Sabato 29 giugno 2024
In questo mio scritto, vi voglio raccontare brevemente in che modo ho cercato – durante gli ultimi mesi – di raggiungere una sponda che è indubbiamente “altra”: quella dei giovani drogati del nostro quartiere, di cui vi ho raccontato nell’ultima mia lettera, e che si riuniscono regolarmente presso una panchina rossa che loro stessi hanno costruito e colorato. (Padre Franco Nascimbene, missionario comboniano in Colombia)

In cerca di “altre sponde”

Cari amici,
il Vangelo della dodicesima domenica del tempo ordinario, celebrata lo scorso 23 giugno, raccontava di Gesù che invitava i suoi a «passare all’altra riva» (Mc 4,35) del lago di Galilea. Anche prese in sé stesse, a prescindere dal contesto geografico del brano evangelico, queste parole costituiscono un invito coraggioso e inequivocabile, che ci chiede di rompere gli indugi, di non accontentarci di ciò che abbiamo acquisito e ci fa star bene, perché le nostre sicurezze e comodità sono spesso gabbie dorate in cui finiamo con il vivere male.

Per i discepoli di Gesù, tuttavia, c’era un aspetto preoccupante in quell’invito del Maestro: “oltre il lago” c’era la terra dei Geraseni, che erano pagani, considerati selvaggi, da evitare ad ogni costo. Di loro si aveva molta paura.

Visto però che a fare quell’invito era stato Gesù e che lui continua tutt’oggi a farlo anche a tutti coloro che credono in lui, allora noi, missionari comboniani, dobbiamo cercare un altro motivo più profondo: “sull’altra riva” c’è un popolo da evangelizzare. “Passare all’altra riva”, o l’andare oltre, deve far parte integrante del nostro stile di vita missionario.

In questo mio scritto, vi voglio raccontare brevemente in che modo ho cercato – durante gli ultimi mesi – di raggiungere una sponda che è indubbiamente “altra”: quella dei giovani drogati del nostro quartiere, di cui vi ho raccontato nell’ultima mia lettera, e che si riuniscono regolarmente presso una panchina rossa che loro stessi hanno costruito e colorato.

Vi garantisco che decidere di andare a visitarli richiede da parte mia una preparazione. Sì, devo “caricare ben bene le pile”, perché l’incontro non è mai facile. Mi capita a volte di andarci e di essere del tutto ignorato. A volte, appena mi vedono arrivare, alcuni di loro si alzano e se ne vanno.

Rimane, comunque, quasi sempre qualcuno che mi accoglie. A volte mi ritrovo con un gruppetto di belle adolescenti – sempre in jeans sdruciti e con gli occhi stralunati – che hanno lasciato uno o due figli a casa della nonna per venire lì a drogarsi. Loro mi accolgono sempre bene. Altre volte mi ritrovo con tre giovani-adulti: uno ha uno sguardo strano che incute un po’ di paura; il secondo è quello che definisco “l’ideologo del gruppo”, che ha sempre pronto un discorsetto da farmi per millantare le meraviglie compiute dall’attuale governo della Colombia; il terzo si chiama Dogoberto, a cui piace fare il “teologo”.

Ecco il racconto di tre incontri che non esito a definire “riusciti”.

1. Dagoberto e la parabola di Gesù

È capitato un paio di settimane or sono. Tra i presenti c’è Dagoberto. È il primo a rispondere al mio saluto e si affretta ad aggiungere:

«Padre, perché non ci racconti una parabola?».

«Una… che?».

«Una parabola. Uno di quelle belle storie che Gesù raccontava».

Chiedo ai ragazzi e alle ragazze se sono interessati ad ascoltarla. Mi rispondono di sì. E inizio a raccontare la parabola del Buon Samaritano. Mi ascoltano con molta attenzione. Alla fine, li invito a rimanere con me per un altro quarto d’ora, così che possiamo approfondire le parole che abbiamo ascoltato. Chiedo loro di identificarsi con uno o più dei vari personaggi menzionati nel racconto e di chiedersi come avrebbero reagito loro, se si fossero trovati al loro posto.

2. Il coltello di Ronald

Un altro giorno, quando giungo alla panchina rossa, noto subito che dai calzoni di Ronald – un tipo che ha una faccia di uno che di amici deve averne pochi – sbuca il manico di un coltello. In tono scherzoso, gli chiedo: «Te lo porti dietro per sbucciare la frutta?».

Subito, il ragazzo che gli siede vicino si alza e se ne va. Allora io mi affretto a prendere il suo posto. Attendo l’attimo in cui Ronald è distratto, gli prendo il coltello e gli dico: «Ora lo tengo io. Poi andrò a buttarlo nel laghetto qui vicino, prima che tu faccia qualche stupidaggine».

«Restituiscimi il coltello», dice lui.

«Ma neanche per sogno», ribatto.

«Dammi il mio coltello!», urla.

«Ti ho detto di no», ripeto.

Vedendo che si sta davvero arrabbiando, gli prometto che glielo restituirò solo se risponde a una mia domanda.

«Quale domanda?», dice lui.

«Pensi davvero che portarti dietro un coltello in bellavista ti aita ad affrontare e risolvere possibili problemi?», gli chiedo.

«Certo», risponde ad alta voce: «Mi serve per difendermi dai miei nemici».

In meno di mezzo minuto, cerco di dirgli che ci sono mille altri modi di affrontare i problemi, molto più intelligenti, molto più umani… e che non richiedono l’uso del coltello.

Poi, gli restituisco il coltello, mi alzo e lo saluto: «Pensaci».

Noto che lui non mi saluta. Mi giro e vedo che sta guardando il coltello che gira e rigira nella mano. Credo stia pensando.

3. Preghiera per Donald

Un altro giorno, decido di andare a fare una visita ai miei amici della panchina rossa. Non sono ancora arrivato alla distanza adatta per il saluto, quado vedo Dagoberto alzarsi e venirmi incontro. Mi fermo e l’attendo.

Quando mi raggiunge, mi dà una stretta di mano e mi chiede: «Potresti andare a casa a prendere il tuo altare portatile e tornare qui per celebrare una messa per Donald? Sta morendo all’ospedale. Poche ore or sono, una moto gli si è avvicinata e chi era seduto sul sellino posteriore gli ha ficcato una pallottola nella testa».

Con Dagoberto e gli altri ci rechiamo a visitare la famiglia di Donald. Quando arriviamo, invitiamo tutti a unirsi a noi il giorno dopo per un momento di preghiera, perché il Signore aiuti Donald. Diciamo ai familiari che possono invitare tutti i compagni del loro ragazzo.

Il mattino dopo, Donald è già morto, ma noi ci riuniamo ugualmente, ora però per pregare il Signore di accogliere con misericordia Donald tra le sue braccia paterne. La breve cerimonia dura circa mezz’ora, con canti, lettura di testi biblici sulla speranza, e preghiere spontanee. Poi benedico l’acqua e la spruzzo sulle circa 25 persone che Dagoberto è riuscito a radunare. Mi chiedono anche di andare a benedire il luogo esatto dove hanno sparato a Robert e il posto dove lui era solito sedersi per fumare. Accetto.

Prima di lasciarci, chiedo loro se hanno gradito ciò che abbiamo fatto. Mi rispondono di sì. Dico loro: «Se volete, potremo ripetere qualcosa di simile in altre occasioni. Basta che lo diciate a Dagoberto ed io mi renderò disponibile».

Che il Signore ci aiuti sempre ad andare in visita di “altre sponde” della nostra società per seminarvi semi di speranza.

Vi racchiudo tutti in un abbraccio.

Padre Franco Nascimbene,
Missionario comboniano in Colombia