Mentre Giovanni Cotta frequentava la prima liceale nel seminario di Monza, un suo compagno ordinò, a sua insaputa, il libro di p. Carlo Tappi: Cenno storico della missione dell’Africa Centrale. Quando il libro arrivò per posta, Giovanni rimase sorpreso ma quel suo compagno, ridendo alle sue spalle, gli disse: ‘Leggilo, ti farà bene!...’. Lo lesse e decise di farsi comboniano. Era nato a Mortara, Pavia, nel 1883.
Studente di teologia, partì per l’Inghilterra, destinato alla casa comboniana di Sidcup alla quale era annessa una chiesa con scuola parrocchiale. Vi restò due anni, con brevi intervalli in Italia nel 1905 per ricevervi gli ordini sacri. Ne approfittò per imparare correttamente l’inglese, quasi senza ombra di accento straniero.
Arrivò a Khartoum alla fine di dicembre e fu incaricato della scuola, di cui in seguito fu direttore. Si prestava anche per il ministero, specialmente in lingua inglese, e fungeva da cappellano ai soldati cattolici della guarnigione britannica.
Nel 1925 passò in Uganda per aprire a Gulu una scuola secondaria. Era la prima scuola superiore nelle nostre missioni del nord Uganda, e accoglieva alunni delle varie missioni. L’ultima impresa africana di p. Cotta si svolse a Detwok, Sudan, nel 1931 Ci voleva l’entusiasmo di p. Cotta per imbarcarsi in un’impresa simile, giudicata inattuabile dalla maggior parte dei confratelli. Si trattava, infatti, di realizzare una fattoria tra gli Scilluk. L’impresa sembrava avviarsi bene e prometteva già i primi raccolti, quando una piena straordinaria del Nilo sommerse i terreni coltivati, seppellendo sotto uno strato di limo le speranze di p. Cotta. Dovette lasciare Detwok e ritornò a Verona.
P. Cotta era l’uomo dell’entusiasmo, delle idee luminose, che sapeva aggirare gli ostacoli, e con la sua parola suadente e maniere delicate sapeva guadagnarsi la benevolenza delle persone. In questo modo seppe agganciare molte amicizie, che non sfruttò mai a proprio vantaggio, ma sempre e solo a beneficio dell’Istituto. I superiori si servirono di queste sue doti, veramente eccezionali, per imprese che altri avrebbero giudicato impossibili. Si può dire che il suo ruolo, anche in missione, sia stato quello di sfondare, piuttosto che di fondare: il ruolo del pioniere, insomma.
Intanto p. Cotta si occupò per la nuova sede degli aspiranti Fratelli di Thiene e anche di una fondazione comboniana a Padova. Anche le suore comboniane gli devono riconoscenza: p. Cotta segnalò loro la proprietà del Cesiolo, appena fuori Verona, per sistemarvi il loro noviziato.
Nel 1936 andò in Inghilterra per cercare un posto stabile per una casa di studi per i futuri missionari comboniani. E acquistò la casa di Sunningdale. Nel 1943 il Vescovo di Verona lanciò l’idea di istituire l’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento in una chiesa della città. P. Cotta raccolse subito l’idea e offrì la chiesa centrale di S. Tomio, che i Comboniani officiavano dal 1919. Ottenuta la benedizione del Vescovo, iniziò i lavori di restauro della chiesa e la costruzione di un altare monumentale, con trono per l’esposizione da lui stesso progettato.
Fece fare da una ditta specializzata un grandioso ostensorio con magnifica raggiera e teca d’oro. L’ostensorio è alto metri 1,20 e pesa chilogrammi 10. Nel frattempo egli si dava d’attorno per trovare adoratori. Organizzò turni di adorazione con la partecipazione del seminario, degli istituti e delle case religiose, poi cercò tra i vari ceti di persone: professionisti e signore fino ai piccoli mercanti e le donne di Piazza Erbe. Egli si teneva sempre pronto per le confessioni, predicazioni e turni di adorazione.
Nel 1947, dopo il secondo conflitto mondiale aprì un seminario comboniano in Portogallo, senza sapere una parola di portoghese. Al termine della missione in Portogallo fu destinato dai superiori per un altro biennio (1949-1950) in Inghilterra, per la terza volta, per avviare la nuova parrocchia di Elm Park nei sobborghi di Londra.
A sessantasette anni rientrò in Italia per dedicarsi ad un’opera che nei suoi disegni avrebbe dovuto essere la più impegnativa della sua vita: l’erezione di un santuario alla Madonna di Fatima in via Giuditta Pasta, alla periferia di Milano.
Comperò un triciclo con carrozzella e con quello cominciò lui stesso a portare i mattoni per la costruzione.
Quanti passi abbia fatto presso uffici e personalità del Comune e della Curia di Milano per avere le necessarie autorizzazioni, chi lo potrebbe dire? Tutti gli dicevano di no… Oggi il santuario, anche se piccolo, c’è.
Gesù nell’Eucaristia fu il suo sostegno, specie negli ultimi anni. E la Vergine Immacolata aprì certo le porte del paradiso a lui che le era sempre unito mente e cuore. Si addormentò nel Signore nel 1976, all’età di 93 anni, tenendo tra mani la corona del rosario.
(P. Lorenzo Gaiga)