P. Romeo De Berti era nato a Sorgà, Verona, il 14 settembre 1938. Entrato dai Comboniani, fece il noviziato a Firenze e a Gozzano, e lo scolasticato a Verona e a Rebbio. Fu ordinato sacerdote a Verona il 28 giugno 1964 dal cardinale Gregorio Agagianian.
P. Francesco G. Moretti lo ricorda quando Romeo aveva ventidue anni: “È stato tra i primi comboniani che ho incontrato. Non era ancora ‘padre’. Di ‘padre’ aveva solo la veste. Che non si toglieva mai. Anche se poi la sollevava spesso, rimboccandola alla fascia, quando giocava a pallone con noi o si lasciava coinvolgere in una frenetica partita di ‘guardie e ladri’. Lui aveva ventidue anni, io dieci. Era il prefetto di noi ragazzi della V elementare, entrati nel seminario di Rebbio di Como come ‘apostolini’. Frequentava il corso teologico nel seminario vescovile di Como. Lo chiamavano allora ‘fratello’. E lo era davvero. A distanziarlo un poco da noi c’erano la predella e la cattedra: lui, però, non era mai ‘in cattedra’. Era sempre accanto a noi. E per noi. Chinato sui suoi testi di teologia, leggeva dieci o venti righe e poi sollevava la testa per controllare se ci fosse una mano alzata con una, due, tre, quattro o cinque dita distese. Era il nostro modo di chiedergli il permesso di andare dal vicerettore, al bagno, in chiesa, dal padre spirituale, dal superiore. Un cenno del capo e un sorriso erano il suo puntuale assenso… Dopo la scuola apostolica, non l’ho più incontrato fino al 1976, quando anch’io fui assegnato al Kenya. E anche lì è sempre stato proprio il ‘fratello’ Romeo che ho conosciuto da piccolo. E che non dimenticherò mai”.
Gli anni di missione
Subito dopo l’ordinazione, dal 1964 al 1971, P. Romeo rimase nella provincia italiana, a Thiene, come insegnante, economo e superiore. “Come formatore – ricorda Fr. Fernando Cesaro – instillava nei postulanti il senso del dovere, il senso di responsabilità e la parsimonia. Era un esempio di vita religiosa e apostolica. Era un esempio di vita di preghiera. Si provvedeva solo del necessario, non conosceva inutili suppellettili”. Poi, nel 1971 fu assegnato – tra i primissimi ad arrivare – al Kenya, nuovo territorio di missione dell’Istituto, dove è rimasto per 44 anni, cioè fino al 2015, anno della sua morte. Imparò alla perfezione lo swahili, che era andato a studiare, con altri confratelli, a Kipalapala, in Tanzania.
In Kenya lavorò a Kariobangi (1973-1983), a Gilgil (1983-1987) e nella nuova missione di Kerio Valley (1987-1992). Su suggerimento del vescovo, fu trasferito dalla zona perché la sua vita era in pericolo. In occasione delle elezioni, infatti, aveva parlato apertamente della corruzione politica proprio nella zona da cui proveniva il presidente di allora: Daniel Arap Moi. Nel 1993 fu assegnato a Kabichbich e poi a Kacheliba. Fu consigliere e vice-provinciale dal 1993 al 1998. Poi fu incaricato della formazione dei postulanti a Ongata Rongai (1995-1998).
Dal 1999 al 2012 prestò il suo servizio come economo provinciale, in un periodo difficile per la provincia e per la nazione del Kenya. Pur non avendo alcuna preparazione specifica, con la sua abilità e tenacia, riuscì a sanare i dissesti economici della provincia attraverso un duro e difficile impegno. “Quando Gilgil fece bancarotta, completò e onorò tutti gli impegni con i clienti dei cantieri in costruzione; licenziò tutti gli operai con giustizia, secondo le leggi, dando loro il dovuto. Per 12 anni amministrò i beni della Provincia con competenza ed efficienza come procuratore ed economo provinciale – ricorda ancora Fr. Cesaro. – Il cancro, il male che lo ha portato alla tomba, ebbe inizio nel novembre 2008. Lottò per sette anni con la sua specifica grinta per sconfiggerlo. In questi sette anni pregò e sperò tanto di guarire per tornare e fare ancora il missionario, ma il male vinse...”.
L’ultimo impegno affidatogli, dal 2013 al 2015, fu la fondazione della nuova parrocchia di Embakasi, vicino all’aeroporto di Nairobi, dove la provincia aveva fatto costruire il Centro di animazione missionaria St. Daniel Comboni. Nel 2015, però, le sue condizioni di salute si aggravarono e dovette essere trasferito alla provincia italiana. È morto a Castel D’Azzano l’11 agosto 2015.
Un “mago” dell’economia
“Il novanta per cento delle mie relazioni con lui – racconta ancora P. Moretti – furono ‘economico-finanziarie’. Quando penso a lui, lo penso come procuratore ed economo del Kenya. Un grande, sia nell’uno che nell’altro incarico. Preciso e severo, sorprendentemente esatto e capace. Per certi versi, un ‘mago’ dell’economia. Non per nulla, quando si trattava di ‘risistemare’ le finanze della provincia, dopo una crisi (sopravvalutazione dello scellino nei confronti del dollaro) o dopo il “crack” di qualche nostro impegno (come non ricordare la chiusura del politecnico di Gilgil, con un enorme debito da pagare?), ci affidavamo sempre a lui. E lui ci tirava sempre fuori dal pantano. Lavorava giorno e notte. Nei giorni feriali e anche in quelli festivi.
Non ci si faceva alcun scrupolo ad entrare nel suo ufficio. Si sapeva che stava lavorando, che era sotto pressione, ma si entrava ugualmente, certi che ci avrebbe accolti. Chiedevi una spiegazione? Aveva la risposta pronta. Gli comunicavi un dubbio? Si premurava di fugartelo. Gli rivelavi una difficoltà? E lui: ‘Vediamo cosa si può fare’. Fu un po’ ‘garibaldino’ in certe imprese? Forse. Avventato? Mai! Infallibile? Probabilmente no. In un ipotetico tribunale giudiziario, comunque, ne uscirebbe del tutto ‘assolto’.
Il ricordo di P. Giuseppe Caramazza
L’aggettivo ‘burbero’, forse, lo descrive meglio di altri. Era un uomo concentrato sull’essenziale, al punto da sembrare infelice e scostante, incapace di buone relazioni umane. In realtà, era molto diverso. Ebbi modo di conoscerlo un po’ meglio quando fu assegnato al postulato di Ongata Rongai. Lì ho potuto vedere alcuni tratti del suo carattere e del suo lavoro che mi sembrano degni di nota.
P. Romeo era considerato un tradizionalista. Invece, fui sorpreso di vedere quanto fosse aperto alla Dottrina sociale della Chiesa. Di solito, gli chiedevo di aiutarmi la domenica a celebrare una delle Messe in swahili. Nella sua predicazione prendeva fortemente le difese della democrazia, della giustizia, dei diritti delle donne e dei bambini. La gente lo amava, come amava il suo fluente swahili.
Una volta ci trovammo a parlare di questioni parrocchiali. Mi incoraggiò nella pastorale della famiglia, a sostegno dei movimenti come Marriage Encounter (Incontro Matrimoniale). Mi resi conto che, pur essendo molto attaccato al modo pastorale tradizionale, era senza dubbio a favore dell’insegnamento del Concilio Vaticano II. In uno stile veramente comboniano, ha voluto che i laici fossero incaricati il più possibile della vita della comunità.
La testimonianza di P. Mariano Tibaldo
P. Romeo era un amico con cui ho condiviso parte della mia vita missionaria, prima a Kabichbich (Kenya), poi come parte del consiglio provinciale (a quel tempo, nella seconda metà degli anni 90, P. Romeo era anche vice-provinciale) e, dal 2005 al 2010, quand’ero superiore provinciale, mentre P. Romeo era economo provinciale.
Ho diversi ricordi di lui, ma quello che ho ammirato di più erano la profonda onestà, il suo amore e passione per gli altri, la dedizione al lavoro, la sua costanza nella vita di preghiera. La sua onestà era tale per cui non si ‘tirava indietro’ quando c’erano problemi da affrontare e non scaricava su altri le gravi responsabilità, assumendo le conseguenze, anche serie, delle sue scelte: era un uomo su cui contare.
Nonostante apparisse burbero, ho sempre apprezzato la sua disponibilità verso gli altri, soprattutto i più poveri. Era un uomo sensibile in un involucro di apparente scontrosità. Se una persona aveva bisogno del suo aiuto, era sicura della sua disponibilità. Come economo provinciale aiutava non solo la Provincia e diversi vescovi ma anche membri di altri Istituti religiosi locali.
Quante volte l’ho visto chiuso in quel vero e proprio sgabuzzino che era la nostra procura provinciale, a lavorare anche durante i weekend. Una sola cosa poteva distrarlo dal suo lavoro di economo: il compito pastorale cui dedicava tutta la domenica mattina. Sì, perché P. Romeo non era prima di tutto un uomo da ufficio ma un pastore, un uomo con la passione per la gente e per la predicazione.
Quello che mi ha sempre colpito di lui, era la vita di preghiera: una preghiera costante, assidua, organizzata nei tempi; penso sia stato questo costante incontro con il Signore a dare a P. Romeo la forza della sua vocazione missionaria… fino alla fine, quando il Signore ha bussato alla sua porta chiedendogli il gesto estremo di abbandonarsi nelle sue mani. È questa impressione di serenità e di abbandono in Dio che P. Romeo mi ha fatto percepire quando l’ho visto a Castel D’Azzano una settimana prima che rimettesse la sua vita nelle mani amorose del Padre.
P. Romeo è stato uno dei fondatori della Provincia del Kenya, uno dei mzee, degli ‘anziani’ della Provincia – nel senso più pregno che questa parola ha nella cultura africana, dove l’anziano diventa il punto di riferimento per le giovani generazioni, la voce ascoltata e, una volta in Dio, la presenza protettrice del focolare domestico.
Da Mccj Bulletin n. 266 suppl. In Memoriam, gennaio 2016, pp. 99-105.