Lunedì 8 maggio 2017
Un libro racconta la storia del missionario comboniano che lasciò l'azienda di famiglia produttrice di miele e caramelle per fare il medico missionario. Ronago, un paese nel comasco a poca distanza con il confine elvetico. I bimbi (ma anche gli adulti) conoscono questo luogo perché ha sede la ditta Ambrosoli, la celebre fabbrica di miele e caramelle. E tra i fratelli alla guida dell’azienda uno di essi decise di dedicare la vita a Dio. E agli ultimi. Padre Giuseppe Ambrosoli non è stato solo un missionario comboniano, ma anche medico e «martire», ossia «un testimone della fede in Cristo e dell’amore cristiano a cui ha consacrato l’intera esistenza». Così lo ricorda il cardinale Gianfranco Ravasi nella prefazione al volume “Chiamatemi Giuseppe” (edizioni San Paolo) scritto da Elisabetta Soglio – caporedattrice del Corriere della Sera – e Giovanna Ambrosoli.
La copertina del libro
di Elisabetta Soglio.
La lettura di questo volume dedicato a padre Ambrosoli fa correre alla mente altre grandi figure di lombardi animate da zelo verso gli ultimi, ma allo stesso tempo ricche di quella concretezza e intraprendenza tipiche di queste terre: don Carlo Gnocchi e l’opera per i mutilatini; Marcello Candia, l’imprenditore che vendette tutto per aprire l’ospedale di Macapà sul Rio degli Amazzoni in Brasile; Piero e Lucile Corti, con il loro ospedale di Gulu in Uganda. Proprio in Uganda, padre Ambrosoli compì per intero la sua missione dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1956 dal cardinale Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) nel Duomo di Milano. Una fede profonda maturata grazie all’esempio di mamma Palmira e consolidata attraverso l’impegno nell’Azione Cattolica guidata don Carlo Riva nel corso degli anni universitari.
Durante il conflitto padre Giuseppe non si sottrasse all’aiuto nei confronti degli ebrei o di persone contrarie al regime fascista aiutandole a giungere presso la poco lontana Svizzera. Arrestato venne portato in un campo di concentramento di Mantova e liberato grazie all’intervento del padre. Dovette arruolarsi nella Repubblica Sociale di Salò e grazie ai suoi studi medici venne assegnato agli ospedali da campo o cittadini. Nell’immediato dopoguerra Giuseppe maturò la propria vocazione missionaria; laureatosi in medicina partì per l’Inghilterra per specializzarsi in malattie tropicali e imparare l’inglese. Bussò alla porta dei Padri Comboniani che subito lo accolsero cogliendo in pieno le capacità di Padre Giuseppe. I superiori decisero di ordinarlo al termine del terzo anno di Teologia; era necessario che partisse al più presto con destinazione Kalongo, Uganda. Ebbe così inizio una vita di apostolato, preghiera, missione, servizio e cura che non ha eguali e che Soglio racconta con rara sensibilità e attenzione.
Una missione resa possibile attraverso il costante contatto e aiuto proveniente dalla natia Ronago dove i fratelli aiutati dagli operai e impiegati dell’azienda fecero a gara per recuperare medicinali, materiale sanitario, denaro (senza dimenticare i pacchi di caramelle per i piccoli del villaggio) e quanto poteva servire in quel paese così tormentato. Una carità attiva e silenziosa che traspare per bene nelle pagine del libro. La presenza in sala operatoria di padre Ambrosoli era continua, costante. L’abilità del missionario in ambito medico fu pari alla sua testimonianza di fede. Per la popolazione locale divenne lo stregone bianco “Brogioli”. Ma padre Ambrosoli si rivelò anche un attento manager e organizzatore; non poteva essere altrimenti considerando la famiglia da cui proveniva…
Il libro mette in luce i lati del carattere di Ambrosoli: la mitezza, l’attenzione verso tutti, le premure verso quanti lo hanno conosciuto. Una lettera, un pensiero, un messaggio a parenti e amici. Nel libro emerge questo tratto così umano e signorile. Sono tante le testimonianze che compongono il volume; tra esse quella di don Palmiro Donini che affiancò fino al 1986 il religioso definendolo «primario della Carità» e suor Caterina Marchetti che restò a fianco del missionario medico sino alla sua morte. Il dispensario di Kalongo diventò – grazie all’opera di padre Giuseppe – un autentico punto di riferimento sanitario per il Paese (come è avvenuto per l’Ospedale di Gulu, sempre in Uganda, fondato da Piero e Camille Corti).
Ma Ambrosoli non volle solo un luogo di cura, ma anche di formazione di eccellenza per infermiere e ostetriche. Nel libro si rincorrono anche i ricordi di una conversione come quella di Beatrice Giordani. Nessuna parola in particolare, ma solo gesti, sguardi e un invito: a battezzare quattro bambini morti a poca distanza di tempo. Davanti allo smarrimento della donna: «Battezzare? Perché proprio io?»; la risposta fu un sorriso: «Non preoccuparti, ci penserà Lui».
Nell’approfondire la figura di padre Ambrosoli si scoprono altri grandi uomini e donne che hanno dedicato la loro vita agli ultimi. Uomini e donne che con naturalezza raccontano gesti eroici e quotidiani che fanno venire i brividi e commuovono. Non mancano i racconti drammatici legati alla vita di quel disastrato Paese qual è l’Uganda. Nel 1987 l’ospedale finì nel pieno del conflitto e l’esercito ordinò l’evacuazione del presidio ospedaliero a Lira, a 120 chilometri di distanza. Lì padre Ambrosoli venne colpito da un’insufficienza renale e per l’impossibilità di avere un elicottero per portarlo in una struttura dedicata e morì a soli 63 anni il 27 marzo 1987.
La sua opera non è stata vana. Grazie alla Fondazione Dr. Ambrosoli continua operare il “Dr. Ambrosoli Memorial Hospital”, sul modello della Fondazione di Piero e Lucille Corti che sostiene il Lacor Hospital. L’impegno della famiglia Ambrosoli continua nel ricordo e nell’azione secondo lo stile di padre Giuseppe. «Ora et labora»: nella vita di Padre Ambrosoli questo ammonimento si è fatto concreta testimonianza di amore per tutti. Testimoni – come amava richiamare Paolo VI - di cui questo mondo ha tremendamente bisogno.
di EDOARDO CAPRINO.