Martedì 18 marzo 2025
Il 16 marzo 2025, nella cappella della comunità comboniana di Firenze, alla presenza di mons. Gherardo Gambelli, arcivescovo di Firenze, del superiore provinciale d’Italia, padre Fabio Baldan, di 35 sacerdoti proveniente da diversi continenti, di un gruppo di laici missionari comboniani e di molti amici e animatori dell’Oasi Laudato Si’ di Firenze, padre Fernando Zolli ha salutato e ringraziato tutti e tutte, prima di ripartire per la Repubblica Democratica del Congo (RD Congo), dopo ben 23 anni. Riportiamo le sue parole.
La partenza di un missionario è un gesto dovuto, quale docile risposta all’iniziativa dell’Amore gratuito di Dio per tutta l’umanità, che lo porta a esclamare: «Eccomi, Signore, io vengo per fare la tua volontà» (cf Salmo 40 [39]). La sua risposta è personale, ma lui non parte da solo: con sé porta i volti di tanti uomini e donne, di giovani e anziani, la ricchezza delle relazioni, l’intensità degli incontri, l’opportunità di aver condiviso gioie e dolori e di essere stato arricchito dalla vita quotidiana della gente. Il missionario non scappa né abbandona: semplicemente, continua il cammino. La gratitudine per quanto ha vissuto lo spinge ad andare oltre.
Il tempo che ho trascorso a Firenze (più di 17 anni), dopo aver vissuto 12 anni in Brasile e 12 anni in Zaire (dal 1997 RD Congo), mi ha permesso di re-interpretare e rinnovare il mio servizio missionario, adattandolo alle sfide della città e alle sue esigenze, promuovendo scelte e iniziative di presenza evangelizzatrice. La storia di Firenze, l’impegno di personaggi illustri, la capacità creativa dell’epoca rinascimentale, scolpita nelle pietre, nei palazzi, nei paesaggi e nei monumenti, hanno aumentato in me la disposizione a osare e a ripensare il servizio missionario, concretizzandolo attraverso due priorità: l’accompagnamento dei migranti, soprattutto delle nuove generazioni di afro-italiani, e l’ecologia integrale, come risposta all’ascolto del grido della creazione e quello dei poveri.
È nata la Elimu African Summer School, quest’anno alla sua seconda edizione, iniziativa proposta a giovani universitari italiani e nuovi italiani, figli di migranti, con l’obiettivo di aiutare a purificare lo sguardo sull’Africa, scoprire il rinascimento africano nel passato e nell’oggi, il ruolo dell’Africa sullo scacchiere mondiale e l’impegno per il riconoscimento della cittadinanza negata a oltre un milione di ragazzi e giovani che vivono con noi, studiano nelle nostre scuole e amano l’Italia.
L’impegno per l’ecologia integrale, promosso con altre associazioni e movimenti, soprattutto con il Movimento Laudato Si’ della Toscana, l’associazione sant’Ignazio, legata ai Gesuiti, e l’Agesci, si è concretizzato con l’inaugurazione dell’Oasi Laudato Si’, nell’area verde della nostra casa (Via Giovanni Aldini, 2), nel mese di aprile 2024, come hub, cioè uno spazio libero che aggrega gruppi ecclesiali e varie associazioni, promuove e diffonde le buone pratiche per la cura dell’ambiente e di ogni fragilità umana.
Due atteggiamenti caratterizzano la presenza missionaria della comunità comboniana a Firenze: la cooperazione e l’accoglienza. La missione, difatti, non ci appartiene: è iniziativa di Dio. Noi cooperiamo, articolandoci con le forze della Chiesa locale, in particolare il Centro Missionario Diocesano, la pastorale dei Migranti e la Caritas e tanti altri movimenti di base della società civile. L’accoglienza è vissuta come stile di vita. Oltre ad accogliere gruppi giovanili, famiglie, rifugiati, persone con disagio sociale e detenuti in affidamento a fine pena, dal 2009 la comunità ha stipulato un accordo con l’arcidiocesi di Firenze, accogliendo ben oltre 110 sacerdoti studenti o fidei donum di altri continenti, per lo studio della lingua italiana e la loro acculturazione, per poi continuare gli studi accademici e prestare servizi pastorali nella Chiesa locale.
Da un giubileo all’altro
Il Giubileo del 2000 e quello di quest’anno, 2025, marcano profondamente il mio servizio missionario. Nel Giubileo della Redenzione del 2000, risposi con slancio al grido di san Giovanni Paolo II che invitava ad «aprire le porte al Redentore». Ero nella Rd Congo e, nella celebrazione dell’apertura della porta del noviziato comboniano, a Kimwenza, promisi di spalancare la porta del mio cuore e offrirmi in oblazione per la rigenerazione di quella zona dell’Africa martoriata dal dramma della guerra, passata alla storia “la guerra dei Grandi Laghi”. Quel conflitto, purtroppo, perdura anche oggi, con maggiori barbarie, cinismo e crudeltà. Dio, da vero pedagogo, mi strinse a sé, “mi prese per il collo” e mi aiutò ad affrontare la prova più difficile della mia esistenza: persi la voce, ma lui mi donò la capacità della “voce vicaria”, che aumentò in me l’ardore missionario e la docilità al suo progetto.
Nel Giubileo di quest’anno, dopo 25 anni, l’invito di Papa Francesco a essere “pellegrini di speranza” mi ha sollecitato a mantenere fede alla promessa fatta. La speranza, infatti, non delude nella misura in cui si sceglie con chi fare il pellegrinaggio e si ha chiara la meta precisa da raggiungere. In questo pellegrinaggio, non ho potuto che scegliere la gente della RD Congo, per raggiungere con loro l’obiettivo della liberazione, la promozione della loro dignità, la cura della casa comune e delle persone fragili. Non ci si può arrendere dinanzi alla violenza bruta, agli abusi, alla barbarie, agli stupri e alla continua umiliazione. Dobbiamo prendere posizione dinanzi a chi non difende i diritti fondamentali e non ha cura dell’integrità territoriale della RD Congo.
La forza della Parola in vasi di creta
Il missionario che (ri)-parte è ben consapevole che trasporta il dono di Dio all’intera umanità in «vasi di creta» (cf 1 Cor 4,7) e sa di essere fragile, provato come tutti per le vicende della vita. L’età che avanza non rappresenta per lui un ostacolo insormontabile e lui non fa calcoli e non mette condizioni. La bellezza della Parola e la forza della grazia che trasporta gli danno sicurezza, lo rincuorano e lo rendono lesto nell’incedere e nell’osare. Si fida e si affida. Visita e si lascia visitare con una disponibilità disarmante. Il suo cuore si modella nel timore di Dio, che scaccia ogni paura e gli dà il dinamismo e il coraggio di andare, perché sa in chi ha posto tutta la sua fiducia (cf 2 Tim 1,4).
La partenza come gesto di Fiducia per chi resta
La partenza del missionario è anche un gesto di fiducia verso tutti quelli che restano, soprattutto per quelli che sono missionari nel cuore e vivono la loro vita come una missione in mezzo alla gente. Giustamente papa Francesco ci ricorda che “ognuno di noi è una missione” (cf. Evangelii Gaudium, 273). La gioia del missionario è constatare che il seme gettato nella terra cresce e fruttifica, nella consapevolezza che ognuno, nel campo del Signore, mette del proprio, come ci insegna l’apostolo Paolo: «Io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma Dio ha fatto crescere» (1 Cor 3,6).
Sempre interconnessi
Per chi parte e per chi resta la distanza non deve essere un ostacolo. Anzi, l’uno e l’altro deve farla diventare una grande opportunità che aiuta i discepoli e le discepole di Gesù a sviluppare lo spirito dell’utopia. Accanendosi sul particolare e sul locale, perdendo di vista il generale, si rischia di essere incapaci di intrecciare intelligentemente i segni dei tempi e dei luoghi. Lo spirito utopistico in chi parte e in colui che resta educa ad articolare la distanza con una altra parola che ha la stessa radice verbale, la costanza. Se la distanza è uno “stare lontano”, la costanza è uno “stare con”. Pur vivendo in luoghi geografici e contesti culturali diversi, siamo chiamati a “stare assieme”. L’attenzione e la costanza nell’ascolto del grido della creazione e del povero aiutano a restare sempre “interconnessi”, solidali, pronti e uniti a remare nella stessa direzione per la completa realizzazione della fraternità universale.
P. Fernando Zolli, missionario comboniano