte precise, valutando le iniziative a cui dare continuità, prendendo serie informazioni, in modo che certi impegni qualificati, di cui alcuni siamo ancora responsabili, continuino per un migliore servizio alla Chiesa e alla missione.
4. Comunità e comunione. Nello scambio avuto, abbiamo riconosciuto di esserci trovati, a volte, in “comunità comboniane” più simili a ‘convivenze’ che a vere comunità. Questo lo si nota soprattutto nel campo della comunicazione interna, della conoscenza reciproca, della condivisione dei beni materiali e spirituali, nei consigli di comunità. Crediamo sia sempre utile segnalare ai nostri responsabili che la nostra esperienza ci conferma questo punto come fondamentale per la missione. Non siamo degli impresari, anche se efficienti, ma testimoni di un Vangelo che solamente possiamo annunciare insieme, come comunità unite.
5. Essere parte della popolazione tra cui ci troviamo. Questo punto non è nuovo per l’attività missionaria. Da sempre ci è stato detto che il missionario deve entrare nella cultura del popolo cui è mandato, andando al di là della sua cultura di origine, studiando ed amando la lingua e la cultura del suo nuovo popolo. Pare invece che si cominci a considerare che per il missionario, inserirsi nel popolo cui è mandato (lingua, cultura e costumi) non sia una priorità. Forse un atteggiamento auto-critico ci sarebbe di grande aiuto per essere più vicini alla gente cui siamo inviati. I grandi esempi del passato, come il gesuita Matteo Ricci (m. 1610), non devono essere dimenticati. Ma quanti lo considerano ancora un esempio da seguire? Un discernimento dei responsabili, potrebbe aiutare a superare molti ostacoli in questo campo.
I 50 anni di vita missionaria non ci autorizzano certo a dare lezioni, ma la nostra lunga esperienza ci ha donato questi spunti di riflessione che offriamo a tutti i nostri confratelli. Per molti di noi questo sarà anche un tempo anche di revisione e di riprogrammazione. Ci siamo promessi di rafforzare il contatto con tutto il nostro gruppo e offrirci un ricordo reciproco nella preghiera; ma offriamo e chiediamo questa preghiera anche a tutta la Famiglia comboniana per poter essere sempre tutti aperti alla voce dello Spirito che soffia dove vuole: ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va (Gv 3, 8).
In unione di preghiere
P. Gian Paolo Pezzi
a nome del Gruppo di 12 ordinati nel 1968, riuniti a
Roma, 3-6 luglio 2018
[1] Gian Paolo Pezzi, Giovanni Taneburgo, Giuseppe Brunelli, Francesco Laudani, Giuseppe Scattolin, Raffaele Savoia, Marillo Spagnolo, Egidio Tocalli, Johannes Hans Maneschg, Jimenez Calvo Santiago, Marco Passerini, Giocondo Pendin.
[2] Antonini Francesco, Bellezze Gino, Berteotti Paolo, Conway Dennis William, Gobbi Gian Battista, Moroni Ferdinando, Orozco Gutierrez Joaquin, Tomasoni Francesco, Zanotto Luigi, Diaz da Cal Antonio.
[3] Diaz Da Cal Antonio, Garcia Manuel Coria, Llamas Martinez Raúl, Olindo Pinto Marques, P. J. Cunha e Silva, Perna Jacob L., Ropelato Aldo, Villa Lobo José.