P. Aladino era nato a Vigasio (Verona) nel 1929. Dopo il noviziato a Sunningdale (UK) professò come Fratello comboniano nel 1951 e, dopo altri tre anni in Inghilterra, nel 1954 fu assegnato all’Uganda, dove rimase circa quindici anni, soprattutto come addetto alle costruzioni. Nel 1970 rientrò a Roma per gli studi filosofici e teologici in vista dell’ordinazione sacerdotale; ordinato l’11 aprile 1976, ritornò in Uganda, nel West Nile, dove rimase per altri trentotto anni, impegnato soprattutto nel ministero. Nel 2015 fu destinato a Verona per cure e poi a Castel d’Azzano.
A fine novembre 2018, era stato ricoverato per un’infezione renale. È deceduto all’ospedale di Negrar (Verona) il 9 dicembre dello stesso anno.
La sua condizione di progressiva sofferenza e immobilità, soprattutto negli ultimi mesi, ha pesato talvolta sul suo stato d’animo, facendolo diventare un po’ taciturno. Gli piaceva uscire, nella misura in cui le forze glielo permettevano, per offrire il suo contributo nel ministero nelle parrocchie vicine che ben conosceva. Familiari e amici lo visitavano spesso per parlare e avere un suo consiglio.
Ecco le parole che P. Renzo Piazza, superiore della comunità di Castel d’Azzano, ha rivolto a P. Aladino, a mo’ di saluto finale, all’inizio dell’Eucaristia presieduta da P. Giovanni Munari, superiore provinciale.
“P. Aladino, questa comunità in cui hai vissuto i tuoi ultimi tre anni e mezzo, ti vuole ringraziare e salutare per l’ultima volta. Arrivando a Castel d’Azzano, fin dal primo giorno, hai inaugurato una pratica di cui siamo divenuti poi rapidamente esperti: le cadute. Sotto il sole cocente di quel tre giugno, forse memore della tua prima vocazione di Fratello, sei uscito a controllare il lavoro degli operai che ultimavano l’asfaltatura. Hai lasciato qualche traccia di sangue sull’asfalto nuovo, un po’ di escoriazioni e tutto è passato. Molti hanno seguito il tuo esempio…
Hai dato spesso testimonianza della tua vita interamente donata alla causa missionaria e del tuo amore ‘monogamico’ per l’Uganda: vi hai lavorato per 16 anni come Fratello, 38 come sacerdote, con la predicazione e l’insegnamento. Un totale di 54 anni! Ce ne hai insegnato la geografia, ricordando i nomi delle missioni che hai servito: Moyo, Pakwac, Koboko, Ombaci…; la politica, ricordando che avevi amicizie altolocate, come il presidente Amin.
Hai sostenuto progetti missionari di promozione umana e hai coinvolto gli amici a sostenerti (compresa la squadra del Chievo!), memore che ‘senza soldi non si piantano le opere di Dio’, come diceva Comboni. Hai gioito raccogliendo i frutti del tuo lavoro: eri orgoglioso della riuscita di qualcuno dei tuoi chierichetti che, diventato missionario comboniano, è ora impegnato nel Sud Sudan.
Sei stato capace di invecchiare bene nella comunità di Castel d’Azzano. Fedele alla comunità e alla preghiera, avevi gli occhi fissi al tabernacolo e ti accorgevi subito se la lampada del Santissimo era spenta… Sei stato disponibile al ministero finché le forze te l’hanno permesso, sei rimasto legato alla famiglia e al paese dove sei nato, cresciuto, dove andavi a ballare da giovane… e soprattutto dove sei stato educato alla fede e all’amore per gli altri. Mostravi con un pizzico di nostalgia la chiesetta diroccata dove recitavi il rosario da ragazzo”.
Riportiamo qui di seguito alcuni ricordi scritti dallo stesso P. Aladino negli ultimi anni – dal 2014 al 2016 – per il giornalino Raccontiamoci, della comunità di Castel d’Azzano.
Dal ballo alla vocazione
Fin da piccolo facevo il chierichetto e all’asilo le suore mi dicevano che da grande sarei diventato sacerdote... quanto mi arrabbiavo! Non avevo idee del genere per la testa!
Per anni feci parte dell’Azione Cattolica ma poi mi allontanai per seguire la mia passione di gioventù: il ballo.
Ero un bravo ballerino! Avevo una compagna fissa di ballo, lei poverina forse sperava in qualcosa di più, ma io amavo semplicemente ballare, dal tango al valzer, alla mazurka...
Una domenica mi trovai davanti all’oratorio perché davano una commedia, ma non avevo i soldi per il biglietto. Il sacrestano mi mandò in canonica a prendere delle sedie (poi mi avrebbe fatto entrare gratis) e lì incontrai la persona che mi fece diventare religioso. Il nuovo curato, che non avevo mai visto, mi disse: Aladino, io so tutto di te... coraggio, torna in Azione Cattolica. Risposi: Mi lasci stare! A me piace ballare, con l’azione cattolica ho chiuso. Lui insistette ma io rimasi fermo: Siamo sinceri, io ho deciso che non tornerò, adoro ballare e continuerò a farlo.
Lui ci rimase male ma mi invitò ugualmente all’incontro di AC del mercoledì. Non so come, ma quella sera mi ritrovai all’AC... i miei vecchi amici mi fecero gran festa. Ero confuso. La domenica seguente tornai in balera, ma rimasi tutto il tempo sugli spalti fermo a guardare. Fu l’ultima volta che entrai.
Ripresi le attività con l’AC e dissi alla mia compagna che non sarei più andato a ballare. Piano piano si fece sentire la mia vocazione... Leggevo Nigrizia che mi smuoveva dentro qualcosa... Finché nel 1948 andai a Roma con l’AC da Papa Pio XII e i discorsi in Piazza San Pietro furono decisivi. Volevo diventare Comboniano.
Ma come dirlo a mio padre? Lui mi voleva sposato con la ragazza con cui andavo a ballare. Il parroco parlò con mio padre della mia decisione, e lui rispose: Mio figlio faccia quel che vuole, ma io non sono d’accordo.
Intanto le donne iniziarono a prepararmi il corredo, sarei partito a breve per Gozzano, ma in casa vigeva un pesante silenzio... Sentivo la disapprovazione di mio papà. Partii per il noviziato, e dopo sei mesi mi fecero fare la vestizione. Quel giorno venne mia madre, da sola... Il giorno dopo il padre maestro mi disse: Ora preparati a fare un lungo viaggio, passerai la Manica! Destinazione Inghilterra.
Tornai a casa per salutare la famiglia. Davanti all’uscio di casa vidi i parenti ad aspettarmi, tranne mio padre. Entrai... Lui era seduto davanti al focolare, e per la prima volta mi vide con la veste nera. Corsi incontro a lui e ci abbracciammo forte. Una grande gioia... Poi si rivolse alla famiglia: Oggi non si lavora! Andate in stalla e uccidete il vitello grasso, facciamo festa perché mio figlio comboniano va in Inghilterra!
Il piccolo “Umsikanhà”
Per anni ho lavorato a Moyo, in Uganda come insegnante. Là c’era un chierichetto che comandava tutti quanti, nonostante fosse il più piccolo! Iniziai a chiamarlo scherzosamente “Umsikanhà” (che in lingua mahdi significa dittatore).
In quel periodo venne ucciso un comboniano, P. William Nyadru, in Karamoja (Uganda); era il cugino del ragazzino. Il piccolo fu sconvolto e ripeteva: Hanno ucciso mio fratello! (erano molto legati). Tre giorni dopo il funerale, il ragazzo venne a bussare alla mia porta e mi disse: P. Aladino, ho deciso! Prendo il posto di mio fratello.
Gli dissi che avrebbe dovuto studiare molto e non sarebbe stato facile... ma lui era determinato; passò gli esami per la settima classe con ottimi voti e decisi di aiutarlo a proseguire gli studi. Io insegnavo lettere, ma la mia materia proprio non gli andava giù e veniva sempre bocciato! Per iniziare gli studi con i comboniani doveva essere prima promosso in tutte le materie. Allora una suora americana lo prese con sé una settimana per aiutarlo e poi disse ai superiori: Fidatevi, prendete questo ragazzo e vedrete cosa ne verrà fuori! Passò tutti gli esami col massimo dei voti, tanto che il suo nome giunse fino alla Curia di Roma... Si chiedevano chi fosse questo ragazzo così brillante.
Dopo il noviziato venne mandato in Perù e venne anche eletto rappresentante degli studenti dell’università. Prima di tornare in Uganda si fermò in Italia e volle conoscere la mia famiglia! Ne ero molto felice! Rimase un mese con i miei parenti, mentre io ero in Africa.
Il Superiore Generale, che ebbe modo di conoscerlo, mi disse che era entusiasta di quel giovane missionario, ed io gli risposi: Ve l’avevo detto che era un Umsikanhà! Il P. Generale gli propose di venire a lavorare a Roma dopo l’ordinazione. Ma lui rifiutò: Mandatemi in Sud Sudan in una missione difficile, dopo tre anni fate di me ciò che volete. Beh, questo missionario è così bravo che è ancora in Sud Sudan! Quando fu ordinato sacerdote a Moyo, io ero presente. Appena gli imposi le mani scoppiai a piangere dall’emozione, tanta era la gioia; non sapevo più come ringraziare Dio che aveva usato me, P. Mirandola, per far diventare prete questo Umsikanhà! Il suo nome è P. Alfred Mawadri, e sono davvero fiero di lui!
La conversione del grande stregone
Uganda. Ero andato via dalla missione di Pakwach e dopo qualche tempo fui mandato a fare un mese di safari sul lago Alberto, dove c’erano una trentina di cappelle sparse da visitare. Poco prima della Pasqua, dovevo recarmi in una zona vasta. Durante la notte piovve moltissimo ed io dovevo attraversare un fiume che di solito è secco. Arrivo al fiume e lo trovo pieno di acqua, almeno due metri. Che fare? Arrivano i due catechisti e si mettono a discutere... Uno dice: Padre! Non puoi passare il fiume, c’è troppa acqua. L’altro catechista mi fa: Vieni nella mia cappella, senza attraversare il fiume, perché c’è una persona, l’agioga (il grande stregone), che vuole confessarsi e ricevere i sacramenti. Io ero molto stupito. Montammo in moto e mi portarono là. Alla gente presente dissi: Guardate cristiani, io non ho mai convertito uno stregone! Non è una cosa facile! Ma voi pregate, e intanto celebriamo la Messa. Pregammo per quell’uomo e mi portarono da lui. Mi stava aspettando. Scoprii che era stato battezzato e aveva ricevuto i sacramenti fino alla cresima, ma aveva poi abbandonato tutto per diventare uno stregone. Confessai lui e la sua compagna, li sposai e diedi loro la comunione. Poi gli dissi: Ora però devi cedermi tutti gli strumenti di stregoneria, perché io creda che la tua intenzione è autentica. Mi diede tutti gli strumenti, e riempimmo il camioncino! Una macchina lo stava aspettando per portarlo all’ospedale, stava infatti molto male. Infatti, morì un’ora dopo. Io rimasi molto colpito da questo evento. Anche il superiore era incredulo, soprattutto quando videro il camioncino pieno di arnesi di stregoneria. Fu una Pasqua meravigliosa!
Da Mccj Bulletin n. 278 Suppl. In Memoriam, gennaio 2019, pp. 158-163.