Venerdì 13 giugno 2014
Quattro vescovi cattolici dell’Eritrea – Mons. Mengsteab Tesfamariam (nella foto), eparca di Asmara, Mons. Tomas Osman, eparca di Barentu, Mons. Kidane Yeabio, eparca di Keren, e Mons. Feqremariam Hagos, eparca di Segeneiti – hanno pubblicato una lettera pastorale intitolata “Dov’è tuo fratello?” nel 23esimo anniversario dell’indipendenza del paese, celebrato il 25 maggio scorso. Nel testo sono denunciate le sofferenze della popolazione e dei giovani, spinti da difficoltà e privazioni a emigrare a rischio della vita. Pubblichiamo di seguito la Lettera dei vescovi in italiano, una traduzione dall’originale in lingua tigrina.
Migranti eritrei intercettati nel Mediterraneo. Nel testo si fa riferimento
al naufragio a largo di Lampedusa del 3 ottobre 2013, nel quale morirono più di 300 persone, molte delle quali migranti originari del paese del Corno d’Africa.
Gli eritrei, scrivono i vescovi, “vanno in paesi pacifici, dove regna la giustizia,
dove ci si può esprimere liberamente,
dove si lavora e si può guadagnare”.
Lettera Pastorale dei Vescovi Cattolici dell’ Eritrea
(Traduzione dall’originale in lingua tigrina)
Asmara, 25 maggio 2014
“Dov’è tuo fratello?”
Gen. 3,9
Saluto
1. “Ai nostri veri figli nella fede” e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, “grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro” (1Tim 1,2). In questo tempo pasquale in cui Cristo ha vinto il peccato e la morte, è nostro sincero augurio che tutti voi rivestiate la pienezza della sapienza e dell’ intelligenza che Egli ha abbondantemente riversato su di noi (cf. Ef 5, 8-9).
Diletti fratelli e sorelle in Cristo, la fede non è solo “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”, ma tramite essa “noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio” (Eb 11,1-3) e alla sua luce comprendiamo il significato vero degli eventi che si verificano in questo mondo. Animati da questa fede, vi indirizziamo la presente lettera pastorale.
Scopo
2. In questi tempi in cui numerosi uomini e donne, ingannati da un’erronea comprensione del progresso, si allontanano sempre più dalla fede, “ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (1Tes 1,3). L’anno delle fede che si è appena concluso ci ha aiutato a far “brillare la fede all’interno dell’esperienza umana, percorrendo così le vie dell’uomo contemporaneo. In questo modo è apparso come la fede arricchisce l’esistenza umana in tutte le sue dimensioni” (Lumen Fidei 5) [1].
Abbiamo avuto la grazia di iniziare quest’ anno della fede con grande entusiasmo, di viverlo riflettendo sul nostro cammino spirituale, pregando e lodando il nome del Signore e compiendo opere di penitenza. All’ interno di esso abbiamo avuto il dono della nuova Eparchia di Segheneiti, compenso alla grande fede dei nostri padri. Per tutto ciò eleviamo coralmente il nostro inno di ringraziamento al Signore.
3. Il Sommo Pontefice emerito Benedetto XVI, nel Motu Proprio Porta Fidei [2], ha offerto ispirate indicazioni a tutta la Chiesa e a noi pastori di anime, con particolare riferimento ai tempi in cui viviamo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita in pienezza. Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone” (PF, 2).
4. E’ precisamente per invitarci a rimanere saldi nella fede in questi tempi di grave crisi che Benedetto XVI ha indetto l’ anno della fede. Come l’ apostolo Paolo esortava il discepolo Timoteo a “cercare la fede” (cf. 2Tm 2,22) con la stessa costanza di quando era ragazzo (cf. 2Tm 3,15), anche noi, pastori della Chiesa di Dio che è in Eritrea, sentiamo il dovere di vigilare affinché “nessuno diventi pigro nella fede” (PF 15).
Cari Fratelli e sorelle, nell’ assicurarvi che abbiamo pregato per voi “che non venga meno la vostra fede” (Lc 22,32), sentiamo indirizzata anche a noi l’esortazione che Gesù rivolse a Pietro a confermare i fratelli nella fede. Da parte sua, il Santo Padre Francesco, nell’ Esortazione Apostolica Evagelii Gaudium [3], ci ha ricordato che l’ interrogativo di Dio «dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9) interpella anche ciascuno di noi. Pertanto, vi scriviamo la presente lettera nell’ intento di farci carico dei problemi e delle sofferenze dei nostri fratelli, di sperimentare “la grande gioia del credere” (EG 5) e di “ravvivare la percezione dell’ampiezza di orizzonti che la fede dischiude, per confessarla nella sua unità e integrità, fedeli alla memoria del Signore, sostenuti dalla sua presenza e dall’azione dello Spirito Santo”(Ibid.).
PARTE I - CHIUSURA DELL’ ANNO DELLA FEDE
5. Le iniziative dell’ anno della fede si proponevano di risvegliare in noi il desiderio di intraprendere un rinnovato cammino nella vita della fede. In tale prospettiva, la chiusura di tale anno fu non tanto un punto d’arrivo, quanto un punto di partenza verso un orizzonte di vita e di fede al quale ci incamminiamo premuniti dei frutti di cui ci hanno arricchito le celebrazioni giubilari.
Dobbiamo riscoprire quale e quanta gioia infonde le fede, quale e quanta differenza corre fra chi crede e chi non crede, quale privilegio e quale predilezione divina comporta il dono della fede, quale e quanta privazione significa la mancanza o la perdita della fede. Senza questo dono l’ uomo perde ogni senso di orientamento e cammina fra le vicende di questa vita come in un oceano senza traguardi, privo di una chiave per comprendere la propria origine e il proprio fine. Tutto, per lui, si riduce entro gli angusti limiti del puro caso. Per l’ uomo della fede, al contrario, Dio è il senso primo ed ultimo della creazione e del mondo, frutto della sua paterna tenerezza e provvidenza, che ci chiama ad essere corresponsabili del perfezionamento delle realtà create.
6. Senza la fede, il dolore e l’ ingiustizia non hanno né un senso, né uno sbocco. Con la fede, Dio ci si propone come Colui “che tergerà ogni lacrima” (Ap 21,4) dai volti dei sofferenti e dei perseguitati” e ci dona la certezza che “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” (Lc 3,6). Senza la fede, anche le migliori esperienze dell’ esistenza umana – la vita, l’ amore, la concordia, la pietà, l’ aiuto reciproco, la bontà – sono incapaci di superare i limiti della finitudine umana. Con la fede esse diventano come l’ inizio dell’ eternità. Con la fede, Dio buono e provvidente è al centro dell’ origine e del compimento di ogni esperienza positiva e di ogni valore; tutto quanto compiamo ha in Cristo “l’ iniziatore e il perfezionatore di ogni cosa buona” (Eb 12,2). Senza la fede, la morte è la fine di ogni cosa e l’esaurimento definitivo di tutti i rapporti. Con la fede, essa è il passaggio dal percorso terreno all’ inizio della pienezza in Dio e alla restaurazione della comunione con chi ci ha preceduti nel cammino della vita.
7. Senza la fede, il mondo è solo un semplice prodotto del caso, la nostra vita un fuscello in balia delle forze della negatività, e il nostro destino una condanna al nulla. Nella fede in Dio, scopriamo le nostre radici nella sua bontà creatrice, recuperiamo le ragioni della fraternità che ci lega vicendevolmente e puntiamo lo sguardo verso il nostro ultimo approdo in Lui; la vita, per quanto carica di problemi e di sofferenze, viene ancorata nelle certezze che Dio ci garantisce. Tutto quanto “non viene raddolcito da Cristo è sempre aspro e amaro” (S. Bernardo). La fede in Colui che è “ la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) illumina e guida la nostra esistenza. Senza di essa ci si smarrisce nelle tenebre: “se non crederete, non avrete stabilità” (Is 7,9).
8. L’ affermazione che la nostra fede “è la vittoria che ha sconfitto il mondo” (1Gv. 5,4) non implica odio o disprezzo per il mondo, ma un invito a sconfiggere la superbia, la malizia, l’ odio, il peccato, e a superare i limiti delle realtà terrestri verso una profonda comunione con il Signore, verso la pienezza della vita e della gioia. E’ nella fede che nell’ uomo emerge la sua somiglianza con Dio. E’ in essa che gli uomini si riscoprono figli di un unico Padre e perciò fratelli gli uni degli altri, pronti a farsi carico gli uni degli altri. Infatti, Dio, che “ha creato l’uomo per l’ immortalità e lo fece a immagine della sua natura” (Sap 2,23), non smette mai di interrogarlo: “dov’è tuo fratello?”
“L' uomo, sollecitato incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto indifferente davanti al problema religioso, come dimostrano non solo l'esperienza dei secoli passati, ma anche molteplici testimonianze dei tempi nostri. L'uomo, infatti, avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua attività e della sua morte” (Gaudium et Spes 41) [4]. Come ci ha ricordato il Sommo Pontefice Francesco “non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa” (EG 266).
9. La Chiesa, la cui missione è di illuminare le realtà terrestri con la parola del Vangelo (cf Apostolicam Actuositatem 5) [5], insegna che “la luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo… La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino… All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce. In Cristo, Dio stesso ha voluto condividere con noi questa strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa la luce” (EG 57). E’ in questo contesto che la Chiesa ci invita a raccogliere la domanda di Dio: “dov’e tuo fratello?”. In quanto pastori di questa chiesa locale, ci accingiamo a farlo spinti non da motivi di prestigio o da interessi di parte, ma da vero e sincero desiderio di servizio. Infatti, “una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra” (EG 183).
10. Vedere nella luce della fede significa “accettare il grande dono portato da Gesù” (LF 1). Infatti, “nella fede, dono di Dio, virtù soprannaturale da Lui infusa, riconosciamo che un grande Amore ci è stato offerto, che una Parola buona ci è stata rivolta e che, accogliendo questa Parola, che è Gesù Cristo, Parola incarnata, lo Spirito Santo ci trasforma, illumina il cammino del futuro e fa crescere in noi le ali della speranza per percorrerlo con gioia. Fede, speranza e carità costituiscono, in un mirabile intreccio, il dinamismo dell’esistenza cristiana verso la comunione piena con Dio. Come è questa via che la fede schiude davanti a noi? Da dove viene la sua luce potente che consente di illuminare il cammino di una vita riuscita e feconda, piena di frutto?” (LF 7).
11. “Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana che, ieri come oggi, turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l'origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo” (Nostra Aetate 1) [6]. “Se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d'oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione. E intanto ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente percepito” (GS 21).
PARTE II - LA NOSTRA SITUAZINE ATTUALE
12. Volgendo ora lo sguardo al nostro lontano e recente passato, troviamo vari motivi per cui rendere grazie al Signore. Dal punto di vista ambientale, il paese non possiede ricchezze naturali comparabili a quelle di molti altri paesi; ha però goduto di una quantomeno relativa situazione di tranquillità, al riparo cioè da notevoli catastrofi naturali. Tradizionalmente, abbiamo un popolo timorato di Dio, desideroso di vivere in pace e armonia con gli altri, lontano da conflitti inter-tribali e inter-relgiosi. Apprezza le diversità culturali non come fattori di divisione, ma come fattori di arricchimento vicendevole. Guarda al proprio futuro con un saggio senso di misura. Un popolo innamorato e assetato della pace, in una parola.
Tutto ciò si spiega solo con una storia, una cultura e una visione della vita profondamente radicate nella plurisecolare fede cristiana. L’ interrogativo “dov’è tuo fratello?”, che oggi grava sulla coscienza di tutti noi, cade su un terreno che ha sempre coltivato i valori della solidarietà e della condivisione fra individui, famiglie e gruppi in tutti i momenti della vita, in quelli della gioia, così come in quelli della sofferenza. Dobbiamo pregare incessantemente affinché questi grandi valori si mantengano e continuino a crescere: “Signore, aumenta la nostra fede”. Infatti, come diremo in seguito, oggi soffiano venti nuovi: nuove correnti di idee, abitudini e prassi minacciano la tenuta di tali valori.
Constatiamo che sono stati compiuti alcuni sforzi per promuovere la ricostruzione del paese. Nel contempo, essendo naturale che si guardi sempre al meglio, non possiamo permetterci di dimenticare il molto che resta ancora da fare. Ci sono ferite da curare e da guarire. Il positivo che c’è non può renderci ignari del negativo che grava sulla vita della nostra popolazione. E ciò abbraccia un ampio ventaglio di aspetti e di settori: l’ aspetto personale e psicologico, così come quello sociale e pubblico; la vita materiale, così come il livello morale e spirituale. Il papa Francesco ci ha ricordato che “spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese” (EG 184).
Le tragedie del mare
13. “Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande, Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più” (Mt 2,17). Nei mesi di settembre ed ottobredell’anno appena trascorso, proprio nel periodo in cui da noi si risveglia la natura e si raccolgono i frutti della terra, all’ inizio dell’anno secondo il nostro calendario, si è abbattuta sul nostro paese e sul nostro popolo una tragedia che ha profondamente scosso la comunità mondiale: l’annegamento di centinaia di giovani nostri connazionali nelle acque del Mar Mediterraneo. Era il culmine di una odissea che si ripeteva da anni, fra traversate di montagne e di fiumi, di deserti e di mari, alla mercé di criminali trafficanti di esseri umani. Si è pianto, e si è pianto tanto, nelle case e fra il pubblico: “Le strade di Sion sono in lutto, i suoi sacerdoti sospirano, le sue vergini sono afflitte ed essa è nell’ marezza” (Lam 1, 4). La parola del profeta fa da sfondo al pianto di Rachele, rievocato nel Vangelo di Matteo. Entrambi si rifanno agli eventi del 587 PdC, quando l’ invasore babilonese spinge il popolo fuori da Gerusalemme, lo raduna sulla spianata di Rama (oggi Ramallah) e brucia la città. Infine, il popolo d’ Israele viene condotto ostaggio in Babilonia. Rachele, che rappresenta il popolo e le madri d’ Israele, piange i figli “che non sono più”. Nel fare memoria del grande lutto degli Israeliti, il profeta non chiude l’ orizzonte della speranza e del ritorno.
14. L’evangelista Matteo, memore della tomba di Rachele a Betlemme, la ricollega con la strage degli innocenti decretata da Erode. Rachele è inconsolabile perché questi “non sono più”. Ma è un pianto che sale al cospetto di Dio, ed è l’ unico capace di consolare e di guarire le ferite dell’ anima. Non solo con la parola, ma con la speranza e con la risurrezione dei morti. Il grido “non sono più”, vien così trasformato e strasfigurato dalla certezza che la colpa è riparata dalla risurrezione di Gesù.
Che tragedie come quelle che hanno tristemente segnato la storia del nostro paese in questi ultimi decenni si avverino alle porte di un continente progredito è davvero, come continua a ripetere il Santo Padre, inaccettabile e incompatibile con il grado di civiltà e di progresso oggi raggiunto.
Con Rachele, la madre di tutti, e con tutte le madri, eleviamo al Signore il nostro pianto e la nostra preghiera. Mentre imploriamo affinché i nostri giovani defunti trovino nel Signore definitivamente quella pace e quella serenità che hanno invano cercato su questa terra, ai loro genitori, famigliari e parenti estendiamo i nostri più sinceri sentimenti di solidarietà e di compartecipazione al loro lutto.
Le fughe in massa dal paese
15. Ora però dobbiamo prestare ascolto alla voce del Signore che ci interpella e ci inquieta: “dov’ è tuo fratello? Dov’è tuo nipote, tua nipote? In che condizioni vivono?...”. Noi ci chiediamo a nostra volta: chi risponde di questo tristissimo stato di cose? Le responsabilità si pongono a diversi livelli e in diversi ambiti. Le radici infatti sono profonde e complesse e vanno viste in un quadro più ampio e più articolato: “dove, in che situazioni, si trova il nostro paese nel suo insieme?”. E’ un interrogativo che non possiamo eludere col dire: “sono io forse responsabile di mio fratello?”
16. E’ nella natura delle cose che le bestie feroci contendano la vita agli uomini. Oggi, purtroppo, si è arrivati ad una situazione in cui si avvera l’ assioma “homo homini lupus”: l’ uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è trasformato in merce di scambio, squartato e mutilato dei suoi organi vitali. E tutto solo per vile guadagno. Stiamo assistendo a vicende inaudite, a un ritorno alla legge della giungla. Ci chiediamo: se la coscienza degli autori di questi crimini ha perso ogni sensibilità, come è possibile che il resto del mondo li tolleri? Gli stati che governano i paesi dei perpetratori e delle vittime del crimine possono davvero dire di avere esaurito tutti i mezzi a loro disposizione per provi rimedio? Cosa dobbiamo dire? La verità è che, “sconvolto l'ordine dei valori e mescolando il male col bene, gli individui e i gruppi guardano solamente agli interessi propri e non a quelli degli altri; cosi il mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece l'aumento della potenza umana minaccia di distruggere ormai lo stesso genere umano” (GS 37). Finché le cose stanno così, certamente non si potrà sfuggire al giudizio di Dio, ma nemmeno a quello del tempo e della storia.
D’altronde, non mancano voci che giustamente invocano un’azione accuratamente pianificata e coordinata, un cambiamento di mentalità, interventi concreti, efficaci ed incisivi. Occorre puntare sulla domanda di mirate strategie legislative e politiche. Trascurare questa esigenza rende tutti gravemente responsabili davanti a Dio e davanti agli uomini: “Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male” (2Cor 5,10).
La qualità di vita
17. Conosciamo bene le piaghe che affliggono il nostro popolo al giorno d’ oggi, condannando alcuni alla morte ed altri a una misera sopravvivenza: povertà, malattie endemiche come l’ HIV-AIDS, esilio e vicende ad esso connesse…
In spirito di fraterna condivisione e solidarietà invochiamo per gli uni il riposo nel regno eterno e per gli altri la forza e la consolazione di Dio.
Da molti anni, la nostra terra subisce un incessante processo di desertificazione. Occorrono puntuali iniziative per arrestare tale processo e proteggere l’ integrità del creato. Occorre coscientizzare il popolo in tale proposito, perché “Dio ci vuole custodi del creato e dei nostri fratelli” (Papa Francesco). Solo allora il creato tornerà ad essere, a sua volta, nostro custode.
Ad abbandonare la nostra terra non sono solo le risorse naturali, ma anche le ricchezze umane:
In una parola, ci troviamo a fare i conti con un vero e proprio drenaggio di risorse e di energie umane. Cosa sarà di un paese dove le fasce più produttive mancano all’ appello? A fare di una nazione ciò che deve essere è l’ uomo con tutte le sue potenzialità.
18. Ci terrorizza la prospettiva di un drastico spopolamento del territorio. Certamente, il ricordo e la nostalgia del proprio paese continueranno ad accompagnare gli esiliati in terra straniera. Ma, nella storia, si conoscono pochi casi di massiccio ritorno di esiliati nella terra d’ origine. Fra le generazioni che la nazione ha perso, probabilmente per sempre, non ci sono solo le fasce giovanili e medie, ma anche i bambini nati e cresciuti all’ estero. Se non si provvederà in tempo a far sì che queste generazioni non perdano i contatti con le proprie radici, la nazione avrà gravi problemi da affrontare. E’questo, il grido di allarme che sale dal paese e si indirizza a tutti: alle persone singole come alle famiglie, agli anziani, alle autorità politiche, come a quelle religiose. Bisogna correre ai ripari con coraggio e creatività per trattenere chi non è partito e per richiamare chi è partito.
19. C’è nel nostro tempo una netta trasposizione da quel detto dei nostri padri - “il proprio paese è insaziabile come il proprio occhio” – a quello che ha finito per predominare oggi: “il tuo paese è dove prevale il tuo benessere”. Se l’ uno e l’altro sono valori irrinunciabili, la soluzione, allora, è un’ altra: esplorare vie e strategie per fare in modo che il paese offra al cittadino una vera ed effettiva possibilità di autorealizzazione. Ci si permetta di ripetere quanto scrivevamo in una nostra lettera pastorale del 2001: “Non ha senso chiedersi: ‘perché i nostri giovani abbandonano il loro paese?’ - dal momento che nessuno lascia un paese che offre latte e miele, come si suole dire, per sistemarsi in un’ altro che offre le stesse opportunità. Se la patria fosse uno spazio dove regna la pace e la libertà e dove non manca il lavoro, non ci sarebbe nessun motivo per scegliere la via dell’ esilio, della solitudine e delle difficoltà di ogni genere” (Dio ama questo Paese 29).
Situazioni psicologiche e morali
20. Per i suddetti motivi e per mille altre cause incompatibili con la vita e la dignità umana, sta prevalendo l’ incertezza sul futuro delle persone. C’è un crescente disprezzo per il valore della vita umana, una tendenza a cercare la soluzione ai propri problema in mezzi e metodi di cui non si valuta la moralità. D’altra parte, la delusione per il mancato raggiungimento dei fini che ci si proponeva, la vanificazione delle proprie aspettative, il guardare a terre lontane come all’unica alternativa per un’autorealizzazione, stanno inducendo un numero sempre crescente di persone alla frustrazione e alla disperazione. Ci si trova all’ interno di un orizzonte che si fa sempre più cupo e più pesante.
Di pari passo, la disgregazione della famiglia all’ interno del paese – a causa del servizio militare senza limiti di tempo e senza retribuzione, della reclusione di molti giovani nelle prigioni e nei centri di ridisciplinamento, ecc. – sta esponendo alla miseria non solo genitori anziani e senza supporto, ma intere famiglie, con gravi ricadute non solo a livello economico, ma anche psicologico e mentale. Il rapido, quasi endemico, diffondersi di malattie come il diabete, i problemi di pressione sanguigna e le patologie cardiologiche, ne è un segnale fra i più emergenti.
La società civile
21. Si nota un indebolimento generalizzato dei valori morali sociali e delle colonne portanti del vivere insieme, una tendenza verso incurabili forme di decadenza sociale (cf. Ger 4,11-21).
a. La famiglia.
Per varie cause – fra cui ancora il servizio militare nazionale, l’impatto dei mezzi di comunicazione di massa e le condizioni di vita dei giovani - l’ influsso degli anziani e dei genitori sui figli e sulla gioventù in genere sta scemando vistosamente. Vorremmo dire agli anziani e ai genitori di non abdicare alle proprie responsabilità, anche se molti fattori negativi sembrano contendergliele, di continuare ad esercitare il loro ruolo di mediazione e di persuasione, di non lasciarsi sedurre da interessi privati, di guadare lontano; soprattutto di salvare la famiglia, perché la sua tenuta è la salvezza del paese. Poiché la famiglia è il terreno primario dove fiorisce e matura la fraternità, l’ interrogativo “dov’è tuo fratello?” riguarda anzitutto l’ ambito famigliare. La famiglia è il nucleo della Chiesa e il fondamento della società. E’ lì che “le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale” (GS 52). Perciò, “tutti coloro che hanno influenza sulla società e sulle sue diverse categorie, devono collaborare efficacemente alla promozione del matrimonio e della famiglia” (Ibid.).
b. La ricostruzione morale
22. Un potere pubblico non più al servizio del bene comune, ma strumento di accaparramento di interessi privati o di parte, l’ individualismo, il favoritismo, la corruzione… sono segni di un’ incipiente, o forse avanzata, emergenza morale. La corruzione non si limita alle transazioni pecuniarie, ma comprende tutti i comportamenti avulsi dai comuni criteri di moralità pubblica e personale. Si sta diffondendo la tendenza a badare ai propri interessi, senza valutare e tanto meno denunciare la moralità dei mezzi impiegati. Dissimulare la verità e assecondare la menzogna è una dimensione fondamentale della corruzione. Sono tutte patologie morali che occorre curare con il ripristino dei principi di trasparenza e di responsabilità e, più in profondità, con un sussulto della coscienza e del timore di Dio. Altrimenti finirà per trionfare incontrastata l’ anarchia, l’ ingiustizia e la violenza. Alle guide religiose di tutte le denominazioni spetta il compito di risvegliare le coscienze, di promuovere la conversione dei cuori e delle menti, alle autorità civili quello di instaurare una politica di chiarezza, di trasparenza e di legalità.
c. La legalità
23. Un tratto caratteristico della tradizione del nostro popolo è il senso della legalità, la deferenza verso il codice morale istituzionalizzato. C’è, nella nostra tradizione, più timore per chi si appella alle norme della legge, che per chi ti minaccia con la forza dell’ arma. Sarà forse perché questa tradizione è andata venendo sempre meno che, di pari passo, la corruzione sembra pervadere il tessuto della nostra convivenza sociale? Poiché il principio di legalità è imprescindibile da ogni progetto di ricostruzione morale e sociale, non si finirà mai di inculcarne l’ importanza. Nel trattamento di chi viene accusato per un reato, la giustizia non può e non deve essere dissociata dall’ umanità e dalla compassione.
Su tale premessa, ogni causa giudiziaria deve essere legalmente fondata, proceduralmente motivata e tempestivamente portata a termine. Più in generale, l’ attivazione del principio di costituzionalità, esigenza acutamente avvertita e pressantemente invocata da chiunque apprezza il valore della giustizia e della libertà, non può più essere disattesa.
All’ interno della stessa problematica va collocata l’ attuale assenza di un’ aperta discussione dei problemi del paese, del dialogo maturo e spassionato, di un’ informazione oggettiva e veritativa. Il pettegolezzo, il diffuso mormorio, la maldicenza, la menzogna o, nei migliore dei casi, il disinteresse per il bene comune… sono in larga parte frutto di un’ informazione non corretta o, peggio ancora, di una disinformazione eretta a sistema. La mancanza del dialogo, dell’ ascolto reciproco, dell’ interessamento vicendevole, stanno allargando e approfondendo le nostre differenze e restringendo gli spazi di una duratura soluzione dei problemi.
d. L’istruzione
24. Perchè l’ istruzione giochi il suo fondamentale ruolo di caposaldo del progresso culturale e sociale, della crescita integrale dei giovani, dello sviluppo globale del paese, occorre urgentemente provvedere a che le istituzioni a ciò deputate siano ampliate, rinnovate, modernizzate. Occorre riprendere, ambientare, contestualizzare e inculturare i principi e le metodologie più avanzate che hanno accompagnato la crescita dei paesi più progrediti. Fare tesoro delle esperienze educative altrui può essere fonte di grande arricchimento.
Come nel passato, così nel presente, la Chiesa è aperta ad ogni possibilità di offrire il suo contributo in questo campo, promuovendo i valori della verità, della fraternità, della libertà, dell’ eguaglianza, della democrazia, della giustizia, dei diritti e della dignità della persona e della legalità.
“L'ordine sociale e il suo progresso debbono sempre lasciar prevalere il bene delle persone… Quell'ordine è da sviluppare sempre più, deve avere per base la verità, realizzarsi nella giustizia, essere vivificato dall'amore, deve trovare un equilibrio sempre più umano nella libertà” (GS 36).
c. Le ristrettezze economiche
25. Quando consideriamo che le nostre famiglie vivono, o sopravvivono, ormai solo grazie alle rimesse dei famigliari all’estero, da una parte - memori di quel detto dei nostri padri secondo cui “Dio permette, sì, i problemi, ma mai senza vie d’ uscita” - avvertiamo un sincero sentimento di gratitudine, dall’ altra ci rendiamo conto che la dipendenza dai famigliari all’estero non può essere una soluzione permanente. Se non si creano opportunità di lavoro, se ai giovani non viene concessa la possibilità di rendersi autosufficienti, se non si mette fine alla stagnazione dell’ agricoltura, del commercio e dell’ industria, non si uscirà mai dal circolo vizioso della dipendenza e della povertà. Si fa bene a insistere sull’ autosufficienza della nazione, ma non si può dimenticare che essa passa attraverso l’autosufficienza degli individui e delle famiglie. Non bastano eleganti e altisonanti slogan. Servono opportunità lavorative.
Gli esorbitanti prezzi dei beni di consumo, l’ assoluta insufficienza dei salari, l’ inarrestabile impennata degli affitti, il prolungato blocco delle attività edilizie, l’ impossibilità di dedicarsi ad attività lavorative elettive… ci hanno messo di fronte ad una disperata emergenza economica. Come si farà ad uscire da queste situazioni, se non c’è spazio per l’ iniziativa privata, per l’intraprendenza e per la creatività? Come si fa a parlare dell’ indipendenza e della dignità di una nazione, senza presupporre la dignità e l’ indipendenza delle persone? Non è più questione di un livello di vita più o meno confortevole, ma del problema del vivere o non vivere, della mancanza di essenzialissimi beni, quali l’ acqua, il pane, la luce… Chiediamo, a nome di tutti, l’ attenzione delle autorità pubbliche e il loro impegno per la creazione di un sistema economico all’ altezza della dignità della persona umana.
d. La vita spirituale e morale
26. Siamo sinceramente preoccupati per le ferite morali e spirituali che affliggono la nostra società. A volte ci chiediamo se non sia in corso un processo di alterazione identitaria, un progressivo capovolgimento dei valori e del codice morale, un’ insinuarsi di principi di disfacimento della coscienza etica. Ci vengono in mente le parole di San Paolo: “…Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall’ orgoglio…” (2Tim 3,2-4). Il culto del demonio, che spesso si presenta sotto le mentite spoglie della modernità, può prendere piede anche così. Saranno del tutto infondate le voci sulla presenza di culti satanici anche fra noi? Non lo sappiamo, ma il fatto stesso che se ne parli non può non preoccuparci: “A differenza dei tempi passati, negare Dio o la religione o farne praticamente a meno, non è più un fatto insolito e individuale. Oggi infatti non raramente un tale comportamento viene presentato come esigenza del progresso scientifico o di un nuovo tipo di umanesimo” (GS 2).
Anche da noi si stanno instaurando striscianti tendenze ad accantonare la religione quale principio ispiratore della vita e misura della moralità umana, o a strumentalizzarla a scopi meramente lucrativi. Ci sono propagandisti pseudo-relgiosi nella cui predicazione viene completamente svuotato o deprezzato il valore redentivo della croce e della sofferenza. Occorre inculcare in tempo e fuori tempo che la religione è il valore che più profondamente forgia la coscienza delle persone ed edifica la vera libertà e l’ autentico senso della vita.
27. A nessuno possono sfuggire le gravi conseguenze derivanti dal fare della religione un fattore di divisione e di disgregazione, anziché principio di coesione e di unità e di un vero senso di appartenenza alla comunità nazionale. Senza un autentico rapporto con Dio e con i dettami della retta coscienza e del vero senso religioso, diventa difficile creare equilibrati ed armoniosi rapporti sociali. La riuscita del dialogo, della composizione delle differenze e della collaborazione per il bene comune, si fonda sulla capacità di ascolto, sul rispetto reciproco e sul sentimento di giustizia che ogni autentico senso religioso ispira.
28. Un’ altro aspetto che, nella nostra società, è venuto imponendosi con tutta la sua carica distruttiva è la degenerazione del rapporto con il denaro. Quando il denaro diventa il criterio di impostazione di tutte le relazioni sociali, inevitabilmente si cade nel machiavellismo pratico, per cui il fine giustifica qualsiasi mezzo. Ed è quanto vediamo verificarsi in vari ambiti della vita pubblica: nel commercio, negli uffici, nella compravendita e negli affitti delle case; la ricerca del denaro è l’ unica cosa che conta, al di là di ogni moralità e di ogni rispetto per l’ uomo, per la sua dignità e per i suoi diritti. Cos’ altro c’è, se non il denaro, dietro l’orrendo traffico di esseri umani, la compravendita degli organi, la prostituzione...? Solo un ritorno ad un autentico senso religioso ci può affrancare dalla schiavitù e dall’ idolatria del denaro, l’ anti-dio per eccellenza. L’ apostolo Paolo ci avverte: “non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via” (1Tim. 6, 7). E Gesù: “nessuno può servire a due padroni…Non potete servire a Dio e a mammona” (Mt. 6, 24).
La radice di tutti i mali
29. Il peccato: ecco la radice di ogni male, a livello personale e sociale. La vita incentrata esclusivamente su sé stessi, il tornaconto, l’ ingordigia, la corruzione, l’ irresponsabilità, che intossicano la nostra convivenza sociale, sono i frutti velenosi di questo “male oscuro” della nostra vita. Il radicarsi e il propagarsi di simili deviazioni è la vera e grande minaccia all’ unità, alla pace e alla vita stessa della nazione. Anche se, come si è già detto, le responsabilità per i mali del paese si articolano a diversi livelli e in diversi ambiti, nessuno può ritenersi innocente a tale riguardo, poiché “se diciamo che non abbiamo peccato… la verità non è in noi” (1Gv 1,18).
L’ unica via per un’autentica crescita delle persone, l’ unico principio per l’ instaurazione di una società rappacificata e degna dei valori inerenti alla dignità umana, è la restituzione dell’ assoluta centralità e del primato a Dio e, di riflesso, all’ uomo, sua immagine e somiglianza: “se non è Dio che costruisce, invano faticano i costruttori” (Sal 127,1).
Quando si dice “nazione” non ci si riferisce semplicemente a un territorio, ci si riferisce a un popolo che condivide lo stesso cammino storico, gli stessi valori culturali, le stesse idealità morali, alla sua capacità di affrontare i momenti di serenità e di differenza in spirito di unità e di solidarietà. Un cammino verso un vero e autentico progresso presuppone la custodia, la promozione, e lo sviluppo di questo insieme di valori.
Il cammino della pace
30. Abbiamo parlato più sopra (n. 12) del nostro popolo come di “un popolo amante della pace”, ed è una grande benedizione. Tuttavia, “la pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita ‘opera della giustizia’ (Is 32,7). È il frutto dell'ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta” (GS 78).
Il vero nemico della pace è l’ ingiustizia (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica 2317) [7]. Il rispetto delle persone, della loro dignità e dei loro diritti è la pietra angolare della pace. L’ assenza di tale rispetto distrugge i fondamenti della pacifica convivenza umana. Per questo, chiediamo la liberazione di quanti, arrestati, ne sono in attesa da tempi più o meno prolungati. Sia resa giustizia a quanti sono detenuti senza le dovute norme di legge, i dimenticati nelle prgioni… Sono tempi in cui l’ inquietante interrogativo “dov’è tuo fratello? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo” (Gen 4,9-10) risuona più forte che mai.
Conclusione
In questo periodo di Pasqua, in cui anche la nazione celebra il ventitreesimo anniversario di indipendenza, è dovere di tutti pregare perché il Signore benedica questo paese e ne faccia una terra di speranza, di pace e di giustizia. E’ altrettanto importante che tutti - popolo e autorità religiose e statali - uniscano i loro sforzi perché ciò avvenga. Sappiamo bene che il popolo è instancabile nella preghiera per la pace. Sul fondamento della parola di Gesù – “se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io lo farò” (Gv 14,13) – abbiamo la certezza che le nostre preghiere non sono vane. Perciò, apriamo il cuore e la mente a Colui che ci dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la da il mondo, ve la do. Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore” (Gv 14,27-28).
PARTE III - LA TESTIMONIANZA
“Mi sarete testimoni” (Atti 1,8): l’evangelizzazione.
31. “E’ urgente recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore” (LF 4). Far sì che la fiamma della fede sia sempre viva e la sua luce sempre luminosa non significa altro che realizzare nella vita la parola di Gesù: “Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).
Questa impegnativa parola del Signore viene rivolta a noi oggi. Quando, all’ inizio, fu raccolta dagli Apostoli, la comunità dei fedeli crebbe prodigiosamente, e la Chiesa è in crescita ancora oggi. Anche noi siamo chiamati ad inserirci in questa corrente di viva di testimonianza. Rispondendo alla stessa chiamata i primi annunciatori del Vangelo nella nostra Terra, San Frumenzio e i Nove Santi Romani e, in tempi più recenti, S. Giustino de Jacobis e i missionari dei successivi decenni hanno ravvivato e accresciuto la primitiva fiamma della fede. A noi è toccata la benedizione di raccogliendo i frutti maturi della loro predicazione e della loro testimonianza. Nel nostro paese, il popolo di Dio, raccolto nella Chiesa cattolica e articolato in quattro eparchie, si sforza di vivere la sua vocazione leggendo i segni dei tempi e seguendo gli insegnamenti della Chiesa universale.
32. Rendiamo il nostro filiale omaggio a tutti i vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli, che ci hanno trasmesso la fiamma della fede, mentre, sulle loro orme, ci impegniamo a tenerla sempre più viva. Storicamente, la fede cattolica si è espressa attraverso lo sforzo di dare continuità alla parola evangelizzatrice e all’opera di Gesù con una molteplicità di iniziative: istruzione, cura dei malati e degli orfani, promozione della donna, all’ interno di un complesso programma di promozione integrale della persona. E’ un fine che la Chiesa continua a perseguire anche oggi approfondendolo e ampliandolo in un’ attenta lettura dei segni dei tempi. E’, in buona sostanza una riposta all’ interrogativo del Signore: “dov’è tuo fratello?”.
E’ preoccupante vedere i rischi che la fede corre fra i nostri connazionali, particolarmente giovani, che, sradicati dalle proprie radici, vivono dispersi in tanti paesi del mondo. A tutti, in generale, si impone l’ esigenza di non prendere per garantito l’ impegno della fede, di non adagiarsi nell’ acquisito, di mantenere viva la coscienza che il peccato esiste e che dobbiamo fare i conti con i nostri limiti, e di affidarci alla grazia di Dio. Il primo passo da fare in questa direzione è la penitenza: riconoscere le nostre debolezze, non stancarci mai di chiedere perdono per il male che facciamo e di perdonare a chi ci ha fatto del male, non rispondere al male con il male…
33. Il nostro cammino di fede in generale, l’ anno della fede in particolare, esigono un urgente rinnovamento. Esso richiede anzitutto un esame di coscienza sulla qualità del nostro rapporto con Dio Padre, con Gesù Cristo Signore e con lo Spirito Santo Vivificatore. E poi sulle le nostre relazioni con gli altri: quale la situazione spirituale dei nostri fedeli cristiani? Quale la situazione morale ed umana della nostra società in genere? Quali le condizione del fratello, della sorella, a cui dobbiamo guardare con gli occhi delle fede? “Il Concilio Vaticano II ha presentato la conversione ecclesiale come l’apertura a una permanente riforma di sé per fedeltà a Gesù Cristo […]. Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo”. [8]
34. L’ insegnamento e la vita di Gesù, cosi come quelli dei suoi discepoli, si incentrano sul piccolo seme che, per crescere e fruttificare, deve cadere in terra e morire. E’ il programma di vita di ogni cristiano e della Chiesa. Ciò significa che non dobbiamo lasciarci scoraggiare dalle prove e dalle sofferenze che dobbiamo affrontare a causa della fede, poiché “è quando sono debole che sono forte” (2Cor 12,32). Ci deve confortare la parola di Gesù: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto darvi il suo regno” (Lc 12,23).
Quanto al nostro cammino nel futuro, possiamo far tesoro delle parole che Papa Giovanni XXIII, canonizzato da poco, pronunciò in occasione dell’ apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II: “Alacri, senza timore, dobbiamo continuare nell’opera che la nostra epoca esige, proseguendo il cammino che la Chiesa ha percorso per quasi venti secoli” (n. 4). La nostra missione come Chiesa, oggi, è quella di dedicarci alla testimonianza e all’ evangelizzazione con immutata fedeltà e con instancabile dedizione, nella certezza che lo Spirito Santo, che operava per mezzo degli Apostoli, non mancherà di donarci la forza, il desiderio e la volontà di portare a compimento l’opera iniziata (cf. At 2,29; 4, 13.29.31;9, 27-28).
35. In quali modi concreti possiamo rinvigorire la nostra testimonianza? Occorre essere misericordiosi e riconciliatori, vivere conformandosi non alla mentalità di questo mondo (Rm 12,2), ma a Cristo, farsi carico dei problemi e delle sofferenze del prossimo: “Animati dall'amore di patria e nel fedele adempimento dei doveri civici, i cattolici si sentano obbligati a promuovere il vero bene comune e facciano valere il peso della propria opinione in maniera tale che il potere civile venga esercitato secondo giustizia e le leggi corrispondano ai precetti morali e al bene comune.” (AA 14). La Chiesa stessa, nelle sue guide e nei suoi membri, deve compiere la sua missione profetica attraverso un cammino di penitenza e di conversione: “Se tu ritornerai a me, io ti riprenderò e starai alla mia presenza… Sarai come la mia bocca. Essi torneranno a te” (Ger 15,19).
Non è difficile individuare le priorità che dovranno guidare l’ azione della Chiesa nel presente e nel futuro. La nostra esperienza storica ci ha trasmesso la centralità della liturgia e della catechesi, in simbiosi con la vita quotidiana. I seguenti documenti della Chiesa universale saranno particolarmente la base delle nostre scelte prioritarie: 1. La Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa Lumen Gentium; 2. L’ Esortazione Apostolica di Paulo VI Evangelii Nuntiandi; 3. L’ Enciclica di Giovanni Paolo II Redemptoris Missio; 4.lI Sinodo Generale dei Vescovi del 2012 sulla nuova evangelizzazione; 5. L’ Esortazione Apostolica del Santo Padre Francesco Evangelii Gaudium.
L’ evangelizzazione consiste, in una parola, nell’ annuncio di Cristo Redentore del mondo. E’ questo il consolante messaggio che la Chiesa trasmette all’ uomo in “ogni occasione opportuna e non opportuna” (2Tim 4,2). Ed è questo il dono più prezioso che noi offriamo al paese perché lo possa vivere nell’ascolto della parola di Dio, nella vita sacramentale, nella divina liturgia, e lo testimoni con la vita.
Punti deboli della nostra vita di fede
a. Cristiani nominali
36. Uno dei problemi di cui il Concilio Ecumenica Vaticano II ha trattato con viva preoccupazione è quello che si definisce “cristianesimo nominale”. Ne accenna per esempio la Gaudium et Spes: “La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo” (n. 43)
Il cristiano nominale vive ed opera a prescindere dal presupposto della fede, non ne fa il principio guida dell’esistenza, adotta un criterio opportunisticamente selettivo circa i principi evangelici e vive al di fuori della vita liturgica della comunità dei credenti; in un parola, è un battezzato che non vive gli impegni derivanti dal battesimo (cf EG 15): “Figlioli, non amiamo a parole, né con la lingua, ma coi fatti e nella verità” (1Gv 3,18).
37. E’, questo, un settore della società che attende la nuova evangelizzazione. Con questa si intende, come disse Paolo VI in America Latina (Haiti), un annuncio compiuto con nuovo slancio, con un nuovo spirito, con rinnovata creatività e credibilità. Tutto ciò presuppone un’ attenta lettura delle trasformazioni in atto nella nostra società, per poi rispondervi con un annuncio che sappia sapientemente adottare linguaggi, criteri pedagogici, metodi e mezzi nuovi. Nello stesso ambito di impegno si colloca la pastorale dei lontani, di quanti hanno fame e sete di Dio, ma non hanno avuto modo di soddisfarla. In ogni essere umano infatti vi è un insito bisogno di Dio, e solo nell’ incontro con il Signore l’ uomo potrà trovare la pace e la tranquillità vera (S. Agostino).
38. Tutti i membri della Chiesa sono chiamati a impegnarsi nella nuova evangelizzazione. La coscietizzazione dei fedeli laici a tal riguardo è compito che non può essere né disatteso, né dilazionato. Poiché è attraverso la vita di testimonianza, prima di qualsiasi altro esercizio, che si esprime l’ evangelizzazione, occorre stabilire una coerente sintesi fra Vangelo e vita quotidiana: “I laici animino la propria vita con la carità e la esprimano con le opere, secondo le proprie possibilità. Si ricordino tutti che, con il culto pubblico e la preghiera, con la penitenza e la spontanea accettazione delle fatiche e delle pene della vita, con cui si conformano a Cristo sofferente (cfr. 2Cor 4,10; Col 1,24), essi possono raggiungere tutti gli uomini e contribuire alla salvezza di tutto il mondo” (AA 16).
b. Secolarismo
“Mi meraviglio che così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo, passiate ad un altro vangelo” (Gal 1,6): così Paolo rimproverava quanti, da una fervida fede, erano passati all’estremo opposto. Osservando la rapidità con si stanno diffondendo, anche da noi, taluni deprecabili fenomeni come la magia, l’ adulterio, la menzogna, il furto, la corruzione, i tradimenti exta-matrimoniali, non possiamo non sentire rivolto anche alla nostra società il rimprovero di Paolo.
“Tali atteggiamenti possono avere origini diverse: la ribellione contro la presenza del male nel mondo, l’ ignoranza e l’ indifferenza religiosa, le preoccupazioni del mondo e delle ricchezze, il cattivo esempio dei credenti, le correnti di pensiero ostili alla religione, e infine la tendenza dell’ uomo peccatore a nascondersi, per paura, davanti a Dio e a fuggire davanti alla sua chiamata” (CCC 29). Sono tutte manifestazioni di quel complesso ed articolato fenomeno che è il secolarismo o la mondanità spirituale. “O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio” (1Cor 6,9).
c. Insufficiente formazione cristiana
40. [Siate] sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). E’ un impegno, questo, che presuppone un’ approfondita conoscenza ed assimilazione del messaggio della fede, lo studio dottrinale, la partecipazione alla vita sacramentale e la crescita del senso ecclesiale. In un tempo in cui è assolutamente insufficiente vivere delle elementari nozioni apprese nell’ infanzia, esiste una specie di analfabetismo religioso, che deve essere superato. “Nelle condizione storiche in cui si trova, l’ uomo incontra molte difficoltà per conoscere Dio con la sola luce della ragione…Per questo ha bisogno di essere illuminato dalla rivelazione di Dio” (CCC 37-38).
I punti fermi della nostra fede
a. Fiducia nella Provvidenza di Dio
41. “Crescete nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo” (2Pt 3,18). E’ nel totale affidamento di noi stessi alla sua grazia e al suo aiuto che dobbiamo cercare la soluzione ai nostri problemi, non nel ricorso ai maghi e ai divinatori: “Tutte le forme di divinazione sono da respingere: ricorso a Satana o ai demoni, evocazione dei morti o altre pratiche che a torto si ritiene che “svelino” l’ avvenire. La consultazione degli oroscopi, l’ astrologia, la chiromanzia, l’ interpretazione dei presagi e delle sorti, i fenomeni di veggenza, il ricorso ai medium manifestano una volontà di dominio sul tempo, sulla storia ed infine sugli uomini ed insieme un desiderio di rendersi propizie potenze nascoste. Sono in contraddizione con l’ onore e rispetto, congiunto a timore amante, che dobbiamo a Dio solo” (CCC 2116).
b. Fedeltà alla Chiesa di Cristo
42. La sequela del “Cristo totale” è il distintivo del vero credente. Il corpo non è separato dal capo di Cristo, per cui è assurda l’affermazione: “Cristo sì, la Chiesa no”. Ciò comporta fedeltà e amore deferente verso la Chiesa e verso il suo insegnamento. Solo ciò garantirà pienezza e maturità alla nostra fede.
c. Sequela della Croce di Cristo
43. “Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è dunque di annunciare la Croce di Cristo come segno dell'amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia” (NAe 4). Seguire Cristo significa disporsi a portare la sua Croce: “se qualcuno vuole venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24). La nostra fedeltà e dedizione alla Chiesa cresce nella misura in cui aumenta la nostra fedeltà alla Croce di Cristo. L’ accettazione della volontà di Dio in ogni momento della vita e la pazienza e la perseveranza nella prova sono frutto del nostro radicamento nel mistero della Croce. Nel momento in cui, di fronte alla sofferenza e alle prove della vita, ci chiediamo “perché? Perché a me?”, possiamo trovare l’ unica risposta solo nella Croce di Cristo. Ciò vale per le difficoltà che incontriamo sia nella vita sacerdotale, così come nella vita consacrata e nella vita matrimoniale e famigliare. Il Cristianesimo è nato e fiorito nella Croce, e il cristiano trove rà la ragione per perseverare nella prova tornando ai piedi della Croce.
c. Ascolto della Parola di Dio
44. “Non di solo pane vive l’ uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). “Ecco, verranno giorni, - dice il Signore – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore” (Am 8,11). Una delle massime finalità dell’ anno della fede era di ravvivare questa fame e questa sete nel popolo di Dio e fare della parola del Signore la sorgente del rinnovamento.
In sintonia con il Concilio Vaticano II, auspichiamo che “con la lettura e lo studio dei sacri libri ‘la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata’ (2 Ts 3,1), e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall'accresciuta venerazione per la parola di Dio, che ‘permane in eterno’ (Is 40,8; cfr. 1Pt 1,23-25)” (Dei Verbum 26) [9]. Dato che “non conoscere la Scrittura è non conoscere Cristo” (S. Ireneo), sollecitiamo i parroci e i pastori del popolo di Dio a promuovere zelantemente la lettura e la conoscenza della Sacra Scrittura.
E’ consolante notare segni di un risveglio di interesse per la lettura della Bibbia. Rammentiamo. nel contempo, che è assolutamente importante che tale lettura sia costantemente aderente a una sana interpretazione e fedele al magistero della Chiesa. La traduzione della Bibbia nelle nostre lingue locali è una benedizione. Occorre proseguire in questo sforzo con la dovuta preparazione e competenza.
d. Vita sacramentale
45. Memore della promessa di Cristo - “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11,28) - “la Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli” (DV 28). Essendo l’ Eucarestia “fonte e culmine di tutta la vita cristiana”( Sacrosanctum Concilium 47) [10], non è possibile edificare la Chiesa senza di essa. Esistono, nel nostro paese, plurisecolari tradizioni di religiosità popolare. Occorre che esse, per conservare ed accrescere la loro genuinità, siano costantemente nutrite da un’ intensa vita sacramentale. E’ una precisa istanza dell’ Anno della Fede appena celebrato.
Con Maria “Stella del mare”
46. Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, il nostro sincero desiderio per voi è che , seguendo le orme di Maria “stella del mare”, viviate e cresciate saldi nella fede, nella speranza e nella carità. Solo se vivrete il tempo presente forti in questa fede e in questa speranza (cf. Ef 5,16; Col 4,5) e attenderete il tempo futuro ancorati nella pazienza (cf Rm 8,25), darete una verace ed efficace testimonianza al Vangelo di Cristo Signore. L’esortazione del Concilio Vaticano a questo riguardo è sempre attuale: “E questa speranza non devono nasconderla nel segreto del loro cuore, ma con una continua conversione e lotta «contro i dominatori di questo mondo tenebroso e contro gli spiriti maligni» (Ef 6,12), devono esprimerla anche attraverso le strutture della vita secolare” (LG 35).
Vi sia di conforto, di stimolo e di ispirazione Maria Santissima, alla quale il pontefice emerito Benedetto XVI si rivolgeva con queste parole: “Quando, piena di santa gioia, attraversasti in fretta i monti della Giudea per raggiungere la tua parente Elisabetta, diventasti l'immagine della futura Chiesa che, nel suo seno, porta la speranza del mondo attraverso i monti della storia. Ma accanto alla gioia che, nel tuo Magnificat, con le parole e col canto hai diffuso nei secoli, conoscevi pure le affermazioni oscure dei profeti sulla sofferenza del servo di Dio in questo mondo. Sulla nascita nella stalla di Betlemme brillò lo splendore degli angeli che portavano la buona novella ai pastori, ma al tempo stesso la povertà di Dio in questo mondo fu fin troppo sperimentabile” (Spe Salvi 50).
Conclusione
Risorgere con Cristo significa passare dalle tenebre alla luce. Se non saremo figli della luce, non vedremo la verità. E senza la verità, non c’è libertà (Cf Gv 8,32). “Pregando sempre con gioia con voi, a motivo della vostra cooperazione col Vangelo” (Fil. 1,4), su tutti voi invochiamo la libertà, la pace e la gioia che il Padre ci ha donato con la risurrezione di suo Figlio, e ci ha chiamato ed esserne testimoni forti e credibili.
O Maria “tu fosti in mezzo alla comunità dei credenti,
che nei giorni dopo l'Ascensione pregavano unanimemente
per il dono dello Spirito Santo (cfr Att. 1,14)
e lo ricevettero nel giorno di Pentecoste.
Il « regno » di Gesù era diverso da come
gli uomini avevano potuto immaginarlo.
Questo « regno » iniziava in quell'ora
e non avrebbe avuto mai fine. Così
tu rimani in mezzo ai discepoli
come la loro Madre, come Madre della speranza.
Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra,
insegnaci a credere, sperare ed amare con te.
Indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare,
brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino!” (SS 50).
“Stella della nuova evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce” (EG 288).
Vescovi Cattolici dell’ Eritrea
Domenica 25 maggio 2014
[1] Papa Francesco, Lettera Enciclica Lumen Fidei. D’ora in poi: LF.
[2] Papa Benedetto XVI, Motu Proprio Porta Fidei. D’ora in poi: PF.
[3] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evagelii Gaudium. D’ora in poi: EG.
[4] Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et Spes, d’ora in poi: GS.
[5] Id., Decreto Apostolicam Actuositatem, d’ora in poi: AA.
[6] Id., Dichiarazione Nostra Aetate, d’ora in poi NAe.
[7] Catechismo della Chiesa Cattolica. D’ora in poi: CCC.
[8] EG 26.
[9] Concilio Ecumenica Vaticano II, Cost. Dog. sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, d’ora in poi: DV.
[10] Concilio EcumenicaoVatiano II, Cost. sulla Liturgia Sacrosanctum Concilium.