Venerdì 29 aprile 2016
“Fratello mio, mio compagno di lavoro e di lotta”, scriveva Paolo di Tarso di un suo stretto collaboratore. Sono le stesse parole che oggi potrei usare per P. Gianni Nobili [nella foto]. Per me, Gianni è stato un vero fratello, un compagno straordinario di lavoro missionario, ma anche di impegno, di lotta. Un uomo di una straordinaria umanità, con un’eccezionale carica umana che gli proveniva da una profonda fede in Cristo Gesù. Un uomo che sapeva rischiare per aprire strade nuove per la missione. Ne è uno splendido esempio il fatto che nel 1991 ebbe l’incredibile coraggio di lasciare il suo lavoro in Congo per venire a vivere con me, nell’inferno di Korogocho. [Lettera di padre Alex Zanotelli, missionario comboniano].
P. Alex Zanotelli,
autore della lettera.
Il 14 gennaio 1990, dopo due anni di attesa, ero andato a vivere in una baracca di Korogocho, per sentire sulla mia pelle che cosa significasse vivere ‘all’inferno’. Per oltre un anno ho vissuto da solo: nessun comboniano se la sentiva di venire a condividere con me quell’esperienza, che a molti sembrava una follia. Fu Gianni (con il permesso dei responsabili) che accettò di venire a Korogocho. È stato anche per lui un battesimo molto duro: il battesimo dei poveri. “Se il fango non ti arriva addosso, se non lo calpesti, se non ti circonda, se non ti avvolge corpo e anima (parlo di fango fisico e morale), non sai neanche apprezzare il dono della salvezza e della libertà che il Signore ci ha fatto – scrisse P. Gianni in una delle sue lettere da Korogocho. Non parliamo poi di vocazione e di sacerdozio! Anche solo la quantità enorme di privilegi, in termini di educazione, libertà e cultura, che abbiamo accumulato nella nostra vita, ci obbligano a condividere in modo ben più radicale quello che siamo. Le mezze misure diventano una beffa”.
E lo ha fatto con un’umanità, una solidarietà e un’amicizia straordinarie. Potrei riassumere la nostra vita a Korogocho in due abbracci che non dimenticherò mai. Il primo avvenne il 15 dicembre 1991, al mio rientro dal Capitolo dei comboniani. Arrivai durante la celebrazione eucaristica e deposi nelle sue mani un ramoscello di vischio natalizio dei suoi monti. Lui mi diede un abbraccio così caloroso di bentornato, che la comunità cristiana esplose in canti, trilli di gioia e di festa! Da quel giorno abbiamo camminato insieme per quasi due anni (non è stato facile per Gianni, la cui salute era piuttosto fragile).
Gianni fu fondamentale per iniziare le piccole cooperative per i più disperati di Korogocho. Giocò un grosso ruolo nella creazione della cooperativa dei raccoglitori di rifiuti nella discarica del Mukuru, proprio davanti a Korogocho. E fu soprattutto lui a propiziare l’arrivo, nel 1993, di quel formidabile missionario laico, Gino Filippini, con il quale aveva lavorato in Congo (ritengo Gino Filippini e Annalena Tonelli le due più splendide figure di missionari laici italiani del dopoguerra; Gino è morto di mesotelioma, contratto lavorando in discarica!). Fu sempre Gianni, appassionato sostenitore dell’impegno dei laici nella missione, a propiziare l’arrivo di un gruppo di laici che diedero un notevole aiuto con le cooperative.
Ma Gianni è stato per me soprattutto un compagno di viaggio con quella sua straordinaria umanità che mi ricaricava nei momenti difficili. Non posso dimenticare i momenti belli passati insieme a mangiare un po’ di cibo nel cuore della notte, seguiti da quelle lunghe conversazioni. E poi, quei momenti magici di preghiera nel cuore della notte, pregando i Salmi di Turoldo.
Gianni aveva poi la capacità di prendere decisioni anche molto rischiose. Ricordo in particolare la decisione di abbandonare la baracca dove vivevamo nel complesso della scuola informale – un luogo relativamente sicuro – per andare a vivere nel cuore della baraccopoli, un luogo che la gente riteneva molto pericoloso. Decidemmo insieme di trasferirci in un’altra baracca a Grogon, contro l’opinione della comunità cristiana che temeva per la nostra vita.
Infatti una notte – è la prima volta che metto questo per iscritto – una banda di sei-sette malviventi, con un tronco d’albero, sfondarono la porta della baracca e si precipitarono attorno al letto di P. Gianni, con pistole e coltelli, chiedendogli soldi. Non si erano accorti che nello stesso stanzone c’ero anch’io. Con il cuore in gola, senza sapere cosa fare esattamente, mi alzai, presi la lanterna e la scaraventai con forza contro il tetto di zinco, urlando: “Mwizi! Mwizi!” (Ladri! Ladri!) Non sapendo che cosa stesse succedendo, i ladri se la diedero a gambe. E noi due dietro di loro per cercare di blocca al meglio la porta. Accortisi dell’inganno, i malviventi ritornarono tentando di sfondarla. E noi a difenderci barricandola. Con un fischietto tentavo di richiamare l’attenzione della gente. Quella fu la mezz’ora più drammatica della mia vita. Con l’arrivo della gente, i malviventi si dileguarono. E Gianni mi diede un altro abbraccio, ringraziandomi perché l’avevo salvato. Un abbraccio ricco di umanità, tenerezza e amicizia. È questo abbraccio che, per telefono e fra le lacrime, ho chiesto alla sorella di Gianni, Mariolina, di dare a P. Gianni, prima di deporlo nella bara a Namugongo (Uganda), dove sarà sepolto.
Grazie Gianni, “mio compagno di lavoro e di lotta”, perché mi sei stato ‘fratello’ e perché ti sei giocato la vita per i popoli dell’Africa. Che la tua vita, data e donata, possa ‘rigenerare’ quella terra che ora ti accoglie nel suo grembo.
Alex Zanotelli