Martedì 18 ottobre 2022
P. Franco Laudani, 80 anni, ci racconta le avventure e le fatiche del viaggio da Kisangani a Buta (380 km), per andare ad aprire una nuova missione nel nord della Repubblica Democratica del Congo. “Siamo finalmente arrivati – scrive P. Franco, missionario comboniano –. Domani arrivano gli altri due padri giovani e vedremo come iniziare il nostro apostolato. Siamo pieni di fiducia. Questa è veramente zona missionaria, sullo stile di san Daniele Comboni: tra i più poveri e abbandonati. Ma mi sembrano tanto generosi e contenti di accoglierci”.
Siamo partiti da Kisangani alle ore 5.30 di venerdì 24 settembre 2022. Eravamo P. Léonard Ndjadi Ndjate, superiore provinciale, P. Roberto Ardini, 79 anni, e io, più l’autista e un giovane come aiuto. Il primo tratto di strada è quasi normale, per questo paese. Arriviamo al fiume Lindi (dopo 52 km) alle 7.00. Da qui andiamo a Bengamisa, dove arriviamo alle 7.40. Sosta per una colazione fino alle 8.15. Incontro con dei Wabudu di Wamba in lutto. A 88 km, prima sosta per una buca sulla strada. Arrivo a Banalia alle 12.45. Il grande (1,5 km) fiume Aruwimi è davanti a noi. Enorme!
Pranziamo dalle suore della Dottrina Cristiana. Si riparte alle 13.30 ma dopo appena un kilometro restiamo impantanati. Per fortuna arrivano due macchine dei Médecins Sans Frontières (MSF), che viaggiano sulla stessa strada. Ci tirano fuori, sono già le 16.00, ma neanche loro si avventurano: i prossimi quaranta chilometri prendono il nome di Calvario. Così si ritorna a Banalia e si passa la notte in albergo (20 $ a testa), dopo aver mangiato qualcosa.
Da Banalia si riparte il 25 settembre (secondo giorno), alle 7.15, dopo colazione. Lungo la strada ci fermiamo sei volte, per superare le varie buche, tirandoci fuori più volte con un cavo e spalando fango. Si va avanti, dopo tre ore abbiamo percorso 10 km. Alla decima sosta, ne abbiamo fatti 14 km: 4 km all’ora. Dopo un po’ facciamo una sosta: ci restano ancora 107 km per Buta. Qui i nostri angeli, i Médecins Sans Frontières, si fermano: senza di loro non saremmo mai arrivati a Buta.
Si riparte alle 16.00 e alle 17.00 siamo a Nsele, limite della provincia Tshopo. Dopo la ventesima sosta, siamo a 61 km da Buta. Restiamo di nuovo impantanati in una buca e ormai siamo da soli, gli angeli custodi dei MSF sono già arrivati alla loro destinazione, Kole. Lottiamo nel fango, chiamiamo aiuti, sempre a pagamento, perché effettivamente è un lavoro duro, pesante e sporco. Tutti i tentativi vanno a vuoto, si affonda ancora di più. Siamo costretti a faticare tutta la notte con dei giovani che scavano, spingono e con un tronco cercano di sollevare la macchina. Come se non bastasse, una forte pioggia ci ha lavati durante questo lavoro, tanto per farci risparmiare sapone dopo! Si aggiunge anche qualche disagio fisico, probabilmente causato dal cibo preso per strada; da qui, la necessità di trovare un sentiero nell’oscurità per liberarsi… nella foresta. Abbiamo dovuto scaricare la macchina e poi ricaricarla. Tutta la notte così, fino alle 7.30 del mattino seguente, 26 settembre. Terzo giorno.
Si continua con piccole soste prima di entrare nel fango. Alle 15.15 siamo a 33 km. A 17 km da Buta siamo costretti ad un’altra lunga sosta. Bisogna scavare la strada (più di una ventina di metri) perché la macchina abbia almeno due ruote su una superficie dura e non scivoli nel fosso. Sono le 16.00. Compriamo del “fufu” – cibo locale – per calmare la fame, mentre una quindicina di giovani scavano per noi. In tutto, per questi aiuti a forza di spinte abbiamo speso oltre 200 $.
Finalmente, ormai vicini a Buta, ci fermiamo alla nostra cappella, dove ci aspettano già da tanto tempo. Saluti calorosi e gioia, anche da parte nostra, per essere arrivati, dopo tante fatiche. Poco più avanti ci fermiamo per vedere la casa che ci hanno affittato: 4 stanze, tutte vuote. Arriviamo alla Procura diocesana, dove dormiremo, alle 19.00: dopo una doppia doccia “al secchio” (fredda) e una buona cena, alle 21.00, finalmente, siamo a letto.
Cosa dire di questo viaggio! Che abbiamo cercato di muovere a compassione il cielo con le nostre preghiere perché ci venisse in aiuto, la Beata Anwarite, San Daniele Comboni, il rosario in silenzio perché non si aveva il coraggio e la forza di dirlo ad alta voce. E poi, vedere la sofferenza di questa gente, dei giovani in moto che portano un carico di 300/400 kg tanto che da dietro, prima di raggiungerli, credi di avere una macchina davanti a te e invece è una moto carica come un furgone. Immagina quanto equilibrio ci vuole, quanti sforzi e aiuti per evitare di cadere nelle buche dove giacciono camion o macchine… e pensare che qui il sottosuolo ha diamanti e oro… ma nessuno si interessa allo sviluppo del Paese!
Ma che cosa ci porta qui? Se non fosse per il Vangelo e per i poveri resteremmo volentieri a casa.
Ma la mia sorpresa è Buta. Dopo aver visitato la nostra cappella/parrocchia, a circa 1 km c’è il ponte sul fiume Rubi, dopo il quale si entra in città. E per me è stata una scoperta: è una vera città di circa 500.000 abitanti, con tanti edifici dell’epoca coloniale, ancora in “tuiles”, ben conservati, con i tetti spioventi per far scivolare la neve (!). La città ha quattro parrocchie soltanto e in tutta la diocesi ha solo nove preti locali e, credo, due parrocchie affidate a religiosi (compresi noi Comboniani). Dunque, possiamo dire, un prete per più di 100.000 abitanti. La città è piena di mercati: i prezzi sono alle stelle – e si capisce, viste le strade! – un litro di benzina costa 6.000 FC (3$/€). Ci sono varie ONG che vi lavorano con vari progetti. Ogni tanto si vede qualche giovane europeo. Io sono l’unico “vecchio bianco” – specie per i capelli – della città e senza dubbio l’unico anziano come prete. In città il livello economico mi sembra medio ma, al di là del Rubi, cioè nella nostra parrocchia, è “villaggio”, povertà: basta vedere come vestono i bambini e come sono le case della gente. All’interno della nostra chiesetta i banchi sono un’asse su alcuni mattoni. A duecento metri dalla cappella abbiamo la nostra residenza, una casetta con quattro camere vuote ma pulita, circondata da un recinto di canne di bambù. Non c’è corrente (né da noi, né in città), non c’è acqua, all’esterno c’è una doccia (a secchio) e una toilette… Ci procureremo dei fusti per avere a disposizione l’acqua necessaria per la casa.
Per ora sono solo, fra qualche giorno arriveranno i due giovani in moto, e per il 9 ottobre è stata programmata la nostra presentazione alla gente. Dopodiché lasceremo la Procura per abitare in sede. Un falegname ci sta facendo i letti, il tavolo, le sedie ecc. Intanto abbiamo affrontato le spese per le cose necessarie: materassi, piatti, e altri acquisti… come giovani sposi novelli che mettono su famiglia! Meno male che noi abbiamo i fedeli: in questi giorni sono arrivati polli, banane, animali della foresta affumicati… segno della loro accoglienza e stima.
In chiesa ci sono solo tre banchi, e dietro la gente è seduta sulle assi sostenute da mattoni, la chiesa è buia, le persone hanno una piccola batteria con qualche lampada per illuminare. Con il provinciale abbiamo deciso che – ovviamente con la collaborazione della gente – con l’offerta della mia parrocchia dell’Idria di Biancavilla, la prima cosa che faremo sono i banchi della chiesetta (60 $ l’uno) e il miglioramento dell’illuminazione, per essere a nostro agio davanti al Signore. In questi giorni alla messa feriale c’erano ottanta/cento persone… sempre con il coro per cantare le lodi a Dio.
Domenica 2 ottobre erano circa duecento. Dopo il 9 e per la festa di San Daniele Comboni (10 ottobre) sfoggeremo anche le casule… e i doni ricevuti da voi cari amici. In particolare, voglio ringraziare le Orsoline di Paternò (la sorella Pina Brighina) per il particolare dono dell’ostensorio, che neanche la cattedrale di Buta possiede! Grazie di cuore: Mungu asifiwe/Dio sia lodato.
In seguito, vedremo come organizzare le cose principali da sviluppare nella parrocchia: primo, la nostra residenza, senza la quale non si può lavorare con serenità; secondo, bisogna pensare alla costruzione di una chiesa nuova; quella attuale può diventare un salone o piccole sale per la catechesi; poi, una scuola elementare nostra, un dispensario o un ospedale. In città la vita è diversa, ma qui da noi, oltre il Rubi-Cone, la riva sinistra del fiume, la vita è governata dalla “povertà” assoluta; questa è la prima residenza della popolazione della città, al tempo della colonia. Non ci sono i muri divisori di Kinshasa tra le famiglie: tutto è sotto gli occhi di tutti, all’aperto. Questo ci aiuterà ad essere “famiglia” senza segreti o discriminazioni. La gente è molto accogliente e simpatica nella sua semplicità. Speriamo di costruire un clima di famiglia e di fiducia nella nostra parrocchia per camminare insieme, uniti, con il coraggio e la protezione della Beata Anwarite, vergine e martire del Congo (1° dicembre 1964), Patrona della nostra parrocchia.
Per martedì aspettiamo gli altri due padri della comunità, P. Pascal Adrupiako Akuma e P. Maurice Malema Bati, che verranno in moto. Dopo di che, vedremo come passare dalla procura diocesana alla nostra abitazione. Quello che ci dà tranquillità è vedere come i fedeli si stanno muovendo per preparare la nostra presentazione di domenica 9 ottobre con la presenza delle autorità della città, i sacerdoti, le suore, ecc. La loro iniziativa e collaborazione è la nostra fiducia di poter andare avanti insieme, senza aspettare tutto dal cielo, ma che sia frutto del lavoro della comunità cristiana. Continueremo con questo stile di assunzione delle proprie responsabilità per la parrocchia e per il Regno di Dio.
Vi mando queste prime notizie per non restare isolati e silenziosi a lungo. Prossimamente vi manifesteremo le meraviglie che lo Spirito di Dio vorrà compiere in mezzo a noi “servi ordinari” del suo Regno.
Un caro saluto e grazie a tutti voi.
Aff.mo P. Franco Laudani mccj
a Buta (Prov. Bas-Uele RDC)