Lettera di P. Davide dal Mozambico, dove la vita è troppo fragile e incerta

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Mercoledì 17 marzo 2021
Carissimi amici, un caro saluto dal Mozambico in questo tempo particolare marcato dalla pandemia del Coronavirus che affligge tante famiglie e ci fa sentire tanto fragili e impotenti in ogni parte del mondo. Innanzi tutto, vi volevo ringraziare per la vostra premurosa solidarietà che mi avete dimostrato per il popolo mozambicano in tanti momenti, manifestando una vicinanza a chi soffre o a chi non ce la fa. In questo momento mi trovo nella periferia di Nampula, una città con quasi un milione di abitanti, dove la maggioria lotta per arrivare al giorno dopo.

Al centro, Padre Davide De Guidi.

Qui a Nampula e dintorni quest’anno le piogge sono arrivate con due mesi di ritardo e questo ha provocato un’emergenza d’acqua per la maggior parte della popolazione. File interminabili di gente per assicurarsi un bidone di 20 litri, pagandolo naturalmente, aspettando ore di attesa. Ora finalmente sta piovendo, ma le prime semine si sono seccate e solo chi aveva ancora alcune sementi, ha potuto riseminare per la terza o quarta volta. Vedremo e speriamo in bene, come ci insegnano i nostri buoni contadini. Se per ora è passato il problema dell’acqua (per ora almeno), la fame in questi mesi si fa sentire in quasi tutte le famiglie. È sempre un bel miracolo vedere come tanti poveri riescono a rimanere fiduciosi e tenaci nel cercare di poter riuscire a dare qualcosa ai loro figli, i quali da un anno non possono frequentare la scuola per la pandemia.

A me, ora, hanno chiesto un nuovo incarico, quello di accogliere e formare i giovani che saranno i futuri missionari locali. Nella casa dove gli accogliamo sono arrivati 21 giovani da tutto il Mozambico. Giovani buoni, generosi e semplici di cuore, che hanno avuto il coraggio di lasciato tutto per iniziare questo cammino arduo, ma anche bello e pieno di speranza e di vita. Rallegra il cuore vedere come nonostante la povertà materiale delle loro famiglie, le stesse sanno donare a Dio il dono più bello e prezioso che hanno, che sono i propri figli con grande generosità e fiducia. Nelle loro case si soffre per andare avanti, ma grazie a Dio si nota in loro, uno spirito determinato a realizzare il sogno di un giorno poter essere un missionario consacrato a Dio per i popoli più poveri, come ci insegna il Comboni.

Io sto imparando da loro tante virtù umane e anche un po’ di medicina, perché le malarie, il tifo, il colera, Aids, il coronavirus e tante altre malattie non mancano e devo preoccuparmi di loro oltre che a me. Quasi tutti i giorni, infatti, qualcuno si ammala e si accompagna all’ospedale dove centinaia di ammalati fanno la fila aspettando ore e ore per essere visitati. Le medicine scarseggiano negli ospedali e solo chi ha soldi se le può comprare nelle farmacie private. Per questo non mancano chi bussa alla porta con la ricetta tra le mani, sperando un aiuto.

Stiamo anche vivendo in questi mesi le ristrettezze della pandemia, le scuole dopo un anno sembra che riaprano, ma per la preghiera e la S. Messa in Chiesa ancora non possiamo farla, vedremo in seguito. Si nota che senza la forza e la grazia comunitaria della preghiera e dell’ascolto di una parola di speranza e di luce, il popolo soffre e perde un riferimento importante per la loro vita e la vita si degrada. Qui il coronavirus come in tante parti del mondo ci toglie medici e infermieri, oltre ai propri cari. Ieri abbiamo seppellito un nostro caro missionario che avevo vissuto assieme vari anni, padre Giocondo Pendin, deceduto il 9 marzo 2021 a causa del Coronavirus. La popolazione povera che è l’80%, deve combattere ogni giorno con molte altre malattie che sono più letali di questa pandemia. Per esempio, la pandemia dell’AIDS ha già fatto 25 milioni di vittime nel mondo e qui in varie zone il 15% della popolazione è siero positiva, ma non fa tanto rumore, perché?

Da parte mia sto sempre accompagnando anche gli sfollati che arrivano dalla guerra nel nord del Mozambico (Cabo Delgado). Sono già stati accolti quasi 11 mila nella parrocchia di Santa Cruz, dando loro farina, fagioli, stuoie, coperte, sapone, reti zanzariere. Quante storie dure da ascoltare, quanta violenza contro questo popolo innocente e povero, che ha la colpa di nascere in una terra dove si sono scoperti vari giacimenti di gas e pietre preziose. E proprio per questo, ai potenti di turno, incomoda che la gente viva in questi territori e così la pace se ne va. Attacchi ripetuti sono all’ordine del giorno e chi rimane viene massacrato nella propria terra. Già sono 650.000 gli sfollati.

Mi raccontava una suora spagnola che è qui da 50 anni, che alcuni giorni fa, una povera donna sfollata, è arrivata con un panno di stoffa tutto insanguinato, perché aveva avvolto il suo povero marito decapitato. Lei stessa poi era irrequieta, perché non sapeva dove erano i suoi sei figli dispersi. Lo stesso vescovo missionario Don Luis Fernando, un grande uomo coraggioso e profetico, che ha lottato fino ad ora in questa terra di Cabo Delgado per la pace e per dare voce e speranza al popolo oppresso, è stato trasferito in Brasile per proteggerlo.

La nostra parrocchia di Santa Cruz da maggio scorso, tutte le settimane si organizza per accogliere e distribuire ciò che è più necessario. In questo vi voglio ringraziare di vero cuore per tutto il bene che avete fatto loro, appoggiando il progetto “Rifugiati di Nampula”.

Stiamo anche costruendo una chiesa in periferia della città, in una zona bisognosa per accogliere i tanti cuori semplici che vogliono affidare a Dio la loro vita, e così permettere al salone antico, dove si celebra tuttora, di utilizzarlo per le necessità sociali e pastorali. Questo progetto della Chiesa di S. Paulo mi sta a cuore, perché è un sogno che da molti anni i fedeli seppur poveri, cercano di mantenerlo vivo, contribuendo con il poco che hanno per edificarla, coscienti di aver bisogno di un ambiente nuovo per accogliere la tanta gente che arriva e per dare un riferimento di vita e di incontro con Dio ai loro figli. Come non ricordare che anche noi siamo stati beneficiati, soprattutto da giovani, da ambienti parrocchiali che ci hanno salvato da tanti pericoli e donato un cuore fraterno.

Molti poveri e ammalati mi vengono a bussare alla porta raccontandomi tanti fatti che meriterebbero essere raccontati, ma una storia tra le tante che mi ha toccato in questi giorni è la storia di Joventino. Questo giovane di 22 anni è orfano di entrambi i genitori e due anni fa vedendosi solo, aveva pensato di formarsi una famiglia. Dopo un anno, ha avuto una bella bambina di nome Jessica. La sposa poi muore (per malaria celebrale) e lascia Joventino con la piccola di qualche mese. Ripetutamente mi veniva a trovare per aiutarlo ad avere un po’ di latte e alcune cose necessarie. In seguito, lo avevo incoraggiato a percorrere 500 km per dare la bimba a sua cugina che viveva con la nonna, per farla crescere meglio e così ha fatto. Alcuni mesi fa vedendo i rifugiati venire in grande numero, Joventino ha aperto il suo cuore e la sua povera casetta di paglia e fango per accoglierli. Erano arrivati a dormire 22 rifugiati in uno spazio piccolo. Poi la notizia che la casa della nonna era crollata per le piogge torrenziali, con la morte della nonna e della cugina. Disperato per non sapere nulla della bambina corre con la speranza di incontrarla viva.

Arrivato seppellisce la nonna e la cugina e grazie a Dio recupera la bimba che riesce a salvarsi. Ritornato con la bimba denutrita e ammalata, corre ripetutamente all’ospedale, ma nonostante lo abbia aiutato in vari modi per curarla e salvarla, mi telefona alle due di notte piangendo e dicendo che la piccina è andata in cielo. Al funerale, erano presenti lui e alcune donne rifugiate, con la piccina tra le braccia per deporla vicino alla sua giovane sposa e mamma della piccola. Una storia triste dove Joventino mi ha insegnato che ci sono momenti che la vita ti mette in ginocchio, ma lui nonostante abbia perso tutti gli affetti più cari, non ha smesso di aprire il suo bel cuore per accogliere chi era nel bisogno. Alla fine, sono state proprio le rifugiate accolte da lui che lo hanno consolato e dato una degna sepoltura alla piccola Jessica, una bimba davvero bella, ma nata in un contesto dove la vita è troppo fragile e incerta.

Carissimi amici, immagino anche le vostre sofferenze e preoccupazioni che state vivendo in questi mesi di pandemia; coraggio e cerchiamo sempre assieme quella luce che ci viene da Colui che ha caricato i nostri fardelli e le nostre violenze su di sé, per curarci e farci intravvedere che il dono della vita è davvero un grande tesoro quando lo accogliamo così come ci è stato donato, senza volerlo immortalare in questa vita terrena. Credo che la passione di Gesù che ricordiamo in questa quaresima, ci chiede di vivere ogni giorno con coraggio, con passione e compassione, con fiducia e con una santa ostinazione, amando la vita, la nostra storia e le persone che ogni giorno ci vivono accanto e coloro che desiderano da noi un ascolto, un sorriso, una parola e un gesto che esprima il cuore di Gesù in noi.

Grazie di cuore per essermi vicino in tanti modi in questo tempo per voi e anche per me non facile, ma pur sempre un tempo per seminare quella bellezza di vita che Lui ha posto in ciascuno di noi con amore e per amore. Vi auguro una santa quaresima e di lasciarvi sorprendere dalla Sua Pasqua, dove la Sua vita viene a rischiarare le nostre oscurità e fragilità e offrirci una vita che nessuno può toglierci, perché già in Lui eterna e indistruttibile. Con riconoscenza e gratitudine, uniti nella forza della preghiera.
P. Davide De Guidi