Qualcuno lo ha definito “un prete d’assalto”. Nella sua vita missionaria in Uganda ha visto persecuzioni e discriminazioni religiose, guerra civile, abusi, assassinii, rapimenti e la perdita di amici. Eppure, nelle sue lettere non c’erano mai disperazione, disillusione, resa: emergeva sempre, invece, la sua fede ed il suo affidarsi a Chi ci ama. Anche in questi ultimi anni, nonostante la malattia, il suo morale e la sua forza sono rimasti fermi, donandoci un’ennesima lezione di dignità.
Gli anni della formazione
P. Igino Serafino Leso era nato a Villafranca (provincia di Verona) il 13 dicembre 1926. Fra i tanti bei ricordi di un’infanzia serena, spicca il grande dolore per la perdita della mamma, verso la fine della seconda guerra mondiale, sotto i bombardamenti. Il cammino verso il sacerdozio iniziò nel 1942 a Brescia, dove Igino arrivò dopo aver fatto qualche anno di ragioneria a Verona. Andò poi in noviziato a Venegono Superiore, dove emise la prima professione il 15 agosto 1946. Dopo un anno di scolasticato a Rebbio, passò a Troia e a Sulmona e, per l’ultimo anno, di nuovo a Venegono. Seguiamo le parole di P. Luigi Varesco che ha ricordato così quegli anni: “La presenza dello scolastico Igino dava alla comunità di Venegono un timbro particolare: si notava in lui una grande apertura al servizio, una grande disponibilità al lavoro, allo sport, unite a una profonda, soda devozione religiosa. Carattere allegro, che faceva prevedere una vita tutta spesa per il Regno. Amore al canto, alla vita liturgica, alle varie cerimonie religiose, da cui traspariva chiaramente il desiderio di assaporare sempre più la Parola di Dio e di comunicarla. Si notava già in lui un formatore, una guida, una dinamica tipicamente missionaria. Gli anni che seguirono non smentirono affatto quelle caratteristiche così preziose”. P. Igino fu ordinato sacerdote il 7 giugno 1952, dal cardinale Ildefonso Schuster.
Sperando di “avere l’Africa più vicina”, con l’aiuto di P. Giuseppe Bertinazzo, tentò di imparare un po’ di arabo. Invece fu destinato alle scuole apostoliche: Sulmona (un anno), Pesaro (due anni), Crema (un anno) e poi, come superiore, a Carraia, in una situazione economica e vocazionale disastrata. A quel tempo P. Quinto Nannetti stava costruendo il nuovo fabbricato che sarebbe diventato il liceo di Carraia.
In missione in Uganda
La sua prima destinazione per la missione fu il Sud Sudan, ma siccome non riusciva ad avere il visto di entrata, fu mandato a Londra per imparare la lingua inglese. Fu un anno di belle esperienze, come racconta lui stesso: predicò una settimana per la Legione di Maria, nella cattedrale – una chiesa gremita di irlandesi – di Dublino (in italiano) e a Belfast dove, nella chiesa dei Redentoristi, si celebrava da circa 20 anni una particolare novena alla Madonna del Perpetuo Soccorso. Ebbe anche la possibilità di accompagnare un pellegrinaggio a Lourdes.
Nel 1961, racconta, “arrivai in Uganda con l’ordine preciso di far parte della procura di Kampala a Mbuya, ma vi rimasi solo un quarto d’ora e proseguii per Gulu, quindi per Anaka ad imparare l’acholi da quel grande missionario che fu P. Emilio Spreafico”. Dopo un anno Mons. Giovanni Battista Cesana gli affidò l’incarico della cattedrale di Gulu, per quattro mesi come curato e poi, come superiore e parroco. Era il tempo dell’apostolato nelle scuole e dell’inizio dell’ospedale di Lacor “col dott. Corti e la sua eroica moglie Lucille. Ricordo che quando a Pasqua andai a benedire l’ospedale, Lucille mi disse: ‘Ma Padre, noi abbiamo bisogno di sangue, non di acqua santa’, e così mi offrii per dare il sangue ad una bimba musulmana di nove anni. Più tardi, seppi che si era fatta cristiana e poi suora”.
Rientro in Italia
Nel giugno 1965, dopo solo pochi anni di missione, l’obbedienza lo richiamò in Italia. Il provinciale lo fece inginocchiare davanti al tabernacolo e gli disse che doveva partire per Verona, Casa Madre e sede dello scolasticato, che era stata lasciata libera dall’Amministrazione Generale. Erano “gli anni caldi del dopo Concilio, della confusione del 1968 che entrava anche nelle comunità giovanili religiose, del Capitolo Speciale che sciolse i due scolasticati di Verona e Venegono per aprirne altri, anni che terminarono con l’ordinazione sacerdotale di P. Paulino Lukudu, attuale arcivescovo di Juba, trasmessa dalla televisione italiana dalla Basilica di S. Zeno”.
Secondo periodo in Uganda
Nel 1970 P. Igino ritornò in Uganda, come parroco a Kitgum. Quel periodo, forse, fu il più fecondo della sua vita missionaria, nel quale diede il meglio di sé col suo zelo e il suo entusiasmo, visitando cappelle, preparando catechisti, suscitando nelle persone attorno a lui interesse e desiderio di collaborazione. Nel 1971, con il colpo di stato del generale Idi Amin, iniziò una dittatura crudele e la Chiesa divenne l’unico punto di riferimento e di speranza per la gente. Nel 1975 un gruppo di missionari comboniani con incarichi piuttosto importanti furono espulsi, come persone non gradite al governo. P. Igino era uno di loro: erano le 15.30 di un sabato e si trovava in confessionale, quando fu prelevato e portato via; gli furono concesse solo poche ore per lasciare il Paese. La gente di Kitgum ricorda ancora quei momenti dolorosi, quando il pastore venne allontanato dal gregge. “Lasciai Kitgum in pianto. Così dalle foreste africane, passai ai grattacieli di Londra, a Oxford Street, a Buckingham Palace, ai supermarket... quando a Kitgum conservavamo anche gli spaghi dei pacchi dono”.
I suoi collaboratori, e in particolare Mons. Sebastian Odong, vicario episcopale di Gulu, riandando ai suoi anni trascorsi in Uganda, lo ricordano per il suo impegno pastorale, il suo impatto sulla vita dei cristiani e dei sacerdoti della diocesi, la sua generosità e l’aiuto che ha dato, durante quegli anni di conflitti, guerriglia e cambiamenti politici, ai profughi, agli orfani, alle vedove e agli ammalati. “P. Igino era come un padre per loro”, dice Mons. Sebastian.
Inghilterra e Roma
P. Igino fu mandato a Londra, come superiore della comunità di Dawson Place. Fu un’esperienza positiva e interessante per l’accoglienza e l’aiuto dato ai confratelli, la predicazione delle giornate missionarie e gli incontri con chi aveva vissuto la sua stessa esperienza in Africa. Allo scadere del suo turno di rotazione, invece di ripartire per la missione come tanto desiderava, dovette andare a Roma, responsabile della comunità della Casa Generalizia “dove tutti erano superiori e già sapevano cosa fare e lo facevano”. P. Igino, che amava l’osservanza degli orari e delle disposizioni prese, intendeva dire che era difficile trovare un accordo fra i vari gruppi che formavano la Curia.
A Roma lavorò per un anno con entusiasmo nella parrocchia, partecipò ai consigli pastorali di prefettura (vicariati) e diocesani, al consiglio dei religiosi, al consiglio pastorale della CEI, al lavoro nel Sant’Ufficio per le cause matrimoniali (per il privilegio paolino) e le cause sacerdotali dove “ho potuto sentire il polso della Chiesa, il cuore del Papa e la gentilezza e sapienza del Card. Ratzinger”.
Terzo periodo in Uganda
Nel 1989, dopo otto anni di permanenza a Roma, ritornò per la terza volta in Uganda dove è rimasto fino alla fine della sua vita. Dapprima andò a Moyo come assistente delle Suore del Sacro Cuore, poi, nel 1990, a Gulu, dove si respirava ancora un clima di guerra. Estrapoliamo dalle lettere di quegli anni: “I cristiani mi aspettavano… Vogliono Risorgere!... Le cappelle rimaste sono 11… molte scuole sono distrutte… 7 catechisti e molti cristiani uccisi, imprigionati, battuti, mutilati, derubati e le loro capanne bruciate”. “Io continuerò la direzione spirituale in Seminario e poi ci sono i poveri, gli orfani, i mutilati. Bande ribelli assaltano corriere ed auto, a volte villaggi e scuole, feriscono, uccidono, bruciano e fanno schiavi, rapiscono donne e ragazze, bambini per farne soldati. Altra pena sono gli ammalti di AIDS, stanno raggiungendo percentuali altissime e gli orfani aumentano”. E, come dice in una lettera dell’ottobre 1995: “La missione è tutto questo: tanta gloria di Dio, ma anche tanta miseria umana da sollevare”.
Fu contemporaneamente superiore della missione, parroco, padre spirituale del seminario di Lacor, assistente spirituale della cattedrale e della parrocchia di Holy Rosary, procuratore, segretario del vescovo e, come tale, incaricato di partecipare a tutti gli eventi importanti della diocesi e di registrarli. Era anche molto attento all’educazione dei giovani. Scrive Fr. Elio Croce: “Era un prete zelante, tutto dedito al bene degli altri, capace di parlare alla gente in un modo semplice e profondo, sempre disponibile ai bisogni spirituali e materiali di tutti. Con lui, a Kitgum, abbiamo aperto parecchi posti di preghiera con cappella e scuoletta tenuta dai genitori. Aveva una particolare predilezione per la gente povera, bisognosa e sofferente. Si prendeva cura dei lebbrosi, dei ciechi, delle vedove, degli orfani e di tutti quelli che erano nel bisogno. Mi ha sempre sostenuto moralmente e anche con significative somme di denaro per portare avanti l’orfanotrofio di St. Jude e la casa dei disabili. Per noi è stato sempre un padre amoroso e premuroso”.
P. Igino è morto a Verona il 14 gennaio 2012. I funerali si sono svolti in Casa Madre e nella chiesa parrocchiale di Sommacampagna (provincia di Verona), dove è stato sepolto. Il 18 gennaio, la comunità parrocchiale di Holy Rosary, in Uganda, si è riunita per una speciale celebrazione eucaristica in suffragio dell’amato P. Igino che, negli ultimi anni di missione, scriveva: “A volte è stato duro, ma alla fine molto bello. E la cosa più bella è l’esperienza della paternità e della presenza di Dio in ogni momento della vita che questi nostri cristiani ci fanno provare. Assieme a loro, sempre avanti, con gioia fino all’ultima chiamata, quella definitiva, quando potremo guardarci finalmente faccia a faccia e dire con tutto il cuore: grazie Padre!”.
Testimonianze
Andrea Garbarino, della parrocchia dei SS. Martiri dell’Uganda a Roma, ha scritto nel Bollettino parrocchiale del 22 gennaio 2012: “Domenica scorsa una triste notizia si è diffusa tra i membri del neo ricostituito Gruppo Missioni: un caro e vecchio amico della nostra comunità se n’era andato. P. Igino Leso non era più tra noi. Chi era P. Igino, qualcuno si chiederà? Aveva il dono di saper raccontare in modo semplice e coinvolgente la sua esperienza in Uganda. Era difficile percepire nella sua voce preoccupazione, scoramento, tristezza: era più facile vedere sul suo viso il sorriso, sentire nelle sue parole l’amore e il rispetto verso ogni persona; di sicuro si coglieva il desiderio di svelare la profondità del rapporto tra l’uomo e Dio. P. Igino non c’è più, ma la sua esperienza terrena e la sua testimonianza sono ancora tra noi, capaci di insegnarci qualcosa di Dio; lui non c’è, ma il suo spirito sì, in mezzo a noi, più di prima”.
Il giornale veronese L’Arena del 17 gennaio 2012 ha scritto: “Il comboniano P. Igino è stato una delle figure più rappresentative della comunità locale a cavallo degli ultimi due secoli: la sua esistenza è stata molto avventurosa e sempre al servizio degli altri”.
Da Mccj Bulletin n. 251 suppl. In Memoriam, aprile 2012, pp. 62-67.