Annunciando la morte di P. Paolo Serra, il Superiore Generale dei Comboniani ha scritto: “Oggi, domenica 17 luglio 2005, mentre ricordiamo la resurrezione di Cristo, adoriamo la volontà di Dio in questo momento di dolore per la provincia d’Uganda e per tutto l’Istituto. P. Paolo Serra, chiamato al Padre venerdì scorso 15 luglio, ha seminato bontà, amicizia e fede nel cuore di moltissimi.
Durante la S. Messa nella sede ACSE (Roma), si respirava dolore sereno: P. Paolo era presente! Qui tutti parlano di lui come di un uomo buono, sacerdote di fede e grande missionario, e lo ricordano come l’amico.
Ed io, con tutti i confratelli, le sorelle ed il popolo d’Uganda, che tanto ha amato, ringrazio Dio per la sua vita. È stato un servo fedele di Dio e del suo popolo, come Daniele Comboni. Un servo di Dio sempre attento alle persone, un servo che ha amato perché si sentiva amato da Dio.
Ringrazio Dio perché P. Paolo ha predicato il vangelo di Cristo con la sua vita di autentico Comboniano”. P. Teresino Serra.
Da quel piccolo paese
Nato a Mores il 30 gennaio del 1937, aveva iniziato il percorso vocazionale nel seminario della sua diocesi, quella di Sassari, per passare poi al Pontificio Seminario del Sacro Cuore di Cuglieri, Nuoro. Durante il primo liceo incontrò P. Enrico Farè il quale accese nel suo cuore la scintilla della vocazione missionaria.
“Dietro consiglio di P. Farè - scrisse Paolo a P. Leonzio Bano il 26 luglio 1957 - mi rivolgo a lei col desiderio vivo che quello che finora è stato un desiderio diventi al più presto realtà. Sono un chierico che ha frequentato il primo liceo e sono stato promosso… Io stimo molto i Comboniani, però, essendo sincero e piacendomi dire le cose chiare, siccome ho sentito che come formazione i Comboniani non sono alla pari di altri Istituti, desidererei avere da lei la giusta risposta”.
La risposta è stata certamente esauriente se il 28 ottobre dello stesso anno, il nostro giovane entrò nel noviziato a Gozzano. I suoi padri maestri furono P. Pietro Rossi e P. Francesco Cordero che scrissero di lui: “Giovane di buone speranze, serio, docile, di pietà e amante di impiegare bene il tempo. Ha delle sane convinzioni ed è diligente e volonteroso. Farà bene”.
I genitori, Giovanni Antonio e Maria Antonia Cerchi, gli diedero il loro consenso con queste parole: “Per quanto riguarda noi, genitori del giovane Serra Paolo, non opponiamo difficoltà a che il nostro amato figlio segua la sua vocazione. Non senza rammarico, certo, però di fronte alla volontà di Dio, se questa è tale, passano in seconda linea tutte le aspirazioni che avevamo su di lui. Con ossequi”.
Il 9 settembre 1959 Paolo pronunciò i voti religiosi, poi passò a Verona per il liceo e quindi a Venegono Superiore per la teologia. Appena ordinato sacerdote, nel 1964, fu inviato in Inghilterra per lo studio dell’inglese e poi andò in Uganda dove rimase ininterrottamente fino al dicembre del 1996.
Sua prima missione fu Katikamu (1965-1970) con l’incarico di vice parroco. Katikamu era una parrocchia a una quarantina di chilometri da Kampala: era una zona densamente popolata, che gli consentì di immergersi immediatamente nel mondo africano. Il continuo contatto con la gente, le porte aperte dalla mattina alla sera, lo resero subito quello che sarebbe rimasto per sempre: un uomo del popolo, soprattutto dei poveri. Il contatto con la gente fece sì che parlasse correntemente la lingua locale, il luganda, bellissima e complessa, non facile da possedere per gli europei. Fra i suoi chierichetti a Katikamu ebbe anche un futuro vescovo: Samuele Sekkamagna.
Un altro aspetto della sua personalità che emerse fin dall’inizio del suo ministero missionario fu l’impegno per il dialogo e la fraternità con le altre denominazioni cristiane. Ad esempio, in quella zona, vi erano dei pastori protestanti molto poveri e P. Paolo non esitò ad aiutarli anche finanziariamente.
Dal 1971 al 1975 fu a Kampala come parroco di Mbuya. Affrontò le violenze della guerra nel sud e nel nord senza paura, ostentando in più circostanze sia ai soldati che ai ribelli la stessa mitezza del serafico Francesco al cospetto del lupo di Gubbio. P. Paolo trovava la serenità interiore nella preghiera, in particolare nella meditazione del Salterio che recitava frequentemente da solo in cappella, prima della proclamazione comunitaria, “per gustare fino in fondo - sono sue testuali parole - la profondità spirituale d’ogni singolo salmo”.
Formatore di comunità
Scrive P. Francesco Pierli: “P. Paolo mi ha introdotto all’Africa a cominciare dal 30 giugno 1971 quando arrivai per la prima volta in Uganda. Paolo allora era giovane parroco di una grande parrocchia di Kampala, Nostra Signora dell’Africa, località Mbuya, la zona industriale della città.
La parrocchia di Mbuya era complessa. La zona a destra si estendeva fino verso il santuario dei martiri ugandesi di Namugongo; era la zona agricola, banane, matoke e caffè: un paradiso di fertilità del popolo locale, i Baganda, famosi e impareggiabili agricoltori. A sinistra la zona industriale e operaia che da Bugolobi si estendeva verso il centro della città. Un insieme di baraccopoli di operai che affluivano dal resto dell’Uganda per trovare lavoro. Non pochi erano i rifugiati rwandesi.
Essendo, la parrocchia, di recente fondazione, P. Paolo mise in atto tutte le sue capacità per organizzarla, soprattutto con l’aiuto dei laici e delle piccole comunità cristiane di base già funzionanti, anche se non ancora ufficialmente lanciate dagli episcopati africani. Il Cardinale Emanuele Nsubuga considerava Mbuya come parrocchia pilota nella complessa vita pastorale della archidiocesi di Kampala”.
L’inizio dello scolasticato teologico
Nel novembre del 1974 l’allora Superiore Generale P. Tarcisio Agostoni lo mandò a Londra per aggiornare il suo l’inglese. P. Paolo rispose: “Anzitutto la ringrazio per avermi detto chiaro cosa dovrò fare. Quindi per avermi mostrato chiara la volontà di Dio sul mio conto. Io non dubito più dell’opportunità o meno della mia scelta, ma accetto volentieri e con molto ottimismo il nuovo incarico affidatomi e cercherò di fare del mio meglio per preparare, come dice lei, buoni sacerdoti all’Istituto e alla Chiesa”.
“Lì ci incontrammo nuovamente - continua P. Pierli - e P. Paolo cercò di convincermi ad accettare di lavorare con lui in un’impresa pionieristica: iniziare uno studentato di teologia a Kampala nella parrocchia di Mbyua. P. Paolo avrebbe curato la formazione pastorale e missionaria coinvolgendo queste due realtà, scolasticato e parrocchia, a Mbuya; io avrei prestato più attenzione all’aspetto accademico insegnando al seminario nazionale di Ggaba dove i futuri sacerdoti avrebbero studiato teologia.
La proposta mi affascinò e nel gennaio 1975 eravamo insieme a Kampala per iniziare la nuova avventura. Anni duri! Amin era al potere; spesso i cristiani di una certa levatura culturale e politica rischiavano la pelle. P. Paolo conosceva bene la polizia e personaggi cattolici in vari ministeri governativi. Quando qualcuno era in pericolo di vita ci davano una soffiata e noi provvedevamo all’espatrio in Kenya o in Tanzania.
Ci trovammo quindi a dirigere sia lo scolasticato di Kampala che la parrocchia di Mbyua. Fra gli scolastici, avevamo P. Tesfamariam Ghebrecristos Woldeghebriel, ora assistente generale, P. Giuseppe Filippi, assistente generale negli anni 1990 e ora provinciale d’Uganda, P. Brian Quigley, già provinciale della NAP, P. Sebhatleab Ayele Tesemma, ora provinciale dell’Eritrea, e molti altri.
Un bellissimo gruppo con un’energia inesauribile! Era il primo teologato missionario in Africa con europei, americani, eritrei e un ugandese. Con P. Lorenzo Carraro cominciammo anche l’animazione missionaria vocazionale. Nel novembre del 1976 realizzammo a Kampala il primo incontro vocazionale comboniano di giovani ugandesi. Anni creativi e ricchi di entusiasmo!”. L’esperienza di formatore si protrasse fino al 1980.
Roma: una pausa di studio
In data 9 ottobre 1978 P. Paolo chiese al Superiore Generale di fare una pausa di studio e di rinnovamento a Roma. “Dato che finora non ho mai avuto occasione di fermarmi un po’ per ricaricarmi spiritualmente e intellettualmente, credo che questo sia il momento opportuno per rinfrescare la mia formazione teologica prima di essere coinvolto in un altro lavoro… Ci tengo a far notare che dopo il corso di due anni, sarò pienamente disponibile a qualsiasi tipo di servizio l’Istituto mi possa chiedere”.
Nel 1979, con P. Pierli, mise per iscritto tutto quello che avevano fatto nello scolasticato e nella parrocchia. Non solo la cronaca ma anche le motivazioni e la metodologia. Così, quando P. Pierli lasciò l’Uganda, il cammino iniziato non fu dimenticato e fu assicurata una certa continuità. Il giorno dell’addio, chiesero agli studenti che cosa sarebbe rimasto degli anni passati insieme. La risposta fu immediata, unanime e, in un certo senso, inaspettata: “l’esempio della vostra fraternità e collaborazione. Non avrebbero potuto fare ai partenti un regalo più bello.
Erano ormai 16 anni che P. Paolo lavorava in Uganda. Voleva aggiornare la sua teologia, studiata prima del Concilio Vaticano II. Nel 1981, a Roma, seguì un corso di due anni al Teresianum, l’Università dei Carmelitani. Fra i suoi compagni, vi erano P. Arnaldo Baritussio e P. José Jesús Aranda Nava. Anche se non fu facile per P. Paolo tornare ai libri, lasciati nel 1964, questa fu un’ottima occasione per riflettere sul lavoro missionario già fatto e analizzarlo alla luce della nuova missiologia e spiritualità.
L’apostolo dei giovani
Finito il corso, P. Paolo era pronto per una nuova avventura. L’Africa è il continente dei giovani! E sotto la spinta di Papa Giovanni Paolo II, iniziatore delle Giornate Mondiali della Gioventù, la Conferenza Episcopale d’Uganda cominciò a pensare di investire energie e personale nella pastorale giovanile. P. Paolo, che si trovava a Layibi come incaricato del ministero (1983-1987), poteva essere una pedina importante in questo campo. Insieme a P. Pierli, che si trovava a Roma, tracciò le linee strategiche, che si potevano sintetizzare in sei punti: 1° Preparazione di una leadership giovanile locale a livello diocesano e nazionale; 2° attenzione alla sfida HIV/AIDS che imponeva un cambiamento nelle abitudini sessuali dei giovani; 3° promozione del lavoro giovanile in una società ugandese dove, come in tutto il resto dell’Africa, la disoccupazione giovanile era altissima; 4° sfruttamento del capitale cristiano e organizzativo della YCS (Associazione dei Giovani Studenti Cristiani) molto diffusa in Uganda e con cui P. Paolo aveva grande familiarità; 5° contatti internazionali con associazioni giovanili cristiane sia per lo scambio di visite e di esperienze che per sollecitare aiuti finanziari; 6° visite prolungate a tutti i gruppi giovanili di una certa consistenza. Insieme a P. Pietro Giuseppe Archetti, diede alle stampe dei libretti che commentavano le letture della Messa del giorno. “Chi può venire a Messa lo adopera e coloro che non vengono in chiesa, lo adoperano in famiglia: così la Parola di Dio penetra nei cuori. Col tempo prepareremo un programma nazionale per i giovani. Questo programma, però, dovrebbe partire dal basso per non essere campato in aria. Richiede, perciò, un contatto con i leader diocesani, sia sacerdoti che religiosi e laici impegnati. C’è un campo meraviglioso di lavoro e mi sento privilegiato di poter rendere un umile servizio in questo campo. Il Signore non è indifferente di fronte alla situazione di centinaia di migliaia di giovani. Fai pregare per l’apostolato giovanile in Uganda”.
Coordinatore della pastorale giovanile
Nel 1987, la Conferenza Episcopale Ugandese nominò P. Paolo responsabile del laicato cattolico, ministero che svolse con passione e competenza ribadendo, in tutte le diocesi che visitava, l’urgenza della missione ‘ad gentes’ di ogni battezzato. In quel periodo tutte le scuole erano chiuse, c’erano fame, disoccupazione e ruberie a tutti i livelli, eppure la scuola di Laybi era l’unica che funzionava.
“C’è un bel risveglio sia da parte degli studenti che da parte dei maestri: le difficoltà avvicinano a Dio. Abbiamo un programma che ci permetterà di tenere un corso di tre giorni in tutte le diocesi. Cerchiamo di avvicinare i giovani per sensibilizzarli con incontri settimanali. La risposta è incoraggiante”, scrisse P. Paolo.
P. Pierli aggiunse: “La pastorale giovanile era al centro delle nostre preoccupazioni. I giovani erano tanti; in parrocchia avevano anche il Nakahwa College di economia e commercio con 700 studenti e una caserma. L’attenzione si estendeva oltre i confini della parrocchia come al Shimoni College e a Makerere Unversity dove insegnavo nella facoltà di Filosofia e Scienze Religiose. In quel periodo P. Paolo raggiungeva tutti gli angoli dell’Uganda dove c’erano giovani in attesa.
La YCS offriva la metodologia e contatti con gruppi giovanili cristiani sia in Africa che in Europa. Come tutti sappiamo, la particolare attenzione di P. Paolo per i giovani raggiunse il suo apice dal 1985 al 1995 mentre era incaricato nazionale della pastorale giovanile in Uganda.
I poveri non erano pochi. La pastorale sociale era diretta da un comitato ispirato dalla Comboniana Sr. Gabriella Crestani di cui rispecchiava, oltre che le direttive, la grande pietà e l’apertura di visione. Per coinvolgere tutta la parrocchia nell’aiuto ai poveri avevamo tre celebrazioni penitenziali comunitarie all’anno, quando tutte le piccole comunità cristiane venivano nella chiesa centrale per il sacramento della riconciliazione. In quelle occasioni tutti i cristiani erano invitati a provvedere alle necessità dei poveri. Ricordo ancora con commozione la montagna di matoke, banane, cavoli, farina, ananas, fagioli, in mezzo alla chiesa.
Si notò in quel tempo anche un aumento delle conversioni al cattolicesimo. Facemmo una ricerca per scoprirne la causa. Le risposte convergevano su due punti: primo, sul fatto che nella chiesa dei cattolici si prega, le celebrazioni sono partecipate, i canti sono belli; secondo, sul fatto che ‘voi cattolici avete una grande attenzione per i poveri’. P. Giorgio Previdi si unì a noi quando, con lo sviluppo dello scolasticato e della parrocchia, si rese necessaria la presenza di un terzo sacerdote.
I parrocchiani possedevano e dirigevano la parrocchia attraverso il consiglio parrocchiale eletto dalla base secondo una procedura suggerita dalla diocesi di Kampala. Avevamo laici ben preparati e di prestigio come Vincenzo Kirabo che divenne ambasciatore dell’Uganda in Italia e in Vaticano e Mr. Kyaga, di grande competenza amministrativa e finanziaria. L’obiettivo era di avere una parrocchia meno incentrata sul prete e più fondata sulle capacità umane, spirituali, amministrative e finanziare della gente del posto.
Ultimo bellissimo ricordo di quel tempo sono i lunedì: giorno libero dagli impegni parrocchiali. La gente lo sapeva. La giornata veniva utilizzata per visitare i confratelli, soprattutto quelli di Katikamu, dove c’era P. Archetti, e di Kasaala, dove c’era P. Fulvio Cristoforetti; oppure per incontrare i sacerdoti diocesani; per una giornata di svago a Kisubi nel piccolo campo da golf che i Brothers of Christian Instruction avevano sul lago Vittoria: che belle nuotate e che belle risate!
Erano momenti in cui si ritempravano le energie e si scaricavano le tensioni che inevitabilmente si accumulavano. Una volta al mese, il lunedì era dedicato alla preghiera dalle Suore Benedettine di Mitiana a cinquanta chilometri da Kampala”.
Il progetto agricolo
Nel 1990, tornando sull’argomento “giovani”, P. Paolo ha scritto: “Questa seconda tappa del mio lavoro consisterà nel coinvolgere maggiormente la Chiesa locale affinché diventi protagonista nella promozione integrale dei giovani. Ho bisogno di una visione più chiara e di tanto coraggio, quel coraggio che viene da Cristo e non teme il rischio. Bisogna, infatti, rischiare tutto pur di avere i giovani”.
Sulla base del lavoro spirituale tra i giovani, P. Paolo cercò di delineare un progetto che venisse incontro alle loro esigenze: “È mia ferma convinzione che il futuro dell’Uganda sia legato allo sviluppo agricolo e che i giovani debbano essere i promotori di questo sviluppo. Così la corsa verso la città e l’esodo verso l’estero potranno essere frenati dalla riscoperta della terra come fonte di benessere. Per questo progetto ho ottenuto dalla Caritas italiana la cifra di 34.500.000 lire”.
Quando, nel 1995, P. Paolo dovette lasciare l’Uganda per altri impegni in Italia, il progetto aveva cominciato a camminare e la pastorale giovanile ugandese aveva messo solide radici.
A Roma, responsabile dell’ACSE
P. Paolo ha vissuto gli ultimi otto anni di vita a Roma, come responsabile dell’ACSE (Associazione Comboniana Servizio Emigranti), ereditando il ministero inventato di sana pianta dal grande P. Renato Bresciani, di venerata memoria. Qui P. Paolo ha fatto veramente un ottimo lavoro, che anche L’Osservatore Romano ha voluto sottolineare, in un articolo scritto in occasione della sua morte.
Sulla rete di Internet è possibile leggere la presentazione del suo ultimo lavoro, una sorta di testamento: quarantasei schede per un autentico cammino di fede, un sussidio dal titolo “Insieme per la vita”, curato dall’Ufficio Catechistico e dalla Fondazione Migrantes di Roma, che ne ha finanziato la stampa col patrocinio della CEI. Ma “ideatore e animatore appassionato di questa iniziativa fu”, si legge nel comunicato on line dell’agenzia Migranti Press, “il Comboniano Paolo Serra, missionario per decenni in Uganda. Questo modesto ma elegante strumento di evangelizzazione intende essere anche un segno di ringraziamento a P. Paolo che ha caricato di tanto dinamismo missionario la Chiesa di Roma nel servizio ai migranti”.
P. Paolo lavorò all’ACSE dandogli una sua impronta ispirata al credo comboniano: fiducia nei laici, collaborazione con altre forze religiose e civili, come la Migrantes; contatto intenso con la diocesi di Roma per coinvolgerla più direttamente nella pastorale degli emigranti; invito agli studenti africani religiosi a Roma ad entrare nell’apostolato verso e con i loro connazionali; sensibilizzazione delle parrocchie promuovendo la festa dei popoli…
Sfide non facili, che consumarono le sue energie per le lentezze burocratiche dell’amministrazione civile, la non sempre facile collaborazione, la preoccupazione di qualche congregazione religiosa interessata più al proprio prestigio che al bene delle persone.
Il Signore ha voluto, il 4 marzo 2005, farlo tornare in Africa, per chiamarlo a sé da quella terra a lui tanto cara. In un’ultima e lunga conversazione col direttore della MISNA, P. Paolo gli confidò un desiderio: che l’ACSE potesse un giorno divenire un vivaio di vocazioni africane per l’Africa. Un’intuizione spirituale, un azzardo dell’utopia, che questo grande missionario lascia come eredità per il futuro dell’Istituto.
Uomo dell’amicizia
La Bibbia dice: un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova ha trovato un tesoro, un amico fedele è come una perla rara, un balsamo di vita, non ha prezzo, ha un valore inestimabile (cfr. Sir 6,14-15).
“Voglio concludere con due ultimi ricordi, molto personali - scrive P. Pierli - che hanno sigillato ancora di più la nostra amicizia e che rendono la mia riconoscenza per P. Paolo eterna e indistruttibile. P. Paolo fu vicino ai miei genitori e alle mie sorelle Argentina ed Egle, ai miei cognati Mario e Dante quando mia sorella Argentina si stava spegnendo di cancro nell’aprile 2003. Quando Argentina morì io non potei essere presente. Paolo rese la mia assenza meno pesante.
Quando suor Maria Teresa Ratti prima e poi io stesso annunciammo la morte di P. Paolo a mia sorella Maria e alla mia mamma, un pianto dirotto sgorgò dal loro cuore come per la morte di un fratello e di un figlio. La presenza di P. Paolo è parte della mia famiglia naturale e con noi resterà come ricordo consolante e gioioso.
Altro ricordo: la settimana di animazione missionaria nella parrocchia natale di P. Paolo a Mores nell’ottobre 2004, su invito dello zelante parroco Don Piero. P. Paolo mi invitò non solo a dare il mio contributo ma anche a condividere la gioia e il calore umano della sua famiglia con i fratelli Giovanni e Tiziano, con le rispettive mogli e nipoti. Era il tempo della vendemmia. Ovunque si sentiva il profumo del vino e del mosto. E poi l’inimitabile ospitalità sarda. Quindi il viaggio in nave per il ritorno a Roma carichi di vino e formaggio”.
Pio e attivo
Aggiunge P. Giulio Albanese: “Lo avevo incontrato un paio di settimane prima della morte a Kampala. Avevamo parlato a lungo, condividendo gioie, dolori, fatiche e speranze legati al presente e soprattutto agli anni trascorsi assieme nella comunità di San Pancrazio.
Poi ho letto e riletto alcune circolari che aveva scritto quando era superiore, con delle riflessioni e confidenze degne di un amico. Tra le carte ho trovato una battuta del professor Angelino Tedde, docente emerito presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari. In un’intervista sugli anni trascorsi in seminario parla del suo compagno “Comboniano Paolo Serra, pio e attivo”. Due aggettivi che dicono tutto della vita di un missionario che ha amato l’Africa con la stessa intensa passione del suo fondatore, Daniele Comboni.
Lo ricordo seduto nel banco, a testa bassa, piegato sul breviario che teneva tra le ginocchia, mingherlino, con gli occhiali incastonati nel viso scarno ricoperto dalla barba… era la sua postura orante, quella che inaugurava e chiudeva ogni sua giornata”.
Gli ultimi giorni di P. Paolo
P. Paolo era superiore della comunità di Kampala, segretario provinciale dell’animazione missionaria e assistente dei Laici Comboniani ugandesi. Era conosciuto da moltissime persone, specialmente dai giovani dei quali era stato cappellano nazionale dal 1988 al 1996.
Da qualche giorno si lamentava di mal di testa ma, non avendo febbre, pensava a dolori cervicali. Ne aveva parlato a Fr. Daniele Giovanni Giusti, suo confratello e medico, che gli aveva suggerito di farsi vedere dal medico specialista che seguiva il nunzio apostolico, il quale si lamentava di dolori simili. Giovedì 14 luglio, Sr. M. Luigia Castini gli ha somministrato il trattamento contro la malaria. Fr. Giusti lo ha visitato e ha confermato la diagnosi, temendo una malaria cerebrale.
Venerdì 15, all’alba, P. Paolo era in coma. Gli sono stati amministrati gli ultimi sacramenti ed è stato trasportato d’urgenza all’ospedale di Nsambya, dove lo ha seguito costantemente Fr. Giusti che, grazie ai suoi contatti, ha facilitato le fasi successive. I medici, eseguiti gli esami necessari e non riscontrando alcuna infezione, hanno consigliato la TAC per cui P. Paolo, verso mezzogiorno, è stato portato in ambulanza all’ospedale BAI, dove sono stati tentati due interventi chirurgici al cervello.
P. Giuseppe Filippi, che fin dal mattino aveva cercato di contattare i familiari di P. Paolo, è riuscito a parlare con loro e ad informarli della situazione critica del malato. La TAC ha rivelato un’estesa emorragia cerebrale che lasciava poche speranze. Trasferito immediatamente al reparto di neurologia dell’ospedale universitario di Mulago, è stato operato ma, dopo una breve ripresa, si è aggravato, forse per una nuova emorragia, ed è morto, alle 20.45, in sala di rianimazione.
Sr. M. Aldina Viliotti, Fr. Giusti e P. Filippi, presenti in sala di rianimazione, lo hanno accompagnato con la preghiera e lo hanno raccomandato al Signore.
Appena rientrato a casa, P. Filippi ha comunicato la triste notizia ai fratelli di P. Paolo e al Superiore Generale. Nonostante i parenti fossero stati regolarmente informati dello stato di P. Paolo nel corso della giornata, la notizia della morte li ha colti di sorpresa e hanno chiesto di avere la salma.
Sabato 16 luglio, Fr. Giusti, ha recuperato i risultati della TAC, mentre i confratelli si davano da fare per contattare una compagnia che preparasse le pratiche per il funerale e il trasporto del feretro in Italia, secondo il desiderio dei fratelli di P. Paolo. Essendo sabato, gli uffici erano chiusi e tutto è stato rinviato a lunedì.
Sabato pomeriggio, alle 17.00, il Nunzio Apostolico Mons. Christophe Pierre ha presieduto la S. Messa di suffragio, concelebrata da numerosi sacerdoti, con la partecipazione di una folla di giovani e di gente della parrocchia di Mbuya. P. Filippi, nell’omelia, ha ricordato la figura di P. Paolo come una persona capace di costruire comunità e creare comunione. Il nunzio lo ha indicato come modello di sacerdote, ovunque presente e attento ai bisogni della gente, in particolare dei giovani.
Lunedì 18 luglio, con l’aiuto della compagnia Uganda Funeral Services, sono iniziate le pratiche per il trasferimento della salma in Italia. Il corpo è stato portato nella chiesa di Mbuya dove è stata celebrata una Messa in lingua locale. È seguita una veglia di preghiera, organizzata dai giovani, che si è protratta per tutta la notte e durante la quale sono state celebrate altre Messe, dai sacerdoti venuti a pregare vicino alla salma del loro amico e padre.
Martedì 19, a mezzogiorno, è stata celebrata la Messa funebre, presieduta dal vescovo ausiliare di Kampala, Mons. Christopher Kakooza, concelebrata dai vescovi di Masaka, Kabale, Kyinda, Mityana, dal Nunzio Apostolico, e da altri 25 sacerdoti, sia confratelli che diocesani. È stato ancora una volta P. Filippi, provinciale, a ricordarlo come modello di missionario e di animatore missionario.
Intanto, la bara di P. Paolo è stata preparata per il trasporto in Italia, grazie all’aiuto del Superiore Generale, P. Teresino Serra. Si è riusciti, infatti, ad ottenere dalla British Airways di fare il trasporto del feretro fino a Roma e poi, in collegamento con la Meridiana, di farlo procedere fino a Olbia.
Il funerale a Mores
P. Giorgio Previdi, dando relazione al provinciale d’Uganda del funerale al paese natale di P. Paolo, ha scritto: “Carissimo P. Filippi, sono stato vicino ai fratelli di P. Paolo Serra nel momento del dolore. I suoi fratelli Gianni e Carlo, con le loro famiglie, erano molto uniti a P. Paolo, tuttavia hanno vissuto con fortezza questo triste momento. Siamo andati insieme all’aeroporto di Olbia dov’è arrivato il feretro giovedì 21, in serata. Ho celebrato la Messa nella casa del fratello Gianni che era piena di gente, dentro e fuori. Vedendo la bellissima bara con le corone di fiori ancora freschi e sentendo i messaggi che ho tradotto dicevano: “Hanno dato il meglio per Paolo”.
Venerdì mattina, con una lunga fila di macchine, è stato portato in chiesa. Entrando in paese, al passaggio del carro funebre alcune donne hanno sparso fiori sulla strada come fanno al passaggio del Santissimo Sacramento.
La chiesa era piena di gente che, dopo la recita delle lodi e per tutta la giornata, è sfilata davanti alla bara per rendere omaggio a P. Paolo.
Alle 17.00, si sono svolti i funerali. Il Superiore Generale, P. Teresino Serra, ha presieduto la celebrazione eucaristica attorniato da 27 sacerdoti tra cui il vicario generale della diocesi e P. Pinuccio Floris.
La liturgia, animata dal coro della parrocchia e dal coro dell’ACSE che P. Paolo ha chiamato “Africa Canta”, è stata molto commovente. Il coro ha reso omaggio al suo missionario accompagnando la cerimonia con canti africani, portando così, in quel piccolo pezzo di Sardegna, un piccolo pezzo d’Africa.
Da Roma, sono arrivati ventidue giovani dell’ACSE, accompagnati da P. Jean Bosco Gakirage, accolti dai parrocchiani di Mores con grande amore e cibo in abbondanza.
Ti sono tutti riconoscenti per aver riportato P. Paolo tra i suoi cari. I volontari dell’ACSE hanno offerto duemila Euro per contribuire a pagare le spese che hai dovuto sostenere”.
Il Superiore Generale ha concluso la celebrazione con queste parole: “Oggi diamo l’addio ad un missionario tutto d’un pezzo, trasparente, coerente, che non ha esitato a giocare tutta la sua vita per la missione. I suoi 32 anni di missione sono qui ad assicurarcelo. Il vostro missionario, cari Moresi, è tornato tra voi, per continuare a seminare quell’amore per la missione che ha segnato tutta la sua vita e che adesso spetterà a voi portare avanti”.
Ad accompagnare P. Paolo nel suo ultimo viaggio, oltre ad una folla commossa che ha riempito la parrocchia di Santa Caterina, c’erano i parenti e gli amici di Mores, alcuni Missionari e Missionarie Comboniani giunti da diverse parti d’Italia e dall’Uganda. Nelle prime file c’erano “i fratelli che P. Paolo ha amato con tutto il cuore”: i giovani africani immigrati a Roma, che egli ha accolto e servito all’interno dell’ACSE.
“Sono certo di non sbagliare - ha concluso il Superiore Generale - se dico che San Daniele Comboni è orgoglioso del suo missionario che oggi lo ha raggiunto accanto al Padre”.
Testimonianze
I volontari dell’ACSE hanno scritto: “Per i volontari, per gli immigrati, per quanti hanno avuto modo di incontrarlo e conoscerlo, P. Paolo è stato un padre, un amico, un sacerdote e molto altro ancora. Con la sua forte presenza di spirito, la sua capacità di accogliere e la sollecitudine con cui sempre si rendeva disponibile, P. Paolo si è donato senza mezze misure. Era sempre lì, nel suo ufficio, con la sua presenza silenziosa, per ascoltare e accompagnare tutti e ciascuno. Guardava l’uomo che aveva davanti a sé, senza distinzione di lingua, religione e provenienza. Partendo per l'Uganda, ci ha consegnato il suo testimone: credere che le cose possono essere migliorate, pure tra mille difficoltà, che con la buona volontà e molta semplicità è possibile realizzare insieme grandi imprese d’amore. Con pazienza, volontà e semplicità. Ed è questo che noi desideriamo testimoniare. P. Paolo sapeva mettere insieme le persone, senza differenze, raccogliendo il bene in ciascuno per costruire un mosaico di comunione fra la gente e le comunità. È stato un apostolo, un operatore di pace, un uomo della Chiesa, un costruttore di comunità. La vita di P. Paolo continua con noi e anche la sua missione, una missione di cui è difficile enumerare gli effetti, perché si moltiplica in ciascuno e in tutti”.
Concludiamo con la testimonianza dell’Arcivescovo Mons. Agostino Marchetto, inviata il 30 luglio 2005, dalla Città del Vaticano: “Reverendissimo Superiore Generale dei Comboniani, con grande tristezza abbiamo appreso la notizia della scomparsa di P. Paolo Serra, ritornato alla casa del Padre in terra africana lo scorso 15 luglio, e ci uniamo al dolore dei suoi confratelli, dei familiari, degli amici e di tutti coloro che, incontrandolo, ne hanno apprezzato le belle doti umane, cristiane, sacerdotali. Missionario della Famiglia Comboniana, P. Paolo ha testimoniato con la vita e con la morte la sua vocazione al servizio, all'evangelizzazione, alla carità tanto tra le popolazioni ugandesi, quanto tra gli immigrati a Roma. L'anima apostolica di P. Paolo ha avuto modo di manifestarsi negli oltre trent'anni di attività pastorale in Africa, da dove, significativamente, il Signore lo ha chiamato a sé. Ma anche a Roma P. Paolo ha dato il meglio, soprattutto nell'accoglienza degli immigrati che hanno bussato alle porte dell'ACSE, continuando, con entusiasmo e abnegazione, l'opera provvidenziale iniziata nel lontano 1969 dal compianto P. Renato Bresciani. Il vostro missionario lascia a tutti un’importante eredità, poiché invita ad imitarne lo zelo apostolico per divenire, sulle orme di Cristo e nel cuore della Chiesa operatori di pace, ministri dell’accoglienza, generosi servi dell’annuncio evangelico e costruttori instancabili di autentica comunione, senza concedere spazi a compromessi e superficialità. Eleviamo, dunque, preghiere al Padre della vita, affinché ricompensi P. Paolo, servo buono e fedele, con i doni eterni promessi a ‘coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello’ (Ap 7,14). A Lei e all’intera Famiglia Comboniana, anche a nome di Sua Eminenza il Cardinale Stephen Fumio Hamao, assente per la pausa estiva, esprimiamo vive condoglianze e ci confermiamo, in comunione, Dev.mo in Cristo, Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario”.
Moltissime altre testimonianze sono arrivate alla Direzione Generale dei Comboniani, segno che, per tutti, in particolare per gli emigranti, per i giovani ugandesi e le autorità della Chiesa di Roma, P. Paolo è stato un padre, un amico, un sacerdote esemplare, e per i confratelli un dono di Dio sempre disponibile a spendere se stesso pur di imprimere nella comunità l’ideale d’amore portato da Cristo.
(P. Lorenzo Gaiga, mccj)
Da Mccj Bulletin n. 228 suppl. In Memoriam, ottobre 2005, pp. 63-77